Letteratura religiosa del XIII secolo (superiori)

Tra i primi componimenti in lingua volgare sorse, soprattutto in Umbria, una letteratura in versi a carattere religioso scritta nei vari dialetti locali e per lo più anonima. Si usa collocare nel 1260 la nascita della lirica religiosa, al tempo in cui sorse a Perugia, sotto la guida di Raniero Fasani, la confraternita dei Disciplinati che usava come mezzo di espiazione la flagellazione pubblica.[1] Il rito veniva accompagnato da canti corali che avevano come schema la canzone a ballo profana. Attraverso le laude, liriche drammatiche, pasquali o passionali secondo l'argomento religioso trattato, il movimento si diffuse in tutta l'Italia del Nord stabilendone il centro a Perugia e ad Assisi. Ma è il Cantico di Frate Sole o Cantico delle creature di san Francesco d'Assisi ad essere considerato il più antico componimento in volgare italiano, mentre solamente con Jacopone da Todi la lauda assunse una dimensione artistica.

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Letteratura religiosa del XIII secolo (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Letteratura italiana per le superiori 1
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Le laude

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Tra i più importanti generi della letteratura religiosa vi sono le laude, componimenti che cantavano le lodi dei Santi, di Cristo e della Madonna, e che vengono spesso raccolte in manoscritti chiamati "laudari" (raccolte di laude) per le confraternite religiose. Si tratta spesso di laude scritte sotto forma di dialogo con carattere di dramma sacro che venivano recitate in ricorrenze religiose di una certa importanza con l'accompagnamento musicale.

Le laude di questo periodo sono quasi tutte anonime e vengono soprattutto dalla Toscana, dall'Umbria, dalle Marche, dall'Abruzzo e dall'Italia settentrionale e conservano, nella povertà della loro struttura sintattica, un carattere molto semplice ma estremamente sincero. Vengono narrati gli episodi del Vangelo di maggior effetto, come i miracoli di Gesù e le vite della Vergine e dei santi. Tra le descrizioni meglio riuscite e piene di religioso e commosso sentimento, vi è quella della Vergine che guarda in contemplazione il Bambin Gesù e il pianto della Madre ai piedi della Croce.

Francesco d'Assisi

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Giotto, San Francesco rinuncia alle vesti, Basilica Superiore di Assisi

«La prima grande figura che incontriamo proprio sulla soglia della nostra letteratura del Duecento è quella di San Francesco d'Assisi» come scrivono sia Giuseppe Petronio[2] che Natalino Sapegno.[3] Di Francesco d'Assisi ci sono giunte alcune operette in latino e un cantico, scritto in volgare umbro, conosciuto come il Cantico delle Creature o Il Cantico di Frate Sole, che può essere considerato il primo testo in volgare italiano di alto valore poetico.[4]

Giovanni detti Francesco, nacque nel 1182 ad Assisi, figlio del ricco mercante Pietro Bernardone. Condusse una vita spensierata fino a quando, nel 1204, fu fatto prigioniero durante la guerra tra Assisi e Perugia ed ebbe una prima crisi religiosa. Tornato a casa, iniziò a occuparsi di poveri e ammalati, spendendo denaro in opere di bene. Il nuovo comportamento incontrò l'opposizione del padre, che lo portò al giudizio della corte vescovile. In quell'occasione Francesco si spogliò dei propri abiti e rinunciò ai beni paterni, iniziando il proprio apostolato. In breve raccolse alcuni seguaci e compose una Regola, che ottenne una prima approvazione da parte di papa Innocenzo III nel 1210. Per i suoi frati scelse il nome di «minori» in segno di umiltà, e contemporaneamente gli si affiancò il ramo femminile dell'ordine a opera di Chiara d'Assisi. Dopo un viaggio in Terrasanta per diffondere il Vangeolo, tornò in Italia, dove nel 1223 ottenne da Onorio III l'approvazione della Regola definitiva. Morì pochi anni dopo, nel 1226, ad Assisi.[5]

 

Il Cantico fu composto con ogni probabilità nell'ultima fase della vita del santo, quando questi soffriva di una malattia agli occhi. Si tratta di una preghiera composta da trentatré versetti privi di un metro preciso, che esalta Dio e il creato, mostrando al bellezza e la bontà del Sole, degli astri, dei quattro elementi, ma anche della sofferenza umana e della morte.[4] Secondo Natalino Sapegno, «il tipo di prosa ritmica e ritmata, che nella divisione irregolare dei versetti, sembra riecheggiare le forme della liturgia non trova rispondenza nella letteratura italiana contemporanea».[6]

Francesco possedeva, oltre che una profonda cultura religiosa, anche la conoscenza della letteratura cortese, evidente nei termini cortesi con cui esprimeva il suo rapporto con la povertà (definita come sua «amante») e nell'abitudine di chiamara se stesso e i propri compagni ioculatores Domini, cioè «giullari del Signore».[4]

La letteratura francescana

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Dopo la morte di Francesco nacque una fiorente letteratura francescana che proseguì anche nel Trecento.

Le biografie del santo

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La letteratura francescana produsse numerose biografie del santo scritte in latino e presto tradotte in volgare. Si ricordano soprattutto di Tommaso da Celano la Legenda prima, che venne scritta per commissione del papa Gregorio IX nel 1229, la Legenda secunda e la Legenda trium sociorum, redatta non come una vera biografia ma come una sequenza di episodi eccezionali, compiuti da san Francesco e dai suoi tre compagni (Leone, Rufino e Angelo), secondo il modello dei Fioretti. C'è poi lo Speculum perfectionis, redatta da uno scrittore anonimo che è stato il primo a tramandarci il Cantico delle creature.

La seconda biografia del santo di carattere ufficiale è quella che scrisse Bonaventura da Bagnoregio per incarico dell'Ordine dei Frati Minori, intitolata Legenda maior. Infine, ci sono gli Actus beati Francisci et sociorum eius considerati la prima fonte dei Fioretti in volgare.

Le mistiche nozze di San Francesco con Madonna Povertà

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«Comandò allora Madonna Povertà che fossero imbanditi nelle scodelle cibi caldi. Ed ecco fu portata una sola scodella piena d'acqua fredda perché tutti vi attingessero il pane.»

(Da Sacrum commercium sancti Francisci cum Domina Paupertate, autore ignoto[7])

Si deve a un autore ignoto, che da alcuni critici viene individuato in Giovanni Parenti, un'opera scritta in forma di allegoria nel 1227 dal titolo Sacrum commercium sancti Francisci cum domina Paupertate (Le mistiche nozze di San Francesco con Madonna Povertà), opera che influenzò sia le future biografie del santo, sia autori come Giotto e Dante. Di Dante troviamo infatti nel canto XI del Paradiso il panegirico di san Francesco, dove vengono evidenziate le nozze del santo con la Povertà.

Jacopone da Todi

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Jacopone da Todi ritratto da Paolo Uccello, 1435-36. Duomo di Prato

Sarà però con Jacopone da Todi e con lo Stabat Mater, una lauda dialogata dal linguaggio misto di parole del volgare umbro e di latinismi e dalla metrica che ripropone i modelli della poesia dotta, che la poesia religiosa raggiunge il suo apice. Poche sono le notizie sulla vita, per lo più ricavate dalle sue opere. Nato a Todi tra il 1230 e il 1236 dalla famiglia nobile dei Benedetti, svolse la professione giuridica e si allontanò dalla sua città nel 1268 in seguito alla conversione. Leggenda vuole che questa fosse avvenuta in seguito alla morte della moglie, avvenuta a causa del crollo si un pavimento durante una festa da ballo. Iacopone avrebbe così scoperto che la donna indossava un cilicio, uno strumento di penitenza. Dopo aver trascorso dieci anni in umiltà come mendicante, divenne frate laico francescano, si legò ai cardinali Pietro e Iacopo Colonna e svolse un'intensa polemica contro la corruzione all'interno della Chiesa. La situazione degenerò in vera e propria guerra durante il pontificato di Bonifacio VIII, e Jacopone fu prima scomunicato e poi arrestato in seguito all'assedio di Palestrina nel 1298. Fu liberato da Benedetto XI, successore di Bonifacio, nel 1303; ritiratosi nel convento di San Lorenzo di Collazone, vi morì nel 1306.[8]

 

Le opere di Jacopone risentono della sua travagliata vita, e in particolare del contrasto tra le gerarchie ecclesiastiche e il francescanesimo pauperistico. Fortemente legato alla mistica medievale, egli rinnega tutto ciò che è legato al corpo e alle cose terrene per mostrare la negatività del mondo: la vita umana è segnata dal male, dalla morte, dal vizio, da sentimenti e affetti privi di autenticità, tutti elementi descritti con crudo realismo in dialetto umbro. Anche la sua esperienza ascetica è di conseguenza tormentata, e la ricerca di Dio passa attraverso l'umiliazione di sé. Di fronte ai valori propugnati dalla società, egli sceglie la malattia e la follia («O Segnor, per cortesia, / manname la malsanìa»). A questo si accompagna la critica contro la Chiesa di Roma e lo sfruttamento materiale della religione («O papa Bonifazio, molt'ai iocato al mondo»).[9]

  1. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Einaudi, Torino, 2001, p. 44.
  2. Giuseppe Petronio, Compendio di storia della letteratura italiana, Palumbo, Firenze, 1968, pag. 26
  3. Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, vol. I, Dalle origini alla fine del quattrocento, La Nuova Italia, Firenze, 1956, pag. 52
  4. 4,0 4,1 4,2 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi, Torino, 2001, p. 64
  5. Giuseppe Petroni, L'attività letteraria in Italia, Palumbo, 1970, p. 41
  6. Natalino Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, vol. I, Dalle origini alla fine del quattrocento, La Nuova Italia, Firenze, 1956, pag. 53
  7. Il brano è tratto dalla volgarizzazione del testo da Carlo Salinari, C. Ricci, Storia della letteratura italiana con antologia degli scrittori e dei critici, Laterza, Bari, 1991, pag. 215
  8. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi, Torino, 2001, pp. 70-71
  9. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi, Torino, 2001, pp. 71-72