La Scuola siciliana
La Scuola Siciliana fu una corrente filosofico-letteraria che si sviluppò in Sicilia nella prima metà del XIII secolo, presso la corte di Federico II di Svevia. L'impianto non fu accademico, nel senso che non si trattò di una Scuola in senso istituzionale, assumendo piuttosto i contorni di un movimento culturale. La poesia lirica della scuola, in volgare siciliano aulico, ebbe anche il merito di introdurre il sonetto.
Storia
modificaFin dal 1166 alla corte normanna di Guglielmo II di Sicilia convenivano da ogni parte i trovatori italiani [1].
Federico II di Svevia
modificaIn Sicilia, Federico II, imperatore e re di Sicilia, aveva creato uno stato ordinato e pacifico. La sua corte fu operosa tra il 1230 e il 1250, anni in cui si sviluppò la Scuola Siciliana. I poeti siciliani presero i provenzali come modello e si ispirarono a loro per comporre poesie d'amore. Non si occuparono, invece, di temi legati alla guerra, poiché Federico II garantiva la pace e la serenità all'interno del suo regno. I poeti di questa corrente poetica narravano la completa sottomissione che si rende alla donna, proprio come un vassallo verso il suo padrone.
Il Minnesang |
Il Minnesang era una lirica cortese in uso dal XII al XIV secolo prodotta da poeti e musici di area germanica, detti Minnesänger, che trattavano d'amore (Minne = "pensiero d'amore" / singen= "cantare"). I Minnesänger appartenevano generalmente all'aristocrazia. |
È rimarchevole che Federico II di Svevia sia riuscito a compiere una crociata, la sesta, senza combatterla, grazie a un sistema di ambasciate che scongiurarono lo scontro con il sultano al-Malik al-Kamil e che, trasformandosi in un incontro tra filosofi, condusse gli occidentali all'introduzione dello zero (per il tramite del dialogo tra gli esponenti della corte di al-Kamil e Leonardo Fibonacci, matematico pisano della corte di Federico II).
Fu un uomo molto colto: parlava infatti, il tedesco, il francese (poiché aveva madre normanna e padre svevo), conosceva il greco, il latino, l'arabo, il volgare siciliano che egli stesso volle valorizzare, e l'ebraico. La sua inestinguibile curiosità intellettuale gli fece guadagnare l'appellativo di "Stupor Mundi", ovvero meraviglia del mondo. Fu molto tollerante verso le altre religioni; fondò una scuola retorica a Capua, una medica a Salerno e un'Università a Napoli.
Federico II, incoronato imperatore a Roma da Onorio III (1220), non mantiene subito il primo impegno. Federico aveva infatti prestato giuramento di imbarcarsi per la Terra Santa nel 1217, ma successivamente si tira indietro e Onorio rinvia ripetutamente la data di inizio della spedizione.
Prima di indire la crociata, egli vuole compiere nel regno di Sicilia un vasto programma di riforma politica.
Per stroncare le pretese dei baroni feudali, abbatte i castelli costruiti senza autorizzazione e ne innalza di propri, su tutto il territorio; protegge l'economia locale dalle speculazioni dei genovesi; crea l'Università di Napoli (famosa per gli studi giuridici) e quella di Salerno (prima per la medicina); finanzia gli studenti, obbligandoli però a iscriversi alle sue università; ferma la repressione dei musulmani e li trasferisce nella colonia musulmana di Lucera, dove sono lasciati liberi, purché a lui fedeli. Nel 1231, promulga una raccolta di leggi (le costituzioni di Melfi), con cui dà ordine al regno e controlla i poteri amministrativo, legislativo e giudiziario. Ne risulta una nuova forma di Stato, laico, accentrato, burocratico che anticipa la struttura dei futuri Stati europei.
Sulla mentalità di Federico II, un altro rilievo che può dare un'indicazione importante sul suo temperamento e la sua lungimiranza è il progetto di riforma delle proprietà terriere, che fu realizzato dal capuano Pier delle Vigne. Infine, va ricordato che fu letterato egli stesso, autore di un trattato di falconeria De arte venandi cum avibus, che è anche un libro simbolico e filosofico, e di alcuni componimenti poetici, ritrovabili nelle raccolte della Scuola siciliana.
L'esperienza politica, filosofica e letteraria
modificaLa Scuola Siciliana si sviluppò tra il 1230 ed il 1250 presso la corte itinerante di Federico II di Svevia, Sacro Romano Imperatore e Re di Sicilia. Egli stabilì la sua corte in Sicilia, luogo di incontro e fusione di molte culture per la sua centralità nel Mediterraneo, dove creò una scuola di poeti ed intellettuali che ruotavano intorno alla sua figura, ed erano parte integrante della sua corte. I poeti Siciliani contribuirono in modo significativo al patrimonio letterario italiano. Federico II, uomo di grande cultura anche linguistica, intendeva avvalersi di ogni possibile mezzo per stabilire la sua supremazia sull'Italia, e in Europa. A questo fine attuò una politica strumentale, anche nel campo culturale. Con la Scuola Siciliana egli volle creare una nuova poesia che fosse laica, e si potesse così contrapporre al predominio culturale che la Chiesa aveva nel periodo, non municipale, da opporsi alla produzione poetica comunale (l'imperatore era in lotta con i comuni) e aristocratica, che ruotasse, cioè, intorno alla sua figura.
I poeti di questa corrente letteraria appartenevano all'alta borghesia, ed erano tutti funzionari di corte, o burocrati, che lavoravano presso la corte di Federico. Importante rilevare che tutti erano impegnati in attività e funzioni di organizzazione, di cancelleria, di amministrazione. La produzione poetica era riservata alla libertà dello spirito e non costituiva un lavoro o una funzione. In questo senso, la Scuola Siciliana fu un tentativo di realizzare una cultura universale e spirituale, nel rispetto delle religioni manifestate ma senza condizionamenti né, tanto meno, subordinazione. Non a caso uno dei castelli più importanti della casa di Svevia è il nome da cui deriva l'etimologia del termine "ghibellino".
I poeti
modificaI componimenti dei poeti della scuola siciliana ci sono arrivati prevalentemente attraverso il manoscritto Vaticano Latino 3793, che è stato compilato da un copista toscano. Sebbene non ci sia motivo di ritenere che vi siano stati scarti notevoli, è da rilevare però che il copista ha adattato dal volgare siciliano al volgare toscano: così non si dispone di una perfetta testimonianza della vera lingua utilizzata dai poeti della corte di Federico II. Degli originali, si è salvato soltanto un componimento intero, Pir meu cori alligrari di Stefano Protonotaro, e tre spezzoni: le ultime due stanze (versi 43-70) della canzone di Re Enzo S'iu truvassi Pietati, la stanza iniziale (versi 1-12) della canzone "Gioiosamente canto" di Guido delle Colonne e un frammento di "Allegru cori plenu" di Re Enzo; tutto ciò grazie ad una trascrizione dell'erudito emiliano Giovanni Maria Barbieri, che nel Cinquecento disse di aver trascritto questi versi da un manoscritto di cose siciliane, oggi perduto.
Gli esponenti della scuola siciliana furono: Giacomo da Lentini, considerato anche il caposcuola e largamente noto perché a lui è attribuita l'invenzione della forma metrica del sonetto, Cielo d'Alcamo, Pier della Vigna, Ruggieri d'Amici, Odo delle Colonne, Rinaldo d'Aquino, Arrigo Testa, Guido delle Colonne, Stefano Protonotaro, Filippo da Messina, Mazzeo di Ricco, Jacopo Mostacci, Percivalle Doria, Re Enzo, lo stesso Federico II, Giacomino Pugliese, Ruggerone da Palermo. A questi vanno aggiunti Tommaso di Sasso, Giovanni di Brienne, Compagnetto da Prato, Paganino da Serzana e Folco di Calavra.
Tra i componimenti giunti a noi da rilevare Meravigliosamente di Jacopo da Lentini e il contrasto Rosa fresca aulentissima di Cielo d'Alcamo.
Diversi componimenti si distaccano già dalla poesia provenzale nella forma e nello stile, presentando già anticipazioni di esiti stilnovistici (Segre: 1999). La terminologia cavalleresca francese è tuttavia rivisitata e non copiata pedissequamente, attraverso il conio di nuovi termini italiani mediante anche nuovi sistemi di suffissazione in -za (<fr.-ce) e -ière (< -iera), novità linguistica notevole per quest'epoca.
La lingua
modificaLa lingua in cui i documenti della Scuola Siciliana sono espressi è il Siciliano Illustre, una lingua nobilitata dal continuo raffronto con le lingue auliche del tempo: il latino ed il provenzale (lingua d'oc, diversa dal francese che si chiama invece lingua d'oil).
I poeti della Scuola sono riconducibili al numero di venticinque, i cui componimenti trovarono realizzazione nel ventennio compreso tra il 1230 ed il 1250, con un chiaro influsso sulla produzione culturale delle città ghibelline dell'Italia centrale (come per esempio Bologna, città dove visse Guido Guinizzelli, padre del Dolce Stil Novo, influenzato dalla scuola Siciliana).
La Scuola Siciliana fu travolta dal sistema di congiure e di complotti che fu ordita contro il sistema di governo di Federico II, eccessivamente illuminato per il suo tempo e forse, soprattutto, per la paura che lo Stato Pontificio aveva della possibilità che Federico II riunificasse la corona di Sicilia con quella di Germania, circostanza che avrebbe costretto il papato nella morsa del regno di Hohenstaufen. Della congiura di cui fu accusato Pier delle Vigne nei confronti di Federico II dà monumentale testimonianza Dante Alighieri (D.C., Inferno XIII), peraltro asserendo l'estraneità di Pier delle Vigne alle accuse. Dopo la morte di Federico, la Scuola ebbe un rapido tramonto.
Importanza linguistica della scuola
modificaMeno forte dunque nei contenuti, la poesia lirica dei "Siciliani" (come li chiamava Dante) contiene in sé un linguaggio sovrarregionale, qualitativamente e quantitativamente ricco rispetto ai dialetti locali, data anche la sua capacità di coniare parole nuove per neologismo e sincretismo, assimilando rapporti dialettali italiani e francesi (è dimostrata la stretta relazione tra i siciliani e la Marca Trevigiana, con cui Federico aveva stretti contatti) alle lingue d'oltralpe. Tale ricchezza fu dovuta anche alle caratteristiche intrinseche alla "Magna Curia", che spostandosi al seguito dell'irrequieto imperatore nel corso delle sue campagne politico-militare, non poteva per forza di cose prendere a modello della nuova lingua un singolo dialetto locale. Limitandoci solo al discorso sui dialetti, vi sono già differenze (non troppo marcate) tra la parlata catanese e palermitana, e a queste dobbiamo aggiungere alcune influenze continentali, ma non esclusive, alla zona della Puglia.
Grazie all'arrivo presso la corte siciliana di Federico II dei poeti trobadour provenzali, che esiliati, trovarono rifugio presso la corte del re di Svevia, i poeti siciliani iniziarono a leggere ed a frequentare questi poeti e si accinsero a scrivere nella stessa maniera. Ecco La novità di questa scuola, che grazie anche al suo modello provenzale, fu peraltro un passo per avvalorare il volgare. La nuova poesia diede l'opportunità al volgare, che fino ad allora era usato solo in qualche canto plebeo o giullaresco (come nel caso del contrasto Rosa fresca aulentissima di Cielo d'Alcamo), di diventare pregevole e di essere degna della poesia (come discuterà poi Dante nel 'De Vulgari Eloquentia'). La scuola siciliana ha anche il credito di aver introdotto un sistema metrico nuovo e rivoluzionario, il Sonetto, che finirà per essere il sistema canonico per eccellenza per fare poesia (Petrarca infatti userà questo sistema, mettendo in rilievo la praticità e musicalità che questa forma poetica dimostra).
La tradizione posteriore
modificaAlla morte di Manfredi di Sicilia nel 1266, la scuola siciliana si scioglie. Grazie alla fama che aveva già ricevuto in tutta Italia e all'interesse dei poeti toscani, tale tradizione venne per così dire ripresa, ma con risultati minori, da Guittone d'Arezzo e i suoi discepoli, con cui fondò la cosiddetta scuola neo-siciliana.
A quel punto, però, i poeti toscani lavoravano già su manoscritti toscani e non più su quelli siciliani: furono infatti i copisti locali a consegnare alla tradizione il corpus della Scuola Siciliana, ma per rendere i testi più "leggibili" essi apportarono modifiche destinate a pesare sulla tradizione successiva e quindi sul modo in cui venne percepita la tradizione "isolana".
Non solo vennero toscanizzate certe parole più aderenti al latino nel testo originale (cfr. gloria > ghiora in Jacopo da Lentini), ma per esigenze fonetiche il vocalismo siciliano fu adattato a quello del volgare toscano. Mentre il siciliano ha cinque vocali (discendenti dal latino nordafricano: i, è, a, o, u), il toscano ne ha sette (i, é, è, a, ò, ó, u). Il copista trascrisse la u > o e la i > e, quando la corrispondente parola toscana comportava tale variazione. Alla lettura, quindi le rime risultarono imperfette (o chiusa rimava con u, e chiusa con i, mentre anche quando la traduzione permetteva la presenza delle stesse vocali, poteva accadere che una diventava aperta, l'altra chiusa). Mentre questo errore fu considerato una licenza poetica da Guittone e poi dagli Stilnovisti, alla lunga contribuì probabilmente a svalutare i pregi metrico-stilistici della scuola, soprattutto nell'insegnamento scolastico. Pochi, infatti, sono i manoscritti siciliani originali rimastici: quelli di cui disponiamo sono solo copie toscane.
È ormai quasi certa per tutti gli studiosi l'ascrizione della paternità del sonetto vero e proprio a Giacomo da Lentini, nella forma metrica ABAB - ABAB / CDC DCD. Il sonetto avrà nei secoli una fortuna costante, mantenendo inalterata la forma classicamente composta da due quartine e due terzine di endecasillabi (variando invece a livello di schema rimico): una fondamentale raccolta di sonetti è l'opera non teatrale di William Shakespeare. Il sonetto è stato ampiamente utilizzato da Charles Baudelaire. Ancora nel Novecento, infatti, dopo la parentesi negativa di Leopardi che nell'Ottocento aveva rifiutato questa forma, grandi poeti come Giorgio Caproni, Franco Fortini e Andrea Zanzotto hanno scritto sonetti. Da non dimenticare le composizioni del portoghese Fernando Pessoa e del catalano Josep Vicenç Foix i Mas.
Note
modifica- ↑ Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, pagina 6
Bibliografia
modifica- De arte venandi cum avibus, Federico II di Svevia, Testo latino a fronte, pagg. 1295, Laterza, Bari, 2007. ISBN 88-420-5976-5
- Federico II, David Abulafia, Einaudi, Torino, 2006. ISBN 88-06-18186-6
- Federico II di Svevia, Horst Eberhard, pagg. 432, Collana: supersaggi, Rizzoli, 1994. ISBN 88-17-11621-1
- La scuola poetica siciliana del secolo XIII (rist. anast., Vigo Livorno, 1882), Adolfo Gaspary, pagg. 326, Forni, 1980. ISBN 88-271-2153-6
- Le rime della scuola siciliana. Vol. 1: Introduzione, testo critico e note, Bruno Panvini, pagg. 676, Casa Editrice Leo S. Olschki, Firenze, 1962. ISBN 88-222-1930-9
- Le rime della scuola siciliana. Vol. 2: Glossario, Bruno Panvini, pagg. 180e, Casa Editrice Leo S. Olschki, Firenze, 1964. ISBN 88-222-1931-7
- La cultura alla corte di Federico II imperatore, Antonino De Stefano, Palermo, 1938.
- Federico II e la Sicilia, a cura di Carlo Ruta, Promolibri, Palermo, 2003.
- Poeti alla corte di Federico II. La scuola siciliana, a cura di Carlo Ruta, Di Renzo Editore, 2003.
- I poeti della Scuola siciliana. Vol. 1: Giacomo da Lentini, a cura di Roberto Antonelli, pagg. 864, collana: I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2008.
- I poeti della Scuola siciliana. Vol. 2: Poeti della corte di Federico II, a cura di Costanzo Di Girolamo, p. 1328, collana: I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2008.
- I poeti della Scuola siciliana. Vol. 3: Poeti siculo-toscani, a cura di Rosario Coluccia, p. 1448, collana: I Meridiani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2008.
- Racconto della letteratura siciliana, Nunzio Zago, Giuseppe Maimone Editore, Catania, 2000. ISBN 978-88-7751-155-3
- Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, (primo volume), Morano, 1870