Storia della lingua latina

Come è ormai ampiamente assodato dagli studi comparativi, il latino appartiene al nutrito gruppo delle lingue "sorelle" (sanscrito, iranico, slavo, greco, italico, ecc.) derivanti dall'indoeuropeo, che, come è noto, non è un concetto etnico, ma essenzialmente linguistico.

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Storia della lingua latina
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Grammatica latina

Origini e fasi

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Il "protolatino" ebbe una diffusione geografica abbastanza ampia, penetrando dal Nord e arrivando a toccare infine il Lazio e forse anche la Sicilia (su tutta la questione dell'avvento dei protolatini cfr. L.R. Palmer, "La lingua latina", Torino, Einaudi, 1977, cap. II, "I protolatini in Italia", pp. 42–72) ; però, storicamente, il latino è la lingua di Roma: i romani esemplarono il loro alfabeto dai greci, sembra da Cuma, con probabili mediazioni etrusche, adattandolo alle proprie esigenze; eliminando, per esempio, alcune lettere greche ritenute inessenziali, come per esempio θ, ζ, φ e inserendone altre non presenti nel greco (f, u). Nella sua storia millenaria la lingua latina subì comunque notevoli influssi dal greco, sia per ragioni strettamente pratiche legate agli scambi commerciali sia per ragioni culturali ampiamente note.

Si contano nella storia del latino varie fasi, che vanno da quella più antica (latino pre-letterario e arcaico) a quella più matura (latino augusteo e classico) per finire all'epoca della trasformazione della lingua verso forme sempre più semplificate, che coincidono, grosso modo, con il latino post-classico e cristiano fino al tardo-latino.

Età classica

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Anche in epoca classica il latino conobbe due varietà di registri, che rapidamente si possono identificare in una lingua d'uso, quotidiana, meglio nota come "latino volgare"("lingua d'uso" e non "rozza") e una lingua letteraria, o, meglio, dei "generi letterari" coltivati dagli scrittori romani. La differenza tra lingua colta e popolare era sostanzialmente di "tono" o di stile, particolarmente visibile nel lessico, per cui, per esempio, la "spada" diventava "gladius" a livello di lingua d'uso, mentre era "ensis" nella lingua poetica: la stessa differenza tonale che passa tra "spada" e "brando" in italiano: la prima è usuale, la seconda sicuramente "poetica", che ben si attaglia, per esempio, allo stile della Tragedia.

L'espansionismo romano comportò, per così dire, una sorta di "esportazione" della lingua d'uso parlata normalmente sia dai legionari sia dall'enorme apparato burocratico che seguiva le conquiste, per cui i popoli romanizzati ebbero inevitabilmente a che fare soprattutto con soldati, funzionari e mercanti. Iniziava pertanto a diffondersi nell'impero la "rustica romana lingua", ovvero quella lingua che i vinti avevano dovuto imparare dal contatto con la romanità, e che a poco a poco, con il riflusso della potenza romana, si "specializzò" nelle varie regioni geografiche sino a dar vita alle lingue neolatine (italiano, spagnolo, francese, rumeno, portoghese, ecc.).

Latino ecclesiastico

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Il latino della letteratura fu salvaguardato dalla Chiesa, che da un lato salvò letteralmente, specie nei monasteri, una parte del patrimonio letterario antico, e dall'altro "piegò" la lingua latina ai propri fini liturgici e sacrali, facendone una vera e propria "lingua speciale", secondo R.L. Palmer. In effetti il latino cristiano fu a livello lessicale una lingua estremamente specializzata, con fortissimi influssi dal greco, che diventò una sorta di serbatoio dal quale la chiesa trasse tutta la propria nomenclatura sacra, a cominciare dal suo stesso nome, "Chiesa", che aveva le proprie radici nell'"ecclesìa" greca, sia pure attraverso lo spostamento dell'accento, "ecclèsia". I prestiti greci nel latino della chiesa sono dunque numerosissimi (si pensi al termine "pasqua", dal greco "Paska"). E la cosa si spiega facilmente allorché si pensa che i protagonisti dello sviluppo del cristianesimo parlavano greco, e che i testi evangelici, prima della traduzione di Girolamo, erano scritti in quel greco comune che era tipico dell'area mediterranea.

Medioevo

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Per tornare al latino medievale dei secoli VII e VIII, esso fu certamente imbarbarito (il "mediolatino"), ma tutto sommato fu anche l'unica lingua colta usata in tutta Europa, che successivamente venne in qualche modo ripristinata secondo parametri classici grazie soprattutto alla "Rinascita carolingia", che chiamò gli ingegni migliori a sanare una cultura che per vari versi sembrava ormai declinare verso una barbarie intollerabile. Se in Italia i testi scritti in latino possedevano ancora una certa dignità linguistica, ciò non era più vero specie in Gallia, dove l'ignoranza della lingua divenne talmente profonda che taluni scrittori, secondo Dag Norberg ("Manuale di Latino medievale"), avevano persino perduto, per così dire, il "senso logico" delle desinenze: l'impressione che si ricava in certi momenti è che scrivessero il latino letteralmente "a casaccio", per cui un "pro largitate tua", diventa nelle mani ormai inesperte di uno scrittore francese dell'epoca un insensato "pro pargitate tuae", con una confusione caotica dei casi, tanto che non v'era più alcuna differenza tra un genitivo e un ablativo. Di qui, dunque, l'importanza della svolta voluta da Carlo Magno, che chiamò dall'Italia e da altre nazioni uomini capaci di ristabilire le regole; fra questi v'era Paolo Diacono, che, d'accordo, a volte si faceva prendere la mano dalla lingua parlata, scrivendo per esempio "erabamus" (italiano "eravamo") al posto di "eramus"; però sia lui che gli altri che lo seguirono in Francia, da Pietro da Pisa a Paolino d'Aquileia, erano in grado di produrre testi latini a un livello più che dignitoso (sull'esempio riportato, V. Norberg, p. 47). Grazie comunque all'opera puntigliosa di quei dotti che furono chiamati a "restaurare" la lingua di Roma, i risultati furono eccellenti, tanto che la lingua della Scolastica fu, a detta di un esperto come Dag Norberg, un'operazione "geniale".

All'avvicinarsi dell'anno Mille, mentre la lingua latina scritta proseguiva la sua strada fatta di un sostanziale recupero delle forme regolari e di un rinnovato interesse per gli scrittori antichi (Virgilio in testa, e poi Ovidio, Cicerone, ecc.), grazie soprattutto allo sviluppo delle università, il latino cosiddetto "volgare", parlato, andava ormai trascolorando nelle varie parlate nazionali, come testimoniano i "Giuramenti di Strasburgo" o i "Placiti capuani" del 960 per quanto riguarda l'Italia: nascevano quindi in Europa le varie lingue neolatine.

Età rinascimentale

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Il latino conobbe una nuova e felice stagione in età umanistico-rinascimentale, con un ritorno alla classicità, più ideale che sostanziale. Come bene sottolineò Raffaele Spongano in un saggio ormai lontano, ma non superato (1946), premesso a "I primi tre libri della famiglia" di Leon Battista Alberti, i nostri umanisti erano profondamente convinti di aver ridato vita al latino classico, ma "…la struttura dei periodi è prevalentemente piana, la natura dei nessi sintattici prevalentemente coordinativa, certe formule stilistiche, proprie del latino antico vanno in disuso. Il latino medievale è morto, ma quello che sorge al suo posto non è nemmeno – se non fallacemente – il classico; è un nuovo latino, in cui la complessità antica cede il posto alla scioltezza moderna…Di Roma usavano i vocaboli e la morfologia, ma non il modo di atteggiare il pensiero…" (Cfr. "L.B. Alberti, "I primi tre libri della famiglia", a cura di R. Spongano, Firenze, Sansoni, 1946, p. VII).

Bibliografia

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  • Per una informazione generale, si veda il capitolo "La storia del latino" in Traina-Bernardi Perini, "Propedeutica al latino universitario", Bologna, Patron, 1971, vol. I, pp. 1–14.
  • A un livello di più alta specializzazione, V. Dag Norberg, "Manuale di latino medievale", Firenze, La Nuova Italia, 1974, "Breve storia del latino medievale", pp. 19–83.
  • Ottimo e molto dettagliato anche il volume di L.R. Palmer, "La lingua latina", Torino, Einaudi, 1977, "Lineamenti di storia della lingua latina", pp. 5–224.

Voci Correlate

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