Letteratura e fascismo (superiori)

L'Italia esce vincitrice dalla prima guerra mondiale, ma deve scontare gravi problemi sociali ed economici. Nel clima di tensione che caratterizza i primi anni del dopoguerra trovano terreno fertile i fascisti guidati da Benito Mussolini, il quale nel 1922 riuscirà a ottenere il potere e in seguito a instaurare un regime totalitario. Il fascimo influenzerà profondamente la vita sociale, economica e culturale italiana nel periodo tra le due guerre, sia attraverso l'attività di propaganda sia attraverso l'esercizio della censura.

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Letteratura e fascismo (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Letteratura italiana per le superiori 3
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

L'Italia tra le due guerre modifica

  Per approfondire su Wikipedia, vedi le voci Fascismo e Seconda guerra mondiale.
 
Conferenza di pace di Parigi, 27 maggio 1919. Da sinistra a destra: David Lloyd George (primo ministro britannico), Vittorio Emanuele Orlando (presidente del Consiglio italiano), Georges Clemenceau (premier francese) e Woodrow Wilson (presidente statunitense)

Alla fine della prima guerra mondiale sono ormai distrutte le speranze di chi aveva visto nel conflitto una forza in grado di rinnovare la realtà italiana. Nonostante la vittoria, la società ne è uscita piegata a causa dell'enorme dispendio di risorse e di vite umane, mentre le condizioni della popolazione sono via via peggiorate. Già negli ultimi anni della guerra la classe operaia aveva chiesto la fine delle ostilità e aveva rivendicato la revisione dei rapporti tra i ceti sociali. Anche i nazionalisti sono rimasti delusi dal trattato di pace firmato a Versailles nel 1919, che ha annesso all'Italia il Trentino, l'Istria, la Venezia Giulia e l'Alto Adige, ma ha lasciato aperte alcune questioni di confine, a proposito delle quali gli irredentisti parlano di «vittoria mutilata». La città di Fiume nel 1919 sarà occupata da un manipolo di legionari guidato da D'Annunzio, il quale la dichiarerà città libera e la controllerà per alcuni mesi, prima di esserne allontanato con la forza. A tutti questi problemi si aggiunge poi la situazione dei reduci, che trovano difficoltà – anche economiche – a reinserirsi nella vita civile.[1]

Nel 1920 Giovanni Giolitti torna per pochi mesi alla guida del governo, ma i suoi tentativi di pacificazione falliscono davanti alla gravità delle tensioni sociali in corso. Nuovi contrasti nel Partito Socialista portano a una scissione: i marxisti più ortodossi guidati da Gramsci danno vita, con il congresso di Livorno del 1921, al Partito Comunista Italiano (PCI). Intanto, in questo clima chi si rafforza sono i Fasci di Combattimento, il movimento fondato e guidato da Benito Mussolini, ex socialista rivoluzionario ed ex direttore dell'Avanti!. Interpretando i malumori della classe medio-borghese dovuti alla crisi economica, Mussolini incasserà poi i consensi della borghesia agraria e industriale, spaventata dalla possibilità che i comunisti prendano il potere. Fin dal 1919 i Fasci si rendono protagonisti di episodi di violenza squadristica ai danni dei socialisti. Nel gennaio 1921 Mussolini dà vita al Partito Nazionale Fascista (PNF) e, approfittando dell'incertezza politica, nell'ottobre 1922 organizza la "marcia su Roma": la capitale viene occupata simbolicamente dai fascisti, che chiedono le dimissioni del governo Facta. Il 28 ottobre Mussolini, nonostante il PNF alle precedenti elezioni del 1921 abbia ottenuto solo pochi seggi, riceve dal re Vittorio Emanuele III l'incarico di formare il nuovo esecutivo.[2]

 
Benito Mussolini durante un discorso a Milano nel 1930

È solo la prima di una serie di tappe che porteranno Mussolini a instaurare un regime totalitario che durerà per un ventennio. Nel 1924 l'alleanza tra il PNF e i conservatori conduce alla vittoria elettorale; tuttavia, proseguono le intimidazioni e le violenze contro gli oppositori, che sfociano nell'omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti. Il fatto di sangue genera riprovazione nell'opinione pubblica, e le opposizioni si ritirano per protesta sul colle Aventino, senza però riuscire a esprimere un'alternativa in grado di abbattere concretamente il governo. Mussolini procede quindi con una serie di atti che limitano l'attività delle opposizioni: il 3 gennaio 1925 viene cancellata ogni forma di opposizione costituzionale, mentre nel 1926 è abolita la libertà di stampa. Sempre nel 1926 i sindacati sono aboliti e sostituiti dalle corporazioni, le quali però seguono le direttive provenienti dallo Stato. Per quanto riguarda la politica interna, la favorevole congiuntura economica del 1923-25 favorisce la ripresa dell'industria, mentre vengono varate importanti riforme agrarie. La crisi internazionale del 1929 induce Mussolini a optare per l'autarchia, cioè rendere l'Italia autonoma dal punto di vista economico e produttivo. Con i Patti Lateranensi del 1929 vengono poi appianati i contrasti tra Stato italiano e Chiesa cattolica, mettendo fine alla questione romana.[3]

La propaganda del regime mira ad affermare la grandezza dell'Italia a livello internazionale, anche attraverso l'esaltazione delle gesta in ambito sportivo. Si crea così un culto dello sport, strettamente legato al mito di Roma e della razza latina. Questo è evidente da varie espressioni della retorica fascista, a cominciare dal titolo che Mussolini si attribuisce: Duce, dal latino dux, comandante. A questo è collegata anche la politica imperialista fascista, che porta alla conquista dell'Etiopia nel 1936.[4]

Intanto, negli anni trenta, dittature di estrema destra prendevano il potere anche in Germania (1933) e Spagna (1939). Il regime nazista di Adolf Hitler, in particolare, si rende protagonista di crudeli repressioni contro le minoranze, che sfociano nello sterminio di massa e nel genocidio ebraico. La sua bellicosa politica estera porta inoltre allo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939. L'Italia fascista, alleata della Germania hitleriana, entrerà in guerra solo nel 1940, nella convinzione che il conflitto si sarebbe concluso in breve tempo in favore dei tedeschi. Tuttavia, con il precipitare della situazione, Mussolini viene deposto nel 1943 e incarcerato; riuscito a evadere, si rifugia a Salò, dove dà vita alla Repubblica Sociale, alleata dei nazisti. Si apre così il fronte della lotta partigiana, che terminerà con la sconfitta dei nazi-fascisti nel 1945.[4]

Politica culturale fascista modifica

Fin dall'inizio, il regime fascista tenta di controllare l'intera società italiana in ogni sua manifestazione, allo scopo di costruire una solida base di consenso. Per farlo, Mussolini affidati a suoi uomini di fiducia le funzioni culturali più importanti all'interno dello Stato. Dopo il 1926 la resistenza al fascismo diventa un crimine contro lo Stato, punito con il carcere, il confino o l'esilio; vengono presi inoltre provvedimenti che sopprimono la libertà di stampa e impediscono la libertà d'espressione. A tutto ciò si accompagna la strategia di creare il consenso attraverso un'informazione pilotata.[5]

L'azione di propaganda si esercita attraverso i nuovi mezzi di comunicazione di massa, come la radio, il cinema e i giornali. Le attività editoriali e letterarie vengono sottoposte al controllo del Ministero della Cultura popolare, che negli anni della guerra è guidato da Corrado Pavolini. I funzionari del Ministero leggono preventivamente ogni opera prima di autorizzarne la pubblicazione: viene censurato il romanzo di Carlo Bernari Tre operai, per i contenuti sociali e politici; anche L'uomo è forte di Corrado Alvaro viene censurato poiché il suo contenuto può suggerire confronti con il totalitarismo del regime. Un caso emblematico è costituito dalla complessa vicenda di Americana, un'antologia di scrittori statunitensi preparata da Elio Vittorini. L'opera, già interamente impaginata e pronta per essere pubblicata, viene fermata e in seguito potrà uscire solo dopo che le pagine scritte da Vittorini sono state eliminate. Questo caso può spiegarsi con il clima generato dalla guerra, ma i presupposti risalivano a molto tempo prima.[6]

La più importante opera culturale durante il fascismo è l'Enciclopedia italiana, pubblicata in 35 volumi sotto la direzione di Giovanni Gentile dall'editore Treccani, tra il 1929 e il 1937.[6]

Diffidenza verso la cultura di altri paesi modifica

Il culto dell'italianità porta a guardare con sospetto alle esperienze culturali degli altri paesi, in particolare quelle provenienti da Russia e Stati Uniti. Il regime boicotta anche il nuovo genere di massa del romanzo giallo, che pur non venendo ufficialmente proibito, viene criticato dai maggiori intellettuali del regime. Uno dei pochi autori che si cimentano in polizieschi è Alessandro Varaldo, il quale propone l'italianizzazione il genere: l'investigatore protagonista dei suoi romanzi è infatti un'incarnazione del modello di comportamento fascista. La difesa dell'italianità porta all'affermazione dell'autarchia anche in campo culturale, così come era già avvenuto nell'economia nazionale. Uno dei provvedimenti presi in questa direzione è la lotta contro le parole straniere, di cui si propone l'abolizione e la sostituzione con termini italiani equivalenti.[7]

Intellettuali e fascismo modifica

Consensi al regime modifica

 
Giovanni Gentile

L'affermazione del fascismo può però ben presto contare sul massiccio appoggio degli intellettuali, come il filosofo Giovanni Gentile, che sarà promotore del Manifesto degli intellettuali fascisti, con cui i numerosi firmatari garantiscono l'approvazione al regime. L'adesione degli intellettuali al fascismo presenta, sul piano culturale, motivazioni diverse. Gabriele D'Annunzio, per esempio, rappresenta un modello illustre al quale si ispira lo stesso Mussolini ma, nonostante ciò, finisce per essere ben presto dimenticato.[8]

Contraddittorio è il rapporto stabilito con il fascismo da Filippo Tommaso Marinetti. Nonostante le convinzioni nazionalistiche e totalitarie, si scontra con l'inconciliabilità fra l'ordine politico imposto da Mussolini e il disordine programmatico su cui si basa il futurismo.[9]

Dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti, in una fase di grande debolezza per il fascismo, Luigi Pirandello firma il Manifesto degli intellettuali fascisti. Il suo è un gesto anticonformista e volutamente provocatorio, in spregio alla morale borghese ritenuta meschina, ma la sua opera comunque sarà sempre lontana da ogni forma di compromesso con le scelte politiche di quegli anni.[10] Altrettanto netto è il distacco fra le convinzioni fasciste di Giuseppe Ungaretti e il carattere del tutto apolitico della sua poesia.

Tuttavia si deve sottolineare che anche sotto il regime fascista rimane vivace l'interesse per il confronto letterario, grazie soprattutto alle riviste fiorentine, come Solaria, alla quale collaborano autori come Eugenio Montale o Carlo Emilio Gadda.

Non vanno dimenticati Giovanni Papini, Ardengo Soffici e Giuseppe Prezzolini, gli animatori di riviste letterarie come Mino Maccari e Leo Longanesi e lo scrittore Curzio Malaparte che nel dopoguerra aderirà al PCI. L'unico intellettuale non fascista a godere di un trattamento particolare è Benedetto Croce, filosofo idealista (come il fascista Giovanni Gentile), per il cui altissimo prestigio non verrà mai perseguitato ma solo controllato. Croce può così proseguire la sua attività di studioso, a patto di non intervenire direttamente su questioni di carattere politico.[11]

Opposizioni modifica

 
Energie Nove, rivista fondata da Piero Gobetti

Altri intellettuali sono invece costretti ad abbandonare l'Italia, sia per evitare il carcere, sia per poter continuare la loro azione: è il caso di Ignazio Silone e Emilio Lussu. Quet'ultimo, in particolare, dopo essersi rifugiato in Francia, dà vita al movimento antifascista di Giustizia e Libertà.[10] Meno civili sono invece i provvedimenti presi nei confronti di Antonio Gramsci e Piero Gobetti. Entrambi, anche se con programmi molto diversi, si trovano in prima linea nel combattere un'accanita battaglia contro il fascismo. Il regime è costretto a ridurli al silenzio: Gramsci muore in carcere mentre Gobetti ripara a Parigi, dove muore poco dopo a causa di un'aggressione squadristica.[12]

A Torino nasce un gruppo di intellettuali contrari al fascismo, guidati dal professore liceale Augusto Monti. Il gruppo, riunito intorno alla rivista La Cultura e all'attività dell'esordiente casa editrice Einaudi, fa della cultura uno strumento di ricerca autonoma e in un secondo momento arriverà a dedicarsi alla cospirazione politica. Tra gli intellettuali coinvolti si possono ricordare Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Federico Chabod e molti altri.[10]

Riviste modifica

  Per approfondire su Wikipedia, vedi la voce Solaria.

Un ruolo significativo nell'elaborazione e nella diffusione degli atteggiamenti culturali del periodo tra le due guerre è svolto dalle riviste. Tra queste, molto importante è la rivista fiorentina Solaria, fondata da Alberto Carocci nel 1926. Del tutto indipendente dai condizionamenti del potere politico, ha come vocazione la diffusione di un gusto per la narrativa della memoria e contribuisce alla diffusione dell'ermetismo. Ha inoltre il merito di aver fatto conoscere ai lettori italiani autori stranieri come Joyce, Kafka, Proust.[13]

Il Selvaggio ha invece un rapporto diretto con la politica. Viene fondato nel 1924 da Mino Maccari, il quale gli dà un taglio polemico e satirico, utilizzando anche il disegno e la grafica. La rivista rappresenta il movimento comunemente definito Strapaese, che sostiene il carattere rurale e paesano della cultura italiana, rifiutando polemicamente la cultura straniera e moderna. Tutto ciò viene identificato con lo spirito del nascente fascismo e per questi motivi diventa portavoce di alcuni manifesti fascisti. Al movimento di Strapaese si oppone quello di Stracittà, che critica la fedeltà alla tradizione, proponendo un'arte popolare ma moderna, calata in una dimensione urbana e industriale. Quest'ultimo ha il suo organo nella rivista 900, fondata e diretta a Roma da Massimo Bontempelli.[14]

 
Pirandello e Sinclair Lewis, ospiti del loro editore Arnoldo Mondadori, nel 1932

Editoria modifica

A Bari prosegue l'attività della casa editrice Laterza, che continua la pubblicazione delle opere di Benedetto Croce. Altro centro importante è Firenze, dove assume particolare rilievo, nell'ambito saggistico, la casa editrice Sansoni, il cui consulente più autorevole è Giovanni Gentile.

La casa editrice Einaudi viene fondata nel 1933 da Giulio Einaudi, e svolge un'azione anticonformista e polemica nei confronti delle direttive del regime.

Nel 1939 la Treves, storica casa editrice italiana celebre per aver pubblicato le opere di D'Annunzio, Pirandello e altri grandi della letteratura contemporanea, viene assorbita dalla Garzanti. Cresce intanto il successo della Arnoldo Mondadori in qualità di editore dei maggiori scrittori contemporanei. Con la Mondadori, inoltre, inizia il processo di trasformazione che porterà l'editoria italiana del secondo dopoguerra a diventare un settore industriale in senso moderno.

Non si può infine dimenticare l'attività di Valentino Bompiani, che ben presto raccoglie attorno alla sua giovane casa editrice (fondata nel 1929) alcuni tra i più importanti scrittori del Novecento, come Alvaro, Brancati, Moravia (e, più tardi, intellettuali del calibro di Umberto Eco).[15]

Note modifica

  1. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 38.
  2. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 38-39.
  3. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 39.
  4. 4,0 4,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 40.
  5. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 40.
  6. 6,0 6,1 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 42.
  7. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 42-43.
  8. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 45.
  9. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 45-46.
  10. 10,0 10,1 10,2 Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 46.
  11. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 43.
  12. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 43-44.
  13. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, pp. 48-49.
  14. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 47.
  15. Guido Baldi, Silvia Giusso, Mario Razzetti e Giuseppe Zaccaria, Dalla Scapigliatura al Postmoderno, in Moduli di storia della letteratura, Torino, Paravia, 2002, p. 50.