Le bevande (medioevo)

In epoca moderna l'acqua rappresenta una scelta comune per la bevanda con cui accompagnare un pasto. Nel Medioevo invece, le preoccupazioni riguardo alla sua purezza, le raccomandazioni mediche e il suo scarso prestigio la rendevano una scelta di secondo piano e le bevande alcoliche venivano sempre preferite. Erano infatti considerate più nutrienti e migliori per favorire la digestione rispetto all'acqua, inoltre avevano l'ineguagliabile pregio, grazie al loro contenuto alcolico, di essere meno inclini a guastarsi ed andare a male. Il vino veniva consumato quotidianamente nella maggior parte della Francia e in tutti i paesi del bacino del Mediterraneo dove si coltivava la vite. Nei paesi del nord era la bevanda preferita dalla borghesia e dalle classi elevate che potevano permetterselo, ma molto meno comune tra i contadini e la classe lavoratrice. La bevanda della gente comune nei paesi nordici era la birra. Data la difficoltà di conservare a lungo questa bevanda (specialmente prima dell'introduzione del luppolo) veniva per lo più consumata fresca; era quindi meno limpida rispetto alle birre moderne ed aveva un contenuto alcolico minore.

lezione
lezione
Le bevande (medioevo)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Storia dell'alimentazione
Un monaco assaggia del vino.

Il latte non veniva bevuto dagli adulti, tranne i poveri e i malati ed era riservato a bambini ed anziani. Era comunque molto meno diffuso degli altri prodotti caseari per la mancanza di tecnologie che gli impedissero di andare a male in fretta.[1]

Alla pari del vino sin dall'antichità si preparavano succhi con diversi frutti e bacche, che venivano consumati anche durante il Medioevo: il vino di melograno e di more e il sidro di pere e di mele erano popolari soprattutto nei paesi nordici dove questi frutti crescevano abbondanti. Tra le bevande medievali sopravvissute fino ai giorni nostri si ricorda il prunellé , fatto con le prugne selvatiche (attualmente chiamato slivovitz). Nei ricettari medievali si trovano molte varianti per preparare l'idromele, con o senza contenuto alcolico. Tuttavia, questa bevanda a base di miele diventò meno popolare verso la fine del periodo e finì per essere relegata ad uso medicinale.[2] L'idromele è stato spesso rappresentato come la bevanda d'elezione delle popolazioni slave: questo era vero solo in parte perché l'idromele rivestiva un grande valore simbolico, specialmente nelle occasioni più importanti. Quando concludevano trattati o importanti affari di stato spesso offrivano idromele come dono cerimoniale. Si usava comunemente anche in occasione di matrimoni o battesimi anche se in piccole quantità a causa del suo costo elevato. Nella cultura polacca aveva lo stesso status di lussuosi beni di importazione come vino e spezie.[3] Il kumis, bevanda ottenuta dalla fermentazione del latte di cavallo o di cammello di origine asiatica, era conosciuto anche in Europa ma, come l'idromele, era consumato soprattutto se prescritto dai medici.[4]

 
Una matrona mostra come maneggiare e conservare nel modo corretto il vino.

Il vino veniva bevuto abitualmente ed era considerato la bevanda più prestigiosa e salutare. In accordo con le prescrizioni dietetiche di Galeno era valutato come caldo e secco ma queste qualità venivano attenuate quando era annacquato. A differenza di quanto succedeva per l'acqua e per la birra, che erano considerate fredde e umide, si riteneva che un moderato consumo di vino (specialmente quello rosso) tra le altre cose aiutasse la digestione, producesse buon sangue e migliorasse l'umore.[5] La qualità del vino differiva notevolmente a seconda dell'invecchiamento, del tipo di uva impiegata e, cosa più importante, dal numero di pigiature con cui era stato ottenuto. Con la prima pigiatura si ottenevano i vini più raffinati e costosi, riservati alle classi superiori. Con la seconda e la terza pigiatura si producevano invece vini di qualità inferiore e con un contenuto alcolico più basso. La gente comune in genere doveva accontentarsi di vini bianchi o rosati di seconda o terza pigiatura, che potevano essere consumati in abbondanti quantità senza produrre gravi intossicazioni alcoliche. Per i più poveri (o i più bigotti) spesso l'unica scelta a disposizione era bere aceto annacquato.[6]

La procedura di invecchiamento del vino rosso di buona qualità richiedeva conoscenze specialistiche, nonché costose cantine e attrezzature, tutti fattori che contribuivano ad innalzare il costo del prodotto. A giudicare dalla quantità di consigli presenti su manoscritti medievali su come salvare il vino che desse segno di stare per andare a male, il problema della corretta conservazione doveva essere piuttosto diffuso. Anche se l'aceto era un alimento diffuso, in effetti se ne poteva riutilizzare in questo modo solo una parte. Nel ricettario del XIV secolo Le Viandier si trovano numerosi metodi per tentare di salvare il vino che sta andando a male; assicurarsi che le botti siano sempre ben chiuse, aggiungere una mistura di semi di uva bianca essiccati e bolliti oppure la cenere di fondi di vino essiccati e bruciati. Questi ultimi erano entrambi efficaci sistemi battericidi, anche se all'epoca in realtà non si comprendevano i processi chimici che li rendevano tali.[7]

Il vino speziato e il vin brulé non solo erano molto apprezzati dai ricchi, ma erano anche considerati molto salutari dai medici. Si credeva che il vino agisse come una sorta di diffusore e conduttore delle altre sostanze nutritive in tutte le parti del corpo, e che l'aggiunta di spezie esotiche e profumate non poteva che incrementare questa sua caratteristica. I vini speziati solitamente si facevano miscelando comune vino rosso con spezie varie come zenzero, cardamomo, pepe, grani del paradiso, noce moscata, chiodi di garofano e zucchero. L'infuso veniva poi messo in piccoli otri che erano a loro volta intrisi di vino oppure venivano bagnati con del liquido per produrre l'ippocrate[8] e il claret. Già a partire dal XIV secolo i mercanti vendevano sacchetti di spezie miste già pronti per essere impiegati in questo modo.[9]

Mentre il vino era la più comune bevanda da pasto nella maggior parte d'Europa, questo non succedeva nelle regioni del nord dove la vite non veniva coltivata. Chi poteva permetterselo beveva vino d'importazione, ma in queste zone anche i nobili d'abitudine bevevano birra, chiara o scura, in particolare verso al fine del Medioevo. In Inghilterra, nei Paesi Bassi nel nord della Germania, in Polonia e in Scandinavia la birra veniva consumata quotidianamente dalle persone di tutte le classi sociali e di tutte le età. Tuttavia la forte influenza delle culture arabe e mediterranea sulla scienza medica (dovuta in particolare al periodo della Reconquista e all'influsso dei manoscritti arabi) fece sì che la birra godesse però di cattiva reputazione. Per la maggior parte degli europei medievali, si trattava quindi di un liquido piuttosto umile al confronto con quelli tipici del sud come vino, succo di limone ed olio d'oliva. Anche prodotti di origine esotica come il latte di cammello o la carne di gazella generalmente venivano giudicati di maggior valore nei testi medici dell'epoca. La birra era considerata solo come una passabile alternativa e le venivano attribuite varie qualità negative. Nel 1256 il medico senese Aldobrandino da Siena descrisse la birra in questo modo:

«Di qualsiasi cosa sia fatta, d'avena, d'orzo o di grano, nuoce alla testa e allo stomaco, provoca un alito puzzolente e rovina i denti, colma lo stomaco di umori cattivi e chiunque la beva insieme al vino finisce per ubriacarsi in fretta: tuttavia ha la proprietà di facilitare la minzione e rende le carni bianche e lisce»

(Aldobrandino[10])

Si credeva che gli effetti di un'ubriacatura da birra durassero di più di quelli di una dovuta al vino, ma si ammetteva che non creava la sensazione di "sete falsa" associata al vino. Anche se in minore misura rispetto ai paesi del nord, la birra veniva consumata anche nel nord della Francia e nell'Italia continentale. Forse in conseguenza della conquista normanna dell'Inghilterra e dei frequenti viaggi dei nobili tra la Francia e l'Inghilterra una birra francese descritta nel ricettario del XIV secolo Le Menagier de Paris veniva chiamata godale (evidentemente una diretta derivazione dell'inglese "good ale" - It. "Birra chiara buona") ed era fatta con orzo e farro ma senza luppolo. In Inghilterra esistevano anche le varianti poset ale un miscuglio di latte caldo e birra fredda e brakot o braggot una birra speziata preparata in maniera simile all'ippocrate.[8][11]

L'uso del luppolo per dare sapore alla birra era conosciuto almeno dall'epoca carolingia, ma si diffuse lentamente per le difficoltà di riuscire a fissare le giuste proporzioni. Prima della scoperta del luppolo si usava il gruit, una mistura di varie erbe diverse. Il gruit non possedeva le stesse proprietà conservanti del luppolo e di conseguenza la birra prodotta in quel modo doveva essere consumata velocemente per evitare che andasse a male. Un altro modo di insaporire il preparato era di aumentarne il contenuto alcolico, ma era più costoso e dava alla birra l'indesiderata capacità di dare ubriacature più veloci e pesanti. Durante l'Alto Medioevo la birra veniva prodotta principalmente nei monasteri oppure su scala più ridotta nella abitazioni private. Nel Basso Medioevo invece iniziarono a diffondersi nel nord della Germania delle birrerie cittadine a cui veniva delegata la produzione.

Anche se la maggior parte delle birrerie erano piccole imprese familiari che davano lavoro al massimo a otto o dieci persone, la regolarità della produzione permise di investire in attrezzature migliori e di sperimentare nuove ricette e tecniche di preparazione della birra. Questi tipi di lavorazione in seguito si diffusero anche in Olanda, nelle Fiandre e nel Brabante, raggiungendo anche l'Inghilterra nel XV secolo. La birra aromatizzata con il luppolo diventò molto popolare negli ultimi decenni del tardo Medioevo. In Inghilterra e nei Paesi Bassi il consumo annuale pro capite raggiunse i 275-300 litri e veniva consumata praticamente ad ogni pasto: a colazione si beveva una birra a bassa gradazione alcolica, mentre più in là nel corso della giornata si passava a birre più forti. Una volta che il suo impiego venne perfezionato il luppolo permise alla birra di conservarsi anche per sei mesi o più e ne facilitò l'esportazione su larga scala.[12]

Distillati

modifica

Gli antichi greci e romani conoscevano la tecnica della distillazione, ma questa non venne praticata su larga scala in Europa fino al XII secolo circa, quando si diffusero le scoperte degli Arabi sull'argomento insieme con gli alambicchi in vetro. I dotti medievali credevano che la distillazione producesse la pura essenza del liquido di partenza e si servivano del termine aqua vitae (It. Acqua della vita) per definire qualsiasi tipo di distillato.[13] Originariamente i modi per utilizzare i distillati, alcolici o meno, erano vari ma principalmente il loro impiego fu in ambito culinario o medico: i medici prescrivevano sciroppo d'uva mischiato con zucchero e spezie come cura per una gran varietà di malanni, mentre l'acqua di rose veniva usata, come profumo, come ingrediente in varie ricette e per lavarsi bene le mani. Talvolta i distillati alcolici venivano usati per creare spettacolari piatti fiammeggianti, imbevendo pezzi di cotone nel liquido, ponendoli in posizioni strategiche come le bocche degli animali che venivano serviti e accendendoli al momento di portarli in tavola[14].

I medici medievali lodavano molto le virtù dell'Aqua vitae alcolica. Nel 1309 Arnaldo da Villanova scrisse che "prolunga lo stato di buona salute, disperde gli umori superflui, rianima il cuore e mantiene giovani".[15] Nel tardo Medioevo iniziò a prendere piede la produzione di distillati casalinghi, specialmente nei paesi di lingua tedesca. Entro il XIII secolo l'Hausbrand (letteralmente "Fuoco di casa") era diventato di uso comune e tale prodotto rappresentò in pratica un antenato del brandy. Verso la fine del Medioevo il consumo di superalcolici diventò così diffuso tra la popolazione che alla fine del XV secolo iniziarono a comparire leggi che ne limitavano la produzione e la vendita. Nel 1496 la città di Norimberga promulgò restrizioni alla vendita di acquavite nel giorno di domenica e in occasione delle festività ufficiali.[16]

  1. Adamson (2004), pp. 48–51.
  2. Scully (1995), pp. 154–157.
  3. Dembinska (1999), p. 80.
  4. Scully (1995), p. 157.
  5. Scully (1995), pp. 138–39.
  6. Scully (1995), pp. 140-42.
  7. Scully (1995), pp. 143-44.
  8. 8,0 8,1 Tipo di vin brulé popolare nell'Europa medievale, MSN Encarta.
  9. Scully (1995), pp. 147–51.
  10. Citato in Scully (1995), p. 152.
  11. Scully (1995), pp. 151–154.
  12. Richard W. Unger, "Brewing" in Medieval Science, Technology and Medicine, pp. 102–3.
  13. Scully (1995), pp. 158–59.
  14. Scully (1995), pp. 162, 164–65
  15. Citato in Scully (1995), p. 162.
  16. Scully (1995), pp. 163–64.