Introduzione al Diritto processuale civile

Il diritto civile è composto da una serie di norme che chiamiamo di diritto sostanziale che dicono quali regole devono seguire i cittadini in determinate situazione. Questo insieme di regole viene nella maggioranza dei casi rispettato spontaneamente.

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Introduzione al Diritto processuale civile
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Materia di appartenenza Materia: Diritto processuale civile
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Tutte le volte in cui il diritto civile trova pacifica attuazione, la procedura civile non entra in gioco.

Il processo civile diventa rilevante quando si ha la cosiddetta crisi di cooperazione dell'obbligato o crisi di attuazione spontanea del diritto, cioè quando ci troviamo di fronte ad un'ipotesi in cui una norma di diritto civile pone un obbligo cui il soggetto tenuto non adempie.

Immaginiamo che non esista un apparato dello Stato come quello della giustizia civile che venga incontro a queste esigenze. Abbiamo venduto un appartamento ad un soggetto, gli articoli sulla compravendita dicono che abbiamo diritto al prezzo, ma esso non viene pagato. Che fare? Una telefonata, una lettera. Il prezzo continua a non essere pagato. Non esistono giudici. In uno Stato senza giudici, la situazione si risolverebbe o con la violenza o con un'insistenza sfinente o con un terzo che induca il terzo a pagare. Lo Stato storicamente teme il fenomeno della violenza tra privati.

Gli articoli 392 e 393 vietano far valere un proprio diritto con violenza sulle cose o sulle persone. Lo Stato si fa carico di risolvere anche le liti tra privati.

Il più eclatante processo penale mira essenzialmente a comminare una pena, cioè a punire a chi ha commesso determinati illeciti. Ma per il soggetto che ha subito il torto, il processo penale e la pena irrogata può sopire la voglia di vendetta ma non lo riporta alla situazione se non fosse stato commesso l'illecito. Il processo penale costituisce la costituzione di parte civile, che consiste nell'innesto nel processo penale di un momento di diritto processuale civile.

La vocazione di fondo della giustizia civile è questa: se c'è stata una violazione del diritto sostanziale, facciamo in modo di riportare il soggetto che ha subito la violazione alla situazione in cui si troverebbe se la violazione non ci fosse stata. La giustizia civile in Italia soffre di una grave malattia: la lentezza. È vero che lo Stato ha predisposto un apparato giudiziario ed un insieme di norme per venire incontro alle sue finalità, ma questa finalità viene in alcuni casi raggiunta con ritardi inimmaginabili. Ci sono casi in cui una controversia, per attraversare tutti e tre i casi, impiega 40 – 50 anni. I processi durano così tanto perché la litigiosità civile in Italia è altissima, e la magistratura non ha organici così nutriti come questa litigiosità esigerebbe.

Quasi presso ciascun organo giudiziario, l'organico non è quasi mai coperto interamente (la magistratura viaggia sotto – organico). La ragione economica importante di questo fenomeno della proliferazione dei processi civili è anche dovuta alla grande quantità di avvocati che negli ultimi 10 anni è stata “sfornata” dalle università. L'Italia ha un numero di esercenti la professione legale molto più alta rispetto ad altri Paesi europei.

Che soluzione è possibile adottare per ovviare alla lentezza dei processi civili? Quello che va di moda da qualche anno a questa parte, perché ci viene anche da Direttive europee, è questo meccanismo: lo Stato non può abdicare da determinate controversie, ma può determinate controversie civili, prima di allertare la magistratura, il soggetto che lamenta la violazione di un suo diritto debba fare qualcos'altro, cioè tentare una conciliazione con la controparte. È quello che si chiama tentativo di conciliazione obbligatorio. Ciò non vuol dire imporre alle parti di conciliarsi, perché nessuno può costringere nessuno a trovare un accordo. Vuol dire imporre alle parti di tentare di conciliarsi.

Alla fine degli anni '90 il tentativo di conciliazione era stato reso obbligatorio per le cause di lavoro. Le cause fra lavoratore e datore di lavoro dovevano passare per un tentativo obbligatorio di conciliazione. Questo è durato pochi anni e poi è stato abolito, perché non portava buoni frutti.

Adesso il complesso sistema della mediazione nelle controversie civili è regolato dal decreto legislativo 28/2010 che costituisce una complessa griglia di norme che possiamo sintetizzare così: chiunque voglia (privati, enti pubblici) può costituire un organismo di mediazione. È un ente che ha per suo scopo quello di far raggiungere degli accordi nei casi di controversia tra privati. Gli organismi di mediazione devono avere determinati requisiti, ed in particolare il mediatore deve essere un soggetto munito di Laurea almeno triennale, non necessariamente in giurisprudenza, oppure essere iscritto ad un albo di esercenti libere professioni. Per qualsiasi controversia è possibile rivolgersi ad un organismo di mediazione, purché la controversia abbia ad oggetto diritti disponibili (diritti cui il titolare può rinunciare o di cui può disporre liberamente). Inoltre, ed è questo l'aspetto più rilevante, ci sono delle controversie previste dall'articolo 5 relativamente alle quali tentare la conciliazione è obbligatorio. Tra queste ci sono ad esempio quelle in materie di locazione, quelle in materia di diritti reali, quelle in materia di responsabilità medica, quelle in materia di divisione e tutte quelle relative ai rapporti bancari od assicurativi.

Quando il decreto legislativo 28/2010 è stato varato, non è piaciuto agli avvocati, perché le parti si difendano davanti al giudice è necessario un avvocato, nella mediazione non è richiesto l'avvocato.

Il decreto legislativo 28/2010, nella parte in cui rende obbligatorio il tentativo di conciliazione, è stato dichiarato incostituzionale dalla Consulta con la sentenza 6 dicembre 2012 numero 272. La Corte costituzionale rende la pronuncia di incostituzionalità alla luce dell'articolo 76 della Costituzione, che prevede che il Parlamento possa delegare il Governo a formare atti delegati fornendo del tempo, della materia e dei principi cui si deve attenere. Ci si rende conto che la legge delegante (69/2009) non aveva delle previsioni di obbligatorietà del tentativo di conciliazione. Per la Corte costituzionale vi è un eccesso di delega. Cade la sola parte che rendeva obbligatoria la mediazione.

Nel 2013, con il decreto legge 69/2013, convertito in legge 98/2013, l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione in determinati casi viene reintrodotto. Si dà agli avvocati una mano, perché si prevede che i tentativi ci conciliazione, facoltativi od obbligatori, le parti debbono essere comunque assistite dall'avvocato.

Il vero problema che sta dietro i casi di mediazione obbligatoria è quello della loro compatibilità con il comma 1 dell'articolo 24 della Costituzione (tutti possono agire in giudizio per la tutela dei loro diritti ed interessi legittimi). È una possibilità apparentemente incondizionata.

Storicamente, il Fisco aveva un privilegio processuale potente, solvet reperet, che prima di poter contestare davanti al giudice l'effettiva esistenza di un tributo, prima bisognava pagarlo. La Corte costituzionale enuncia questi principi:

• Il condizionamento è possibile a patto che risponda a tre requisiti:

1. Deve essere funzionale alla buona amministrazione della giustizia, cioè deve essere funzionale non ad interessi dello Stato.

2. Deve essere un condizionamento di durata breve e ragionevole. Il decreto legislativo 28/2010 dice che il procedimento di conciliazione deve durare al massimo 4 mesi. In questo caso poi l'accesso alla giustizia è libero.

3. La mancata ottemperanza alla condizione non deve precludere in modo definitivo l'accesso alla giustizia. Se io non ho fatto la mediazione, sono sempre in tempo a poterla farla successivamente.

Il governo Renzi, pochi giorni fa, ha emanato un decreto legge teso a velocizzare l'amministrazione della giustizia.

Articoli 2 3 del decreto legge 132/2014 è stabilita una nuova forma di tentativo di conciliazione obbligatorio che può essere svolta davanti ad un qualsiasi avvocato (procedura di negoziazione assistita). Continua ad esserci la conciliazione, in più da 10 giorni a questa parte c'è la possibilità per i soggetti che hanno una lite di rivolgersi semplicemente ad un avvocato, che tenterà di raccogliere la volontà delle parti e di far loro un accordo. Diventa però obbligatorio ricorrere a questa procedura di mediazione assistita presso l'avvocato non solo per le controversie connesse al risarcimento del danno dovuta a circolazione di veicoli e natanti, ma anche per tutte le controversie che non superino i 50.000 euro. Le sanzioni sono esattamente quelle che c'erano nel decreto legislativo 28/2010.

In questo stesso decreto legge 132/2014, che è ben visto dagli avvocati, gli articoli 6 e 12 hanno previsto, e questo è davvero un momento epocale nel nostro sistema, che separazione fra i coniugi e divorzio, che sono tipici procedimenti che si svolgevano necessariamente davanti al giudice, se non ci sono figli minori né figli portatori di handicap né figli maggiorenni né figli maggiorenni economicamente deboli, la separazione ed il divorzio possono conseguire all'intervento di un avvocato o direttamente all'intervento dell'Ufficiale di stato civile. Tutto questo anche a condizione che i coniugi siano d'accordo su tutte le condizioni della separazione o del divorzio.

Queste misure vengono chiamate di degiurisdizionalizzazione, significa togliere l'obbligatorietà dell'intervento dell'amministrazione della giustizia per determinate situazioni.

Il diritto processuale civile: nozione. modifica

Il diritto processuale civile è costituito dal complesso di norme giuridiche che disciplinano lo svolgimento del processo civile nelle sue varie fasi e nei suoi vari gradi.

Il diritto processuale civile è una branca del diritto processuale in generale. In particolare:

• Il diritto processuale è quella parte del diritto obiettivo che regola il processo generalmente considerato.

• Il diritto processuale civile è quella parte del diritto processuale che regola il processo civile.

Si intende per processo civile quella serie di atti concatenati fra loro, messi in moto dalla domanda che una parte rivolge al giudice nei confronti di un'altra parte, e diretti ad ottenere la pronuncia del giudice sulla domanda stessa in materia di diritti soggettivi.

La riforma del processo civile del 1990. modifica

Dopo 40 anni dall'entrata in vigore del codice di procedura civile, si è avvertita l'esigenza di un intervento legislativo diretto a mutare il volto del processo civile, adeguato quest'ultimo alla realtà sociale del nostro paese.

L'auspicata riforma del processo civile è stata attuata con la legge 26 novembre 1990 numero 353, che ha introdotto una serie di innovazioni quali:

• Giudice istruttore di primo grado in funzione di giudice unico, tranne ipotesi tassativamente indicate.

• Applicazione del principio della concentrazione e dell'immediatezza, sulla falsariga del modello processuale disegnato dalla legge numero 533 del 1873 in ordine alle controversie di lavoro. Tale obiettivo è stato perseguito attraverso una disciplina più rigorosa delle preclusioni ed un nuovo sistema di termini perentori a carico delle parti.

• Esecutività ex lege delle sentenze di primo grado.

• Giudizio di appello caratterizzato dalla collegialità piena e dal divieto dei nova.

• Revisione del procedimento cautelare ed ammissione del reclamo contro di esso.

• L'attribuzione alla Corte di Cassazione del potere di giudicare, in determinati casi, anche nel merito.

La legge 21 novembre 1991 numero 374, soppresso il conciliatore, istituì la nuova figura del giudice di pace, ampliando le competenze di tale giudice onorario rispetto a quanto attribuito al conciliatore.

Entrambe le riforme hanno subito svariati aggiustamenti, approdati nella legge 20 dicembre 1995 numero 534, che ha stabilito anche la definitiva entrata in vigore della riforma del rito al 30 aprile 1995 e l'operatività del giudice di pace dal 1° maggio 1995.

Definizione del contenzioso civile pregresso. modifica

Con legge 22 luglio 1997 numero 276 sono state dettate le disposizioni per la definizione del contenzioso civile pendente davanti al Tribunale alla data del 30 aprile 1995, attraverso la nomina di 1.000 giudici onorari aggregati. In tal modo si è prevista la costituzione delle sezioni stralcio, ciascuna formata da un magistrato che la presiede e da almeno due giudici onorari.

Il Capo I è dedicato ai requisiti per la nomina dei giudici onorari, regola il procedimento, la durata dell'ufficio, individua le ipotesi di incompatibilità ed ineleggibilità, estende ad essi i casi di astensione e ricusazione già previsti dagli articoli 51 e 53 del codice di procedura penale. Si passa, quindi, a disciplinare decadenza, dimissioni e revoca, stato giuridico, indennità e trattamento previdenziale ed, infine, si prevede la cancellazione dall'albo degli avvocati e la cessazione degli incarichi giudiziari.

Il Capo II si occupa nello specifico dell'istituzione dell'ufficio spoglio per la ricognizione dei procedimenti pendenti innanzi al Tribunale ed aventi i requisiti richiesti.

L'articolo 11 precisa quanto già detto dall'articolo 1 della legge, e cioè che non possono essere assegnati alle sezioni stralcio i procedimenti già assunti in decisione e quelli per i quali sia prevista la riserva di collegialità di cui all'articolo 48 dell'ordinamento giudiziario, come modificato dalla legge di riforma del processo civile numero 353/90.

L'articolo 13 della legge 276/97 prevede, infine, la possibilità di utilizzare lo strumento della conciliazione: nel caso riesca, si forma processo verbale che costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione e per l'esecuzione in forma specifica.

Sempre nel tentativo di risolvere il consistente contenzioso civile ante riforma, è successivamente intervenuta la legge 16 dicembre 1999 numero 479.

Basandosi sulla competenza che era il pretore prima della riforma, detta legge assegna al giudice di pace le cause pendenti al 30 aprile 1995 innanzi al pretore e che sarebbero state oggi di competenza del giudice di pace; ed attribuisce alle sezioni stralcio, per esclusione, le altre cause, individuate per materia.

Istituzione del giudice unico di primo grado. modifica

Nell'ottica della riforma del processo italiano, è stato emanato il decreto legislativo 19 febbraio 1998 numero 51, contenente le norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado. il decreto legislativo è intervenuto con abrogazioni, sostituzioni ed integrazioni di articoli, sezioni e titoli. Il decreto legislativo 51/1998 è efficace dal 2 giugno 1999.

L'esplicazione che segue riguarda esclusivamente le modifiche di interesse processual – civilistico. Il Capo I del Titolo I del decreto legislativo dispone, all'articolo 1, la soppressione dell'ufficio del pretore, fatta salva l'attività necessaria per l'esaurimento degli affari pendenti, ed il trasferimento delle relative competenze al tribunale ordinario; anche l'ufficio del Pubblico Ministero presso la pretura circondariale è soppresso e le relative funzioni passano al Pubblico Ministero presso il Tribunale ordinario.

Il Capo II prevede la possibilità che facciano parte del tribunale anche giudici onorari che possono tenere udienza solo in caso di impedimento o di mancanza dei giudici togati. Inoltre, all'articolo 14, si dispone che in materia civile e penale, il Tribunale giudica in composizione monocratica sempre, tranne nei casi previsti dalla legge, in cui decide in composizione collegiale.

Erano previste sezioni distaccate di Tribunale, diverse dalla sede principale presso la quale erano trattate in via esclusiva le controversie in materia di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatoria.

Il decreto legislativo 7 settembre 2012 numero 155 ha ridisegnato la geografia giudiziaria, sopprimendo integralmente le sezioni distaccate le cui competenze ed i cui uffici sono stati diversamente occupati.

Il Capo III contiene abrogazioni riguardanti la Corte d'Appello; il Capo IV si occupa del Pubblico Ministero; mentre i successivi riguardano altre disposizioni e norme di coordinamento e transitorie.

Le riforme del 2005 - 2006. modifica

I vari rimedi posti in essere dal legislatore non hanno però sortito del tutto gli auspicati effettuati sulla durata dei processi civili, con inevitabili conseguenze per lo Stato italiano chiamato a rispondere dinnanzi alla Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo, per il danno cagionato agli utenti della giustizia dal ritardo nella definizione dei procedimenti che li riguardano.

La legge 24 marzo 2001 numero 89, nel devolvere alle Corti di Appello le richieste risarcitorie avanzate dai cittadini che lamentano un eccessivo ritardo dei processi, ha trasferito al giudice nazionale la problematica sino ad allora affrontata dalla Corte di Strasburgo ma non ha ovviato alle ragioni del problema.

Agli inizi del nuovo secolo, parte della dottrina processualistica, ritenendo di dover accentuare il carattere dispositivo del processo civile e considerando eccessivo il ruolo del giudice nella direzione del processo, ha individuato dei nuovi modelli processuali che sono stati poi trasfusi nella legge che ha dato vita al rito societario. Ed infatti, il decreto legislativo 17 gennaio 2003 numero 5 aveva introdotto nel nostro ordinamento un nuovo rito che mirava a consentire, come previsto dalla legge delega, una rapida ed efficace definizione dei giudizi. Tale disciplina aveva peraltro subito alcuni interventi correttivi con decreto legislativo 6 febbraio 2004 numero 37 e con decreto legislativo 28 dicembre 2004 numero 310. Parallelamente erano all'esame del Parlamento alcuni correttivi volti a smussare alcune delle rigidità del processo segnalate dagli stessi operatori, con il dichiarato fine di rendere più sollecito il percorso delle parti sino all'esito della sentenza.

Approfittando del decreto legislativo dedicato all'adozione di misure volte al recupero della competitività, il Parlamento, in sede di conversione con la legge 14 maggio 2005 numero 80, ha in parte recepito gli interventi correttivi ritenuti necessari per garantire maggiore snellezza al rito ordinario e per assicurare una maggiore effettività al processo esecutivo, e dall'altro ha introdotto l'articolo 70 ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, con il quale si è prevista la generale possibilità per le parti di poter ricorrere alle norme del rito societario in alternativa a quelle del processo ordinario di cognizione.

I profondi mutamenti interventi nel rito civile sono poi proseguiti con l'emanazione prima della legge 28 dicembre 2005 numero 263, poi del decreto legislativo 2 febbraio 2006 numero 40 in materia di processo di cassazione ed arbitrato, quindi della legge 8 febbraio 2006 numero 54 in tema di affido condiviso, della legge 24 febbraio 2006 numero 52 in materia di esecuzioni mobiliari.

Le riforme introdotte con la legge 18 giugno 2009 numero 69. modifica

Con legge 18 giugno 2009 numero 69, il Parlamento, con il dichiarato intento di risolvere ormai l'annoso problema della lungaggine dei processi civili, ha operato una vasta e complessiva riforma dell'intero diritto processuale civile.

Deve innanzitutto sottolinearsi che la riforma del 2009 è intervenuta su ciascuno dei quattro libri di cui si compone il codice di rito.

La legge 18 giugno 2009 numero 69 ha modificato il codice di rito prevedendo:

• La riduzione dei termini processuali. Ad esempio, il termine lungo per proporre impugnazione è stato ridotto da 1 anno a 6 mesi; il termine per la riassunzione della causa davanti al giudice del rinvio a seguito di cassazione della sentenza è passato da 1 anno a 3 mesi.

• L'ampliamento della competenza del Giudice di pace.

• La semplificazione delle decisioni in materia di competenza. Il convenuto deve, a pena di decadenza, eccepire ogni forma di incompetenza nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata, ed il giudice non può non rilevare l'incompetenza per materia, valore, o per territorio inderogabile oltre la prima udienza di comparizione e trattazione della causa. Inoltre, è stato stabilito che tutte le decisioni in materia di incompetenza, nonché di litispendenza e di connessione, devono essere assunte con ordinanza e non con sentenza, cioè attraverso un provvedimento decisorio più semplice rispetto a quello precedentemente previsto.

• L'introduzione dell'onere di specifica contestazione di fatti allegati. Si tratta, sotto il profilo sistematico, di uno degli aspetti maggiormente qualificanti dell'intera riforma: la parte costituita ha l'onere di contestare specificamente i fatti allegati dalla controparte, con la conseguenza che, nel caso in cui tale onere non sia correttamente assoluto, il giudice deve considerare provati i fatti non specificamente contestati.

• L'introduzione della testimonianza scritta. È uno dei profili di maggiore novità della riforma: la legge consente di rendere la testimonianza in forma scritta mediante la compilazione da parte del teste di alcuni modelli di testimonianza che devono essere inoltrati al Tribunale. Scompare del tutto, quindi, ogni rapporto diretto tra testimone e giudice.

• La previsione di un filtro di ammissibilità del ricorso per Cassazione. L'enorme carico giudiziario gravante sulla Suprema Corte ha indotto il legislatore ad introdurre un particolare meccanismo di preventiva valutazione dell'ammissibilità del ricorso, con la conseguenza che soltanto i ricorsi che superano tale vaglio preliminare dovranno essere esaminati nel merito dai giudici di legittimità, con evidente risparmio di energie e di tempo.

• La disciplina del procedimento sommario di cognizione. Anche in tal caso si tratta di uno degli aspetti salienti della riforma. Il procedimento sommario, introdotto mediante l'inserimento di uno specifico capo nel libro IV del codice di rito, si caratterizza per l'accentuata semplificazione delle modalità di introduzione del giudizio, e di costituzione delle parti, nonché per la snellezza del procedimento e della fase decisoria.

• L'introduzione del calendario del processo. Nelle disposizioni di attuazione del codice di rito è stato inserito l'articolo 81 bis, il quale prevede che il giudice, quando provvede sulle richieste istruttorie, sentite le parti e tenuto conto della natura, dell'urgenza e della complessità della causa, fissa il calendario del processo con l'indicazione delle udienze successive e degli incombenti che verranno espletati. I termini fissati nel calendario possono essere prorogati, anche d'ufficio, quando sussistono gravi motivi sopravvenuti. La proroga deve essere richiesta dalle parti prima della scadenza dei termini.

Occorre inoltre sottolineare che la legge 69/2009 ha perseguito l'obiettivo dello snellimento e della semplificazione del processo civile non soltanto incidendo direttamente sul codice di rito, ma razionalizzando le disposizioni processuali contenute anche in altri testi normativi. A tale proposito, senza alcuna pretesa esecutività, è sufficiente ricordare che la suddetta legge ha previsto:

• L'abrogazione della legge 102/2006, con la quale era stato esteso il rito del lavoro anche alle controversie in materia di risarcimento danni per lesione o morte conseguenti ad incidenti stradali.

• L'abrogazione di buona parte del decreto legislativo 5/2003, con la conseguente eliminazione del rito societario, che evidentemente non aveva raggiunto l'obiettivo di consentire una più rapida ed efficace definizione dei processi.

• L'attribuzione al Governo di una delega per l'emanazione di uno o più decreti legislativi in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili rientranti nella giurisdizione ordinaria e regolati dalla legislazione speciale, alla quale si affianca l'indicazione di specifici principi e criteri direttivi volti a rendere omogenei i molteplici procedimenti speciali mediante la riconduzione degli stessi ai tre modelli processuali fondamentali previsti dal codice, e cioè:

o Il procedimento ordinario di cognizione dinnanzi al Tribunale.

o Il processo applicabile alle cause in materia di lavoro.

o Il procedimento sommario di cognizione introdotto dalla medesima legge delega.

• L'attribuzione al Governo di una delega per l'emanazione di uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e conciliazione in ambito civile e commerciale.

I più recenti interventi modificativi. modifica

Negli ultimi anni gli interventi normativi in materia processuale civile si sono susseguiti con grande rapidità, non sempre accompagnata da altrettanta coerenza. Spesso detti interventi hanno assunto la forma della decretazione d'urgenza, a testimonianza del fatto che il legislatore considera impellente l'esigenza di risolvere il problema dell'efficienza del rito civile.

In attuazione della delega contenuta nell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009 numero 69 il decreto legislativo 4 marzo 2010 numero 28 ha disciplinato la mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali. La previsione dell'obbligatorietà della procedura conciliativa quale condizione di procedibilità della domanda era stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale per eccesso di delega con sentenza numero 272/2012. Tale obbligo è stato tuttavia reintrodotto dal legislatore con decreto legge 69/2013, convertito in legge 98/2013.

Con legge 4 novembre 2010 numero 183 sono state apportate al codice di procedura civile alcune modifiche al fine di lasciare libere le parti di risolvere le loro controversie attraverso strumenti stragiudiziali tendenti alla composizione della lite. Ciò ha comportato il ritorno alla facoltatività per il tentativo di conciliazione; l'ampliamento delle ipotesi di risoluzione arbitrale ed un ulteriore coinvolgimento del giudice che non solo tenta la conciliazione in ogni momento opportuno del giudizio, ma è tenuto anche a formulare una proposta concreta il cui rifiuto, senza giustificato motivo, potrà essere valutato ai fini della decisione. È, inoltre, prevista la possibilità di inserire nel contratto individuale di lavoro clausole compromissorie, nel rispetto di alcune limitazioni a garanzia del contraente più debole. Anche in questo caso si fa ricorso alle commissioni di certificazione.

L'articolo 38 del decreto legge 6 luglio 2011 numero 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 numero 111, ha inserito nel codice di rito l'articolo 445 bis, il quale prevede che nelle controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, chi intende proporre in giudizio domanda per il riconoscimento dei propri diritti presenta con ricorso ai giudice competente ai sensi dell'articolo 442, presso il Tribunale nel cui circondario risiede l'attore, istanza di accertamento tecnico preventivo obbligatorio per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere.

Altro importante intervento normativo è contenuto nel decreto legge 13 agosto 2011 numero 138, convertito in legge 14 settembre 2011 numero 148, il quale ha modificato la disciplina del calendario del processo di cui all'articolo 81 bis delle disposizioni attuative al codice di procedura civile, introdotto dall'articolo 52 della legge 69/2009. In particolare, nell'articolo 81 bis delle disposizioni attuative è inserito un comma 2, il quale stabilisce che il mancato rispetto dei termini fissati nel calendario del processo da parte del giudice, del difensore o del consulente tecnico d'ufficio può costituire violazione disciplinare, e può essere considerato ai fini della valutazione di professionalità e della nomina o conferma agli uffici direttivi e semidirettivi.

In attuazione della delega contenuta nell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009 numero 69, il decreto legislativo 1 settembre 2011 numero 150, detta disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione.

Il decreto legislativo 150/2011 individua tre modelli processuali di base, e cioè:

• Il rito ordinario di cognizione, ossia il procedimento regolato dalle norme del titolo I e del titolo III del libro II del codice di procedura civile.

• Il rito del lavoro, ovvero il procedimento regolato dalle norme della sezione II del capo I del titolo IV del libro II del codice di procedura civile.

• Il rito sommario di cognizione, cioè il procedimento regolato dalle norme del capo III bis del titolo I del libro IV del codice di procedura civile.

Il decreto poi individua i singoli procedimenti giudiziari che devono essere trattati secondo le norme dei modelli processuali di base. In estrema sintesi può ricordarsi che:

• Sono regolati dal rito del lavoro:

o I procedimenti di opposizione ad ordinanza – ingiunzione ex lege 689/81.

o Le controversie in materia di opposizione a verbale di accertamento di violazione del codice della strada.

o I giudizi relativi ad opposizioni a sanzioni amministrative in materia di stupefacenti.

o Le controversie in materia di applicazione delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali.

o I procedimenti in materia di contratti agrari o conseguenti alle controversie dei contratti associativi in affitto sono regolate dal diritto del lavoro.

• Sono regolati dal rito sommario di cognizione:

o Le controversie di opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia.

o I giudizi di opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia.

o I procedimenti in materia di mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul territorio nazionale ovvero di allontanamento relativi a cittadini di altri Stati membri dell'Unione europea o dei loro familiari.

o Le controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell'Unione europea ovvero di riconoscimento della protezione internazionale.

o I giudizi di opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio.

o Le controversie in materia di eleggibilità ed incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali, nonché nelle elezioni per il Parlamento europeo.

o Le controversie in materia di discriminazione.

o Le opposizioni alla stima nelle espropriazioni per pubblica utilità.

• Sono regolati dal diritto ordinario di cognizione:

o I giudizi di rettificazione di attribuzione di sesso.

o Le opposizioni alla procedura coattiva per la riscossione di entrate patrimoniali dello Stato e degli altri enti pubblici.

o Le controversie in materia di liquidazione degli usi civici.

Il decreto legge 24 gennaio 2012 numero 1, convertito in legge 24 marzo 2012 numero 27, ha previsto l'abolizione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico. La liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi spettanti al professionista è effettuata sulla scorta dei parametri contenuti in un decreto emanato dal Ministro vigilante. Quanto ai compensi spettanti agli avvocati, è stato emanato il decreto ministeriale 20 luglio 2012 numero 140, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 22 agosto 2012 ed applicabile a tutte le liquidazioni effettuate dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, purché relative ad attività concluse dopo l'entrata in vigore del predetto decreto.

Particolarmente significative sono le novità introdotte con decreto legge 22 giugno 2012 numero 83, convertito in legge 7 agosto 2012 numero 134. Esso ha modificato in più punti il codice di rito disciplinando il filtro in appello, ossia un meccanismo decisorio semplificato che consente di dichiarare inammissibile l'appello quando esso non ha la ragionevole probabilità di essere accolto.

L'inammissibilità va dichiarata con ordinanza succintamente motivata, che deve regolare anche le spese. Inoltre, il citato intervento normativo ha modificato l'articolo 360 del codice di rito, sostituendo alla tradizionale formulazione del vizio di motivazione un'altra apparentemente più restrittiva.

La legge 28 giugno 2012 numero 92 ha riformato profondamente la disciplina del mercato del lavoro, aumentando la flessibilità in uscita ed in entrata e modificando sensibilmente le tutele del rapporto di lavoro. Dal punto di vista processuale, la citata legge ha introdotto un rito speciale avente ad oggetto le impugnative di licenziamenti che trova applicazione in tutte le controversie riguardanti i licenziamenti intimati ai sensi dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

I decreti legislativi numeri 155 e 156 del 7 settembre 2012 numero 2012, al fine di realizzare risparmi di spesa ed incremento di efficienza, hanno ridisegnato la geografia giudiziaria, principalmente mediante la soppressione di tutte le sezioni distaccate dei tribunali, l'accorpamento ad uffici limitrofi di alcuni tribunali ed uffici del pubblico ministero di ridotte dimensioni, e l'eliminazione di numerosi uffici del giudice di pace.

La legge 10 dicembre 2012 numero 219 ha innovato i criteri di riparto di competenza tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni in relazione ai procedimenti in materia di potestà dei genitori.

La legge 11 dicembre 2012 numero 220 ha esteso il criterio di competenza del foro esclusivo stabilito dall'articolo 23 del codice di procedura civile anche alle controversie tra condominio e condomino.

La legge 24 dicembre 2012 numero 228 ha in parte modificato la procedura di espropriazione presso terzi. In particolare, la legge prevede che, se il pignoramento riguarda i crediti concernenti stipendi, salari od altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, oppure crediti per tributi dovuti allo Stato, a province e comuni, quando il terzo non compare all'udienza stabilita, il credito pignorato si considera non contestato ai fini del procedimento in corso. Quando all'udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice fissa un'udienza successiva, notificata al terzo almeno 10 giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare neanche a questa udienza, il credito pignorato od il possesso del bene di appartenenza del debitore si considera non contestato. Le nuove norme si applicano esclusivamente ai procedimenti di espropriazione presso terzi iniziati dopo l'entrata in vigore della legge.

Il decreto legge 21 giugno 2013 numero 69, convertito in legge 9 agosto 2013 numero 98, ha introdotto alcune novità sia in materia di organizzazione giudiziaria sia in materia di organizzazione giudiziaria sia in materia più strettamente processuale allo scopo dichiarato di rendere più efficiente il sistema.

Dal punto di vista organizzativo gli interventi più importanti sono i seguenti:

• È previsto l'istituzione di 400 giorni ausiliari nominati con decreto del Ministro della giustizia su proposta del CSM ed il cui incarico è di 5 anni prorogabile per non più di altri 5. Tali giudici onorari possono anche comporre collegi.

• È stata introdotta la possibilità di svolgere il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari. I tirocinanti, laureati in giurisprudenza all'esito di un corso di durata almeno quinquennale, devono essere in possesso di alcuni requisiti culturali e di onorabilità. Essi espletano un affiancamento al giudice con finalità formative e, nel contempo, assistono e coadiuvano il magistrato nel compimento delle ordinarie attività. L'esito positivo del tirocinio costituisce titolo di preferenza in alcuni concorsi indetti dalla Pubblica Amministrazione.

• È stato aumentato il numero dei magistrati addetti all'ufficio del massimario della Corte di Cassazione ed è stata prevista la possibilità che gli stessi abbiano anche compiti di assistenti di studio.

Dal punto di vista processuale le novità più significative sono le seguenti:

• Nel giudizio dinnanzi alla Corte di Cassazione l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero non è più generalizzato, ma è limitato alle ipotesi tassativamente previste dalla legge.

• È introdotta la facoltà di chiedere una divisione a domanda congiunta, che può essere esercitata quando non vi sia controversia sul diritto alla divisione né sulle quote od altre questioni pregiudiziali.

• È stata generalizzata la possibilità per il giudice di formulare alle parti una proposta transattiva o conciliativa. Questa proposta può essere formulata dal giudice alle parti nel corso della prima udienza oppure sino a quando è esaurita l'istruzione.

• In materia di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è previsto che il giudice provveda sulla richiesta di provvisoria esecuzione in prima udienza.

• È stato nuovamente introdotto l'obbligo di esperire il procedimento di mediazione per tutte le controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. L'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Con il decreto ministeriale 10 marzo 2014 numero 55 è stato emanato il regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense.

Per completezza va infine segnalato che, in data 17 dicembre 2013, il Consiglio dei Ministri ha licenziato un importante disegno di legge recante ulteriori novità per assicurare l'efficienza del processo civile e la riduzione dell'arretrato.

Il disegno di legge prevede che il Governo sia delegato ad emanare norme volute:

• Ad attribuire al giudice il potere di disporre, per le cause semplici, il passaggio dal rito ordinario di cognizione al più snello rito sommario.

• Ad assegnare al giudice il potere di decidere la lite di primo grado mediante dispositivo accompagnato dall'indicazione dei fatti e delle norme su cui si fonda la decisione, lasciando alle parti se chiedere la motivazione estesa della sentenza ai fini dell'impugnazione.

• A consentire il giudice d'appello, che conferma il provvedimento di primo grado, di rifarsi alla motivazione già esposta dal giudice del provvedimento impugnato.

• A smaltire l'arretrato civile in appello, prevedendo che in alcune materie non particolarmente complesse e delicate la controversia venga trattata e decisa dal giudice in composizione monocratica e non collegiale.

• A prevedere che il giudice, quando emette una sentenza di condanna all'adempimento di obblighi di fare, possa imporre al debitore che non adempie il pagamento di una somma di denaro fino al momento dell'adempimento.

• A prevedere che in particolari materie ad elevato tasso tecnico il processo sia preceduto dall'espletamento di una consulenza tecnica volta soprattutto alla quantificazione del danno lamentato.

Il processo civile telematico. modifica

Una trattazione a parte meritano i molteplici interventi normativi a realizzare il processo civile telematico. Negli ultimi anni, infatti, il legislatore si è fortemente impegnato per introdurre l'utilizzo di mezzi informatici nel processo civile, con il chiaro intento di migliorarne l'efficienza.

Con la locuzione processo civile telematico si intende la gestione integrale della documentazione e delle comunicazioni prodotte nell'ambito di un qualsiasi procedimento contenzioso civile in forma digitale e telematica. Il sistema del processo civile telematico rende quindi possibile alle parti, al giudice ed alla cancelleria di formare, comunicare e notificare gli atti processuali mediante documenti informatici. Il processo civile telematico consente:

• La consultazione a distanza dei registri di cancelleria e dei documenti contenuti nel fascicolo elettronico.

• La richiesta a distanza di copia degli atti e dei documenti.

• La trasmissione telematica degli atti e dei documenti da parte dei difensori e degli ausiliari, con la conseguente acquisizione automatica nel fascicolo.

• L'invio telematico di avvisi relativi agli atti processuali compiuti.

• La registrazione e la trascrizione telematica degli atti giudiziari.

Tutto ciò permette di celebrare il processo civile senza utilizzare carta, realizzando le attività di tutti gli autori processuali e riducendo sensibilmente i tempi di trasferimento degli atti.

Non è possibile ripercorrere analiticamente tutte le tappe della progressiva informatizzazione del processo.

La prima regolamentazione del processo telematico è contenuta del dpr 13 febbraio 2001 numero 123. Tutti gli atti ed i provvedimenti del processo possono essere compiuti come documenti informatici, sottoscritti con firma digitale. La cancelleria forma un fascicolo d'ufficio di tipo informatico, in cui devono essere inserite anche le copie informatiche dei documenti probatori acquisiti su supporto cartaceo. Il processo verbale, redatto come documento informatico, è sottoscritto con firma digitale da chi presiede l'udienza e dal cancelliere. Infine, le comunicazioni con biglietto di cancelleria, nonché la notificazione degli atti, possono essere eseguite per via telematica, oltre che attraverso il sistema informatico civile, anche all'indirizzo elettronico comunicato dal difensore al Consiglio dell'ordine.

Deve inoltre menzionarsi il decreto legislativo 7 marzo 2005 numero 82, che si applica a tutte le Pubbliche Amministrazioni e detta le regole fondamentali affinché esse assicurino la disponibilità, la gestione, l'accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell'informazione in modalità digitale e si organizzino utilizzando con le modalità più appropriate le tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

Successivamente, con specifico riferimento al settore del processo civile, altre importanti disposizioni sono state introdotte dall'articolo 51 del decreto legge 25 giugno 2008 numero 112, convertito in legge 6 agosto 2008 numero 133. La norma prevede che tutte le comunicazioni e notificazioni da effettuarsi nel corso del procedimento, l'ordinanza di nomina del ctu ed ogni altra comunicazione al consulente sono effettuate a mezzo di posta elettronica certificata. La peculiarità sta nel fatto che tale modalità di comunicazione non si applica a tutti gli uffici giudiziari, ma solo a quelli individuati con atto del Ministero della giustizia, previa verifica della funzionalità dei servizi di comunicazione.

Una significativa accelerazione al percorso di informatizzazione del processo è stata impressa dal decreto legge 29 dicembre 2009 numero 193, convertito in legge 22 febbraio 2010 numero 24, il quale ha introdotto alcune rilevanti novità in tema di ordinamento giudiziario e, soprattutto, sul versante della digitalizzazione del processo.

Tra gli interventi più importanti è necessario segnalare:

• La generalizzazione del sistema della posta elettronica certificata. Al Ministro della giustizia è affidato il compito di emanare uno o più decreti per l'individuazione delle regole tecniche per l'adozione nel processo civile delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione in attuazione dei principi previsti dal Codice per l'amministrazione digitale. Una volta individuate tali regole, tutte le comunicazioni e notificazioni per via telematica saranno effettuate mediante posta elettronica certificata.

• L'introduzione nel codice di procedura civile dell'articolo 149 bis, rubricato “Notificazione a mezzo posta elettronica”. La nuova norma prevede che, ove non sia vietato dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo di posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo. Se procede in tal modo, l'Ufficiale giudiziario trasmette copia informatica dell'atto sottoscritta con firma digitale all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario risultante da pubblici elenchi. La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.

• L'introduzione di tecnologie informatiche anche nel processo esecutivo. È attribuito al Ministro della giustizia il compito di emanare un decreto per individuare le regole tecnico – operative per lo svolgimento delle vendite dei beni mobili ed immobili mediante gara telematica. Nell'ambito del processo di espropriazione mobiliare presso il debitore e dell'espropriazione immobiliare, al giudice dell'esecuzione è assegnato il potere di stabilire, con l'ordinanza che dispone l'assegnazione o la vendita, che siano effettuati con modalità telematiche: il versamento della cauzione; la presentazione delle offerte; lo svolgimento della gara tra gli offerenti; l'incanto; il pagamento del prezzo. È conseguentemente consentito che il prezzo venga corrisposto con sistemi telematici di pagamento ovvero con carte di debito, di credito o prepagate ovvero ancora con altri mezzi di pagamento con moneta elettronica disponibili nel circuito bancario e postale.

Il decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011 numero 44 ha attuato le prescrizioni contenute nel decreto legge 193/2009, stabilendo le regole tecniche per l'adozione nel processo civile delle tecnologie informatiche e della comunicazione per via telematica.

Le novità più importanti sono le seguenti:

• È istituito il dominio giustizia, cioè l'insieme delle risorse hardware e software mediante il quale il Ministero della giustizia tratta in via informatica e telematica qualsiasi tipo di attività, di dato, di servizio, di comunicazione e di procedura.

• È istituito anche il portale dei servizi telematici, definito come la struttura tecnologica – organizzativa che fornisce l'accesso ai servizi telematici resi disponibili dal dominio giustizia.

• È regolamentato, inoltre, il gestore dei servizi telematici, ossia il sistema informatico, interno al dominio giustizia, che consente l'interoperabilità tra i sistemi informatici utilizzati dai soggetti abilitati interni, il portale dei servizi telematici ed il gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia.

Il processo civile telematico ruota intorno alla posta elettronica certificata standard, la cui disciplina è conforme a quanto previsto dal codice dell'amministrazione digitale. Per assicurare la conoscibilità degli atti del processo, quindi, è stato istituito il registro generale degli indirizzi elettronici gestito dal Ministero della giustizia, che contiene i dati identificativi e l'indirizzo di posta elettronica certificata dei soggetti abilitati esterni e degli utenti privati.

Di fondamentale importanza è l'istituzione del fascicolo informatico, nel quale sono inseriti gli atti, i documenti, gli allegati, le ricevute di posta elettronica certificata ed i dati del procedimento da chiunque formati, ovvero le copie informatiche dei medesimi atti quando siano stati depositati su supporto cartaceo. La tenuta e conservazione del fascicolo informatico equivale alla tenuta e conservazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo.

Va sottolineato, infine, che l'accesso al fascicolo informatico è consentito non solo ai soggetti abilitati interni ed ai soggetti abilitati esterni, ma anche ai soggetti privati, i quali possono consultare direttamente il contenuto del fascicolo informatico.

Altre novità sono state introdotte con la legge 12 novembre 2011 numero 183, che ha novellato in più punti il codice di procedura civile. Le più importanti modifiche sono le seguenti:

• È fatto obbligo per i difensori di inserire negli atti l'indirizzo di posta elettronica certificata comunicato al proprio ordine.

• La comunicazione deve essere effettuata mediante consegna dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, ovvero la trasmissione di mezzo posta elettronica certificata. Solo se non è possibile procedere in tal modo, il biglietto viene trasmesso a mezzo telefax oppure è rimesso all'Ufficiale giudiziario per la notifica.

Il processo di digitalizzazione della giustizia civile ha conosciuto un nuovo rilevante impulso con il decreto legge 18 ottobre 2012 numero 179, convertito in legge 17 dicembre 2012 numero 221.

La novità più importante è rappresentata dal fatto che nei procedimenti civili le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle Pubbliche Amministrazioni.

Pertanto, le notificazioni e comunicazioni ai soggetti per i quali la legge prevede l'obbligo di munirsi di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite mediante deposito in cancelleria.

Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause non imputabili al destinatario. Solo quando non è possibile procedere alle comunicazioni e notificazioni telematiche per causa non imputabile al destinatario si applicano le modalità di comunicazione e notificazione ordinarie.

Anche le comunicazioni e le notificazioni alle Pubbliche Amministrazioni che stanno in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti sono effettuate esclusivamente agli indirizzi di posta elettronica certificata comunicati al Ministero della giustizia.

Nei procedimenti civili in cui sta in giudizio personalmente la parte il cui indirizzo di posta elettronica certificata non risulta da pubblici elenchi, essa può indicare l'indirizzo di posta elettronica certificata al quale vuole ricevere le comunicazioni e notificazioni relative al procedimento. In tal caso, le comunicazioni e notificazioni si effettuano in forma telematica.

Il decreto ministeriale 15 ottobre 2012 numero 209 contiene delle nuove regole tecniche per l'adozione nel processo civile delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, modificando il decreto ministeriale 44/2011.

In particolare, tra le principali novità del decreto ministeriale 209/2012 si segnala che:

• L'atto del processo redatto in formato elettronico da un soggetto abilitato interno e sottoscritto con firma digitale, è depositato telematicamente nel fascicolo informatico.

• Salvo il caso fortuito o la forza maggiore, quando viene generato un avviso di mancata consegna della comunicazione telematica, nel portale dei servizi telematici viene pubblicato un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell'atto nella cancelleria dell'ufficio giudiziario, contenente i soli elementi identificativi del procedimento, delle parti e dei loro patrocinatori.

• La notificazione delle comparse o delle memorie autorizzate dal giudice in corso di causa è effettuata mediante invio dell'atto tramite posta elettronica certificata.

Ulteriori modifiche alle regole tecniche di cui al decreto ministeriale 44/11 sono state infine apportate dal decreto ministeriale 3 aprile 2013 numero 48, che ha dettato una nuova disciplina concernente le notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati.

Gli ultimi e più recenti interventi in materia di processo civile telematico sono contenuti nella legge 24 dicembre 2012 numero 228, che ha modificato sensibilmente il decreto legge 179/2012, convertito il legge 221/2012.

In primo luogo, è sancito l'obbligo del deposito telematico degli atti processuali. A decorrere dal 30 giugno 2014, infatti, nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. Allo stesso modo si procede per il deposito degli atti e dei documenti da parte dei soggetti nominati o delegati dall'autorità giudiziaria. Le parti devono provvedere, con le stesse modalità, a depositare gli atti ed i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati.

Sempre a partire dal 30 giugno 2014, per il procedimento di ingiunzione davanti al tribunale, il deposito dei provvedimenti, degli atti di parte e dei documenti ha luogo esclusivamente con modalità telematiche.

Il deposito degli atti si perfeziona al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia.

Il giudice può autorizzare il deposito degli atti processuali e dei documenti con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti ovvero può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche.

Nei tribunali, le citate disposizioni si applicano dal 30 giugno 2014. Negli uffici giudiziari diversi dai tribunali, invece, esse trovano applicazione a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei decreti con i quali il Ministro della giustizia, previa verifica, accerta la funzionalità dei servizi di comunicazione. In secondo luogo, la legge di stabilità per il 2013 modifica la legge 21 gennaio 1994 numero 53, che disciplina la facoltà per gli avvocati di notificare gli atti civili, amministrativi e stragiudiziali. In particolare, la legge prevede che la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo risultante da pubblici elenchi. La notificazione, infatti, può essere eseguita esclusivamente utilizzando l'indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi.

Quando l'atto da notificarsi non consiste in un documento informatico, l'avvocato provvede ad estrarre copia informatica dell'atto formato su supporto analogico. In questo modo, la notifica si esegue mediante allegazione dell'atto da notificarsi al messaggio di posta elettronica certificata.

La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui viene generata la ricevuta di consegna. Il messaggio deve indicare nell'oggetto la dizione “notificazione ai sensi della legge 53/1994”.

Giustizia civile. modifica

La giustizia civile amministrata dallo Stato offre ai cittadini essenzialmente tre tipi di tutela:

• Tutela di cognizione o di accertamento. Presuppone che sull'esistenza di un diritto o di uno status o su una posizione soggettiva, in linea generale su una situazione di diritto sostanziale, ci sia una controversia tra le parti, e si tratti quindi di capire chi tra i litiganti abbia ragione e chi abbia torto. Il processo di cognizione parte con un atto in cui l'attore afferma di avere un diritto, con un'eventuale difesa del convenuto, che nega in tutto od in parte quel diritto, e termina con una decisione del giudice. Parte con una domanda del giudice e si conclude con una decisione, che per lo più è una sentenza. La decisione sull'esistenza o meno del diritto è la cosiddetta decisione di merito. Esiste una nutrita serie di casi in cui il giudice, per un ostacolo, non può decidere nel merito della causa e si ha decisione di mero rito. La decisione resa in primo grado è soggetta a mezzi di impugnazione, fino ad un certo momento in cui i mezzi di impugnazione si esauriscono e la sentenza acquista una stabilità, che viene indicata coi termini passaggio in giudicato.

• Tutela esecutiva. Quando si realizza contro la volontà dell'obbligato un diritto, bisogna distinguere i vari contenuti che questo diritto può avere. La cosa più semplice è che oggetto del diritto sia una somma di denaro. Lo Stato, nella sua funzione esecutiva, prende col pignoramento uno o più beni del debitore, li vende, ricava una somma, e con essa soddisfa il creditore. La realizzazione coattiva dei diritti di credito teoricamente è sempre possibile. Quando questo meccanismo va in crisi? Quando nel patrimonio del debitore non ci sono beni sufficienti a coprire il debito del soggetto. In questi casi, fino al codice penale Zanardelli esisteva la prigione per debiti. Oggi la prigione per debiti non c'è più. Per certi crediti ritenuti particolarmente importanti, come quelli dei lavoratori subordinati, esistono fondi di garanzia, che coprono il trattamento di fine rapporto e le ultime tre mensilità di lavoro. Il creditore deve arrendersi.

• Tutela cautelare. Viene incontro all'esigenza di velocità, di urgenza che possa caratterizzare la posizione dell'attore/creditore.

Per decidere sul merito della controversia, il giudice deve conoscere i fatti, cioè quello che è accaduto tra le parti. I fatti possono essere:

• Pacifici, se il convenuto li riconosce come veri o non li contesta.

• Controversi, se il convenuto sostiene che le affermazioni dell'attore sono in tutto od in parte non corrispondenti al vero.

Il giudice deve ricostruire i fatti, e poi leggerli alla luce delle norme del diritto sostanziale.

Anticamente questo meccanismo veniva ricostruito attraverso la figura di un sillogismo aristotelico.

Quando la sentenza di merito è passata in giudicato, l'oggetto della decisione del giudice è soltanto la conseguenza che si ha fra posizione della norma e ricostruzione dei fatti. Questo lo si ricava da molte norme, in particolare dall'articolo 2907 del codice civile, dove si dice che alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l'Autorità Giudiziaria.

Alla tutela dei diritti: l'attività di accertamento non ha la funzione di ricostruire fatti.

Spesso le norme del diritto sostanziale vengono osservate spontaneamente dalle parti, per lo più perché se sanno che se violano la norma di diritto sostanziale, sullo sfondo ci sta il processo che funzionerà facendo applicazione delle norme di diritto sostanziale.

È importantissimo per la giustizia civile che le decisioni dei giudici su fattispecie simili siano uniformi. Siccome i giudici sono soggetti solo alla legge, per cui non hanno l'influenza vincolante del precedente, nulla impedisce che un nuovo giudice interpreti la legge in modo diverso. Ciononostante l'ordinamento mira ad ottenere l'uniformità della giurisprudenza, in particolare la Corte di Cassazione, che esprime delle massime interpretative che non sono vincolanti per gli altri giudici, ma hanno indubbiamente un'influenza di fatto importante.

Importantissimi è che la stessa Corte non abbia al suo interno dei contrasti. A garanzia di questa uniformità del diritto stanno le Sezioni Unite, il cui collegio giudicante è composto da nove membri. Negli ordinamenti di common law, il precedente opera ratione imperii, ha ragione per il vincolo che sta nel precedente.

Importante che i giudici civili ricostruiscano in modo uniforme il diritto sostanziale, senza dimenticare però l'importanza di un'interpretazione adeguatrice.

L'attività di ricostruzione di fatti (attività istruttoria) è importantissima, perché se il giudice applica la norma a fatti mal ricostruita, egli rende una sentenza poco adatta alla fattispecie.

Quando la sentenza di merito passa in giudicato, essa non può più essere messa in discussione, diventa irretrattabile, salvo l'uso di mezzi specialissimi di impugnazione. Questa intangibilità opera in due modalità:

• Con effetto negativo. Vieta che la stessa identica controversia possa essere decisa una seconda volta. La sentenza resta viziata ed è soggetta ad un particolare mezzo di impugnazione che si chiama revocazione ordinaria per conflitto fra giudicati.

• Con effetto positivo. Non si ha un divieto per il giudice della seconda causa di decidere di nuovo della controversia, ma si ha il vincolo della seconda causa di deciderla tenendo conto del giudicato che si è formato. Questo effetto positivo del giudicato si ha quando tra primo e secondo processo non si ha un rapporto di identità, ma c'è un rapporto di pregiudizialità – dipendenza.

Se il debitore, prima di subire l'aggressione esecutiva si è disfatto dei suoi beni: azione revocatoria, articolo 2901 e seguenti del codice civile, il creditore può far dichiarare inefficaci atti di disposizione dei beni dei quali il debitore si sia disfatto. Essa implica, per la sua validità, che si dimostri anche una partecipazione alla frode da parte del terzo.

Altra situazione soggettiva è quella in cui l'obbligo inadempiuto abbia oggetto una cosa mobile. Il meccanismo è simile a quello dell'inadempimento dell'obbligazione di denaro.

L'esecuzione che di per sé può funzionare sempre è quella che ha ad oggetto le obbligazioni di consegnare un immobile. Tutte le volte in cui si tratta di eseguire coattivamente il diritto ad avere la detenzione di un immobile, l'esecuzione si esegue contro la volontà del debitore, mettendo coattivamente nell'immobile l'avente diritto. Ciò avviene portando fuori, se del caso manu militari, dall'abitazione il debitore, cambiando la serratura e consegnando le chiavi al creditore.

Obbligazioni che hanno ad oggetto un fare od un non fare: oggetto del credito è un comportamento umano. La distinzione che si deve fare sulle obbligazioni di fare è tra obbligazioni fungibili ed obbligazioni infungibili. Fungibili: per il creditore è irrilevante la persona dell'obbligato. Infungibili: la persona del debitore assume una rilevanza fondamentale. Quando ci si trova di fronte ad obbligazioni infungibili di fare, la prestazione coattiva non è attuabile. Di fronte a queste ipotesi, l'ordinamento sostanzialmente si arrende. L'unico modo è trasformare l'obbligazione in una obbligazione di carattere risarcitorio.

L'obbligazione risarcitoria è sostitutiva di quella precedente, che ha un oggetto diverso.

Nel 2009 con la legge numero 69 è stato introdotto l'articolo 614 bis al codice di procedura civile, che proprio per le prestazioni infungibili di fare o per le prestazioni di non fare, si permette al giudice di fissare preventivamente una somma di denaro che l'obbligato dovrà pagare per ogni ritardo nell'adempimento o per ogni violazione del suo obbligo. Questa somma di denaro agisce sull'obbligato come stimolo ad adempiere. Si chiama in dottrina misura coercitiva indiretta. Era già nota ad altri ordinamenti stranieri ed importata in Italia.

Tutte le volte in cui l'esecuzione si può eseguire contro la volontà dell'obbligato, la volontà del debitore è irrilevante. Quando ci troviamo di fronte ad una misura coercitiva indiretta la volontà del debitore resta rilevante, ma è influenzata dalla previsione della sanzione.

La sanzione deve essere fissata dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento, e non può essere stabilita tutte le volte in cui essa appaia iniqua. Parte della dottrina ha ritenuto che per determinate prestazioni a carattere altamente creativo, sottoporre il debitore ad una misura di questo tipo sia iniquo perché controproducente.

Questa misura dell'articolo 614 bis non può essere stabilita quando l'obbligazione attenga ad un rapporto di lavoro subordinato. Già prima del 614 bis esistevano settorialmente, per casi specifici, delle sanzioni che funzionavano come sanzioni indirette, ma funzionavano a macchia di leopardo.

Verrebbe da dire che l'esecuzione possa iniziare solo quando la fase di accertamento si è conclusa, e nello specifico con un accertamento passato in giudicato.

Ciò non accade, per due distinte ragioni, legate all'esigenza di velocità e risparmio:

• Esistono casi in cui l'esecuzione forzata può attivarsi, o farsi partire, prima che il diritto sia stato accertato dal giudice. Ciò accade quando il diritto si trova riconosciuto in determinati documenti, che si chiamano titoli esecutivi stragiudiziali (di origine non giudiziaria). I principali titoli esecutivi stragiudiziali che il nostro ordinamento attualmente conosce sono: la cambiale, l'assegno e l'atto notarile.

• Anche quando è necessario all'avente diritto far precedere l'esecuzione dal processo di cognizione non è necessario che si debba attendere che questo processo arrivi a giudicato, ma è sufficiente che si sia arrivati ad una sentenza di primo grado, anche se appellabile, e quindi non ancora passata in giudicato. L'avente può agire per ottenere l'esecuzione, con complicazioni quando, mentre l'esecuzione è in corso, la controparte ha fatto appello ed ha ottenuto una sentenza a lui favorevole.

Il codice civile ed i principi ai quali è ispirato. modifica

Il codice tuttora vigente, sebbene più volte modificato, consta di quattro libri. Il primo di questi libri contiene norme dedicate, in linea di principio, ad ogni tipo di attività giurisdizionale civile, ma dettate il più delle volte con riferimento più specifico al processo di cognizione. Il secondo libro è dedicato al processo di cognizione, il terzo al processo di esecuzione forzata, ed infine il quarto, intitolato dei procedimenti speciali, contiene, in modo alquanto disordinato, accanto alla disciplina di alcuni provvedimenti di cognizione che sono speciali per talune divergenze dal modello ordinario che costituisce materia del libro secondo, la disciplina della maggior parte dei procedimenti cautelari, del procedimento arbitrale ed uno schema di disciplina del procedimento di giurisdizione volontaria accanto alla disciplina specifica di alcuni procedimenti volontari; ma non più del procedimento di deliberazione delle pronunce straniere.

Il codice di procedura civile, approvato nel 1940, costituì il frutto di alcuni decenni di studi approfonditi e di elevati dibattiti, ai quali parteciparono gli studiosi più qualificati e le personalità più incisive della scuola processualcivilistica italiana che, proprio in quel periodo, viveva il suo momento più felice, impegnata in una feconda ed originale rielaborazione dei risultati acquisiti dai maestri germanici di alcuni decenni prima. Un'elaborazione ad alto livello scientifico, che fu in grado di additare con consapevolezza e decisione i criteri ai quali la riforma doveva ispirarsi e che, tra l'altro, non fu per nulla influenzata dall'ideologia dominante nel periodo tra le due guerre. Il codice non utilizzò in pieno i risultati di questi studi, perché all'ultimo momento mancò la convergenza di opinioni necessaria per l'applicazione integrale e rigorosa dei principi dell'oralità, concentrazione ed immediatezza che costituivano i cardini del tipo di processo che Giuseppe Chiovenda aveva vagheggiato, con l'occhio rivolto alle soddisfacenti esperienze della Germania e soprattutto dell'Austria. Quei principi vennero attuati con una certa timidezza, mentre sulla maggior parte dei problemi che oggi si direbbero qualificanti, vennero scelte soluzioni di compromesso. Ma si trattò pur sempre di un rinnovamento profondo e sostanzialmente avveduto, anche nelle sue soluzioni di compromesso. Purtroppo questo codice entrò in vigore nel momento meno propizio, per la grave crisi di uomini e di mezzi che accompagnò e seguì le tragiche vicende del conflitto mondiale. Un codice molto esigente sul piano dell'impegno dei magistrati e degli avvocati, e che perciò richiedeva adesione convinta e disponibilità di mezzi, ebbe la sua prima applicazione in un'atmosfera di sfiducia e di rassegnazione ed in un'estrema carenza di mezzi. Le conseguenti, inevitabili, disfunzioni vennero ingiustamente imputate al sistema, mentre si cedeva all'umana illusione di ovviare al difetto di impegno degli uomini e dei mezzi con la modificazione delle leggi. Nacque così la novella, imposta dai meno illuminati esponenti dei “pratici”, contro l'opinione quasi unanime della dottrina; e concretatasi nella legge 14 luglio 1950 numero 581 che, con la modifica di alcune delle norme – chiave del codice, ne attenuò e ne snaturò i caratteri più salienti.

Giuseppe Chiovenda, più di ogni altro, diede all'opera della riforma le sue illuminate energie, è sicuramente il maggior processualista italiano. Dopo di lui processualisti della struttura di Francesco Carelutti, di Piero Calamandrei, di Enrico Redenti, solo per citare i maggiori.

Gli effetti negativi della “controriforma” non tardarono a rivelarsi, mentre il passare degli anni e l'invecchiamento delle strutture sociali, insieme con la sempre maggiore accentuazione dei cronici difetti di mezzi e dell'irrazionale utilizzazione degli uomini, finirono col rendere sempre più drammatica quella crisi della giustizia di cui da tanto tempo si parla e che è, d'altra parte, dovuta anche al fortissimo aumento delle controversie, innescato dal miglioramento delle condizioni economiche degli italiani.

Nel periodo tra gli anni '50 e gli anni '80, al quale periodo risale, peraltro, il progetto di riforma del processo di cognizione elaborato da una commissione presieduta da Liebman. Si tratta di un tentativo serio e meditato di utilizzare per il processo di cognizione ordinario le principali esperienze acquisite col nuovo processo del lavoro. La proposta di maggiore spicco fu quella dell'impiego generalizzato, in primo grado, del giudice unico, salve solo alcune eccezioni, proposta che poi venne accolta nella riforma degli anni '90. In questo periodo giunsero a maturazione soltanto alcune riforme limitate a settori nei quali avevano potuto agire, da un lato, la spinta al mutamento dei costumi e della conseguente pressione dell'opinione pubblica, nonché, dall'altro lato, la pressione di ben organizzate e consapevoli forze sindacali. Ci riferiamo, sotto il primo profilo, all'introduzione dello scioglimento del matrimonio e, per quanto qui interessa, alla disciplina del relativo processo, che ricalcava le linee del procedimento speciale di separazione dei coniugi ma che poi introdusse talune rilevanti innovazioni poste a loro volta come modello per la disciplina del procedimento di separazione. Sotto il secondo profilo, ci riferiamo alle disposizioni processuali dello Statuto dei diritti dei lavoratori, e, soprattutto, al nuovo processo del lavoro, disciplinato dalla legge 11 agosto 1973 numero 533. Quest'ultima legge, operando prevalentemente col sistema della novellazione, modificò interamente il codice in quella parte del libro secondo che già in precedenza era dedicata alle controversie in materia di lavoro e previdenziale, ed in tal modo inserì talune norme già previgenti, ma inapplicate, in un nuovo contesto che ne garantisce la pratica attuazione; compiendo, d'altra parte, un ulteriore e decisivo passo verso il processo orale e concentrato. Ciò che qualificò il nuovo processo del lavoro come un modello per la riforma organica del processo ordinario di cognizione, secondo la linea che venne percorsa dal progetto Liebman e dal successivo disegno di legge delega, che peraltro rimase inattuata. In un secondo momento, la graduale acquisizione della consapevolezza delle difficoltà e della dubbia utilità dell'affrontare subito una riforma organica del codice di procedura civile determinò un deciso e più realistico orientamento a conseguire uno strumento di più limitate ambizioni, ma più idoneo a venire incontri in tempi brevi a talune esigenze sulla cui indilazionabilità si era già delineato un largo consenso. Molte perplessità sono state espresse sull'opportunità di una riforma organica che, con ogni probabilità, non gioverebbe affatto alle attuali deficienze dell'amministrazione della giustizia, dovute, come ormai tutti sanno, a mancanza di coordinazione nell'impiego delle risorse umane e dei mezzi, forse insufficienti. Né va taciuto che l'istituto del giudice unico aveva già palesato, nell'esperienza del processo del lavoro, quei suoi intrinseci inconvenienti di cui si temeva l'accentuazione al di fuori di quella categoria di controversie relativamente semplici nella loro omogeneità. E pertanto, prevalse la tendenza verso la predisposizione di provvedimenti urgenti con la limitata ambizione di anticipare solo in qualche settore la futura e forse non ancora attuale riforma organica. In questo quadro vennero elaborati alcuni disegni di legge, uno dei quali, contrassegnato col numero 1288, venne profondamente rielaborato dal Senato fino ad assumere le proporzioni di un vero e proprio intervento di incisiva riforma.

La legge 26 novembre 1990 numero 353 aveva aggiunto ai suddetti limitati interventi ed ad altri pure conformi agli auspici della dottrina e della pratica, come l'organica rielaborazione del processo cautelare, alcuni ulteriori incisivi interventi sul processo di cognizione in più forte accentuazione dell'avvicinamento al modello del processo del lavoro, fino all'avvio della più drastica innovazione che caratterizza quel tipo di processo, ossia il giudice unico; ciò con l'attribuzione al giudice istruttore, in una larghissima fascia di ipotesi, dei poteri decisori, già riservati interamente all'organo collegiale e così attribuendo al giudice istruttore la funzione di giudice unico.

L'elaborazione di un rito differenziato per le materie societarie, introdotto dal decreto legislativo 17 gennaio 2003 numero 5, in correlazione con la nuova disciplina sostanziale delle suddette materie ad opera del decreto legislativo 17 gennaio 2003 numero 6. Importanza alimentata anche dal fatto che questo nuovo rito societario anticipava le linee direttrici del progetto di legge delega di riforma del codice col quale si erano conclusi nel 2002 i lavori della Commissione presieduta dal professor Vaccarella; progetto poi decaduto con la fine della legislatura e lasciato privo di seguito anche per l'esito sostanzialmente deludente delle prime applicazioni del rito societario e dei ripetuti interventi della Corte costituzionale sulla disciplina di questo rito, fino a determinarne l'abolizione con la legge 69/2009. La recente moltiplicazione di riti speciali a cognizione piena sembra già contrastare col principio costituzionale per il quale le differenze di disciplina devono fondarsi su obiettive peculiarità dei rapporti sostanziali dei rapporti sostanziali da tutelare.

La legge 14 maggio 2005 numero 80, convertendo in legge il decreto legislativo 14 marzo 2005 numero 35, ha inserito nell'allegato contenente modifiche a tale decreto una serie di innovazioni che viceversa, incidono in modo rilevante su molti importanti settori del codice. Si tratta, più precisamente, oltre che di una sorta di legge delega circa il giudizio di cassazione e l'arbitrato, di alcune tra le più importanti proposte che un disegno di legge, elaborato già da alcuni anni e più volte ripresentato con variazioni, da ultimo col numero 2430, proposte che, ora accolte, introducono importanti modifiche specialmente nella fase iniziale del processo di cognizione, nel processo esecutivo e, tra i procedimenti speciali, nella fase iniziale dei procedimenti di separazione e di divorzio.

Il mutamento del quadro legislativo ha poi concitatamente subito, nel periodo a cavallo tra la fine del 2005 e l'inizio del 2006, una serie di ulteriori interventi che, in parte, riguardano completamenti e rettifiche in diversi settori e specificamente in materia di esecuzione forzata ma non solo od in settori della disciplina della separazione e del divorzio; mentre, in altra parte, ripresentano e ridescrivono la disciplina di interi settori del processo civile, come la disciplina del giudizio di cassazione e quella dell'arbitrato, entrambe riscritte con il decreto legislativo 2 febbraio 2006 numero 40.

I più recenti interventi del legislatore sono interventi effettuati, anzitutto, con la legge 18 giugno 2009 numero 69, al quale ha fatto seguito, in attuazione di un'apposita delega ivi contenuta, il decreto legislativo 4 marzo 2010 numero 28 in materia di procedura di mediazione con finalità conciliative e che preannuncia ulteriori cambiamenti, rilevanti specialmente sotto il profilo dell'auspicata riduzione dei troppi riti speciali. E successivamente, con la legge 4 novembre 2010 numero 183, che apporta rilevanti modifiche in materia di utilizzazione in tale ambito dell'arbitrato irrituale. Fra i più recenti interventi, peraltro, occorre inserire anche, per le conseguenze che determinano nei rapporti con il giudice civile, il decreto legislativo 2 luglio 2010 numero 104 ed il decreto legislativo 20 marzo 2010 numero 53 in materia di controversie sugli appalti pubblici.

I più recenti interventi del legislatore sono interventi effettuati, anzitutto, con la legge 18 giugno 2009 numero 69, al quale ha fatto seguito, in attuazione di un'apposita delega ivi contenuta, il decreto legislativo 4 marzo 2010 numero 28 in materia di procedura di mediazione con finalità conciliative e che preannuncia ulteriori cambiamenti, rilevanti specialmente sotto il profilo dell'auspicata riduzione dei troppi riti speciali. E successivamente, con la legge 4 novembre 2010 numero 183, che apporta rilevanti modifiche in materia di utilizzazione in tale ambito dell'arbitrato irrituale. Fra i più recenti interventi, peraltro, occorre inserire anche, per le conseguenze che determinano nei rapporti con il giudice civile, il decreto legislativo 2 luglio 2010 numero 104 ed il decreto legislativo 20 marzo 2010 numero 53 in materia di controversie sugli appalti pubblici.

Il primo di questi piani è quello sul quale si pongono i principi fondati, più o meno direttamente, sulla Carta costituzionale. Nella misura in cui questi principi risultano espressi nelle norme che disciplinano il processo, l'interprete non ha che da prenderne atto, eventualmente orientando verso di essi l'applicazione delle norme stesse, ancorché preesistenti alla Costituzione. Così, ad esempio, si ebbe già a rilevare come il principio del contraddittorio e, più a monte, il principio dell'uguaglianza non solo formale tra le parti, salvi i limiti nell'ambito della ragionevolezza, trovino la loro rispondenza, oltre che nella regola di uguaglianza di cui all'articolo 3 comma 1 Costituzione, nel diritto alla difesa, che l'articolo 24 comma 2 Costituzione definisce inviolabile; e come ciò debba essere inteso sia nel senso che la portata di quest'ultimo diritto trascende gli aspetti tecnici della difesa per assurgere ad imprescindibile necessità di consentire ai destinatari del provvedimento del giudice di influire sul contenuto di tale provvedimento, e sia nel senso che la regola del contraddittorio, enunciata dall'articolo 101 codice di procedura civile va intesa come espressione concreta della suddetta ampia portata con riguardo al meccanismo introduttivo ed un ulteriore svolgimento di ogni tipo di procedimento. Né vanno trascurati i nuovi profili di quei principi, suggeriti dai nuovi primi due commi dell'articolo 111 Costituzione; va in particolare sottolineato il rilievo di sintesi che, con riferimento all'enunciato costituzionale che vuole il giusto processo regolato dalla legge, ravvisa il confine tra cognizione piena e cognizione sommaria o superficiale nella sottrazione al giudice di ogni discrezionalità circa le modalità di realizzazione del principio del contraddittorio.

Il principio della disponibilità della tutela giurisdizionale nonché principio della domanda e principio della disponibilità dell'oggetto del processo, in quanto discendono, come necessità logica, dal principio della disponibilità dei diritti, sono imprescindibili nei limiti in cui la disponibilità dei diritti è tutelata dalla Costituzione. Perciò, in questo senso e con questi limiti va intesa l'enunciazione di cui all'articolo 24 comma 1 della Costituzione, nonché vanno interpretate le ulteriori specificazioni contenute nell'articolo 2907 codice civile e negli articoli 81, 99 e 112 codice di procedura civile rispetto alle quali già si vide che esse possono trovare un limite costituzionale ad esempio nel diritto di associazione e nella conseguente tutela degli interessi di gruppi o della collettività. Ugualmente sono fondati sulla Carta costituzionale e sostanzialmente operanti nel nostro sistema, i principi dell'imparzialità ed indipendenza dei giudici, nonché quello per il quale ogni provvedimento di giudice deve essere motivato e conforme a diritto e deve essere assoggettato a controlli idonei a garantire questa conformità. Nella misura in cui, viceversa, i dettami costituzionali risultano non attuati, o non sufficientemente attuati nel sistema positivo, essi costituiscono, oltre che fonte di autentici doveri del legislatore e criteri per l'eventuale intervento della Corte costituzionale, criteri ordinatori per l'interpretazione delle norme vigenti nel senso più rispondente possibile ai suddetti dettami costituzionali. Ciò può dirsi, ad esempio, degli istituti intesi ad assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi, solo di recente integrati da un intervento legislativo forse non ancora adeguato; così come è dubbia l'adeguatezza e l'efficacia della legge per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per mancato rispetto del termine ragionevole entro il quale va prestata la tutela giurisdizionale secondo la Convenzione per il rispetto dei diritti dell'uomo e, ora, recepito nel nuovo articolo 111 Costituzione. In realtà, e come è stato giustamente rilevato, questa legge va considerata tutela diretta della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e, solo indirettamente tutela del principio di ragionevolezza della durata del processo recepito ora dall'articolo 111 Costituzione.

L'esigenza di rispetto del termine ragionevole è particolarmente avvertita nel processo esecutivo, rispetto al quale mancano riferimenti specifici alla suddetta esigenza sia nella nostra Costituzione e sia nelle norme comunitarie; ciò che peraltro non ha impedito sia alle Corti europee e sia alla nostra Corte costituzionale di dare per scontato che il rispetto del termine ragionevole non può non includere l'effettiva attuazione pratica del diritto. Che poi questi riconoscimenti giurisprudenziali non siano risultati sufficienti per un effettivo miglioramento della situazione sotto questo profilo, è tutt'altro discorso, sul quale incidono in maniera rilevante anche le difficoltà obiettive proprie dell'attuazione coattiva delle prestazioni, specie se infungibili.

Su un piano diverso si pongono i principi per i quali non può ravvisarsi un fondamento diretto nella Carta costituzionale neppure come imprescindibile conseguenza logica sui suoi dettami; essi, pertanto, costituiscono soprattutto criteri tecnici, in attuazione di un determinato orientamento di politica legislativa, anche se, per molti di essi, è possibile individuare un collegamento o quanto meno una correlazione con gli orientamenti costituzionali.

o Principio della congruità delle forme allo scopo o della strumentalità delle forme: che, pur costituendo un orientamento di tecnica legislativa privo di fondamento diretto nella Costituzione, costituisce tuttavia la manifestazione tipica di una politica legislativa facilmente riconducibile all'esigenza di una giustizia rapida e non formalistica, che è genericamente alla base di molte disposizioni della Costituzione. La stessa cosa può sostanzialmente dirsi del principio della libera valutazione delle prove.

o Principio della disponibilità delle prove: costituisce un tipico esempio di criterio orientativo di tecnica legislativa privo di correlazione con orientamenti costituzionali, se non addirittura in qualche contrasto con essi. Ne è prova il superamento di tale principio nella disciplina del nuovo processo del lavoro.

o Principi orientatori dell'oralità, concentrazione ed immediatezza: costituirono gli orientamenti di massima ispirati da Giuseppe Chiovenda e dalla sua scuola, ed attuati soltanto in parte nella riforma del 1940. Ovviamente, non sarà possibile rendersi esattamente conto di come questi principi possano tradursi in un tipo di disciplina processuale di cognizione, se non dopo aver esaminato da vicino tale disciplina. Perciò, mentre dobbiamo riservarci di tornare sul tema in occasione dell'esame dei singoli istituti, qui possiamo limitarci a rilevare che un'applicazione integrale di questi principi avrebbe condotto a configurare il processo di cognizione come un processo svolto prevalentemente in forma orale, con svolgimento concentrato in tempi estremamente ravvicinati e con contatti immediati tra il giudice e le parti; un processo, insomma, con caratteristiche non dissimili da quelle del processo penale, e che, come quest'ultimo, si svolgesse integralmente innanzi ad un organo collegiale. Specialmente su quest'ultimo punto si manifestò, in occasione delle più recenti riforme, una notevole divergenza di opinioni, poi superata con una serie di compromessi a cominciare dall'introduzione del giudice istruttore ed a finire con l'attribuzione a quest'ultimo anche dei poteri decisori nella maggior parte delle cause. Rimane, ora, da domandarsi se ed in che misura questi principi dell'oralità, concentrazione ed immediatezza siano da ricondurre alle norme della Costituzione repubblicana oppure da ritenere puramente fondati su orientamenti di politica legislativa suggeriti soltanto dalla tecnica processuale. La risposta è assai semplice: se, da un lato, è chiaro che i principi in discorso costituiscono un orientamento di politica legislativa che risale addirittura ad alcuni decenni prima della Costituzione repubblicana e che si traduce in una serie di criteri di tecnica processuale, dall'altro lato, è ugualmente chiaro che l'idea centrale che sta alla base di quell'orientamento è precisamente l'idea che ispira l'orientamento della Costituzione repubblicana in tutte le sue disposizioni che comunque concernono il processo. Anche questi principi sono dunque riconducibili, ancorché indirettamente, alla Costituzione. Con riguardo, infine, alle prospettive per il futuro, basta qui menzionare l'orientamento espresso in una legge – delega contenuta nella legge 69/2009, nel senso della riduzione dei riti speciali.

L'esame dei principi costituzionali che ispirano il sistema processuale civile italiano con i conseguenti limiti all'autonomia del legislatore italiano non può chiudersi senza un cenno ai pur diversi limiti alla suddetta autonomia legislativa determinati dalla normativa della Comunità europea, nella quale assumono sempre maggiore rilievo i regolamenti della Comunità stessa.

I regolamenti della Comunità europea, con la loro immediata efficacia prevalente sulle norme dei singoli Stati membri, costituiscono lo strumento attraverso il quale la Comunità ha ormai avviato l'attuazione del suo programma di elaborazione di un nucleo comune di diritto processuale europeo coesistente e da coordinarsi con i singoli ordinamenti sospinti verso una graduale reciproca armonizzazione.

Questi orientamenti hanno trovato la loro emersione dapprima nell'articolo 65 del Trattato Ce e poi nell'articolo 81 del Trattato di Lisbona, assai espliciti nell'enunciare i criteri direttivi di questo ampio programma.