La Letteratura italiana ebbe il suo primo fiorire nel Duecento.

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Il Duecento
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Materia:Letteratura italiana Letteratura italiana Francesco d'Assisi: Il Cantico di Frate Sole

Il periodo storico che va dal 1224, presumibile data della composizione del Cantico delle creature di San Francesco d'Assisi, al 1321, anno in cui morì Dante,[1] si contraddistingue per i numerosi mutamenti in campo sociale e politico e per la viva attività intellettuale e religiosa.

La letteratura allegorico-didattica

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Manoscritto del Roman de la Rose (1420 - 1430).

Un tipo di letteratura, quella di carattere enciclopedico e allegorico, nata in Francia già nel XII secolo con il poema Viaggio della saggezza. Anticlaudianus. Discorso sulla sfera intelligibile del filosofo Alano di Lilla, giunge nel Duecento in Italia con i suoi modelli, come il famoso Roman de la Rose che nelle due parti composte tra il 1230 e il 1280 circa da Guillaume de Lorris e Jean de Meun narrano, con abbondanti figure simboliche e azzardate personificazioni, le vicende del sentimento amoroso nei suoi vari e drammatici aspetti. L'influsso del Roman si avverte in tutte le opere allegorico-didattiche antiche scritte in volgare. Dal Roman, famoso è il rifacimento del fiorentino Durante, che alcuni vollero identificare nello stesso Dante Alighieri, realizzato in 232 sonetti in volgare italiano verso la fine del secolo XIII e il frammentario intitolato Detto d'Amore che riescono a trasformare il poema francese liberandolo dagli schemi scientifici e tecnologici rendendolo più ricco di spunti amorosi e satirici.

La letteratura didattica e morale

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Sempre nel XIII secolo, collegata alla tendenza religiosa e didattica che aveva fatto nascere le grandi opere dette summae, vedono la luce anche alcuni componimenti in volgare veneto e lombardo molto significativi per chiarire la cultura comune del tempo e che "esprimono nel loro insieme il tentativo di un innalzamento dei dialetti settentrionali, veneto-lombardi, ad espressione letteraria"[2]. Alla prima metà del secolo appartiene una raccolta di massime morali e sentenze, lo Splanamento de li proverbi di Salomone, composta da Gherardo Patecchio di Cremona in versi alessandrini e, dello stesso autore, una canzone in endecasillabi dal titolo le Noie dove vengono elencati tutti gli avvenimenti spiacevoli della vita.
Nella seconda metà del secolo Fra' Giacomino da Verona scrive due poemi in versi alessandrini: il De Babilonia civitate infernali e il De Jerusalem celesti dove vengono elencate rispettivamente le pene dell'Inferno e le gioie del Paradiso.
Tra gli scrittori di questo periodo vi fu il maestro di grammatica Bonvesin de la Riva che compose molte opere sia in volgare che in latino. Tra le più note scritte in latino si ricorda il De Magnibus urbis Mediolani, una sintetica storia di Milano, e in volgare il "Libro delle Tre Scritture" (la Nigra, la Rossa e la Dorata), un poemetto dove vengono narrate le dodici pene dell'Inferno, la Passione di Cristo e le glorie del Paradiso. Egli scrisse anche dei Contrasti dove pone a confronto la Vergine e Satana, la mente e il corpo, la viola e la rosa, il Trattato dei mesi dove gennaio, con la sua pigrizia, viene confrontato con l'operosità degli altri mesi dell'anno e un poemetto sulle buone maniere da tenere a tavola intitolato Cortesie da desco.

La letteratura religiosa

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Contemporaneamente a questi componimenti dell'Italia settentrionale, nasce, soprattutto in Umbria, una letteratura in versi a carattere religioso scritta nei vari dialetti locali per lo più anonima.

Si usa collocare nel 1260 la vera nascita della lirica religiosa al tempo in cui nacque a Perugia, sotto la guida di Raniero Fasani, la confraternita dei Disciplinati che usava come mezzo di espiazione la flagellazione pubblica. Il rito veniva accompagnato da canti corali che avevano come schema la canzone a ballo profana. Attraverso le laude, liriche drammatiche, pasquali o passionali secondo l'argomento religioso trattato, il movimento si diffuse in tutta l'Italia del Nord stabilendone il centro a Perugia e ad Assisi. Ma è il Cantico di Frate Sole o Cantico delle creature di san Francesco d'Assisi ad essere considerato il più antico componimento in volgare italiano mentre solamente con Jacopone da Todi la lauda assunse una dimensione artistica.

Le laude

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Tra i più importanti generi della letteratura religiosa vi sono le laude, componimenti che cantavano le lodi dei Santi, di Cristo e della Madonna, e che vengono spesso raccolte in manoscritti chiamati "laudari" (raccolte di laude) per le Confraternite religiose.

Si tratta spesso di laude scritte sotto forma di dialogo con carattere di dramma sacro che venivano recitate in ricorrenze religiose di una certa importanza con l'accompagnamento musicale.

Le laude di questo periodo sono quasi tutte anonime e vengono soprattutto dalla Toscana, dall'Umbria, dalle Marche, dall'Abruzzo e dall'Italia settentrionale e conservano, nella povertà della loro struttura sintattica, un carattere molto semplice ma estremamente sincero.

Vengono narrati gli episodi del Vangelo di maggior effetto, come i miracoli di Gesù e della Vergine e la vita dei santi. Tra le descrizioni meglio riuscite e piene di religioso e commosso sentimento, vi è quella della Vergine che guarda in contemplazione il Bambin Gesù e il pianto della Madre ai piedi della Croce.

Le opere a carattere religioso furono quindi assai numerose in questo periodo ma quelle che si contraddistinguono per il loro carattere realmente poetico sono il "Cantico di Frate Sole" di San Francesco d'Assisi e le "Laude" di Jacopone da Todi.

San Francesco D'Assisi

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Raffigurazione di san Francesco d'Assisi in un affresco di Cimabue nella basilica di Assisi; si ritiene che sia l'immagine più fedele del santo
Per approfondire questo argomento, consulta la pagina San Francesco d'Assisi.

"La prima grande figura che incontriamo proprio sulla soglia della nostra letteratura del duecento è quella di San Francesco d'Assisi" come scrivono sia Giuseppe Petronio[3] che Natalino Sapegno[4].

Di San Francesco ci sono giunte alcune operette latine e un cantico, scritto in volgare umbro, conosciuto come il Cantico delle Creature o "Il Cantico di Frate Sole", che può essere considerato il testo più antico della letteratura italiana.
Secondo Natalino Sapegno[5], "il tipo di prosa ritmica e ritmata, che nella divisione irregolare dei versetti, sembra riecheggiare le forme della liturgia non trova rispondenza nella letteratura italiana contemporanea".

Giotto, San Francesco rinuncia alle vesti, Basilica Superiore di Assisi

La letteratura francescana

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Dopo la morte di San Francesco nacque una fiorente letteratura francescana che proseguì anche nel Trecento.

Le biografie del santo

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Essa produsse numerose biografie del santo scritte in latino e presto tradotte in volgare. Si ricordano soprattutto di Tommaso da Celano la Legenda prima, che venne scritta per commissione del papa Gregorio IX nel 1229, la Legenda secunda e la "Legenda trium sociorum" redatta non come una vera biografia ma come una sequenza di episodi eccezionali, compiuti da San Francesco e dai suoi tre compagni (Leone, Rufino e Angelo), secondo il modello dei Fioretti; lo "Speculum perfectionis", redatta da uno scrittore anonimo che è stato il primo a tramandarci "Il Cantico delle creature".

Per approfondire questo argomento, consulta la pagina San Bonaventura da Bagnoregio.
San Bonaventura in un dipinto di Francisco de Zurbarán

La seconda biografia del santo di carattere ufficiale è quella che scrisse San Bonaventura, intitolata Legenda maior, per incarico dell'Ordine dei Frati Minori per arrivare agli Actus beati Francisci et sociorum eius considerati la prima fonte de "I Fioretti di San Francesco" in volgare.

Il primo testo della letteratura francescana

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«Comandò allora Madonna Povertà che fossero imbanditi nelle scodelle cibi caldi. Ed ecco fu portata una sola scodella piena d'acqua fredda perché tutti vi attingessero il pane.»

(Da Sacrum commercium sancti Francisci cum Domina Paupertate, autore ignoto[6].)

Si deve ad un autore ignoto, che da alcuni critici viene individuato in Giovanni Parenti, un'opera scritta in forma di allegoria nel 1227 dal titolo "Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate" (Le mistiche nozze di San Francesco con Madonna Povertà), opera che influenzò sia le future biografie del santo, sia autori come Giotto e Dante. Di Dante troviamo infatti nel canto XI del Paradiso il panegirico di San Francesco, dove vengono evidenziate le nozze del santo con la Povertà.

Jacopone da Todi

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Sarà però con Jacopone da Todi e con il Pianto della Madonna, una lauda dialogata dal linguaggio misto di parole del volgare umbro e di latinismi e dalla metrica che ripropone i modelli della poesia dotta, che la poesia religiosa raggiunge il suo vero apice poetico.

La lirica popolare e giullaresca

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Diego Velázquez, Ritratto del buffone Juan Calabazas

Nel XIII secolo fioriscono anche dei componimenti di carattere popolare che probabilmente servivano come accompagnamento alle danze durante le feste. Si tratta di poesie che trattano d'amore, di canti in forma dialogata tra una madre e una figlia che si deve sposare, di lamenti di giovinette che vogliono marito, di contrasti tra moglie e marito, tra suocera e nuora.
Alcune di queste poesie sono opera di giullari che, come scrive Sapegno[7], "segnano il ponte di passaggio, a dir così, fra la letteratura di popolo e quella degli spiriti più colti e raffinati". Si tratta quindi per lo più di una letteratura anonima "sia sul piano anagrafico (di molti componimenti non conosciamo l'autore) e sul piano culturale: manca infatti un particolare e individuale rilievo stilistico, le forme espressive sono stereotipate, convenzionali, ripetitive perché l'autore, per il successo della propria produzione, si basa soprattutto sull'invenzione, sulla trovata brillante e improvvisa, sulla battuta ad effetto"[8].

Il più antico tra i documenti di questa poesia giullaresca può essere considerata una cantilena toscana intitolata "Salv'a lo vescovo senato" che risale all'inizio della seconda metà del XII secolo composta in monorime di ottonari dove un giullare tesse in modo esagerato le lodi dell'arcivescovo di Pisa per avere un cavallo e il "Lamento della sposa padovana" risalente al XIII secolo. Si tratta di un frammento di autore anonimo scritto in volgare veneziano, dove una donna si lamenta per la mancanza del marito che sta combattendo alle crociate e fa l'elogio della sua fedeltà.
Un altro famoso componimento di carattere giullaresco, oltre al "Vanto", scritta con la forma metrica della frottola da Ruggieri Apuliese che visse nella prima metà del Duecento, è il contrasto "Rosa fresca e aulentissima" di Cielo d'Alcamo, contemporanea alla poesia siciliana, un componimento composto in dialetto meridionale dove un giovane innamorato e sfrontato fa proposte ad una giovane dapprima ritrosa e poi consenziente, che denota da parte dell'autore una buona dose di cultura.

La Scuola siciliana

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Raccolta di Minnesang del 1850

Una prima elaborazione di lingua letteraria da poter mettere in versi si ebbe al tempo di Federico II di Svevia in Sicilia dove l'imperatore, di ritorno dalla Germania aveva avuto modo di conoscere i Minnesänger tedeschi, aveva dato l'avvio, nel 1220-50 circa, alla Scuola siciliana, una vera scuola poetica che si ispirava ai modelli provenzali e che portò avanti la sua attività letteraria per circa un trentennio concludendosi nel 1266 con la morte del figlio di Federico, Manfredi, Re d'Italia morto nella battaglia di Benevento. I poeti di questa scuola "… scrivevano in un siciliano illustre, in un siciliano cioè nobilitato dal continuo raffronto con le due lingue, in quel momento auliche per eccellenza: il latino e il provenzale"[9]. Il tema dominante nei poeti siciliani fu quello dell'amore inspirato ai modelli provenzali: le forme in cui si espresse questa poesia sono la canzone, la canzonetta e il sonetto, felice invenzione di Giacomo da Lentini, caposcuola del movimento.

Oltre allo stesso re Federico II e ai suoi due figli Enzo (Re nominale di Sardegna) e Manfredi che si dedicarono con passione all'attività poetica, molti furono i poeti siciliani di maggiore o minore importanza che si posero sotto la guida spirituale di Giacomo, non a caso citato da Dante Alighieri nel XXIV canto del Purgatorio come il fondatore della scuola. Scrisse alcune delle migliori canzoni e sonetti che brillano come perle nella varietà e diversità di talenti del canzoniere siciliano e diede la prima definizione dell'amore nella letteratura italiana. "Amor è un desio che ven da core/ per abondanza di gran piacimento".

Tra i maggiori si ricorda inoltre Guido delle Colonne del quale sono pervenute cinque canzoni, Pier della Vigna di Capua nominato da Dante nel XIII canto dell'Inferno, Rinaldo d'Aquino, Giacomo Pugliese, Stefano Protonotaro da Messina al quale dobbiamo l'unica composizione conservata in lingua originale siciliana (Pir meu cori alligrari). In alcuni di questi, accanto al repertorio contenutistico provenzale, fa però riscontro in alcuni poeti, come re Enzo, un interesse psicologico che lascia già intuire qua e là la Madonna angelicata degli stilnovisti. Siamo comunque molto distanti dall'erotismo provenzale e francese, e più vicini al platonismo italiano e alla tradizione classica, che si sente maggiormente nel periodare e nel contenuto. Di diversa estrazione era infatti la scuola dell'isola, composta prevalentemente di giuristi e notai, più vicini del mondo francese alla tradizione umanistica e nel complesso distanti dal mondo cavalleresco francese, ammirato da lontano ma difficilmente sentito come proprio, tanto più in quanto l'imperatore aveva in effetti attuato per la prima volta nella storia, dopo durissime lotte, lo smantellamento del sistema feudale. Sottovalutata dalla critica ottocentesca per il suo carattere accademico di raffinato gioco intellettuale, è stata però rivalutata nel XX secolo grazie all'opera di molti insigni studiosi quali Bruni, Segre, Contini i quali hanno sottolineato i felici risultati linguistici, che dettero per la prima volta all'Italia quel ricco vocabolario in volgare di cui ancora mancava, e che fu assimilato e successivamente arricchito dalle sperimentazioni dei grandi bardi toscani, dalle imitazioni di Guittone all'elaborazione del fresco ma ricco linguaggio degli stilnovisti. Se ne sarebbero conservate forti tracce fino ai giorni nostri. Migliorini conferma la sostanziale vicinanza tra quella lingua siciliana, nata in circostanze fortuite sotto le tende della corte di Federico durante gli assedi alle città guelfe, e la migliore poesia di quell'Ottocento la cui critica romantico-positivista svalutò l'opera dei "notari" siciliani in nome di una poesia che si voleva grande solo in quanto "popolare e spontanea".

Annoverato da molti critici come poeta appartenente alla scuola siciliana vi fu anche Cielo d'Alcamo che scrisse il famoso contrasto Rosa fresca aulentissima. Cielo (falsa grafia è Ciullo tramandato dalla tradizione ottocentesca) offre una rilettura diversa, in chiave comica e realistica in opposizione alle figure eteree e talvolta stereotipate delle madame provenzali. Parodia dei manierismi e dei luoghi comuni della scuola, è il canto di amore di un giullare e non di un raffinato uomo di corte, che scambia una serie di vivaci e salaci battute con la sua rosa, che da astratto simbolo amoroso diventa la sua carama, la sua bella, che corteggia spietatamente approfittando dell'assenza della famiglia che la tiene gelosamente sotto tutela. Sotto pretesto di conservare il suo onore la ragazza si finge restìa, per ricevere i più splendidi complimenti, e invitare alla fine l'amante a seguirlo nella sua camera. L'effetto burlesco è ottenuto dall'accostamento del raffinato linguaggio letterario ad espressioni dialettali popolari siciliane e meridionali che di fatto smentiscono comicamente la pretesa nobiltà d'animo finta inizialmente.

A Jacopo da Lentini, notaio presso la corte di Federico II e probabile iniziatore della scuola, si attribuisce l'invenzione del sonetto e la teoria dell'amore, inteso come sentimento che nasce alla vista di una donna e che viene alimentato attraverso l'immaginazione, che sarà ripresa da tutta la lirica d'amore del Duecento, dai siciliani agli stilnovisti.

Tra i principali rappresentanti della scuola, che furono tutti funzionari della corte di Federico II, si ricordano, oltre Jacopo da Lentini, Pier della Vigna, Jacopo Mostacci, Percivalle Doria, Rinaldo d'Aquino, Guido delle Colonne, Ciacco dell'Anguillara, Stefano Protonotaro, Giacomino Pugliese, oltre lo stesso Federico e il figlio naturale Enzo di Svevia.

I poeti della scuola siciliana scrivevano canti improntati ai modelli della poesia provenzale che, nata presso le corti, esaltava l'amore come abitudine di gentilezza più che come sentimento immediato e prorompente. Costoro seguivano anche gli stessi schemi metrici di quel genere di poesia riproponendo il genere della canzone, della ballata, del sirventes e del contrasto.

Nella storia della poesia, come scrive Mario Sansone "Non grande è l'importanza della scuola poetica siciliana, ma grandissima è la sua importanza nella storia della nostra cultura e nel formarsi della nostra lingua letteraria"[10].

La poesia nell'Italia settentrionale

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Nell'Italia settentrionale nasce intanto una interessante letteratura volgare a carattere didattico che si ispira sia alla tradizione provenzale che comprende l'enueg (ciò che produce fastidio) e il plazer (ciò che produce piacere), sia alla tradizione biblico-apocalittica, cioè alla letteratura escatologica dei secoli XII e XIII.
Tra i più rappresentativi autori si ricorda il cremonese Gherardo Patecchio, che scrisse un poemetto di ammaestramenti morali intitolato Slanamento de li proverbi de Salamone e un elenco in endecasillabi sui fastidi della vita dal titolo Noie, Uguccione da Lodi autore di un Libro composto in lingua veneta e in lasse monorime di versi alessandrini che tratta del giudizio divino, Giacomo da Verona che scrisse in dialetto veronese un poemetto diviso in due parti, De Ierusalem celesti e De Babilonia civitate infernali che vengono annoverati tra le fonti della Divina Commedia di Dante.

Ma tra i più validi e importanti scrittori del secolo XIII che scrissero in lingua lombarda si ricorda Bonvesin de la Riva per i suoi poemetti legati a esigenze didattiche, i suoi contrasti di carattere allegorico, ma soprattutto per il Libro delle tre scritture composto circa nel 1274, diviso in tre parti che ha come tema l'Inferno (scrittura nigra), la Passione di Cristo (scrittura rubra), il Paradiso (scrittura aurea). Il testo viene ritenuto il primo della letteratura in volgare lombarda e l'autore considerato tra i precursori di Dante.

La poesia popolare e giullaresca

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Nella seconda metà del Duecento si diffonde nell'Italia del nord una letteratura in volgare in forma di ballata, solitamente anonima, dovuta soprattutto ai giullari e costituita da lamenti di giovani fanciulle che vogliono maritarsi, di donne mal maritate, di canti nuziali.
Da Mantova ci perviene una canzone anonima per danza, mentre da Milano o da Pavia il primo esempio di satira in volgare contro il villano intitolato il Detto di Matazone da Caligano.
Dal Veneto ci perviene invece il Lamento della sposa padovana e dall'Emilia e dalla Romagna diversi sirventesi di argomento politico-cittadino.
Dalla Toscana ci pervengono tre componimenti: una tenzone di argomento politico, una parodia della Passione e un sermone epitaffio attribuite al giullare Ruggiero Apugliese.

La Scuola toscana

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vedi ancheLirica toscana Con la morte di Federico II e del figlio Manfredi si assiste al tramonto della potenza sveva e anche l'esaurirsi della poesia siciliana. Dopo la Battaglia di Benevento l'attività culturale si sposta dalla Sicilia alla Toscana, dove nasce una lirica d'amore, la lirica toscana, non dissimile da quella dei poeti della corte siciliana ma adattata al nuovo volgare e innestata nel clima dinamico e conflittuale delle città comunali: sul piano tematico dell'amore cortese si affiancano nuovi contenuti politici e morali.

Vengono così ripresi in Toscana i temi della scuola siciliana e le ricercatezze di stile e di metrica propria dei Provenzali con l'arricchimento dato dalle nuove passioni dell'età comunale.

La poesia dei poeti toscani viene così ad arricchirsi sia dal punto di vista tematico che linguistico anche se viene a mancare "quel livello di aristocrazia formale a cui i siciliani riescono generalmente a mantenersi"[11].

Fanno parte del gruppo dei poeti toscani Bonagiunta Orbicciani da Lucca, Monte Andrea, il fiorentino Chiaro Davanzati, Compiuta Donzella e molti altri di cui il più noto è Fra Guittone dal Viva da Arezzo.

Guittone d'Arezzo

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vedi ancheGuittone d'Arezzo Il caposcuola dei toscani viene considerato Guittone del Viva d'Arezzo, nato verso il 1235 ad Arezzo e morto nel 1294, nel quale si può cogliere, come osserva Asor Rosa[12] "... un concetto della funzione della poesia più articolato di quello praticato dai siciliani e, forse, dagli stessi provenzali".

Guittone ci ha lasciato una vasta raccolta di rime (composta da 50 canzoni e 239 sonetti) nelle quali si rispecchiano i suoi due diversi modi di vita. Si può così dividere la sua opera in due parti: la prima, dove imita i poeti della scuola siciliana ed è dedicata all'amore e alle armi, la seconda di contenuto religioso e morale.

A Guittone si deve il primo esempio di canzone politica (Ahi lasso, or è stagion de doler tanto) scritta in seguito alla sconfitta che i guelfi fiorentini subirono nel 1260 a Montaperti per opera dei ghibellini nella quale, con il tono energico e veemente che si ritroverà in alcune pagine di Dante, egli lamenta la pace perduta utilizzando e alternando il sarcasmo con l'invettiva e l'ironia.

Ma il vero poeta lo si deve cercare nelle sue rime di carattere religioso e specialmente nella laude, come in quella dedicata a San Domenico scritta con lo schema della ballata sacra da lui inventata.

Sempre da attribuire a Guittone d'Arezzo è un Trattato d'amore in 12 sonetti e circa una trentina di Lettere. Tra i poeti più interessanti della scuola di Guittone, rimane il lucchese Bonagiunta Orbicciani al quale Dante nel canto XXIV del Purgatorio affida il compito di definire il nuovo modo di poetare con il nome di stilnovo.

Nacquero nel contempo, a Pistoia, a Pisa e a Firenze, altre scuole che si rifacevano in modo più o meno rigoroso a Guittone. Si ricordano Chiaro Davanzati, che nel suo Canzoniere anticipa i motivi dello stilnovo, il guelfo Monte Andrea, al quale si deve il più valido trobar clus fiorentino, e Dante da Maiano, che scrisse un Canzoniere in uno stile intermedio tra quello siciliano e quello guittoniano.
Non è stata provata la storicità della poetessa Compiuta Donzella alla quale vengono attribuiti, da un solo codice, tre sonetti.

La poesia comico-realistica

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Accanto alla lirica cortese un posto di rilievo va assegnato alla poesia comico-realistica: chiaramente antitetica alla contemporanea spiritualità stilnovista, la corrente comico-realistica è giocosa e realista, coltiva il gusto dell'invettiva, della ribellione e della comicità che vanno a sostituire quello della bellezza ideale.

La storiografia letteraria ha coniato espressioni differenti per delineare una tendenza poetica caratterizzata dall'affrontare temi aderenti alla realtà e al quotidiano in chiave generalmente parodica: si parla di poesia borghese, poesia comico-realistica, poesia realistico giocosa. L'etichetta che indubbiamente risulta più esaustiva è "poesia comico-realistica" in quanto il binomio dà indicazioni sullo stile (comico, che i manuali di retorica contrapponevano a quello tragico. Lo stile comico consente l'uso del linguaggio triviale ed è adatto a trattare argomenti legati alla quotidianità e materialità) e sul contenuto (realistico).

Essa si diffonde in Umbria e in Toscana ed ebbe il suo centro a Siena. Tra i poeti maggiori si ricordano Rustico di Filippo,che ha lasciato 58 sonetti nei quali si avverte la lezione siculo-guittoniana ma anche originali temi legati al genere comico, Meo de' Tolomei autore di alcuni sonetti a carattere caricaturale e il giullare aretino Cenne della Chitarra che scrisse canzoni ispirate alla vita rustica. Ma i due poeti più significativi della poesia comico-realistica furono Cecco Angiolieri, Folgore da San Gimignano.

È questa una corrente che si riallaccia ad una tradizione di derivazione mediolatina, quella della poesia goliardica che si era diffusa nel XII secolo in Francia, in Germania e in Italia, ma anche al fabliau.

Essa si ispira a temi realistici (l'amore come vibrazione di sensi, la donna come creatura terrena) e a motivi anticortesi (l'esaltazione del denaro, del gioco, della taverna e del piacere). L'effetto parodico è appunto ottenuto dalla celebrazione dei valori opposti a quelli stilnovisti e cortesi. La donna non è figura angelica, spirituale; l'amore non è esperienza platonica, decarnalizzata ma l'amore è celebrato in quanto valore terreno, da consumarsi.

Anche il linguaggio è quello quotidiano con la ricerca della parola efficace e colorita assoggettato all'utilizzo del rinfaccio e del vituperium, con un frequente uso al discorso diretto e all'uso di un gergo che si può definire "furfantesco".

  1. Per la classificazione di questo periodo storico si prende in considerazione la suddivisione fatta da Alberto Asor Rosa in Sintesi di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1986
  2. op. cit., pag. 29
  3. Giuseppe Petronio, op. cit., pag. 26
  4. Natalino Sapegno, op. cit., pag. 52
  5. Natalino Sapegno, op. cit., pag. 53
  6. Il brano è tratto dalla volgarizzazione del testo da C. Salinari, C. Ricci, Storia della letteratura italiana con antologia degli scrittori e dei critici, Laterza, Bari, 1991, pag. 215
  7. Natalino Sapegno, op. cit., pag. 63
  8. C. Salinari, C. Ricci, Storia della letteratura italiana con antologia degli scrittori e dei critici, Volume 1, Dalle origini al Quattrocento, Laterza, Bari, 1991, pag. 197
  9. C. Salinari, C. Ricci, op. cit., pag. 125
  10. Mario Sansone, op. cit., pag. 35
  11. Alberto Asor Rosa, Sintesi di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, 1986, pag. 23
  12. Alberto Asor Rosa, op. cit., pag. 24

Per approfondire

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La Biblioteca contiene risorse per approfondire.