La Tradizione Giuridica Islamica (Diritto Pubblico Comparato)

Un non musulmano che voglia comprendere il Diritto dei paesi islamici deve per prima cosa approcciarsi con quello che è la Sharī'a (cioè il diritto islamico o diritto mussulmano) per poi approcciarsi ai vari diritti positivi dei diversi paesi islamici.

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La Tradizione Giuridica Islamica (Diritto Pubblico Comparato)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto comparato
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Solitamente nessuno dei paesi islamici si basa solo sulla Sharī'a. Solitamente, infatti, sotto l'aspetto del potere giudiziario e legislativo mettono in funzione regole laiche. Ad esempio la Turchia presenta ad oggi un quasi totale laicizzazione del diritto (si pensi che dal XX secolo grazie a Kemal Ataturk ha un codice civile su modello svizzero, un codice penale su modello italiano, un codice di procedura penale su modello tedesco) che rinnegato di fatto lo statuto personale islamico. Uguale laicizzazione del diritto si è avuta anche nelle ex-Repubbliche socialiste sovietiche dell'Asia Centrale (Repubbliche di Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan). Ugualmente ci sono però degli Stati che invece hanno posto a fondamento dello Stato la Sharī'a limitando di conseguenza l'attività normativa dello Stato e non adottando una Costituzione (si pensi ad esempio l'Arabia Saudita, il Sultanato di 'Oman e la Repubblica Islamica iraniana). Nel mezzo vi sono numerosi paesi, dall'Indonesia a vari paesi dell'Africa Nord del Sahara, che cercano di trovare una mediazione tra autorità legislativa statale islamica e Sharī'a. il diritto islamico, infine, ha una sua rilevanza anche in Occidente dove, nonostante il potere legislativo dello Stato non ammetta nemmeno sussidiariamente che le regole islamiche possano avere un qualche vigore, ugualmente grazie alla protezione costituzionale della libertà religiosa alcune pratiche islamiche sono tutelate e si finisce nella possibilità di applicare alcune regole islamiche. La centralità della Sharī'a, come abbiamo visto, è un dato quindi caratteristico di questa tradizione giuridica. La Sharī'a (lett: via da seguire) riguarda una serie di precetti che il fedele deve seguire (preghiera, digiuni, pellegrinaggio, diffusione della parola del profetta, obbligo di lottare per la difesa della stessa dalle aggressioni esterne [jihād], rituali di vita familiare, regole di comportamento da tenere con gli altri, ecc.). Tali precetti si riferiscono anche ad aspetti che in altre tradizioni giudiche sono disciplinate dal diritto. Il mussulmano, quindi, riconosce nella Sharī'a il suo sistema giuridico che tra l'altro è immutabile e autosufficiente essendo stato rivelato dal Corano, frutto di Dio, agli uomini. Per apprendere le regole della Sharī'a il musulmano si rivolge al dotto [usūl al-fiqh] che attua quella che per il sistema di civil low è la scientia iuris e che per i mussulmani è lo sforzo a ritrovare la "Legge di Dio". I dotti [faqīh, pl. fuqahā'] producono letteratura giuridica [fiqh]. È chiaro che il faqīh deve avere una conoscenza molto approfondita dell'arabo classico, che è la lingua del Corano, qualunque sia la sua lingua materna. Gli studiosi islamici affermano di "trovare il diritto" nella Sharī'a dato che una ammissione di una attività creativa incontrerebbe il doppio limite:

  • del testo scritto rivelato che non può essere modificato dagli uomini.
  • della tradizione poiché le antiche regole consuetudinarie arabe pre-islamiche (adat o urf) non vengono abolite ma coesistono con la Sharī'a.

L'affermazione che il diritto non è creato ma è trovato nella stessa Sharī'a ha un doppio vantaggio:

  • non deve rivaleggiare con uno o più legislatori (e quindi si capisce perché il ruolo del diritto posito è del tutto marginale in questi stati).
  • non deve subire la concorrenza con i modelli giurisprudenziali giacché in primo luogo la comunità islamicha non dispone di una corte di vertice le cui decisioni possano valere come autorità suprema, dall'altra parte il giudice islamico non motiva le proprie decisioni e pertanto non è tenuto a enunciare nella sentenza la regola di diritto che risolve il caso.

Le fonti della Sharī'a modifica

Prima della venuta di Maometto in Medio Oriente vi erano diversi popoli che si definivano semiti (cioè discendenti di Sem, figlio di Noè). Ognuno di questi popoli aveva un proprio diritto, il quale non sarà cancellato neppure nell'epoca di Maometto). Questi popoli dialogavano con le altre "genti del libro" (ebrei e cattolici) e riconoscevano agli stessi uno speciale statuto che derivava da un contratto noto come dhimma che concedeva agli stessi la residenza in cambio del pagamento delle tasse. Le genti che avevano questo speciale statuto venivano chiamate, dal nome del contratto, dhimmi. Ai tempi di Maometto, intorno al 570 - 632 d.C. (VII sec. d.C. / I secolo dell'Egira), in questa area si conosceva sia il diritto romano, attraverso il Digesto di Giustiniano, sia il diritto talmudico redatto in aramaico, che è vicino alla lingua araba. Inoltre i contatti con i vari altri popoli permisero delle influenze di vari altri diritti (ctonio, romano, bizantino, persiano e talmudico) negli stessi diritti dei popoli semiti. Intorno, come detto, al 570 - 632 d.C., Maometto inizia a sentire la voce di Allah. Egli è l'ultimo dei Profetti (dopo Mosé e Gesù) ma è di essi anche il più grande perché a lui Dio ha rivelato il suo insegnamento "parola per parola" in un arco di circa 23 anni dalla prima rivelazione ricevuta alla Mecca agli inizi del suo rifugio a Medina (città del Profeta). La Rivelazione di Maometto è stata fin dall'inizio "parola scritta" che viene poi raccolta nel Libro sacro del Corano (lett: recitazione). Ed è proprio intorno al Corano che è stato costruito tutto il resto. Congiuntamente, ad opera dei Califfi Omayyadi (661-750 d.C. / I-II secolo dell'Egira), si compie un ampio allargamento dell'area islamica che si estese a nord della Palestina, alla Siria, ad est nei territori dell'Impero Sassanide, dalla Persia sino al fiume Indo, alla regione dell'Asia Centrale sud-occidentale, ad ovest all'Egitto, e a tutta la fascia costiera mediterranea dell'Africa nord-occidentale. La islamizzazione militare non procedeva però contemporaneamente alla islamizzazione delle popolazioni (tanto è vero che i mussulmani dell'Asia Centrale furono definiti per molto tempo credenti "tiepidi" da parte degli altri musulmani). L'islamizzazione proceva comunque naturalmente ad uniformare i diritti delle popolazioni conquistate e ad imporre la Sharī'a e la dottrina delle "radici" o fonti del diritto.

Le radici o fonti del diritto sono:

  1. Il Corano, Qur'ān (lett: recitazione): Composto da 114 capitoli (o sure, suwar) suddivisi in 6235 versetti (o segni, āyāt) disposti non in ordine cronologico. Nei versetti si distinguono piuttosto le rivelazioni dei due periodi, meccano e medinese, separati dall'evento dell'Egira [hijrah] (anno che dà inizio al computo del tempo nella tradizione islamica e il cui anno 0 dell'Egira corrisponde al nostro 622 d.C.). Dei versetti circa 500 contengono regole giuridiche (poche e di non facile individuazione).
  2. La Sunna (lett: il sentiero imboccato e percorso dal Profeta): La condotta del Profeta Maometto ispirata a Dio e trasmessa verbalmente per poi essere composta per iscritto in enunciati [ahadīth, sing. hadīth] trasmessi in una catena "affidabile e costante" (i due elementi che costituiscono la normatività dell'hadith) di comunicazione a partire dalla prima comunicazione del profeta.
  3. L'ijmā', il consenso della dottrina: Paragonato da qualcuno alla communis opinio doctorum è, secondo la definizione classica, "il consenso (ijmā) di tutta la comunità dei credenti" (Ummah) cioè la comune convinzione religiosa. Il consenso non è di facile raggiungimento e per ottenersi c'è bisogno di una costante discussione interna che spesso ha portato più che ad un appianamento delle divergenze alla nota divisione interna al mondo islamico (le diverse scuole islamiche). La ijmā (che si può pensare come un consenso di tipo "plurale") è indotta da un hadīth del Profeta Maometto secondo il quale "il mio popolo non concorderà mai sull'errore".
  4. Il qiyās, l'analogia giuridica: A differenza della tradizione giuridica occidentale che non vede l'analogia come fonte di produzione del diritto ma solo come criterio ermeneutico per facilitare l'applicazione delle regole, nella tradizione islamica, invece, laddove le fonti non sono formalizzate dal diritto posito, l'analogia giuridica è fonte in senso stretto. Resca escluso il regionamento del tipo deduttivo più assertivo, tipicamente occidentale, perché incomatibile con la dottrina coranica.

A seconda delle "scuole" si legittimano o meno, poi, altre due fonti secondarie necessarie all'interpretazione delle regole giuridiche: l' Istihsan, che è uno strumento che fa riferimento all'equità (è usato dalla scuola hanafita mentre è rifiutato dagli sciafiiti), e l' Istislah, che si ispira all'interesse pubblico cioè al bisogno pratico cui la regola giuridica deve rispondere (è usato dalla scuola malikita).

Si possono fare due considerazioni fondamentali:

  • 500 versetti del Corano sicuramente non bastavano a risolvere tutti i casi pratici ed ecco perché ad esso è stato fondamentale applicare lo "sforzo" interpretativo affidato ai fuqahā.
  • nonostante l'unità dell'Islam, esistevano (ed esistono) varie "scuole" e diverse interpretazioni (non sempre conciliabili) dell'Islam.

In merito alla prima considerazione, nonostante in sede teologica si affermi che la Sharī'a è tutta rivelata e priva di lacune, storicamente il diritto islamico è stato interpretato, modificato e rielaborato dai giuristi dotti all'interno delle diverse "scuole" tanto è vero che la ragione individuale [ra'y] e lo sforzo intellettuale [ijitihād] hanno risolto molte questioni giuridiche. In un momento non ben preciso tra il IX sec. e il XII sec. d.C. / III - VII secolo dell'Egira le soluzioni da essi elaborate divennero incontestabili. Solo allora è stata "chiusa la porta dello sforzo" interpretativo, secondo la metafora usata dall'Islam sunnita, ed è divenuto impossibile usare il ragionamento assertivo al fine che il potere temporale non influenzasse le opinioni dei dotti. Questa "chiusura della porta dello sforzo" è caratterizzata dal fatto che non ci fu alcun ordine di chiusura proveniente dall'alto. Si concordò, ad un certo punto, che data la natura della tradizione ulteriori sforzi non sarebbero più stati compatibili con essa. È da segnalare che nel medesimo periodo si fermarono anche le altre scienze islamiche (matematica, medicina, astronomia) che l'Occidente aveva usato come ispirazione. Da allora la forma principale del pensiero islamico e il suo stile sono state caratterizzate dall' "imitazione" [taqlīd] potendosi il giurista solo riferire all'autorevole opinione espressa dai dotti prima della chiusura. Nella pratica si è verificata la ricopiatura dei testi giuridici precedenti. Di recente si discute se riaprire la porta almeno per i precetti coranici meno chiari. Per alcuni è già stata riaperta. Per altri, addirittura, non si è mai chiusa (questo sarebbe testimoniato dall'innovazione in campo economico sviluppata soprattutto dall'Islam sciita). È chiaro che dietro la riapertura della porta dello sforzo interpretativo c'è l'indiscutibile contenzioso tra modernità e immutabilità della Sharī'a e questo non può che portare ad un lungo processo di discussione verso una nuova teoria del diritto islamico.

Per quel che concerne la seconda considerazione le divisioni interne all'Islam hanno comportato la creazione di "scissioni e scuole". la prima grande scissione ha portato alla distinzione tra sunniti (coloro che ritengono che il Califfo, successore del custode del messaggio divino, debba essere eletto dalla comunità) e sciiti (che ritengono legittimi solo i discendenti dalla stirpe di 'Ali ibn Abī Tālib, il quarto Califfo, cugino e genero di Maometto). I Sunniti già a partire dal VIII sec. d.C. / II secolo dell'Egira, si sono divisi in quattro scuole principali che prendono il nome dai loro maestri che vi insegnarono. Ad ogni scuola è stata riconosciuta pari validità. È necessario aderire ad una scuola ma è comunque possibile ricondurre un singolo negozio o istituto ad una scuola diversa, inoltre si può sempre cambiare scuola. Gli orfani di governo di un paese islamico possono persino prescrivere ai giudici di applicare le regole di una scuola diversa rispetto a quella generalmente seguita nel paese. Si distinguono quindi:

  • Hanafiti: Dal maestro Abū Hanīfa al-Nu'mān, è la scuola più antica e prestigiosa ed è la maggiormente diffusa (Iraq, Siria, Livano, Giordania, Israele, Palestina, Egitto, Turchia, area balcanica, ex-Repubbliche socialiste sovietiche, Bangladesh, India, Cina). Secondo essa si può ricorrere abbastanza liberamente all'analogia (qiyās) e alla libera opinione (ra'y).
  • Malikiti: Dal maestro Anas ibn Mālik diffusa maggiormente in Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Mauritania, Nigeria e altri paesi sub-sahariani. Essa ricorre soventemente all'analogia e ha introdotto il concetto di interesse generale (Istislah) coincidente con il bene pubblico.
  • Sciafiiti: Dal maestro Muhammad ibn Idrīs al-Shāfi'ī che aveva una profonda conoscenza della scuola hanafita e malikita al punto che ne elaborò una sintesi. È diffusa in Egitto, Palestina, Giordania, Libano, Siria, Arabia sud-occidentale, Africa orientale, India, Pakistan, Asia centrale e sud-orientale. Essi ammetto il ricorso alla libera opinione (ra'y) ma attribuiscono il primato agli ahadīth del Profeta rispetto a quelli posteriori e rifiutano il ricorso all'equita (Istihsan).
  • Hanbaliti: Dal maestro Ahmad ibn Hanbal ed è predominante in Arabia Saudita e Qatar nonostante abbia avuto origine a Baghdad nel II secolo dell'Egira. Sono i più ortodossi e non ammettono il ricorso a fonti che non siano le rivelate (Corano e Sunna).

Anche gli Sciiti si sono a loro volta divisi in quattro scuole:

  • Sayditi: Che è la scuola ufficiale dello Yemen.
  • Duodecimani o Imamiti: Scuola diffusa in Iran, Iraq, India, Pakistan, Arabia Saudita e nelle aree del Golfo Persico. Sottolineano l'infallibilità dell' Imam (altro termine per indicare il Califfo, cioè il vicario di Maometto, guida dei credenti) discendenti da 'Ali.
  • Settimani o Ismailiti: Diffusi in India, Pakistan, Iran, Asia centrale, Golfo Persico, Nord Africa e Tanzania, Riconoscono come fonti il Corano, la Sunna e l'opinione indiscussa dell' Imam.
  • Kharigiti: Diffusi in Oman, Tunisia, costa orientale dell'Africa. Ritengono che il Corano sia stato creato e che pertanto non è immutabile.

Hanno fatto discutere, negli ultimi anni, gli studi di E. Said che criticano l'immagine di un Islam monolitico e che hanno portato gli studiosi a chiedersi se esiste un solo Islam o più Islam. Non esiste una risposta univoca e essa dipende soprattutto dall'informazioni che si voglio, di volta in volta, privilegiare. Se si interroga un teologo la sua risposta sarà che è un mondo omogeneo. Se si guardano le dinamiche odierne del diritto islamico, le diverse visioni dell'Islam, le varie scuole interpretative, le versioni nazionali e estere della Sharī'a, si affermerà invece una visione "al plurale" dell'Islam. Secondo alcuni studiosi l'identità islamica è complessa e tardiva rispetto alle altre identità culturali. Si sarebbe sviluppato intorno al X sec. d.C. / IV secolo dell'Egira con il consolidarsi della Comunità dei credenti, la Umma e, principalmente per questa ragione, sarebbe tradizionalmente ricca e pluralista.

Il qādī e la giustizia modifica

Il diritto islamico si regge sulla Umma, la Comunità islamica. Nel VIII sec. d.C. / II secolo dell'Egira si cercò di creare attraverso la legislazione il diritto islamico unitario ma il tentativo non ebbe successo ponendo di fatto fine anche al sogno di uno "Stato islamico". Una delle poche istituzioni formali del diritto islamico che si ritrova fin dalle sue origini è il giudice [qādī] la cui fonte di potere è la delega da parte del Califfo. Egli si forma nelle università coraniche ed è uomo di Dio. È sempre un giudice monocratico che può, tra l'altro, chiedere una consulenza a terzi i quali redigeranno una fatwā che è la risposta dei giurisperiti (fuqahā sing. faqīh) al quesito del giudice per accertare se una data fattispecie sia regolamentata dalla Sharī'a e in quale modalità applicare il disposto. In questo caso il faqīh viene chiamato Muftī ossia chiunque sia istruito e i cui sentimenti religiosi siano riconosciuti può emanare una fatwā. Anche i privati e il governo possono richiedere una fatwā. Il giudizio del qādī è inappellabile ed è privo di motivazioni. Non esiste un principio che vincoli il giudice al rispetto del precedente.

Il diritto dei paesi islamici modifica

I contatti con il mondo occidentale hanno riattivato il dibattito circa la necessità di ammodernamento di un diritto, quale quello della Sharī'a che come abbiamo visto è immutabile. È chiaro che le reazioni a queste riflessioni sono state varie. Tra queste vanno segnalate quelle di ferma opposizione alla modernità come quelle del movimento wahhavita nell'Arabia centrale di scuola hanbalita e che prescrivono un ritorno alle fonti del Corano e della Sunna unica salvezza alla corruzione della modernità. Rigettano l'uso del qiyās (ragionamento analogico), della ra'y (opinione personale), diffidano del criterio ermeneutico dell' istihsan (equità) e non ritengono l' ijmā' fonte del diritto. La loro fortuna è legata a quella della famiglia al-Sa'ud che nel corso del XX secolo procederà ad unificare e governare l'attuale Arabia Saudita. È impossibile poter trattare di tuttla la complessa storia del dibattito tra modernità e tradizione nell'Islam. Esemplificativamente si può tener conto quanto successo di recente ad opera di alcuni movimenti (detti "riformisti") che hanno acceso sicuramente il dibattito sulla immutabilità della Sharī'a dando vita a cottenti contrastanti:

  • Integralisti o Conservatori: Contrastano l'occidentalizzazione della società islamica. Tra essi si ricordino il movimento dei Fratelli Musulmani sorto con Hassan al-Bannā' (1906-1949) nel 1928 per promuovere la dignità e il riscatto dei lavoratori egiziani impegnati nella zona del Canale di Suez e attualmente ancora un movimento attivo in Egitto.
  • Riformisti: Guidati dall'intellettuale Muhammad 'Abduh (1849-19059 al Cairo nella moschea-università di Azhar che vogliono la riapertura della porta dello sforzo e ricominciare ad interpretare il diritto sciaritico attraverso i nuovi strumenti considerando non più vincolante l'imitazione (taqlīd). Forti sono state le resistenze della Comunità islamica a questo movimento.
  • Il c.d. "Islam politico": Con al vertice l'intellettuale pakistano al-Mawdūdīī (1903-1979) che ha elaborato un concetto di teo-democrazia. L'Islam è visto come universale ed comprende la sottomissione e la supremazia della Legge sacra. La Legge sacra non deriva dalla tradizione ma dalle radici dell'Islam e proprio perché non è basata su consuetudini o tradizioni di alcun popolo in particolare è eternamente applicabile. Da essa ne deriva il sistema politico islamico che vede come regime universale il fondamento dell'uguaglianza tra le persone che attribuisce ad ciascuno diritti in egual misura e i cui principi sono universali. Umma non significa "nazione" in senso occidentale ma "comunità" coesa sotto il profilo prima religioso e più giuridico. Questo pensiero, elevato in forma radicale, porta a considerare l'Islam come una ideologia e pratica rivoluzionaria che punta a distruggere l'ordine sociale del mondo. La jihādh è quindi la lotta rivoluzionaria volta realizzare l'Islam in un paese.

Tutte le teorie hanno un fondamento comune e che consiste nel fatto che tutte le riforme devono trovare come base l'insegnamento dell'Islam delle origini.

È pur vero che già nel passato la dottrina islamica ha riconosciuto la possibilità che una autorità legittimata possa, nel suo esercizio, creare regole imperative nuove. Tali regole vincolanti, pur non essendo Sharī'a, sono conosciute come Siyāsa Shar'iyya. Essi devono consistere in atti del governo caratterizzati dalla giustizia ed efficacia oltre che della conformità con la Sharī'a. Inoltre, dato la loro caratteristica di autonomia dal diritto rivelato e il fine che si prefiggono di amministrazione della cosa pubblica esse vanno rispettate da tutti (musulmani e non musulmani). A seconda delle scuole dell'Islam si disputa sul fatto che il qādī si o meno obbligato ad applicarle (secondo la scuola hanafita e sciafiita non vi è obbligo mentre la scuola malikita afferma la sua esistenza e anzi sta proprio al qādī applicarle). Storicamente la Siyāsa è stata sicuramente favorita dai Turchi ottomani che proprio attraverso di essa hanno potuto radicare la Sharī'a nel loro vasto impero. Proprio per creare una Siyāsa di supporto alla Sharī'a tra il 1826 e il 1878 l'impero ottamano diede inizio alle c.d. "riforme benefiche" [Tanzimāt] volte a creare un sistema di regole a tutela della vita, salute, proprietà dei sudditi, regole fiscali e per la riscossione equa delle imposte. Si riconosceva la libertà di culto e si imponeva di evitare espressioni di insulto verso i non musulmani. L'ammissione alle scuole e all'amministrazione pubblica diventava indipendente dalla religione di appartenenza. Si promulgò addirittura una Costituzione nel 1876, anche se fu quasi subito abrogata ma che comunque segnava come si era spinto' in là il ruolo autonomo del potere legislativo, e nel 1869-1876 il famoso Mağalla (Mecelle) che fu abrogato in Turchia nel 1926 ma in molti altri paesi del disciolto Impero ottomano rimase in vigore per molto altro tempo (si pensi ad Israele che l'ha abrogato solo nel 1984. Per quanto riguarda le riforme giudiziarie, esse già erano iniziate con il regime delle "Capitolazioni" (XV-XVI secolo d.C. fino al Trattato di pace di Losanna che concludeva l'esperienza dell'Impero ottomano). Esse erano accordo internazionali con cui i francesi assicuravano ai suoi cittadini non musulmani che riesidevano in Medio Oriente per ragioni commerciali l'applicazione delle proprie leggi. Il regime delle capitolazioni si andò a mano a mano ad allargare e si estese ai rapporti tra europei e musulmani al punto che ci fu la creazione di tribunali misi (1874) che giudicavano queste controversie accanto ai tribunali sciaraitici.

Le conseguenze che si rinvengono nel gioco dialettico tra tradizione e modernità, all'interno di questa tradizione giuridica riguardano:

  • L'intervento dello Stato nel dominio del diritto a base religiosa.
  • La recezione di modelli occidentali, soprattutto europei.

Sia l'intervento statale che la recezione del diritto straniere sono state sicuramente due fonti di spinta, sin dal periodo coloniale, verso la modernizzazione e occidentalizzazione delle regole del diritto islamico. Si possono distinguere due fasi: quella coloniare o comunque di influenza politica occidentale e quella a seguito dell'Indipendenza dal dominio coloniale. Nella prima fase vengono adottati modelli sulla base di quelle delle democrazie europee quindi liberali o repubblicani a seconda dell'area di soggezione 8esempio inglese in Iraq, francese in Siria, talvolta si alternano nel medesimo paese) oppure il modello socialista (esempio in Algeria e Siria). È in questa fase che si cerca di adattare la nozione di "Stato-Nazione" in un contesto come quello islamico dove è chiaramente in conflitto con un diritto a base fortemente religiosa. La seconda fase ha invece inizio con l'Indipendenza e culmina con il c.d. "revivalismo islamico", marcato dal progressivo rifiuto dei modelli europei e occidentali: abbiamo la promulgazione di nuove Costituzioni (come in Egitto dove la Sharī'a diventa fonte principale del diritto o in Iran a seguito della vittoria islamica del 1979), viene introdotto il controllo accentrato di costituzionalità delle leggi accentrato (ispirato al modello francese negli anni 70' in Algeria, Libano, Marocco o austriaco a seconda delle aree di influenza) o diffuso (per via giurisprudenzale dal 1948 successivamente in Yemen, Kuwait), vengono infine istituite corti d'appello e di cassazione e il giudice monocratico lascia il posto al giudice collegiale. Viene toccata anche l'area del diritto penale dove vengono legiferate le aree di reati doce la scelta della pena spetta al giudice. Ma viene toccato anche l'area del diritto commerciale e civile dove il legislatore si basa su modelli occidentali. Tre sono i modelli principali di occidentalizzazione del diritto privato nell'area islamica:

  • Il primo prototipo di potere islamico che usa a strumenti giuridici occidentali fu l'Impero turco. Gli ottomani imitarono i francesi sotto due profili: 1) con l'adozione di un sistema dualista che divideva il diritto commerciale dal civile e 2) con il Mecelle che consolidava le norme di diritto musulmano hanafita (la scuola sunnita meno conservatrice) un po' come avvenne con il Code Napoleonico. L'ordine seguito era quello del fiqh ma le norme, a differenza della tradizione islamica che voleva l'esposizione casistica, in questo caso sono generali e astratte sotto forma di articoli (oltre 1800).
  • Un secondo esempio di occidentalizzazione è dato dall'Egitto che mosso dai frequenti rapporti commerciali con gli europei ha adottato un codice "misto" su modello francese (si pensi alla previsione di due codificazioni diverse tra diritto privato e commerciale). Non venivano comunque regolate le materie di diritto di famiglia e successorio ossia attinenti allo status delle persone. Nel 1949 subentrava un nuovo codice che era applicato anche ai rapporti fra egiziani. I modelli in questo caso erano italiano, belga e anglo-indiano. Questo testo di 1149 articoli è stato considerato davvero un vero e proprio codice arabo che ha consacrato il diritto islamico quale fonte formale del diritto egiziano ed è stato adottato anche in Siria, Iraq, Libia, Somalia, Algeria, Giordania e Kuwait.
  • Un terzo esempio è quello sviluppato nei due protettorati francesi del Maghrebe Tunisia e Marocco. Essi hanno regolato in un codice solo obbligazioni e contratti. La consolidazione Santillana, dal nome del giurista David Santillana (1855-1931), prodotta in francese recepiva l nozioni della scuola sunnita malikita (più conservatrice) ed era organizzata nello schema romanistico. Entrò in vigore in Tunisia nel 1906 e fu recepito in Marocco nel 1913. Le successive traduzioni in arabo avrebbero creato nei due paesi due versioni differenti di regole. La due consolidazioni sono state modificate una volta raggiunta l'Indipendenza (Tunisia e Marocco nel 1956).

Così ad inizio XX secolo d.C. al qādī spettavano solo le questioni attinenti allo statuto personale del musulmano. Tuttavia anche questo ambito (diritto delle persone, della famiglia, e delle successioni) non tarderà ad essere coinvolto dallo slancio riformista del legislatore. Dal secondo dopo guerra infatti sono molti i paesi dove il potere politico ha codificato il diritto islamico di famiglia (esempio Tunisia, Marocco, Algeria, non in Egitto dove si è preferito adottare una serie di leggi in materia di statuto personale e di norme processuali in materia di diritto di famiglia).

Il legislatore, come abbiamo visto, quindi, anche in questi paesi assume sempre più un ruolo crescente fondamentale. Un diritto creato dall'uomo si riscontra anche nei paesi islamici. Tuttavia esso dovrà sempre confrontarsi con la persistente presenza della Sharī'a. Le regole del codice dovranno cedere a quelle della tradizione. Spetterà sempre all'interprete mediare fra tradizione e modernità.