I riflessi del terrorismo islamista nel diritto
In questa lezione intercorso (Diritto comparato, Diritto ecclesiastico e Diritto internazionale) si esamineranno sotto diversi aspetti i riflessi del terrorismo islamista nel diritto. In particolare analizzeremo tre punti:
- Come la religione islamica dà luogo al diritto islamico
- Come il diritto islamico possa convivere in un sistema laico come quello vigente nei paesi occidentali.
- I riflessi nel diritto internazionale del fenomeno ISIS.
Breve introduzione al fenomeno del terrorismo islamista
modificaPer approfondire, vedi su Wikipedia la voce Terrorismo islamista. |
Il fenomeno del terrorismo islamista ha un'origine relativamente molto recente. I primi fenomeni sono legati soprattutto al terrorismo palestinese sorto in contemporanea alla questione della Palestina e quindi nel secondo dopoguerra. In che cosa consiste il terrorismo islamista (e non «islamico», forma usata impropriamente dai media)? Consiste in gruppi terroristici di fondamentalisti islamici che usando motivazioni religiose compiono azioni armate per fini economici o di rivendicazione politico-militare. Nel corso della storia vari sono stati i gruppi terroristici (o meglio le organizzazioni terroristiche) agenti in vari contesti geografici. Ricordiamo:
- Al-Qaida: è una rete mondiale panislamica di terroristi sunniti neo-neo-hanbaliti, capeggiata da Ayman al-Zawahiri, diventata famosa in particolare per gli attentati dell'11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti. Attualmente sembra sia presente in più di 60 Paesi. Il suo obiettivo dichiarato è l'utilizzo del jihad per difendere l'Islam dal Sionismo, dal Cristianesimo, dall'Occidente secolarizzato e dai governi musulmani filo-occidentali o «moderati», come quello dell'Arabia Saudita che è visto come insufficientemente islamico e troppo legato agli USA. Formata nel periodo successivo l'invasione sovietica dell'Afghanistan, nei tardi anni ottanta da Bin Laden e Muhammad Atef, al-Qāʿida rivendica il legittimo uso delle armi e della violenza contro l'Occidente e il potere militare degli Stati Uniti d'America e di ogni Stato che sia alleato con essi. Dalla sua formazione, al-Qāʿida ha compiuto numerosi attacchi terroristici in Africa, Vicino Oriente, Europa, e Asia. Sebbene un tempo fosse sostenuta dai Talebani, gli Stati Uniti d'America e il governo britannico non considerano i Talebani un'organizzazione terroristica.
- Hamas: Hamas, («scossa» o «zelo» in arabo, ma acronimo di Harakat al-Muqawama al-Islamiyya, «Movimento di Resistenza Islamica»), cominciò a propugnare attacchi contro obiettivi militari e civili israeliani[all'inizio della Prima Intifada nel 1987. Come organizzazione che si ispira esplicitamente alla Fratellanza musulmana per la Palestina, la sua leadership è assicurata da «…intellettuali della pia classe media […] da rispettabili chierici devoti alla religione islamica, da dottori, chimici, ingegneri e insegnanti»[1]. Lo Statuto di Hamas del 1988 esorta alla distruzione di Israele sebbene i suoi portavoce non ricordino sempre in modo così esplicito questo fine strategico. La sua «ala militare» rivendica sempre la responsabilità degli attentati perpetrati contro lo Stato d'Israele. Hamas è stata anche accusata di sabotaggio del processo di pace israelo-palestinese, avviato con gli ormai falliti Accordi di Oslo, grazie al lancio di operazioni armate contro i civili israeliani anche nel corso delle elezioni, al fine di esasperare l'animo dei cittadini dello Stato ebraico e indurli a eleggere candidati collocati su posizioni sempre più estremistiche, al fine di rendere impraticabile un avvicinamento delle posizioni fra i contendenti. Ad esempio, «…una serie di attacchi suicidi spettacolari condotti da palestinesi e che portarono alla morte di 63 israeliani, condussero direttamente alla vittoria elettorale di Benjamin Netanyahu e del partito Likud il 29 maggio 1996»[2]. Hamas giustifica tali attacchi come necessari nel combattere l'occupazione militare israeliana dei territori palestinesi occupati e come risposta agli attacchi condotti da Israele contro obiettivi palestinesi. Il movimento serve anche da collettore di fondi, usati tra l'altro per fini di assistenza caritatevole dei rifugiati palestinesi. Hamas è stata definita come "gruppo terroristico" dall'Unione europea, dal Canada, dagli Stati Uniti d'America, da Israele, dalla Commissione ONU per i diritti umani e da Human Rights Watch. Gli oppositori di tale definizione oppongono la supposta non legittimità dello Stato di Israele in ragione delle modalità che portarono all'autoproclamazione d'indipendenza nel 1948.
- Stato Islamico: Una nuova sigla che si è affacciata sulla scena mondiale è lo Stato islamico (IS), proclamatosi indipendente il 29 giugno 2014 ma in precedenza conosciuto anche come Stato islamico dell'Iraq e al-Sham, comunemente tradotto come Stato Islamico dell'Iraq e della Siria (ISIS) oppure Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL). La sua origine è dal Jamā'at al-Tawḥīd wa l-jihād, al-Qāʿida in Iraq e Mujāhidīn del Consiglio della Shura (attivo dal 1999 al 2006), fondato dal salafita giordano Abu Mus'ab al-Zarqawi. La sua storia si è incrociata con quella del Fronte al-Nusra, che crebbe rapidamente diventando una forza combattente sostenuta dall'opposizione siriana. Il gruppo jihadista attivo in Siria e in Iraq ha come leader nel 2014 Abu Bakr al-Baghdadi, che ha unilateralmente proclamato la rinascita del califfato nei territori caduti sotto il suo controllo. Peculiarità dello Stato islamico è quella di riunire in una sola entità le caratteristiche dell'esercito, delle modalità terroristiche, della fisicità del territorio in cui risiede e della struttura statale. Lo Stato islamico ha anche coniato una sua moneta, seppure non riconosciuta, come lo stato, a livello internazionale: il Dinaro dello Stato islamico.
È proprio su quest'ultimo che si incentrerà la nostra riflessione nell'ultima parte della lezione. Infatti molti sono i riflessi internazionalistici del fenomeno dell'ISIS. Purtroppo l'ISIS è tristemente conosciuto per i fatti legati ai vari attentati terroristici compiuti da alcune cellule dell'ISIS in Europa (da ultimo il triste evento dell'attacco a Parigi del 13 Novembre del 2015). Perché l'ISIS è al momento attuale l'argomento su cui maggiore deve essere la riflessione di uno studioso del diritto? Perché l'ISIS ha compiuto una «mutazione genetica» che nessun altro gruppo terroristico aveva mai fatto. Fino al 2014 infatti nessuna organizzazione terroristica era riuscita non solo a controllare un terreno geograficamente individuabile ma anche a porre su di esso un controllo effettivo de facto statuale. È su di questo che dovremo riflettere e lo faremo nell'ultima parte della lezione. Prima di questo, però, nello strutturare la lezione si è ritenuto fondamentale porre, sotto la luce della nostra analisi, altre due questioni che non riguardano strettamente il terrorismo islamico ma che sono strettamente legati ad esso. Non si può affrontare la questione ISIS senza comprendere che cosa sia il diritto islamico, che l'ISIS usa sul proprio territorio, e se questo diritto sia o meno compatibile con gli stati di diritto occidentali. In altre parole ci chiederemo da prima cosa sia la Sharī'a (e in questo ci darà una mano il diritto comparato), e soprattutto se tale diritto possa vivere in un contesto occidentale; in altre parole se c'è o meno scontro di civiltà, come molti spesso affermano, tra occidente e Islam, e in questo ci darà una mano il diritto ecclesiastico con le sue nozioni di laicità.
La stretta relazione tra religione islamica e diritto islamico
modificaPer approfondire questo argomento, consulta le pagine La Tradizione Giuridica Islamica (Diritto Pubblico Comparato) e La Tradizione Giuridica Islamica (Diritto Privato Comparato). |
Per trattare in maniera corretta questo argomento, bisogna di spogliarsi da alcuni preconcetti in capo a un giurista o comunque ad un cittadino occidentale. Viviamo in un contesto socio-politico dove si ritiene lo Stato e la legge al disopra di ogni altro fenomeno sociale. Nessuno penserebbe mai che la religione possa mai imporre regole che abbiano una valenza superiore alla legge stessa. In realtà ogni religione ha questa tendenza. Alcune, come la religione cristiana, hanno perso, nel corso della storia, la loro predominanza sul diritto. Altre, e qui passiamo a parlare della Religione Islamica, tale predominanza non l'hanno persa. Ci occuperemo nel prossimo paragrafo di cosa questo comporta in un sistema di diritto laico come quello italiano, ma non possiamo non dire che la non predominanza della religione cristiana sul diritto non significa non influenza. La divisione manichea tra diritto e religione, che gli Stati di diritto laico sempre cercano di affermare, è in realtà una fictio storica. Basti pensare a come la religione entri comunque nel diritto di famiglia, anzi concorra pesantemente a determinarlo in Italia. Il nostro Codice civile riconosce, per esempio, le varie forme di matrimonio religioso arrivando a canonizzare, addirittura, la forma propria della religione cattolica. Il diritto, insomma, è, e potremmo dire non potrebbe non essere, influenzato dalla religione. Certo oggi la legge predomina su di essa. È infatti la Costituzione a garantire la libertà religiosa e quindi l'esistenza stessa della religione, ma ugualmente non esiste, e mai potrebbe esistere, una separazione marcata tra le due. D'altronde la religione non è altro che una forma ideologica della società e, come illustri giuristi hanno sempre sostenuto, il diritto non può non nutrirsi, e in un certo senso dipendere, da quella che è la società stessa.
Il caso della religione islamica è però particolare. Abbiamo detto che nel corso degli anni le varie altre religioni hanno perso il loro potere nei confronti del diritto. Si è in sostanza passati da un predominio, per esempio, del diritto canonico su quello statale, a un predominio del diritto statale su quello canonico. In altre parole, se nel Medioevo il "cittadino italiano" (usiamo impropriamente questa dicitura non esistendo nel Medioevo né una nozione di cittadinanza né l'Italia) era soggetto prima al diritto canonico e alle sue regole e poi alle leggi dello Stato, o meglio del re e poi del principe. Oggi, o meglio a partire dalla nascita dello Stato assoluto, la situazione si è invertita e oggi viviamo, in Occidente, in un sistema dove un cittadino italiano è prima soggetto al diritto italiano e poi, e in maniera assolutamente volontaria, a quello canonico. In termini tecnici potremmo dire che si è passati da uno statuto personale religioso del diritto canonico ad uno statuto personale giuridico dello stato di diritto. Questo passaggio non è avvenuto in diverse tipologie religiose orientali; tra queste la più importante è sicuramente la religione islamica.
Non si può parlare di religione islamica senza tener presente che essa, nel Medio oriente, è più di una religione, è un diritto. Nessuna religione al mondo presenta un legame così stringente tra diritto e religione. Essere islamici significa essere cittadini dell'umma (comunità islamica) prima ancora che cittadini del proprio Stato. Questo concetto è alla base di quanto esporremo nel prossimo paragrafo. Non è quindi blasfemo dire che per esempio il Corano possa essere ritenuto un testo di legge pari ad una costituzione di stampo occidentale. Basti riflette che quasi nessuno degli Stati del Medio oriente ha una vera e propria costituzione ma tutti hanno come testo di legge fondamentale il Corano. Il Corano, insomma, rappresenta la somma legge che anche la legge statale deve rispettare. Ecco perché per un islamico rispettare una legge statale che contraddice il Corano è qualcosa di ontologicamente impossibile. Come abbiamo detto, l'Islam per un credente non è solo una religione, ma anche uno status personae e quello che lo identifica come persona giuridica.
È facilmente esemplificabile tutto questo che abbiamo detto se poniamo in paragone il nostro Decalogo biblico con i precetti del Corano. Il musulmano null'altro fa che rispettare i precetti coranici come i cristiani, da religiosi, rispettano il decalogo biblico. L'unica differenza sostanziale è che nella stragrande parte dei cristiani, nel corso della storia, è maturata una percezione di decalogo biblico e della Bibbia stessa come non più vincolanti; nei paesi occidentali si è liberi di scegliere se seguire o meno questi precetti, mentre sono ormai vincolanti le norme dello Stato nazione. Il musulmano, invece, ritiene tutt'oggi che i precetti coranici siano vincolanti e questo, vedremo, indipendentemente dal fatto che lo Stato in cui viva sia o meno fondato sulla legge islamica. Bisogna quindi tenere bene in mente che un cittadino islamico segue la legge coranica, abbia o meno essa avuto il riconoscimento dello Stato in cui vive. Un esempio potrà chiarire maggiormente. Si pensi per esempio alla Turchia, dove lo Stato si è totalmente laicizzato. Qui un cittadino turco non è più vincolato dallo Stato a seguire per forza la Sharī'a, cosa che accade per esempio in Arabia Saudita. Il legislatore turco ha provveduto, poi, a creare norme di diritto familiare, potremmo dire laico. L'effetto di tale opera legislativa è stata una scarsissima applicazione della stessa nel concreto. La religione, o meglio il diritto islamico, ha dimostrato la sua forza nei confronti del diritto statuale, per i motivi già esposti.
In conclusione, tutte queste riflessioni non possono che farci capire come la religione islamica tenda a comportare, necessariamente, il diritto islamico e come ogni cittadino di fede islamica viva diviso tra l'essere cittadino dell'umma e cittadino dello Stato in cui vive. È chiaro che, se lo Stato in cui vive è uno Stato che adotta il diritto islamico, saranno pochi i riflessi problematici di tale sdoppiamento. Se invece lo Stato in cui vive è uno Stato di diritto laico, come quasi tutti i paesi occidentali e del Nord del mondo, questo comporterà vari fattori di tensione e, vedremo, sarà una delle cause scatenanti il fondamentalismo islamico e l'odio verso l'occidentalizzazione.
Il diritto islamico può vivere in un sistema giuridico laico?
modificaTutto ciò che abbiamo detto nel paragrafo precedente è di fondamentale importanza per capire la situazione di un credente islamico in Italia o comunque in uno qualsiasi dei Paesi di diritto che si riconoscono laici. È un problema non di poco conto dato che basta dare una rapida occhiata a un planisfero che indichi la diffusione dell'Islam per capire che, chi più e chi meno, tutti gli Stati laici (prevalentemente occidentali e del Nord del mondo) hanno a che fare con cittadini di fede islamica.
In questo contesto si instaura il concetto di integrazione. Esistono prevalentemente tre forme di integrazione, o meglio l'integrazione può avvenire in tre modi a seconda del soggetto che si muove. Detto in altre parole, potremmo avere casi in cui lo Stato resta fermo nelle sue convinzioni di laicità e impone le sue regole al fedele (per esempio il legislatore impone una forma legale di matrimonio e ritiene valida solo questa forma non riconoscendo la forma di matrimonio religioso). In questo caso è il fedele a doversi per forza integrare, o meglio piegare, alla volontà dello Stato. In un altro caso abbiamo invece che è lo Stato a piegarsi alla fede del credente. È chiaro che in questo caso il rischio maggiore è che lo Stato perda la sua laicità e diventi stato confessionale. Questo è quanto sta accadendo recentemente, ad esempio, in Turchia o in Algeria dove lo Stato da laico con leggi laiche non è riuscito ad imporre la sua volontà, né a mediare la stessa, e, sotto la pressione della società e quindi della religione, vede le proprie leggi prive di efficacia nella realtà oppure abrogate di volta in volta, ovvero sostituite da leggi più vicine al diritto religioso (nella specie islamico), oppure lasciando, de facto, le materie senza alcuna disciplina. Questo, nel lungo periodo, porterà lo Stato a soggiacere alla religione e a perdere la sua laicità. La terza forma è un moto di avvicinamento di entrambe le parti. Da un lato abbiamo il fedele che pur mantenendo saldi i suoi precetti religiosi li pone in subordine rispetto alle leggi statali, dall'altra vi è però lo Stato che riconosce e garantisce in primis la libertà religiosa, e muovendo da questa garantisce il minimo di status personae giuridico-religiosa necessaria a non annullare la religiosità del soggetto stesso (per esempio il legislatore disciplinerà il matrimonio ma lascerà comunque un margine di libertà al cittadino fedele: quello di poter celebrare il proprio matrimonio religiosamente).
Da quel poco che abbiamo potuto capire, integrazione sembra che cammini in parallelo con laicità dello Stato. E in effetti è proprio così. Non è sbagliato infatti dire che, a seconda di come lo Stato esprime la sua laicità, si avrà una diversa forma di integrazione, che può anche arrivare al punto di far cessare proprio l'integrazione stessa e alimentare lo scontro di civiltà. Brevemente dobbiamo dire che esistono tre forme di laicità:
- Laicità da Combattimento: che è la laicità che vede con ostilità il fenomeno religioso e vuole tenerlo fuori dal contesto statale (e possiamo vedere chiaramente in questo caso come l'integrazione sia un dovere da parte del fedele che deve piegarsi alla legislazione statale senza quasi avere libertà religiosa pubblica ma solo nel proprio foro intero).
- Laicità Separatista: che si basa sulla fictio storica da cui è nato lo Stato Laico. È infatti quella laicità dove si ritiene che lo Stato sia una cosa e la Religione un'altra non tenendo conto che invece la Religione è un fattore sociale e in quanto tale non può essere manicheamente separata dal Diritto.
- Laicità Simmetrica: Lo Stato assimila in sé le diversità religiose, riconoscendole e garantendole, e, pur mantenendo una visione elevata e regolatrice, ugualmente cerca una mediazione affinché le singole diversità religiose possano vivere in maniera maniera conforme al diritto statale con il minor sacrificio (e qui non possiamo non vedere il caso in cui a muoversi verso l'integrazione siano sia lo Stato che il fedele. Un moto di avvicinamento che scalfisce ma non elimina da una parte l'essere laico, e quindi terzo rispetto alla Religione, dello Stato, dall'altro non annienta la fede del cittadino credente).
E non possiamo non dire che è proprio quest'ultima la laicità a cui uno Stato di Diritto Laico deve puntare ed è proprio questa la Laicità messa in atto dalla nostra Costituzione e dal nostro Stato. Seguire le altre due forme di laicità può comportare infatti il rischio di non permettere una serena integrazione da parte del fedele allo Stato. Può portare ad un rigetto del diritto statuale e a quello che viene detto scontro di civiltà ma ci torneremo tra poco.
È fondamentale, infatti, chiarire la nozione di Laicità Simmetrica che per un qualsiasi occidentale può apparire una nozione poco chiara. Siamo abituati a credere che laico significhi non religioso. Siamo abituati a credere che lo Stato non debba in alcun modo né essere influenzato dalla religione né occuparsi di religione. In realtà questa è una assurdità logica. Abbiamo già detto come la Religione sia null'altro che un fenomeno sociale e in quanto tale entra a piede teso nel Diritto e non potrebbe non essere così. Questo ha un risvolto concreto nell'attività del legislatore. Il legislatore non può non tener presente che esiste la religione, come tra l'altro non può non tener presente che esiste una società civile portatrice di propri interessi. È la stessa nostra Costituzione, tra l'altro, che impone allo stesso il riconoscere e garantire la libertà religiosa. Questo non significa, come molti ritengono, che lo Stato debba solo lasciar libero ad ognuno di pregare in quel che crede. Significa anche lasciar libero il fedele di esprimere la propria religione anche quando essa ha risvolti giuridici, salvo la non lesione degli altri principi costituzionali. E ritorna qui in mente l'esempio del matrimonio che più di ogni altro istituto fa comprendere questo concetto. Lo Stato riconosce e garantisce al fedele di svolgere il proprio matrimonio religiosamente. Permette, in un certo senso, una deroga al diritto statale per attuare in pieno il principio della libertà religiosa. È chiaro che, come dicevamo, queste deroghe non possono ledere altri articoli della Costituzione. Per esempio non si potrà mai permettere ad un islamico di attuare il ripudio coranico perché lo stesso infrange i diritti della donna che lo stato riconosce e garantisce. Insomma, lo Stato si avvicina al fedele agevolandone l'integrazione, il fedele si avvicina allo Stato perché non sente in esso un nemico ma un protettore della propria religiosità. Tutto questo se e solo se si applica una laicità simmetrica. E se questa laicità non si applica?
Se non si applica la laicità simmetrica l'integrazione stessa rischia di venire minacciata. Francia, Aprile 2011, il legislatore vara una famosa legge che dispone la proibizione dell'uso del velo islamico in luoghi pubblici. La reazione delle donne islamiche ha dello sconvolgente per la opinione pubblica occidentale. Se per la donna francese, europea, occidentale in generale il vedersi imporre un abito come il velo islamico da una religione è qualcosa di impensabile, le donne musulmane invece protestano vivamente per questa lesione al loro essere "cittadine dell'Islam", una lesione che per loro quindi è nei confronti della loro stessa personalità. È sicuramente questo il momento in cui in Francia si inizia a covare lo scontro di civiltà che porterà alla nascita delle "serpi in seno" dei fondamentalisti islamici che grazie agli addestramenti dell'ISIS in Siria diventano Terroristi. Il non essere laici simmetricamente è sicuramente un fattore determinante per l'avvio dello scontro di civiltà. Il fondamentalismo islamico si nutre degli errori degli Stati di Diritto Laico è un dato di fatto. D'altronde il messaggio dei fondamentalisti è quello che l'Occidente e la propria Cultura annientano l'Islam e i suoi valori. E quindi non può che non favorire questo messaggio il comportamento, non laico, di uno Stato Occidentale, come in questo caso francese. D'altronde una reazione del genere non avviene solo da parte dell'Islam. Mutatis Mutante tutte le Religioni reagiscono in questo modo quando vedono lesi i propri valori (si pensi ai moti cattolici contrari ad esempio all'introduzione dell'aborto nel 1978). È una cosa naturale e propria di ogni religione. Certo non vi è la nascita di un radicale fondamentalismo (questo anche perché come detto i cristiani hanno maturato una sorta di separazione tra l'essere cittadino e l'essere religioso) ma ugualmente vi è una reazione più o meno dura.
A questo punto bisogna solo tirare le somme. Da una parte abbiamo detto, nel paragrafo precedente, che il credente islamico, più di ogni altro credente, sente in sé la partecipazione, o meglio la cittadinanza, ad un diritto che si fonda sull'Islam e a cui esso si sente strettamente legato, dall'altra abbiamo qui detto che uno Stato deve in un certo senso agevolare l'integrazione altrimenti rischia di non permetterla e quindi di causare lo scontro di civiltà. La somma porta alla creazione del fondamentalismo, o comunque ad alimentarlo, e quindi lo scontro, potremmo dire istituzionalizzato, di civiltà. Aggiungiamo l'aggettivo istituzionalizzato perché il fondamentalismo si fonda su una dottrina religiosa e quindi ha una sua autorità spirituale/giuridica nell'Imam. Il passo quindi da fondamentalismo a organizzazione terroristica è davvero breve. Basta che entrino in gioco scopi economici, politici, militari, personali in testa all'Imam o ad un gruppo di Imam/Leader per trasformarsi in gruppi armati portatori di finti valori religiosi che celano invece "loschi" scopi ma di questo ce ne occuperemo nel prossimo paragrafo vedendo nel concreto la questione ISIS.
I riflessi nel diritto internazionale del fenomeno ISIS
modificaVeniamo quindi all'ultimo aspetto di questa Lezione Intercorso i riflessi del fenomeno ISIS nel diritto internazionale. Fare una trattazione completa degli stessi è quasi impossibile avendo un risvolto internazionalistico un po' in ogni cosa basti pensare i riflessi sui diritti umani. Tralasciando questi aspetti ci occuperemo nei due sottoparagrafi che compongono questo paragrafo di due aspetti che credo siano i più importanti e su cui poi si fondano un po tutti gli altri. Tratteremo quindi in primo luogo del riconoscere o meno l'ISIS in quanto Stato e cosa questo potrebbe comportare in termini giuridici. Una volta discusso su questo vedremo se l'azione militare posta in essere da Francia e Russia in Siria sia o meno legittima e vedremo come il fatto che l'ISIS sia o meno uno Stato cambia la legittimità. Tutta questa analisi, va preliminarmente segnalato, è segnata da un legittimo scontro di posizioni dottrinali pertanto, pur se si cercherà di essere quanto più neutrali, ugualmente non si può non segnalare che un'altra dottrina, sicuramente più autorevole di chi scrive, potrebbe ritenere quanto scritto nei prossimi paragrafi errato. Il mio compito sarà comunque segnalare, in questo caso, le divergenze di opinione.
L'ISIS è uno Stato?
modificaPer approfondire questo argomento, consulta la pagina I soggetti del diritto internazionale. |
Era il 29 giugno 2014 che, sull'onda dei successi ottenuti nelle varie battaglie e del potere ottenuto in più o meno vaste zone della Siria e dell'Iraq, Daesh si autoproclamava Stato. Da quel momento in poi Daesh inizia a comportarsi come un vero e proprio Stato, di nome e di fatto. Secondo fonti ufficiali, infatti, lo Stato Islamico esercita le funzioni di un vero e proprio Stato: batte moneta, esercita la funzione legislativa e giudiziaria secondo la Legge Islamica, assicura la sicurezza sia interna che esterna tutelando la sua "sovranità". È de facto uno Stato. Ma lo è anche "giuridicamente"?
Per poter dare una risposta a questa domanda occorre aprire una breve parentesi sui requisiti fondamentali affinché uno Stato sia tale. Senza calarci nel dibattimento dottrinale che lascio ad un approfondimento personale del lettore, i requisiti fondamentali sono l'effettività e l'indipendenza. Si dice che uno Stato è effettivo quando esercita effettivamente il proprio potere su di una comunità territoriale. Si dice che uno Stato è indipendente quando ha una indipendenza o una sovranità esterna, cioè la propria organizzazione di governo non dipende da un altro Stato. Solo in costanza di queste due fattispecie uno candidato Stato è Stato. In mancanza di anche solo uno di essi non ci troviamo di fronte ad uno Stato. Non conta invece che uno Stato sia o meno riconosciuto dagli altri Stati o dall'ONU. Il riconoscimento non è ritenuto, dalla maggioranza della dottrina, un requisito per l'essere uno Stato ma solo un mera forma di rapporti amichevoli tra Stati.
Ora veniamo al Caso ISIS. Già prima stavamo dicendo che l'ISIS esercita sul territorio dell'autoproclamato stato tutte le funzioni che sono proprie di uno Stato (sicurezza, giustizia, batter moneta). Non sembrano poter esserci dubbi di sorta in materia. D'altra parte il caso diverge, ad esempio, da quello della Palestina dove l'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) non ha sede, come il Califfato Islamico dell'ISIS, sul suolo stesso del presunto Stato ma a Tunisi trattandosi così di un caso di Comitato di liberazione con sede all'estero e pertanto non ha giustamente senso parlare di effettività. Per quanto riguarda l'indipendenza non vi è dubbio che essa sia presente. L'ISIS non sembra aver alcun legame di dipendenza con un altro Stato, anzi. Attualmente si trova in una posizione diplomatica che lo pone in netta contrapposizione con la totalità della Comunità Internazionale. Si rileva quindi che, dato che sussistono i requisiti di effettività e indipendenza, ritenere lo Stato Islamico uno Stato non è un errore. Questa teoria sembra avere una conferma nella prassi dello Stato Francese che apertamente ha adottato una sorta di riconoscimento di tale entità come Stato proclamando contro esso uno Stato di Guerra. A tale prassi sembra essersi conformata anche la Russia. Certo non basta l'opinione di due nazioni per fare una regola internazionale, ma è sicuramente un indizio di non poco conto che va tenuto conto alla luce della verifica dei requisiti che abbiamo sopra compiuto.
Questa tesi ora illustrata è la tesi dottrinale minoritaria. Al momento attuale, a parte la prassi di cui parlavamo sopra, non ci sono autori dottrinali di ampia fama che la sostengono e questo per vari motivi. In primo luogo si temono gli effetti che un tale "riconoscimento" potrebbe comportare, non tanto per il caso di specie, ma per il futuro. Sarebbe, per la prima volta, fatta prevalere l'effettività alla legittimità. In altre parole si ammetterebbe, per la prima volta, che si può diventare Stati anche violando il diritto internazionale generale. Dall'altra parte ammettere che l'ISIS è uno Stato significa anche dover decidere su che fine hanno fatto gli Stati dell'Iraq e della Siria con una non dubbia conseguenza anche diplomatica di ciò. Significherebbe infatti decidere se si è in presenza di un distacco da parte dei territori ex Siriani o Iracheni a favore di un nuovo Stato oppure di Stati falliti con scarsa o addirittura inesistente effettività dei loro governi. In ultimo si è sempre cercato di evitare una qualche forma di riconoscimento statale a gruppi armati terroristici anche perché, a ragione, si finirebbe in un certo senso per legittimarli. Ma questo è giustissimo nei confronti di organizzazioni terroristiche come Al-Qaida che in realtà non si è mai proclamato Stato né ha dato vita ad una tale entità statale, anzi ha spesso "collaborato" con i governi locali, o comunque non è mai andata oltre al mero controllo di pozzi di petrolio. Non si può fare lo stesso nel caso di organizzazioni come l'ISIS e la diversità è facilmente intuibile.
È bene precisare che l'ISIS è comunque dotato di una qualche forma di personalità internazionale simile a quella imputata agli Insorti che hanno il controllo effettivo su una parte del territorio. Su questo punto la dottrina sicuramente è più concorde.
In conclusione è bene accennare quali potrebbero essere gli effetti di un riconoscimento come Stato dell'ISIS. Ebbene, gli effetti sono pochi se si tiene conto del fatto che, pur riconoscendolo come Stato, questo non gli comporta alcuna forma di tutela se non quella del diritto internazionale generale che tra l'altro esso stesso già viola. Sicuramente una conseguenza sarebbe quella della legittimità da parte della Francia del ritenere la propria azione in Siria legittima perché in attuazione della norma di ius cogens sulla legittima difesa in reazione dell'attacco armato dello Stato Islamico nel suo territorio. L'altro effetto sarebbe la possibilità, da parte del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, di agire contro l'ISIS non più con sanzioni relative ad una qualsiasi organizzazione terroristica ma con quelle relative a Stati: un embargo commerciale, una no fly zone, un intervento armato, cose del tutto impossibili oggi perché si incontrerebbe un difficile ostacolo nell'attuarle su territori che appartengono a Stati (Siria e Iraq) che non sono responsabili per le azioni dell'ISIS. Sulla questione della legittimità dell'azione francese e Russa in Siria, è bene fermare la nostra riflessione e lo faremo nel prossimo subparagrafo.
Le Azioni Militari in Siria sono legittime?
modificaPer approfondire questo argomento, consulta la pagina La violazione delle norme internazionali e le sue conseguenze. |
L'ultimo aspetto da esaminare che ci resta è quello della reazione degli Stati al fenomeno ISIS o meglio agli atti terroristici inumani che vengono posti in essere in suo nome in varie parti del Mondo. In particolare bisogna riflettere sulla reazione militare che alcuni Stati (in primis Francia e Russia) hanno messo in atto contro l'ISIS, in primis in Siria, sia legittima o meno.
Ebbene la risposta non è univoca dipende molto dal ritenere o meno la Siria ancora in possesso dei territori del autoproclamato Stato islamico e quindi di riflesso se l'ISIS sia o meno uno Stato. Il ritenere l'uno o l'altro, infatti, cambia la legittimità dell'intervento armato della Francia in Siria. Da premettere che attualmente la Francia agisce senza alcun mandato ONU quindi non vi è un riconoscimento internazionale alla sua azione militare. Per giustificare la stessa il Governo Francese ha vantato l'attuazione della cosiddetta scriminante della legittima difesa. Secondo infatti una norma di diritto internazionale generale cogente l'unico uso legittimo della forza militare è ammesso solo in reazione ad un attacco armato subito da un altro Stato. Tale uso permette anche di poter violare, senza commettere a sua volta illecito, un'altra norma di diritto internazionale. La Francia quindi vanta questa legittimità a seguito dell'attacco subito sul proprio terreno. Nulla quaestio ma questo è vero ed è utilizzabile solo se è un altro Stato ad attaccare. Se fosse stata la Siria ad attaccare la Francia, la risposta Francese sarebbe stata più che legittima, ma in questo caso non parliamo di uno Stato, a meno che non si ammetta che l'ISIS sia uno Stato, cosa che la Francia sta proprio facendo per legittimare concretamente la sua azione. È chiaro però, come abbiamo detto anche nel sottoparagrafo precedente, non è la prassi di un solo Stato a fare norma internazionale questo significa che finché non sarà la comunità internazionale a ritenere l'ISIS uno Stato l'azione militare francese non è solo illegittima ma anche in violazione di varie norme del diritto internazionale generale di cui i più importanti sono il divieto dell'uso della forza (violazione che comportava anche la violazione dell'articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite) e il non rispetto della sovranità siriana ponendo in atto de facto una invasione anche se solo aerea in un altro Stato senza alcuna scriminante. Non si può, tra l'altro, usare la prassi maturata con la "dottrina Bush", dal nome del Presidente USA Bush che, vantando l'uso della legittima difesa preventiva, invase l'Iraq ritenuto possessore di armi di distruzione di massa che avrebbe usato contro l'Occidente. Come si può vedere in questo caso, pur se illegittimo perché non esiste la legittima difesa preventiva, comunque la contro parte è uno Stato. La Francia ha così solo tre strade per poter legittimare il suo operato:
- Chiedere l'Autorizzazione al Consiglio di Sicurezza ONU o alla Siria di compiere queste azioni.
- Convincere la Comunità Internazionale dell'Esser Stato dell'ISIS.
- Imputare le azioni dell'ISIS alla Siria.
Come si può vedere tutte e tre le vie hanno delle proprie difficoltà e questo, in un certo senso, fa tollerare agli altri Stati l'azione illegittima della Francia.
Diversa è invece l'Operazione Russa in Siria. In questo caso è lo stesso Governo Siriano ad aver chiesto, ed ottenuto, l'intervento Russo sui suoi territori per contrastare l'ISIS. A meno che non si voglia discutere su eventuali vizi di questo accordo tra i due Stati non si può quindi non ritenere legittima l'azione russa in Siria.
In ultimo è pacifico ritenere legittimo un qualsiasi intervento del Governo Siriano in contrasto dei militanti dell'ISIS. Ci troviamo, a meno che non si ammetta l'esser Stato dell'ISIS, in presenza di nulla più che Insorti e in quanto tale lo Stato Siriano è legittimato ad usare qualsiasi strumento di forza interna, salvo quelli lesivi dei diritti umani o delle varie convenzioni sulla guerra civile. Sarebbe, d'altra parte, pacifico se l'ONU o meglio il Consiglio di Sicurezza autorizzasse un intervento armato in Siria. Il Consiglio di Sicurezza ha, infatti, questa facoltà ai sensi dell'articolo 43 della Carta delle Nazioni Unite.
Conclusioni Finali
modificaE siamo giunti così al termine di questa Lezione Intercorso. Il filo rosso che tiene unite tutte e tre le tematiche affrontate e deve essere uno solo: l'Islam non è Terrorismo Islamista, l'Islam non è Fondamentalismo Islamista. Troppo spesso si cade, nel dibattito politico ed anche culturale, in questa eguaglianza assurda che non fa altro che intensificare lo scontro di civiltà e il fenomeno del terrorismo. L'Islam è una religione ma allo stesso tempo, abbiamo visto, uno status di cittadinanza. Questo va tenuto bene in mente perché come per un occidentale una violazione dei diritti fondamentali è un atto lesivo della propria persona così per un islamico la violazione dei precetti coranici. È compito di un giurista, quindi, mediare tra le civiltà, attuare la laicità simmetrica nello Stato che è l'unica via affinché si percorra insieme la via dell'integrazione. La integrazione presuppone non che si tolleri l'altro ma che si rispetti e per esserci rispetto c'è bisogno da una parte di reciproca conoscenza dall'altra di reciproca non lesione dei diritti. Non possiamo cancellare l'essere cittadino islamico di un musulmano. Dobbiamo però lavorare affinché l'essere cittadino dell'Umma possa convivere con l'essere cittadino dello Stato e per fare questo bisogna concedere un minimo di diritti coranici agli islamici. Penso ad esempio a come sia oggi, più che mai, necessaria una intesa tra Islam e Repubblica Italiana che permetta, finalmente, un riconoscimento ufficiale alla Religione Islamica e tutto ciò che questo consegue (disciplina del matrimonio e di altri diritti personali islamici, disciplina dell'apertura delle moschee e della loro funzione, solo per far menzione di alcuni aspetti). È fondamentale che il Diritto prenda coscienza del fattore culturale islamico dei cittadini italiani di credo islamico. È fondamentale che il Diritto evolva e accolga tra le sue braccia anche questa "nuova minoranza culturale".
Note
modifica- ↑ Kepel, Jihad: The Trail of Political Islam, Cambridge; London, Belknap Press, 2003, ISBN 0-674-01090-6, pag. 154
- ↑ Kepel, ibidem, pag. 331
Bibliografia
modificaI testi qui citati sono ispiratori della Lezione:
- Gianmaria Ajani - Barbara Pasa, DIRITTO COMPARATO. Casi e materiali, G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO, 2013 (per la parte riguardante il Diritto comparato)
- Mario Ricca, PANTHEON. Agenda della laicità interculturale, TORRI DEL VENTO EDIZIONI, 2013 (per la parte riguardante il Diritto ecclesiastico)
- Benedetto Conforti, DIRITTO INTERNAZIONALE. X edizione, EDITORIALE SCIENTIFICA, 2014 (per la parte riguardante il Diritto internazionale)
Il testo citato in nota è di:
- Gilles Kepel, Jihad: The Trail of Political Islam, Cambridge; London, Belknap Press, 2003, ISBN 0-674-01090-6.