Le consuetudini e le convenzioni costituzionali
La consuetudine, detta anche uso normativo, è una fonte del diritto. Essa consiste in un comportamento costante ed uniforme (diuturnitas), tenuto dai consociati con la convinzione (opinio iuris) che tale comportamento sia doveroso o da considerarsi moralmente obbligatorio.
Perché la consuetudine venga apprezzata dal giudice quale elemento interpretativo di un contratto è necessario:
- che non sia contraria alla legge o a norme imperative;
- che sia richiamata dalla legge o dal regolamento (art. 8 disp. preliminari al c.c.);
- che sia pubblicata nelle raccolte ufficiali di enti ed organi a ciò autorizzati (art. 9 disp. preliminari al c.c.), ovvero sia provata la sua esistenza dal soggetto che in sede processuale ne ha interesse (art. 2697 c.c.);
- che sia rilevante in seno alla questione giuridica trattata, essendo la consuetudine non estendibile per analogia.
Laddove la consuetudine sia di tipo normativo potrà essere valutata ai sensi dell'art. 1340 c.c. come clausola d'uso del contratto, ove sussistano le volontà comuni, l'accordo dei contraenti in tal senso (art. 1374 c.c.). Inoltre, l'applicazione della clausola consuetudinaria dovrà tener conto degli aspetti del sinallagma contrattuale, onde attuare un bilanciamento delle prestazioni e reperire il nesso di reciprocità fra le stesse, onde non siano sproporzionate fra loro od eccessive rispetto all'iniziale volontà dei contraenti.