Sindrome dell'intestino irritabile

La sindrome dell'intestino irritabile è una patologia funzionale caratterizzata della presenza di fastidio o dolore addominale ricorrente, e/o di alterazioni all'alvo e meteorismo.

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Sindrome dell'intestino irritabile
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Gastroenterologia

Eziologia

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La sindrome può essere causata da:

  • infezioni, che causano uno stato di infiammazione cronica della mucosa. Possiamo anche individuare una stimolazione continua anche dopo la risoluzione dell'infezione, per interazione di IL-1, TNFa, istamina e serotonina prodotte in loco con le terminazioni nervose.
  • alterazione della motilità intestinale, che può essere accelerata o rallentata.
  • cause psichiatriche: in particolare possiamo trovare una somatizzazione di traumi psichici (nei PTSD, ad esempio veterani di guerra o vittime di abusi sessuali).
  • fattori genetici.
  • stress.

Epidemiologia

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Sembra che questa patologia sia presente nel 20-30% della popolazione, maggiormente nelle donne (presumibilmente per motivi ormonali).

Clinica

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La presentazione della sindrome dell'intestino irritabile è piuttosto aspecifica, e molte volte si può sovrapporre alla dispepsia, anche se generalmente a differenza di quest'ultima coinvolge meno i quadranti superiori, o con la celiachia.

Per la diagnosi di SII si ricorre ai criteri di Roma III che comprendono:

  • Presenza dei sintomi cardine come sensazione di fastidio o addirittura algia addominale, gonfiore, alterazioni dell'alvo in senso diarroico o viceversa stitico (generalmente i sintomi si alleviano in corrispondenza dell'evacuazione).
  • Comparsa dei sintomi da almeno 6 mesi, con sintomi presenti almeno 3 giorni negli ultimi tre mesi.

Possiamo individuare diverse tipologie di presentazione sindromiche, ad esempio prevalenza di stipsi, o di dolore, o di diarrea, o quadri misti.

Diagnosi

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Innanzitutto occorre escludere qualsiasi causa rilevabile di patologia intestinale (ad esempio andando a ricercare anemizzazioni, stati infiammatori cronici o parassitosi). Può essere utile ricorrere all'analisi della calprotectina fecale, proteina prodotta dai neutrofili i cui livelli sono associati alla presenza di infezioni del lume intestinale. Una sua positivizzazione può rendere necessaria una colonscopia.

Va sempre esclusa la celiachia, facilmente sovrapponibile, con la ricerca di anticorpi anti-transglutaminasi.

Escludere anche una intolleranza o malassorbimento del lattosio. Nei primi anni di vita l'enzima lattasi scinde il lattosio assunto con la dieta in galattosio e glucosio: alcuni individui tendono a perdere la produzione di tale enzima (si stima circa un terzo della popolazione abbia questo deficit: tra le varie cause, si ritiene possa essere dovuto ad una mancata somministrazione di latte durante l'età neonatale e infantile), con risultante accumulo di lattosio che per osmosi penetra attraverso la parete intestinale dando gonfiore addominale e diarrea. Esistono forme di intolleranza secondarie, ad esempio, a gastroenteriti, le quali comportano una perdita dell'orletto a spazzola del lume e conseguente malassorbimento.

Esistono poi microinfiammazioni, ad esempio coliti, talmente ristrette da non essere individuabili sebbene presenti, che non venendo diagnosticate continuano indisturbate a causare alterazioni mucosali.

In presenza di criteri specifici, quali:

  • età superiore ai 50 anni
  • diarrea cronica
  • calo ponderale
  • insorgenza acuta
  • sangue fecale
  • febbre
  • comparsa notturna dei sintomi
  • impossibilità di svolgere le normali azioni quotidiane
  • familiarità per patologie (neoplastiche e non) del colon

siamo assolutamente autorizzati a ricorrere immediatamente ad una colonscopia.

Trattamento

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Trattamento dietetico

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Al paziente va subito chiarito che l'attività intestinale può avere normali fluttuazioni, per cui è inutile parlare di patologia franca alla prima visita: ancora più importante è evitare che il paziente esegua diete depletive ingiustificate, che oltre all'inutilità possono essere dannose.
Un alimento non va eliminato a meno che non sia stato acclarato come fonte dei problemi (ad esempio il glutine nella celiachia): va ricordato che spesso gli alimenti che danno gonfiore sono quelli meno digeribili, ad esempio legumi e carboidrati complessi. I polioli (sorbitolo e xilitolo) presenti in alcune caramelle e gomme senza zucchero hanno attività lassativa in quanto permangono nel lume intestinale richiamando per osmosi acqua nel lume intestinale.
Pertanto, domandando al paziente se assuma particolari alimenti possiamo cercare di equilibrare la sua dieta (fermo restando che un paziente ghiotto di legumi che arriva in ambulatorio con la pancia gonfia non deve destare fino a prova contraria particolari preoccupazioni).

L'alvo va regolarizzato. Se il paziente è stitico (e la stipsi non è di natura organica) va consigliata l'assunzione di fibre idrosolubili, presenti ad esempio in alcuni tipi di alghe e cucurbitacee (zucchine, zucca e cetrioli), mentre va evitata la crusca a meno che non sia accompagnata dall'assunzione di quantità ingenti d'acqua.

La cosa fondamentale è far capire al paziente che una dieta varia (nonostante le accortezze che variano da caso a caso) è fondamentale e previene una buona parte di problemi legati al transito nell'intestino

Trattamento farmacologico

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Se l'alvo è stitico, sono indicati lassativi osmotici e fibre idrosolubili. Viceversa nell'alvo diarroico sono consigliati un supporto dietetico adeguato o farmaci addensanti (es. diosmectite), cercando di limitare l'uso di farmaci antidiarroici dome la loperamide.

Il dolore va trattato con antispastici (es. Buscopan) e/o analgesici veri e propri, possibilmente non i FANS (che nei trattamenti cronici tendono a dare come noto erosioni della mucosa gastrica).

Il gonfiore può essere facilmente risolto con l'assunzione di probiotici, o di antibiotici quali la rifaximina per eliminare eventuali batteri fermentanti.

Nel caso in cui sia stata acclarata un'origine infettiva della sindrome dell'intestino irritabile, può essere utile ricorrere all'assunzione temporanea di mesalazina, una FANS normalmente impiegato nel trattamento della rettocolite ulcerosa.

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