I pasti (medioevo)
Tipicamente si facevano due pasti al giorno: un pranzo a metà giornata e una cena più leggera alla sera. Il sistema dei due pasti rimase sostanzialmente diffuso fino a tutto il tardo Medioevo. Piccoli spuntini tra i pasti erano abbastanza comuni, ma era anche questione di classe sociale, in quanto chi non doveva fare faticosi lavori manuali ne faceva a meno.[1]
I moralisti non vedevano di buon occhio l'interruzione del digiuno notturno ad un'ora troppo mattutina, quindi i membri della chiesa e le classi medio-alte evitavano di farlo. Per ragioni pratiche, la colazione del mattino veniva comunque consumata dalle classi lavoratrici ed era tollerata per i bambini, per le donne, per gli anziani e gli ammalati. Dal momento però che la chiesa predicava contro i peccati di gola e le altre debolezze della carne, gli uomini tendevano a vergognarsi dell'abitudine alla colazione, considerata segno di debolezza. Abbondanti banchetti serali e cene consumate a tarda notte con un considerevole impiego di bevande alcoliche erano considerati immorali. Queste ultime in particolare erano associate con il vizio del gioco d'azzardo, con il linguaggio volgare, con l'ubriachezza e in generale con un comportamento dissoluto.[2] Piccoli pasti e spuntini erano comunque comuni (anche se disapprovati dalla chiesa) e chi lavorava aveva in genere il permesso dai propri datori di lavoro di comprarsi cibo da sbocconcellare durante le pause.[3]
L'etichetta
modificaCome quasi ogni altro momento della giornata in quell'epoca, nel Medioevo solitamente il pasto era un'attività condivisa con gli altri. Tutti gli abitanti della casa, inclusi i servi, idealmente dovevano mangiare insieme. Evitare la compagnia degli altri, in un mondo dove le persone dipendevano strettamente le une dalle altre, era considerato un comportamento egoista e altezzoso. Nel XII secolo il vescovo di Lincoln Roberto Grossatesta così consigliò la contessa di Lincoln:
(EN)
«Forbid dinners and suppers out of hall, in secret and in private rooms, for from this arises waste and no honour to the lord and lady.» |
(IT)
«Vieta di consumare pranzi e cene fuori dal salone, in segreto e nelle stanze private, perché da questi comportamenti vengono solo sprechi e nessun onore per il Signore e la Signora.» |
(Roberto Grossatesta[2]) |
Raccomandava inoltre di stare attenti a che i servi non si allontanassero con gli avanzi per divertirsi con cene notturne invece che darli come elemosina. Verso la fine del Medioevo i ricchi iniziarono a cercare di sfuggire a questo regime di rigido collettivismo. Quando possibile i ricchi possidenti si ritiravano con le consorti nelle loro stanze private, dove potevano consumare i pasti con maggiore tranquillità e riservatezza. Essere invitati nelle stanze di un signore era un grande privilegio e poteva essere un modo per ricompensare amici e alleati o per intimorire i subordinati. Tale abitudine inoltre permetteva ai nobili di distinguersi dal resto degli abitanti del palazzo e di godersi piatti più raffinati mentre al resto delle persone, che continuava a mangiare nel salone comune, venivano serviti cibi di qualità inferiore. Tuttavia, nelle occasioni più importanti e durante i banchetti, il padrone e la padrona di casa tornavano a mangiare con gli altri nel salone.[4] Esistono descrizioni dell'etichetta che bisognava rispettare a tavola nelle occasioni speciali, mentre sia del comportamento delle classi superiori durante i pasti di tutti i giorni che delle maniere delle persone comuni e dei poveri si sa poco. Si può comunque dire con ragionevole sicurezza che non si concedevano stravaganti lussi come pranzi di molte portate, l'uso di spezie rare o lavarsi le mani in acqua profumata.
Le cose erano naturalmente diverse per i ricchi. Prima dei pasti e tra una portata e l'altra agli ospiti venivano offerti catini d'acqua e asciugamani di lino perché potessero lavarsi le mani, mettendo in evidenza la pulizia della casa. Le abitudini del tempo rendevano difficile alle donne poter rispettare lo stereotipo che le voleva linde, delicate e immacolate anche mentre partecipavano a una sontuosa festa, così la moglie del padrone di casa spesso cenava in privato insieme alla sua cerchia. Poteva unirsi al convivio solo dopo che il pasto vero e proprio, potenziale fonte di sporcizia e confusione, era terminato. Complessivamente le cene raffinate erano riservate soprattutto agli uomini, ed era poco comune, tranne che per gli ospiti più importanti, che qualcuno portasse con sé la moglie o le sue ancelle. La natura gerarchica della società era rafforzata dall'etichetta, dal momento che ci si aspettava che la persona di rango più basso aiutasse quella di rango più elevato, che il giovane assistesse il più anziano, e che gli uomini risparmiassero alle donne il rischio di macchiarsi vestiti e reputazione maneggiando cibi in una maniera che alle donne non si addiceva. Anche nei banchetti più lussuosi l'abitudine di condividere le coppe era diffusa tra tutti, tranne coloro che sedevano al tavolo principale, come era un comportamento normale spezzare il pane e tagliare la carne anche per i commensali di pari grado.[5]
I cibi venivano per lo più serviti su piatti o grosse pentole, i commensali prendevano la loro parte dai piatti e la mettevano su grosse fette di pane raffermo oppure su tavolette di legno o peltro aiutandosi con un cucchiaio oppure a mani nude. Nella case delle classi inferiori era abitudine comune mangiare poggiando il cibo direttamente sulla tavola. A tavola si usavano i coltelli ma di norma le persone portavano con sé il proprio e solo agli ospiti di assoluto riguardo si dava un coltello riservato. Il coltello veniva condiviso perlomeno con un altro commensale, a meno che uno non fosse persona di rango molto elevato o fosse davvero nelle grazie del padrone di casa. L'uso della forchetta non si diffuse in Europa fino all'età moderna, ovvero all'inizio del XIV secolo, e soltanto in Italia. La differenza nelle abitudini può essere valutata dalle reazioni al comportamento a tavola della principessa bizantina Teodora Anna Dukaina Selvo verso la fine dell'XI secolo. La donna, futura moglie del Doge di Venezia Domenico Selvo, provocò un grande sbigottimento tra i veneziani: la sua insistenza nel pretendere che i suoi cibi fossero tagliati dai suoi servitori eunuchi per poi servirsi di una forchetta d'oro per mangiare i pezzi scioccò a tal punto i commensali che il vescovo di Ostia in seguito interpretò le sue raffinate maniere esotiche come superbia, parlando di lei in occasione della sua morte dovuta ad una malattia degenerativa in tal modo:
«...la moglie del Doge di Venezia il cui corpo, nonostante la sua eccessiva schizzinosità, si decompose completamente.» |
(Vescovo di Ostia[6]) |
Note
modifica- ↑ Eszter Kisbán, "Food Habits in Change: The Example of Europe" in Food in Change, pp. 2–4.
- ↑ 2,0 2,1 Henisch (1976), p. 17.
- ↑ Henisch (1976), pp. 24–25.
- ↑ Adamson (2004), p. 162.
- ↑ Adamson (2004), pp. 161–164.
- ↑ Henisch (1976), pp. 185–186.