Le prove del processo civile

Le prove nel diritto processuale penale italiano sono disciplinate dal Libro III del Codice di Procedura Penale. L'art. 187 c.p.p., norma di apertura del Titolo I, chiarisce che

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Le prove del processo civile
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto processuale civile
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

«1. Sono oggetto di prova i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza.

2. Sono altresì oggetto di prova i fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali.

3. Se vi è costituzione di parte civile (76 s.), sono inoltre oggetto di prova i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato (74; 185 c.p.).» (Art.187 c.p.p. - Oggetto della prova)

Tipologie

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Prova materiale

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Si tratta di oggetti direttamente connessi ai fatti, prelevati dalle forze dipolizia italiane e custoditi dall'autorità giudiziaria, oppure di rilievi di polizia scientifica su tali oggetti.

Prova critica (o indizio)

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La Prova critica (o indizio) consiste in quel ragionamento che da un fatto provato (la cosiddetta circostanza indiziante) ricava l'esistenza di un ulteriore fatto da provare; questo può essere sia il fatto addebitato all'imputato (cosiddetto fatto principale), sia un fatto secondario (ossia un'altra circostanza indiziante). Il collegamento fra la circostanza indiziante e l'ulteriore fatto da provare è rappresentato da un'inferenza, la quale è fondata o su una massima d'esperienza o su una legge scientifica. L'indizio è funzionale alla ricostruzione di un fatto storico esclusivamente quando esistano altre prove che escludo una diversa ricostruzione dell'accaduto; ciò si desume dall'art. 192, comma 2, c.p.p., il quale afferma che "l'esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti". Da questa disposizione si ricava, in primis, che un solo indizio non permette di accertare un fatto; dalla stessa si ricavano, inoltre, le caratteristiche che debbono assumere le varie prove critiche affinché possano essere poste a fondamento del fatto storico che deve essere provato; esse devono essere:

  • Gravi: sono tali quegli indizi che abbiano un elevato grado di persuasività, in quanto resistenti alle obiezioni;
  • Precisi: sono tali quegli indizi che sono stati ampiamente provati;
  • Concordanti: sono tali quegli indizi che si orientano verso una medesima conclusione.

Le prime due caratteristiche attengono ai singoli indizi, mentre il terzo si riferisce alla totalità delle prove critiche a disposizione del giudice per la ricostruzione del fatto storico.

Prova storica (o rappresentativa)

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La Prova storica (o rappresentativa) consiste in quel ragionamento che da un fatto noto (ad esempio ciò che riferisce un testimone nel corso di una deposizione) ricava, per rappresentazione appunto, l'esistenza di un fatto da provare. Tale tipologia probatoria si distingue dalla prova critica in ragione non dell'oggetto da provare (che può essere sia il fatto principale, che uno secondario, quindi una circostanza indiziante), bensì della struttura del procedimento logico che è sotteso a questa tipologia probatoria: tramite la prova rappresentativa, infatti, si prova un determinato fatto storico mediante un fatto noto; tramite gli indizi, invece, un fatto storico viene provato grazie all'inferenza che lo lega ad un fatto già provato (inferenza basata su massime d'esperienza o regole scientifiche). Anche la prova storica deve essere sottoposta al vaglio di attendibilità da parte del giudice; in particolare l'autorità procedente deve effettuare un duplice controllo:

  • Credibilità della fonte di prova: il giudice deve verificare, ad esempio, quanto un testimone sia stato attento allo svolgimento del fatto che ha narrato;
  • Attendibilità dell'elemento di prova: il giudice, cioè, deve verificare quanto la rappresentazione del fatto ad opera della fonte di prova sia idonea a descrivere il fatto avvenuto.

Prova atipica

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Una prova si dice atipica, in senso generale e letterale, quando non trova disciplina all'interno del codice di procedura penale.

In verità, si precisa che lo stesso termine sottintende tre diversi significati. In un primo significato è atipica quella prova che mira ad ottenere un risultato diverso da quelli perseguiti dai mezzi di prova tipizzati dal codice di procedura penale. In questo caso il significato di atipicità si riferisce alle prove innominate perché non corrispondenti a nessuno dei mezzi tipici individuati dal codice.

In una seconda accezione è atipica quella prova che si svolge con modalità diverse da quelle previste da un mezzo di prova tipico. Qui l'atipicità consiste nella diversa modalità di svolgimento, con il rischio di svuotamento del mezzo di prova tipico (con le relative garanzie: cfr., ad esempio, la ricognizione informale).

In un terzo significato è atipica quella prova che mira ad ottenere mediante un mezzo di prova tipico il risultato di un diverso mezzo di prova, esso pure tipico. L'atipicità consiste nell'usare un mezzo di prova che persegue un determinato risultato per ottenere invece il risultato di un diverso mezzo di prova tipico.

Nel secondo e nel terzo significato l'atipicità non si riferisce a strumenti non compresi nell'elenco dei mezzi tipici del codice, ma nell'impiego di mezzi tipici, rispetto ai quali la diversità dal modulo legale consiste nel fatto che vengono impiegati in una sede diversa o per un uso diverso da quelli previsti dalla legge.

L'unico articolo del codice di procedura penale che né fa menzione è l'art. 189 c.p.p. il quale dispone:

"Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Il giudice procede all'ammissione sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova."

Tale articolo è connesso e rafforza l'art. 188 c.p.p.: "non possono essere utilizzati, neppure col consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti".

Fatto notorio e massime di esperienza

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Il fatto notorio è il dato di fatto che il giudice (e l'uomo medio) conosce come dato nozionistico comune e generale: rientra in tale fattispecie, ad esempio, la sussistenza di uno sciopero in un certo periodo, l'intervento di una calamità naturale, l'evento bellico, un fatto di cronaca particolarmente rilevante, una festività civile o religiosa. L'ambito di applicazione di tale istituto, inoltre, può essere relativizzato anche a seconda del settore in considerazione: se la causa verte su uno specifico ambito tecnico, il fatto notorio potrà essere riferito alla nozione comunemente conosciuta e accettata da parte degli operatori del settore in oggetto.

Per quanto concerne le massime d'esperienza invece, l'art. 115 c.p.c. prevede che il giudice "può ... senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza". In altre parole, la massima d'esperienza è una regola basata su dati scientifici o su esperienze qualificate nel tempo. Un esempio può essere dato dalle impronte digitali: se un'impronta presenta almeno 16 punti uguali (per forma e posizione) all'impronta dell'imputato, è corretto ritenere che l'imputato sia il soggetto che ha lasciato l'impronta medesima.

I gruppi delle prove penali

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La prova nel diritto processuale penale deve appartenere a tre gruppi:

  • complesso dei dati storici: integrano la fattispecie giudiziale che si enuncia nel capo d'imputazione, ovvero la dimostrazione che un imputato ha commesso materialmente e storicamente ciò che gli viene imputato
  • prova della punibilità ex art. 133 c.p.: dato che i dati storici non sono sufficienti a provare la colpevolezza dell'imputato, devono assumersi prove che escludano cause di giustificazione, cause di non punibilità ed infine la capacità di intendere e di volere
  • fatti per la determinazione della pena: fanno parte del gruppo precedente, i fatti che sono assolutamente indispensabili per la determinazione della pena, posto che ne deriva la capacità a delinquere del soggetto e la gravità del reato

Mezzo di prova e mezzo di ricerca della prova

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La distinzione fra mezzo di prova e mezzo di ricerca della prova è stata introdotta dalla riforma del 1988 ed ha un'importanza elevata:

  • mezzo di prova:

«l'esame dei testimoni e delle parti, i confronti, le ricognizioni, gli esperimenti giudiziali, la perizia e i documenti sono mezzi di prova che si caratterizzano per l'attitudine ad offrire al giudice risultanze probatorie direttamente utilizzabili in sede di decisione: sono mezzi destinati ad incidere in maniera risolutiva sull'esperienza del giudice» (Relazione al progetto preliminare del codice del 1988)

Appare evidente, i mezzi in considerazione rappresentano direttamente all'organo giudicante il fatto da provare.

  • mezzo di ricerca della prova:

«non sono di per sé fonte di convincimento, ma rendono possibile acquisire cose materiali, tracce o dichiarazioni dotate di attitudine probatoria» (Relazione al progetto preliminare del codice del 1988)

Manca l'elemento diretto atto a convincere il giudice: una perquisizione, ad esempio, non è un mezzo di prova, ma è diretto a ricercare prove.

Un'altra distinzione può farsi fra prova ed elemento di prova: quest'ultimo viene acquisito durante le indagini preliminari, ma acquista qualità probatoria solo se assunto in fase dibattimentale, salvo che non venga effettuato l'incidente probatorio.

I principi sull'assunzione probatoria

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L'assunzione delle prove è una fase molto importante e delicata, data l'incidenza che ha questo elemento riguardo l'esito del processo. Servono assolutamente, pertanto, principi che regolino o ispirino questo istituto. Si è dibattuto molto sull'eventualità dell'inserimento prima della riforma di un principio di tassatività della prova, ma alla fine non fu inserito per le critiche pesanti ricevute dalla commissione redigente che si appoggiavano ad una vistosa sfiducia per l'organo giudicante. Con un compromesso però, dato che il giudice non è totalmente libero: ex art. 189 c.p.p., la prova deve essere idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti e al contempo non deve pregiudicare la moralità della persona (188 c.p.p.).

Il principio maestro è quello dispositivo, espressamente previsto dall'art.190 c.p.p., per il quale le prove sono ammesse dal giudice a richiesta di parte, salvo che siano contrarie alla legge o manifestamente superflue o irrilevanti. Oltre alla limitata possibilità del giudice di non ammettere la prova, è importante notare che l'iniziativa probatoria, dato l'aspetto accusatorio del processo penale, è quasi esclusivamente riservata alle parti. Il giudice provvede all'ammissione delle prove con ordinanza. Residuale è (deve essere) l'intervento del Giudice, ed ossequioso del disposto, per quanto riguarda il dibattimento, dell'art. 507 c.p.p, e in udienza preliminare degli artt. 421-bis e 422 c.p.p.

Il libero convincimento

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Se "tocca al legislatore dettare la fattispecie penale e, quanto al metodo di accertamento, selezionare i materiali utilizzabili con precise regole di esclusione probatoria", il passaggio dalle prove al fatto contestato (e da questo alla fattispecie legislativa) "è di stretta pertinenza giudiziale. Non occorrono criteri legali di valutazione; quale sia il valore delle prove legittimamente acquisite nel processo può dirlo solo il giudice, esattamente come solo a lui compete determinare il significato della legge"[1]. Si tratta del fondamentale principio del libero convincimento del giudice: tale formula - "che fu un segno di fiducia nella capacità professionale e di argomentazione logica del magistrato (...) è aperta ad una molteplicità di significati(...) Accanto al significato classico di convincimento basato su indizi gravi precisi e concordanti, ve ne sono altri, che fanno riferimento a certezza storica, certezza psicologica, certezza morale, coscienza, convinzione, consenso, assenso, intuizione, persuasione, deduzione, induzione, abduzione, e tanti altri. Questa molteplicità di significati, tra loro spesso contraddittori, contribuisce a rendere atipico il concetto, che somiglia, per gli spazi di indeterminatezza che presenta, a un vaso vuoto, che può essere riempito di qualsiasi metallo, vile o pregiato"[2]. "Il libero convincimento del giudice nasce dopo l'Illuminismo in sostituzione del sistema delle prove legali che vincolavano il giudice stesso. Oggi il libero convincimento non è più quello di allora, anzi si è molto ridotto perché il giudicante incontra tutta una serie di "paletti" che deve osservare" e soprattutto quello della "certezza ogni oltre ragionevole dubbio" che limita fortemente il suo libero convincimento[3].

In sintesi, il giudice è vincolato a valutare tutti i fatti prodotti dalle parti, ma non ad utilizzare tali fatti necessariamente come prove: motivando la sua decisione (192 c.p.p.), può prescinderne o interpretarli diversamente da come sono stati prospettati dall'accusa o dalla difesa.

Il principio del libero convincimento subisce numerose deroghe:

  • prova indiziaria, ex art.192 comma 2° c.p.p.: l'indizio deve essere grave, preciso e concordante, altrimenti il giudice non può ritenere accertato il fatto. Ciò perché, mentre per una prova diretta si deve solo compiere una sola valutazione sulla bontà della prova, in quella indiziaria si deve compierne un'altra, ovvero anche quella se sia idonea a risalire al fatto collegato. Per gravità invece si intende la capacità dell'indizio di dimostrare il fatto considerando anche la sua resistenza alle obiezioni; la precisione è la non genericità dell'indizio, che altrimenti può portare a varie interpretazioni; la concordanza, infine, il non contrasto con altri indizi
  • chiamata in correità, ex art.192 comma 4° e 5°: deve essere valutata unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità.
  • fatto notorio e massime d'esperienza