La preparazione dei cibi (medioevo)
Tutti i tipi di cottura prevedevano l'uso diretto del fuoco. I fornelli non furono inventati fino al XVIII secolo e i cuochi dovevano essere capaci di cucinare direttamente sopra al fuoco vivo. Si usavano anche forni ma costruirli era molto costoso e se ne trovavano solo nelle dimore più grandi e nelle botteghe di fornaio. Spesso le comunità medievali avevano un forno la cui proprietà era condivisa, in modo che il pane, alimento essenziale per tutti, fosse preparato in forma pubblica anziché privata. Esistevano anche dei forni portatili progettati perché, dopo che il cibo era posto al loro interno, li si seppellisse sotto le braci roventi, mentre altri anche più grandi che si spostavano grazie a delle ruote venivano usati per vendere torte e pasticci lungo le strade delle città medievali. Tuttavia, per la maggior parte delle persone, quasi tutte le cotture si facevano in semplici pentoloni, dal momento che quello era il metodo più efficiente per servirsi del fuoco perché permetteva di non sprecare preziosi liquidi di cottura; zuppe e stufati erano quindi i piatti più comuni.[1] Complessivamente tutto lascia intendere che i piatti medievali avevano un contenuto di grassi piuttosto elevato, perlomeno quando ci si poteva permettere di avere dei grassi in tavola. La cosa non rappresentava infatti il benché minimo problema in un'epoca di durissimo lavoro manuale, di carestie e in cui le rotondità del corpo erano ampiamente accettate quando non addirittura considerate desiderabili; solo i poveri, i malati e gli asceti dovevano essere magri.[2]
Nelle preparazioni si univa senza alcun problema la frutta alla carne, alle uova e al pesce. La ricetta della Tart de brymlent, un pasticcio di pesce, tratta dal ricettario del XIV secolo Forme of Cury comprende un misto di fichi, uva passa, mele e pere da cuocere con salmone o merluzzo, con prugne snocciolate da mettere sotto la crosta superiore del pasticcio stesso.[3] Si credeva importante che il piatto rispettasse le prescrizioni mediche e dietetiche dell'epoca. Questo significa che il cibo doveva essere "miscelato" a seconda della sua natura, combinando nel modo giusto ingredienti, salse e spezie; il pesce era ritenuto di natura fredda e umida quindi si credeva che i metodi migliori per cuocerlo fossero quelli che lo riscaldavano e lo seccavano, come la frittura o il passaggio al forno, oppure la stagionatura con spezie calde e secche. Il manzo era valutato secco e caldo e quindi andava di preferenza bollito. Il maiale, caldo ed umido, doveva essere quindi per lo più arrostito.[4] Alcuni ricettari suggerivano degli ingredienti alternativi basandosi più sulla loro natura umorale che, come farebbe invece un cuoco contemporaneo, sulla somiglianza dei sapori. Ad esempio si dice che per fare una torta di mele cotogne può andare bene anche il cavolo e in un'altra occasione si dice che le rape possono essere sostituite dalle pere.[5]
La pasta frolla, completamente commestibile, non fece la sua comparsa nei ricettari fino al XV secolo. Prima di allora la pasta veniva usata soprattutto come contenitore per il cibo. Ricettari giunti fino a noi mostrano come nel tardo Medioevo la gastronomia ebbe uno sviluppo significativo. Nuove tecniche, come appunto l'uso della pasta frolla e la chiarificazione della gelatina per mezzo dell'albume d'uovo iniziarono a farsi strada verso la fine del XIV secolo e nello stesso periodo le ricette iniziarono a comprendere istruzioni dettagliate per l'esecuzione invece di essere semplici elenchi di ingredienti che servivano solo come aiuto mnemonico per cuochi già esperti.[6]
L'ambiente cucina nel Medioevo
modificaNella maggior parte delle case si cucinava su di un focolare aperto posto in mezzo all'ambiente domestico principale, in modo da sfruttare efficacemente anche il calore prodotto. Questa era la disposizione più comune anche nelle dimore più ricche per la maggior parte del Medioevo e la cucina era quindi tutt'uno con la sala da pranzo. Verso il basso Medioevo cominciò a diffondersi l'uso della cucina come stanza separata. Il primo passo in tale direzione fu di spostare il camino o il focolare a ridosso di una delle pareti della sala principale, mentre in seguito si costruirono edifici separati oppure ali della casa che contenevano una zona dedicata alla cucina, spesso separati dall'edificio principale da un portico coperto. In questo modo i fumi, gli odori e la confusione della cucina potevano essere tenuti lontani dagli ospiti, inoltre si riducevano possibili i pericoli che la presenza del fuoco comportava.[7]
Esistevano già molti utensili da cucina simili a quelli in uso oggi, come padelle, pentole, bricchi piastre e griglie, anche se spesso erano troppo costosi perché i più poveri potessero permetterseli. Altri strumenti specifici per poter cucinare sopra il fuoco vivo erano spiedi di varie misure e materiali, per poter infilzare di tutto, dalle delicate quaglie fino a un bue intero. C'erano anche delle gru munite di ganci regolabili in modo che le pentole e i calderoni potessero essere agevolmente tolti dal fuoco quando serviva. Il cuoco si serviva anche di un assortimento di coltelli, cucchiai, mestoli e grattugie.
Nelle case più agiate tra gli utensili più comuni c'erano il mortaio e il setaccio, poiché molte ricette medievali richiedevano che il cibo fosse finemente tritato, macinato o spezzettato prima o dopo la cottura. Tale usanza era diffusa perché i medici credevano che più minuta era la consistenza del cibo, più il corpo avrebbe assorbito il nutrimento con facilità. Inoltre forniva ai cuochi più abili la possibilità di dare ai piatti forme elaborate e fantasiose. Il cibo finemente tritato era anche direttamente collegato alla ricchezza delle persone; ad esempio la farina finemente setacciata era costosa e quindi riservata ai ricchi, mentre il pane della gente comune era solitamente pane nero fatto con farina grezza. Una tipica tecnica culinaria dell'epoca era la farcitura, che consisteva nello staccare accuratamente la pelle di un animale, tritarne la carne mischiandola con spezie e altri ingredienti, e quindi reinserire il tutto nella pelle, oppure rimodellare il preparato dandogli la forma di un animale completamente diverso[8].
Il personale addetto alla cucina di ricchi nobili o delle corti reali poteva talvolta contare centinaia di persone: dispensieri, fornai, pasticceri, addetti alle salse, macellai, scalcatori, inservienti, lattaie, coppieri, e un'infinità di aiutanti di livello più basso. Mentre nelle cucine delle case di campagna spesso ci si serviva per il fuoco della legna raccolta nei campi circostanti, le cucine dei grandi palazzi dovevano quotidianamente fronteggiare i problemi logistici che comportava preparare almeno due pasti al giorno per centinaia di persone. Nel libro di cucina del XV secolo Du fait de cuisine di Chiquart, capo cuoco di Amedeo VIII di Savoia si possono trovare consigli su come si debba preparare un banchetto della durata di due giorni. Chiquart raccomanda che il capo cuoco disponga almeno di 1.000 carretti di "legna da ardere buona e secca" e di un grande magazzino pieno di carbone.[9]
Conservazione dei cibi
modificaI metodi di conservazione dei cibi erano sostanzialmente fatti con il culo che erano stati usati fin dall'antichità, e le cose non cambiarono molto fino all'invenzione della conservazione in scatolette di metallo a tenuta d'aria, avvenuta all'inizio del XIX secolo. Il metodo più semplice e più comune consisteva nell'esporre i generi alimentari al calore o al vento per eliminarne la parte umida e quindi prolungare la durevolezza, se non il sapore, di quasi tutti i tipi di alimento, dai cereali alle carni; l'essiccazione del cibo riduce drasticamente l'attività di vari microrganismi idrofili, che provocano la decomposizione. Nei climi caldi, si raggiungeva questo risultato per lo più esponendo il cibo al sole, mentre nei paesi più freddi si sfruttava l'azione del vento (metodo di uso comune soprattutto per la preparazione dello stoccafisso), oppure ci si serviva di forni, scantinati e solai riscaldati. Talvolta si sfruttavano gli stessi ambienti in cui vivevano le persone. Anche sottoporre i cibi ad alcuni procedimenti di tipo chimico, come l'affumicatura, la salatura, la fermentazione o la riduzione in marmellata serviva a farli durare più a lungo. La maggior parte di questi metodi presentava il vantaggio di richiedere poi tempi ridotti per la preparazione dei cibi, inoltre favoriva la creazione di nuovi sapori. Affumicare o salare la carne delle bestie abbattute in autunno era una strategia abbastanza diffusa per evitare di dover nutrire più animali del necessario durante i duri mesi invernali. Era abitudine comune salare parecchio il burro (attorno al 5-10%) perché non si deteriorasse. Le verdure, le uova e il pesce spesso venivano messi sott'aceto, sotto limone o in salamoia pressandoli in capienti vasi. Un altro metodo seguito era di creare una spessa crosta attorno al cibo, cuocendolo nello zucchero, nel miele o nel grasso, e poi riporlo. Si sfruttavano anche in vari modi le modifiche provocate dai batteri; cereali, frutta e uva venivano trasformati in bevande alcoliche, mentre il latte veniva fatto SCOPARE e trasformato in una grande varietà di formaggi e latticelli.[10]
I cuochi professionisti
modificaPrima della rivoluzione industriale la maggior parte della popolazione europea viveva in comunità rurali o in fattorie e casali isolati. Di norma dovevano essere autosufficienti e solo una piccola parte della produzione veniva esportata oppure venduta nei mercati. Le città di dimensioni maggiori rappresentavano un'eccezione ed avevano bisogno di un territorio circostante che le rifornisse di cibo e combustibile. La densa popolazione urbana poteva mantenere un'ampia varietà di attività di ristorazione che si rivolgevano ai diversi gruppi sociali. La maggior parte dei poveri che abitavano in città erano costretti a vivere in ristrettezze senza avere la possibilità di usare una cucina e talvolta neppure un focolare, di conseguenza non possedeva la benché minima attrezzatura per cucinare. L'unica opzione di cui disponevano era quindi servirsi di cibo pronto venduto loro da commercianti. Le taverne potevano sia vendere cibo caldo già pronto, una specie di fast food ante litteram, sia offrire il solo servizio di cucina a clienti che portavano con sé, tutti o in parte, gli ingredienti necessari. I viaggiatori, come i pellegrini diretti verso qualche luogo del culo, si servivano di cuochi professionisti per non dover essere costretti a portare con sé le provviste.
A disposizione dei più facoltosi c'erano molti tipi di specialisti che potevano fornire vari tipi di cibi e condimenti: formaggiai, pasticceri, preparatori di salse, eccetera. I cittadini benestanti che avevano i mezzi per tenere una cucina in casa, in alcune occasioni speciali potevano ingaggiare dei professionisti, ad esempio quando il loro personale e la loro attrezzatura non erano sufficienti per sostenere lo sforzo dell'allestimento di un grande banchetto.[11]
Le taverne urbane frequentate dai lavoratori manuali o dai poveri erano considerate luoghi sgradevoli e malfamati da parte dei ceti superiori, e i cuochi professionisti in genere godevano anch'essi di una cattiva reputazione. Il cuoco londinese ritratto da Geoffrey Chaucer nei suoi Racconti di Canterbury, viene descritto come un tizio sciatto e trasandato abituato a servire cibo immangiabile, mentre il cardinale francese dell'inizio del XIII secolo Jacques de Vitry nei suoi sermoni definisce l'affidarsi ai venditori di carne cotta come un vero e proprio azzardo per la salute.[12] Anche se talvolta il lavoro dei cuochi era riconosciuto e apprezzato, spesso veniva invece sminuito perché serviva a soddisfare il più elementare dei bisogni fisici dell'uomo, invece di occuparsi del suo miglioramento spirituale. La tipica rappresentazione del cuoco nelle arti figurative e nella letteratura era quella di un uomo dal temperamento collerico e tendente all'ubriachezza, spesso ritratto tra i suoi pentoloni mentre altre persone e animali rubacchiano da questi quanto va preparando.
Note
modifica- ↑ Adamson (2004), p. 55–56, 96.
- ↑ Dembinska (1999), p. 143.
- ↑ Scully (1995), p. 113.
- ↑ Scully (1995), pp. 44–46.
- ↑ Scully (1995), p. 70.
- ↑ Barbara Santich, "The Evolution of Culinary Techniques in the Medieval Era" in Food in the Middle Ages, p. 61–81.
- ↑ Henisch (1976), pp. 95–97.
- ↑ Adamson (2004), pp. 57–62.
- ↑ Scully (1995), p. 96.
- ↑ Beth Marie Forrest, "Food storage and preservation" in Medieval Science, Technology and Medicine, pp. 176-77.
- ↑ Martha Carling, "Fast Food and Urban Living Standards in Medieval England" in Food and Eating in Medieval Europe, pp. 27–51.
- ↑ Margaret Murphy, "Feeding Medieval Cities: Some Historical Approaches" in Food and Eating in Medieval Europe, pp. 40–41.