Il modellamento marino (superiori)

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Il modellamento marino (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Scienze naturali per le superiori 5
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%


Fisiografia dell'ambiente marino

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Mappa indicante in scala colore l'altimetria delle aree emerse e la batimetria dei fondali oceanici (in gradazioni di blu). La Piattaforma continentale è indicata dall'azzurro più chiaro. Notare la risalita della piana abissale verso le dorsali medio-oceaniche (ad esempio la dorsale medio-atlantica nell'Oceano Atlantico.
 
Schema in sezione di un margine continentale adiacente ad un oceano.

Per comprendere meglio i processi e i materiali in gioco nel modellamento marino, occorre conoscere la morfologia (a grande scala) dell'ambiente.

Un margine continentale è composto, nell'ordine da terra verso mare, da:

  • Costa, sopra il livello medio del mare (medio tra i livelli di alta e bassa marea)
  • Piattaforma continentale, compresa tra il livello medio marino e 200 m sotto il livello del mare (isobata -200 m), con morfologia piatta o con debolissima inclinazione verso mare. La sua ampiezza è molto variabile, da pochi chilometri fino a centinaia di chilometri.
  • Scarpata continentale, con decisa inclinazione verso bacino. L'inclinazione media è 3°, ma può andare da 1° fino a 10° circa. Nella parte inferiore della scarpata continentale l'inclinazione diminuisce bruscamente fino a raccordarsi con la piana abissale.
  • Piana abissale, a circa 3000 m sotto il livello del mare, con morfologia decisamente piatta.

Le piane abissali tendono ad una leggera e graduale risalita fino alle dorsali medio-oceaniche, fenditure nella crosta terrestre corrispondenti alla minima profondità del mantello terrestre ove si genera nuova crosta oceanica per accrezione continua di magma a composizione prevalentemente basaltica.

In alcuni casi, (ad esempio la costa occidentale dell'America Meridionale, o la costa orientale del Giappone), la piattaforma continentale è molto ridotta e la scarpata continentale (molto ripida) passa direttamente ad una fossa oceanica, della profondità di diverse migliaia di metri (l'esempio più eclatante è la Fossa delle Isole Marianne che raggiunge circa 11000 m sotto il livello marino e rappresenta il punto più basso della crosta terrestre). Questi lineamenti corrispondono a zone di subduzione di crosta oceanica sotto continenti o archi insulari. le linee di subduzione, insieme alle dorsali medio-oceaniche, delimitano e definiscono le placche tettoniche che compongono la litosfera terrestre.

  Per approfondire questo argomento, consulta la pagina I componenti del sistema Terra (superiori).

L'azione del moto ondoso

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Parametri di un'onda. λ=lunghezza d'onda H=altezza A=ampiezza.

L'azione erosiva del mare modifica in continuazione il profilo delle coste. Le onde sono il principale agente erosivo. Le onde si generano su uno specchio d'acqua per l'azione del vento, per trasferimento di energia dal vento all'acqua. Le dimensioni delle onde dipendono da tre fattori:

  • velocità del vento
  • durata del vento
  • estensione del tratto di mare aperto (fetch) su cui il vento soffia

L'insieme di questi fattori determina e limita la dimensione delle onde. Per esempio, anche un vento molto veloce che soffi per lungo tempo non potrà generare onde molto grandi se il fetch è di ampiezza limitata.

Un'onda in generale è definita da due parametri fondamentali: ampiezza (indicata in genere con A; è la differenza tra il punto massimo dell'onda e il punto di equilibrio o di flesso. e lunghezza d'onda (spesso indicata come λ; è l'intervallo tra due creste o due valli dell'onda). L'altezza dell'onda (H) è poi la distanza verticale tra cresta e valle e il periodo (T) è il tempo impiegato dall'onda stessa per percorrere la distanza di una lunghezza d'onda. La rappresentazione di un'onda che si propaga in un liquido come una forma semplice di tipo sinusoidale è una semplificazione didattica: le onde marine in realtà sono forme molto complesse e non esiste un'onda di forma uguale all'altra, anche nello stesso treno d'onde, perché la forma delle onde dipende da molti fattori tra cui predomina la direzione e l'intensità del vento, che sono difficilmente costanti, ma localmente sono influenzati dalla morfologia delle onde stesse.

 
Moto orbitale delle particelle di un'onda in acqua profonda.
 
Moto orbitale delle particelle di un'onda in acqua bassa.

Il moto delle particelle di un'onda in acque profonde (in cui il fondale è abbastanza lontano da esercitare un'influenza trascurabile sull'onda) è oscillatorio, di tipo orbitale e di forma circolare. Le orbite in realtà non sono chiuse, ma le particelle d'acqua si spostano per piccoli incrementi successivi nella direzione di propagazione dell'onda.

Le onde esercitano la loro azione fino ad una profondità definita livello di base del moto ondoso (o limite di azione delle onde). Questo è anche il limite massimo fino a cui le onde possono esercitare trazione sui sedimenti (cioè smuoverli). Il livello di base delle onde si aggira sui 10 m in mari interni come il Mediterraneo, mentre arriva a 15-20 m sulle coste esposte agli oceani. Si parla ovviamente di moto ondoso medio, non di grandi tempeste o onde di maremoto (tsunami). La velocità del moto orbitale di un'onda può raggiungere alcuni metri al secondo, ma il diametro dell'orbita decresce rapidamente (secondo una funzione di tipo esponenziale) con la profondità dell'acqua, tanto che ad una profondità pari a λ/2 si riduce al 5% di quello superficiale.

Quando il fondale marino si trova a una profondità inferiore alla metà della lunghezza d'onda, l'acqua in movimento interagisce con esso, e il moto orbitale delle particelle diviene ellittico (con asse maggiore parallelo al fondale). In questo modo, l'onda inizia ad esercitare uno sforzo di taglio sul sedimento di fondo con velocità sempre maggiore mano a mano che la profondità diminuisce: il sedimento inizia quindi ad essere smosso sempre di più dal fondale. Lo spostamento delle particelle verso terra è progressivamente maggiore, perché le particelle sono ritardate nel loro moto verso mare sotto il ventre dell'onda dall'attrito con il fondale. L'onda diventa quindi asimmetrica: la velocità di traslazione alla base dell'onda diminuisce e la cresta (frangente) si inclina sempre più verso terra fino a rompersi e riversarsi sulla spiaggia.

I granuli di sedimento smossi dalle onde in prossimità della riva sono trascinati ripetutamente verso terra e verso mare, quindi per abrasione diminuiscono di dimensioni (di granulometria) e si arrotondano sempre più. Quando la costa è rocciosa, i sedimenti portati avanti e indietro dalle onde colpiscono le rocce costiere e le modellano (abrasione marina).

I movimenti d'acqua prodotti dalle onde creano le correnti litoranee o correnti costiere.

 
Quando la profondità diminuisce, al diminuire della velocità delle onde la loro altezza aumenta.

Quando le onde si avvicinano alla linea di riva e la profondità diminuisce, tende a diminuire la velocità per l'attrito con il fondale, e quindi diminuisce anche la lunghezza d'onda (intuitivamente: con il diminuire della velocità i fronti d'onda si "affollano" in uno spazio più ridotto), e diminuisce anche l'energia cinetica delle onde. Per un fenomeno fisico (principio di conservazione dell'energia), l'energia cinetica si trasforma quindi in energia potenziale (che è energia "di posizione"): questo avviene aumentando l'altezza delle onde. Le onde quindi, quando si avvicinano a riva, acquisiscono una maggiore altezza che si traduce in una maggiore energia potenziale. Questa energia potenziale si trasforma di nuovo improvvisamente in energia cinetica quando l'onda si frange a riva, conferendo all'onda frangente una capacità erosiva sulla costa. Questo fenomeno (che avviene in realtà per le onde in generale) è particolarmente evidente nelle tsunami, o onde di maremoto che si producono in seguito a terremoti con epicentro sottomarino o anche a frane sottomarine e costiere: queste onde hanno una notevole velocità (centinaia di km/ora) e lunghezza d'onda (fino a centinaia di chilometri). La loro altezza (in mare aperto pochi centimetri o decimetri), per il rallentamento improvviso aumenta enormemente sotto riva, fino a decine di metri, con effetti devastanti.

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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

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L'azione delle correnti costiere

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Le principali correnti costiere. Con fronti d'onda obliqui rispetto alla linea di costa, si hanno due componenti di movimento: perpendicolare e parallela alla spiaggia. La componente parallela è responsabile della formazione della corrente lungo costa all'interno della zona dei frangenti. Le correnti di risucchio si formano per la differenza di pressione tra le acque sotto costa e quelle esterne alla zona dei frangenti, determinata dall'accumulo d'acqua conseguente alla corrente lungo costa. La velocità delle correnti lungo costa e di risucchio è proporzionale all'angolo tra i fronti d'onda e la costa.

Le correnti costiere sono prodotte al margine di un bacino (marino o lacustre) dallo spostamento di masse d'acqua in prossimità della linea di costa, perpendicolarmente e parallelamente ad essa[N 1].

All'origine del fenomeno vi è la combinazione di tre fattori:

  • Azione del vento. I venti dominanti in un dato periodo controllano la direzione del moto ondoso rispetto alla costa e l'afflusso d'acqua verso di essa, determinandone portata e velocità.
  • Azione del moto ondoso. Le onde, entrando in acqua bassa, interagiscono con il fondale rallentando e trasformando progressivamente il loro moto da oscillatorio a traslatorio. Infine si frangono dissipando gran parte della loro energia sotto forma di turbolenza e proseguendo la loro corsa fino alla battigia come onde di traslazione.[N 2]
  • Azione della marea. L'escursione della marea, trasportando l'acqua del bacino alternativamente verso costa e verso mare provoca di conseguenza correnti prevalentemente perpendicolari alla linea costiera.

Tipi di corrente costiera

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Flusso di ritorno

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La frangenza delle onde determina un trasporto continuo di acqua verso costa, che deve essere compensato da un flusso di ritorno. Questo flusso si localizza prevalentemente a contatto con il fondale nella zona di traslazione, e a mezz'acqua (tra la superficie e il fondo) all'esterno della linea dei frangenti. Questo tipo di flusso è generalizzato (non concentrato né localizzato in aree e fasce, come la maggior parte delle correnti costiere), e a bassa velocità (dell'ordine di pochi centimetri o decimetri al secondo).

Corrente di deriva

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Quando i fronti d'onda sono obliqui rispetto alla linea di costa, le onde hanno due componenti di movimento: una perpendicolare e una parallela alla costa. Entrambe le componenti diventano efficaci (cioè determinano trasporto di massa e non solo di energia) solo dopo la linea dei frangenti, nella zona di traslazione: la componente parallela alla costa determina una corrente pulsante, definita corrente di deriva (o corrente lungo costa), che può raggiungere velocità dell'ordine di alcuni decimetri al secondo, fino a circa 1 m/s. Questo tipo di corrente è responsabile del trasporto di particelle di sedimento e di oggetti parallelamente alla costa: la deriva litorale. La corrente di deriva è uno dei principali fattori che controllano la sedimentazione e l'erosione delle coste, trasportando il sedimento per notevoli distanze e dando origine a corpi sedimentari particolari, i cordoni litorali e i tomboli, in corrispondenza di rientranze e sporgenze della costa, come golfi, isole e delta fluviali, e dando origine talora a vere e proprie lagune.

Corrente di risacca

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L'accumulo d'acqua parallelamente alla costa causato dalle correnti lungo costa determina una differenza (gradiente) di pressione rispetto alle acque esterne alla linea dei frangenti. Questa differenza di pressione richiede a sua volta una corrente di compensazione per ristabilire condizioni di equilibrio. Questo tipo di corrente si definisce corrente di risacca (o di risucchio). Si tratta di una corrente localizzata (a differenza del flusso di ritorno), con decorso perpendicolare alla costa, che raggiunge velocità intorno a 60 - 100 cm/s e "raschia" il fondale scavando veri e propri canali. La presenza di queste correnti può essere causa di notevole pericolo per le persone che si avventurano in acqua, sia per l'aumento improvviso della profondità in corrispondenza dei canali, sia per la forza stessa della corrente, soprattutto in regime di mare mosso o agitato.

Corrente di marea

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Un particolare tipo di correnti costiere sono inoltre le correnti di marea, che hanno origine dall'escursione mareale (differenza tra i livelli medi di alta e di bassa marea). Il fenomeno è presente in bacini marini e oceanici e in bacini lacustri di grande estensione (come ad esempio i grandi laghi del rift dell'Africa orientale, o i grandi laghi nordamericani). In tali contesti, su coste basse e debolmente inclinate, le correnti di marea possono raggiungere velocità e forza notevole (fino ad alcuni metri al secondo), e possono erodere i sedimenti costieri formando veri e propri canali che penetrano nell'entroterra dal mare. Il flusso e riflusso della marea, nella zona compresa tra i livello di bassa e di alta marea (zona intertidale) dà quindi luogo ad erosione, trasporto e ridistribuzione dei sedimenti sia verso terra che verso mare, formando un particolare ambiente sedimentario: la piana di marea.

Nei delta fluviali che sfociano in bacini a regime macrotidale (con escursione di marea superiore a 2 metri), le correnti di marea invadono i canali distributori del delta stesso, influenzandone il decorso e la sedimentazione, mentre nelle zone tra i canali deltizi (zone interdistributarie), si possono formare piane di marea.

Dove le maree hanno una escursione notevole il trasporto di acqua e sedimento lungo costa è generalmente molto limitato.

Le correnti di marea nella zona intertidale possono essere molto pericolose, sia nel periodo di flusso (marea montante) sia nel periodo di riflusso (marea calante), ma soprattutto in quest'ultimo caso, con il rischio per le persone eventualmente sorprese dal fenomeno di essere travolte e trasportate entro la zona subtidale [N 3] e di annegarvi. Il rischio è maggiore nelle piane di marea sulle coste oceaniche e comunque dove l'escursione di marea è più elevata, ma non deve essere sottovalutato in alcun caso, neppure sulle spiagge mediterranee.


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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

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L'azione delle correnti oceaniche

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Schema delle principali correnti oceaniche:in rosso le correnti calde; in blu le correnti fredde; in nero le correnti alla stessa temperatura della massa d'acqua circostante.

In oceanografia la corrente oceanica (o corrente marina) è una massa di acqua marina in movimento rispetto all'acqua che la circonda e dalla quale si può differenziare per densità, salinità, temperatura. Negli oceani aperti, solo la parte superficiale delle acque è influenzata dal vento e dal moto ondoso (meno del 10% in volume) e dà origine alle correnti superficiali. Il vento tuttavia cessa di avere influenza poche centinaia di metri sotto la superficie. Le correnti marine profonde hanno quindi un'origine essenzialmente termoalina (da differenze di temperatura e salinità delle masse d'acqua), e non vanno confuse con le correnti costiere (trattate in precedenza), la cui genesi è dovuta principalmente al vento e al moto ondoso. L'insieme delle correnti oceaniche dà vita alla circolazione termoalina, ossia la circolazione oceanica regolata dalla differenza di densità dell'acqua (la densità dell'acqua aumenta con il diminuire della temperatura, e aumenta all'aumentare della salinità).

Le correnti oceaniche hanno un forte impatto globale sul clima e sulla biosfera, guidando la distribuzione del plancton (sia zooplancton che fitoplancton) e dei nutrienti (materia organica e minerali indispensabili per gli organismi viventi).

Queste correnti hanno anche una certa influenza sui sedimenti dei fondali oceanici. Normalmente le correnti profonde hanno una velocità di 2 – 20 cm/s, sufficiente per trasportare sedimenti fini in sospensione ma insufficiente per erodere il sedimento di fondo. Tuttavia, localmente, questa velocità può essere aumentata per le caratteristiche fisiografiche del fondale stesso, ad esempio quando la corrente passa in uno stretto (nello Stretto di Gibilterra sono state misurate velocità di corrente pari a 3 m/s). In alcuni casi, la velocità delle correnti di fondo può aumentare per periodi di tempo limitati (pochi giorni) fino a diversi decimetri al secondo sotto l'azione di fenomeni chiamati tempeste di fondo (benthic storms), la cui genesi non è tuttora ben compresa ed è oggetto di dibattito, acquisendo quindi capacità erosiva. I sedimenti trasportati e accumulati dalle correnti oceaniche di fondo sono chiamati conturiti[N 4] perché normalmente le correnti di fondo viaggiano parallelamente alle isobate della scarpata continentale. Questi depositi sono tuttora poco conosciuti (per ovvie ragioni di scarsa accessibilità dei fondali oceanici), e soprattutto tramite metodi di prospezione indiretta (soprattutto le prospezioni sismiche), e in qualche caso perforazioni da navi oceanografiche o piattaforme petrolifere. Sembrano costituire corpi anche molto ampi (fino a decine e centinaia di km), sviluppati in direzione prevalentemente parallela alla scarpata continentale, e spessi fino ad alcune centinaia di metri. Si tratta comunque prevalentemente di sedimenti a granulometria fine (al massimo delle dimensioni della sabbia fine). Le correnti di fondo possono anche rielaborare questi sedimenti accumulandoli in varie forme di fondo (ripple e dune subacquee).


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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

  • Correnti oceaniche e Conturiti[6]

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L'azione delle correnti di torbidità

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Processo di formazione e propagazione di una corrente di torbidità, dal franamento di materiale inconsolidato al margine della piattaforma continentale.

Le correnti di torbidità (o correnti torbide) sono correnti di fluido in movimento con materiale in sospensione che si muovono lungo un pendio attraverso aria, acqua o un altro fluido. La corrente si muove per gravità, a causa della propria maggiore densità rispetto al fluido nel quale scorre e alla presenza di particelle solide in sospensione.

Le correnti torbide hanno origine da sedimenti non consolidati deposti sulla piattaforma continentale. Questi sedimenti derivano principalmente dalle foci dei fiumi, eventualmente ridistribuiti lungo il margine della piattaforma da tempeste di grande entità. Avendo densità maggiore rispetto all'acqua circostante, queste correnti (density flow nella terminologia anglosassone) scorrono velocemente verso il basso, per forza di gravità, lungo la scarpata continentale. Si tratta di flussi ad elevata turbolenza, con forte capacità erosiva. La velocità di avanzamento della corrente dipende anche dall'inclinazione della scarpata. Aumentando la velocità, aumenta anche l'erosione e la quantità di sedimenti trasportati; questo a sua volta aumenta la densità della corrente e quindi la velocità in un meccanismo di "autoalimentazione", raggiungendo anche velocità dell'ordine di alcune centinaia di chilometri orari (fino a metà della velocità del suono). Le correnti di torbida possono provocare danni a strutture artificiali sottomarine, come condotte, cavi elettrici, impianti di produzione petroliferi offshore. L'azione erosiva delle correnti torbide scava con il tempo veri e propri canyon sottomarini, che incidono il margine della piattaforma continentale, nei quali si convoglia un numero sempre maggiore di questi eventi accentuando sempre più la profondità dei canyon. Spesso i canyon si situano in corrispondenza delle foci dei fiumi principali, per l'elevato volume di sedimenti che portano.

 
Genesi delle torbiditi da franamenti che coinvolgono sedimenti deposti al margine della piattaforma continentale.

Con il diminuire della pendenza in corrispondenza del piede della scarpata continentale, le correnti perdono progressivamente velocità e capacità di carico, deponendo gradualmente i sedimenti: nelle parti più prossime alla scarpata i sedimenti più grossolani (ghiaia e sabbia grossolana), ed entro la piana sottomarina le frazioni più fini (sabbia fine, silt, argilla).

I depositi deposti dalle correnti torbide sono chiamati torbiditi. I depositi torbiditici possono dare luogo a corpi sedimentari di notevole entità: le conoidi sottomarine. Si tratta di corpi le cui dimensioni e la cui morfologia e organizzazione interna dipendono da svariati fattori. I principali sono:

  • la quantità e il tipo di sedimento che viene convogliato dalla piattaforma continentale al bacino. Il sedimento può derivare sia da una connessione diretta con un sistema fluviale (è il caso del Nilo, del Congo o del Gange) che da eventi sismici che possono provocare estesi franamenti del margine della piattaforma continentale.
  • l'entità del gradiente topografico (ovvero l'inclinazione del pendio su cui scorre la corrente torbida).
  • la morfologia del bacino e della scarpata continentale: le torbiditi possono deporsi in una piana sottomarina, formando corpi sedimentari estesi e a forma di ventaglio, oppure in bacini confinati (delimitati cioè da elementi morfologici di origine tettonica, tipo faglie o pieghe), assumendone la forma.


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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

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L'azione degli organismi viventi

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Diversi gruppi di organismi viventi acquatici (in realtà sia marini che lacustri), possono esercitare un'influenza (anche di notevoli proporzioni) in termini sia di erosione che, soprattutto, di sedimentazione. Mentre tutti gli altri tipi di sedimento si accumulano passivamente sotto l'azione degli agenti atmosferici (onde e correnti, sia acquee che eoliche, i sedimenti organogeni o biogenici (essendo strettamente legati all'attività biologica) "crescono" attivamente per la proliferazione degli organismi. Quindi in questo caso la biocenosi (la comunità degli organismi viventi) è strettamente interconnessa con l'ambiente sedimentario (l'ambiente fisico e l'insieme dei processi che lo caratterizzano) e ne è parte attiva, molto più che negli altri tipi di ambiente. La sedimentazione organogena ha il suo massimo sviluppo nelle piattaforme carbonatiche, aree con sedimenti prevalentemente calcarei (composti di carbonato di Calcio: CaCO3) che raggiungono dimensioni fino a decine e centinaia di chilometri (un tipico esempio attuale è la Grande Barriera Corallina australiana).

Le comunità biologiche che supportano le bio-costruzioni si rinvengono entro un ampio intervallo di temperatura, salinità e profondità: si trovano sia in acque fredde, alle medie e alte latitudini, sia in acque calde, e sono il prodotto dell'attività di comunità molto diversificate. I principali gruppi sono:

  • Cianobatteri. Noti impropriamente anche come alghe blu-verdi o anche alghe azzurre. Sono organismi unicellulari coloniali, altamente efficienti nella fotosintesi, potendo utilizzare anche parti dello spettro cromatico della luce solare non utilizzabili dalle alghe vere e proprie, e possono perciò sopravvivere in condizioni di scarsissima illuminazione, come quelle dei fondali marini o lacustri molto al di sotto della zona fotica (la zona di profondità entro la quale riesce a penetrare la luce solare[N 5]). Le colonie di cianobatteri non hanno parti scheletriche calcaree, ma la loro attività metabolica può indurre la precipitazione del carbonato di calcio dalle acque[N 6].
  • Alghe calcaree. Presenti sia in acque marine (ad esempio molte specie di alghe rosse) che in acque dolci (ad esempio le caroficee). Sono anche il gruppo in assoluto più diffuso in latitudine, essendo presenti sia in acque temperato-fredde che in acque calde tropico-equatoriali. Essendo organismi fotosintetici, sono limitati alla zona fotica, in cui la luce solare è sufficientemente forte da sostentare la fotosintesi.
  • Coralli ermatipici. Sono i coralli che vivono in simbiosi con alghe verdi unicellulari (Zooxanthellae). Come tutti gli animali, sono in realtà organismi eterotrofi, ma vivendo in simbiosi con alghe verdi, sono strettamente vincolati alla disponibilità di luce solare. Sono quindi limitati alla zona fotica. Sono organismi sia coloniali che solitari. In quest'ultimo caso sono spesso gregari[N 7].
  • Coralli aermatipici. Coralli non-simbiotici con alghe verdi, quindi non limitati alla zona fotica e non limitati dalla latitudine, potendo vivere anche in acque fredde (fino a qualche grado centigrado) e profonde. Anche in questo caso possono essere sia coloniali che gregari. Spesso non producono vere e proprie scogliere organogene, ma riescono ad intrappolare sedimento fino a formare banchi organogeni (con scarso rilievo sui sedimenti circostanti), in genere con morfologia tabulare o tondeggiante. Tuttavia, con il progredire dei mezzi tecnologici di indagine oceanografica, si è constatato che questi organismi danno luogo anche a vere e proprie bioerme (bio-costruzioni) in ambiente marino profondo (fino ad oltre 1000 metri di profondità)[N 8].
  • Vermetidi. Sono gasteropodi con conchiglia ad avvolgimento complesso e parzialmente svolta. Costituiscono estesi accumuli lungo costa in mari sia temperati che tropicali in associazione con alghe calcaree. Gli accumuli delle conchiglie di questi organismi, mediante processi di cementazione precoce del carbonato di calcio, danno luogo a bio-costruzioni note come piattaforme a vermeti (o trottoir a vermeti). Sono presenti in acque a salinità normale (36 per mille) fino ad acque salmastre (intorno al 25 per mille).
  • Ostreidi ("ostriche"). Molluschi bivalvi incrostanti e gregari. Vivono a bassa profondità cementandosi al substrato e danno luogo a banchi organogeni di estensione limitata. Si trovano in un ampio intervallo di salinità, da normale a iposalino (cioè a bassa salinità rispetto al mare aperto). Spesso questi banchi si rinvengono alle foci dei fiumi.
  • Serpulidi. Anellidi policheti dotati di un tubo esterno calcareo, gregari, che formano colonie in cui gli individui crescono cementandosi gli uni agli altri. Si trovano in un intervallo molto ampio di salinità, potendo vivere (a seconda delle specie) in ambienti iposalini e ipersalini e in condizioni schizoaline.[N 9]

In realtà molti altri gruppi faunistici contribuiscono secondariamente alla sedimentazione organogena, come i poriferi (spugne), i briozoi, i crinoidi, diversi gruppi di bivalvi e gasteropodi, concorrendo ad alimentare e consolidare il sedimento (oltre che ad incrementare la biodiversità nelle bio-costruzioni).

Gli organismi visti fino a qui vivono (nascono, crescono e muoiono) in uno stesso ambiente, con spostamenti molto limitati, e alla morte le loro spoglie mineralizzate si accumulano ugualmente nello stesso sito (o vengono rielaborate post-mortem dagli elementi in misura limitata e per distanze brevi). Sono quindi componenti autoctoni del sedimento.

Occorre dire che esistono anche sedimenti organogeni in cui i componenti sono esclusivamente alloctoni, cioè gli organismi non vivevano originariamente nello stesso ambiente dove le loro parti mineralizzate si sono accumulate. E' il caso tipico dei sedimenti organogeni oceanici (o comunque marini profondi) composti in massima parte dalle spoglie di microrganismi plactonici, come foraminiferi e radiolari (appartenenti allo zooplancton), chiamati appunto fanghi a globigerine (dal genere di foraminiferi più rappresentato, a composizione calcarea: CacO3), e fanghi a radiolari (a componente silicea: SiO2). in questi sedimenti è ben rappresentato anche il fitoplancton (alghe unicellulari planctoniche), con i fanghi a diatomee (a scheletro siliceo) e i fanghi a coccoliti (formati dalle placchette calcaree che formano lo scheletro esterno delle alghe coccolitofore). Questi organismi infatti vivono in massima parte nella parte più superficiale delle acque marine (nella zona fotica), e dopo la morte vengono presi in carico dalle correnti marine e dalle correnti oceaniche e infine si sedimentano per decantazione (cioè passivamente, per il proprio peso) sul fondale.


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Forme di erosione

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Schema che illustra l'erosione marina su una falesia. L'erosione dei frangenti si esercita soprattutto al piede della falesia (coadiuvata dagli effetti di aloclastismo ed eventualmente crioclastismo), formando una nicchia che indebolisce la parete e ne causa il crollo lungo una superficie di taglio (frana di crollo).

L'erosione marina è molto evidente sulle coste rocciose, dove l'azione delle onde dà origine a falesie ("scarpate" a picco sul mare). Quando le onde (in particolar modo le onde di tempesta) si abbattono su una falesia comprimono l'aria che si trova all'interno delle sue fratture e quando esse si ritirano l'aria si espande causando l'allargamento delle fratture e la frammentazione delle rocce. Si forma quindi una nicchia di erosione che con il tempo si accentua progressivamente fino a provocare il crollo della parte superiore. In questo modo la pendenza della scarpata si accentua e la falesia arretra sempre di più (erosione regressiva). Nei climi freddi questo fenomeno è accentuato dall'azione del gelo dell'acqua marina e meteorica che penetra nelle fratture delle rocce ed espandendosi frantuma la roccia. Anche l'azione delle correnti costiere contribuisce all'asportazione di materiale dal piede delle falesie e all'abrasione ad opera dei sedimenti trasportati.

Sulle coste sabbiose (spiagge), l'azione delle correnti costiere e delle onde determina un processo continuo di erosione, trasporto e redistribuzione dei sedimenti. L'equilibrio di questi processi dipende da molti fattori: soprattutto dalla morfologia della costa e dalle condizioni del mare: se cambiano queste condizioni (per fattori naturali o antropici), aree prima sottoposte a deposizione possono essere erose, e viceversa il sedimento eroso può andare a deporsi in nuove aree. Quindi, modificare in un punto la morfologia della costa creerà inevitabilmente problemi di erosione o eccessivo apporto di sedimenti in un altro tratto della costa. In questo senso, l'azione dell'uomo sulle coste, con la modificazione del profilo e della morfologia della costa in seguito alla costruzione di strutture abitative, industriali, di opere a difesa dei litorali e dei porti, può portare in assenza di una pianificazione territoriale adeguata a diffusi problemi di erosione delle coste (o, al contrario, sovra-sedimentazione). Anche le variazioni del livello marino a medio e lungo termine (trasgressione e regressione marina), dovute a variazioni climatiche o alla tettonica contribuiscono alla redistribuzione dei sedimenti e delle aree in erosione.

L'erosione marina può avvenire anche in acque profonde, per opera di correnti ad alta densità e turbolenza, come le correnti di torbidità, flussi composti da acqua e sedimento in sospensione derivati da frane sottomarine al margine superiore ella piattaforma continentale che vengono rimobilizzati in seguito ad eventi sismici o tempeste, o convogliati direttamente dalle foci dei fiumi. Il passaggio ripetuto di queste correnti, dotate di forte capacità erosiva, nel corso del tempo scava dei veri e propri canyon sottomarini che incidono il margine della piattaforma continentale. Si tratta di forme di erosione di dimensioni cospicue, della lunghezza di decine di chilometri e di profondità da decine fino a centinaia di metri, e spesso molto articolate e ramificate, generalmente con profilo a "V". Sovente si creano in corrispondenza delle foci dei fiumi, per il passaggio frequente di sedimento portato dalle piene.


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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

  • Morfologia costiera ed erosione[16].
  • Erosione sottomarina (canyon sottomarini)[17].

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Forme di deposito

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Come abbiamo visto, onde e correnti danno luogo sulle coste ad un processo continuo di erosione-trasporto-sedimentazione. La sedimentazione dà origine a vari tipi di depositi.

Spiaggia

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Profilo geomorfologico ideale (non in scala) di una spiaggia impostata sul limite della terraferma. A monte delle dune eoliche in questo caso potremmo avere una pianura alluvionale, una costa rocciosa o un deserto. Nel caso di un cordone litorale, alle spalle della spiaggia si svilupperebbe un ambiente protetto, di laguna o piana di marea. Il profilo può essere più o meno completo a seconda dell'entità dell'escursione della marea, dell'esposizione ai venti e della prevalenza di fenomeni erosivi o di accumulo.

Una spiaggia, in senso geomorfologico, è un'area costiera sabbiosa prospiciente un bacino marino o lacustre, caratterizzata da una inclinazione verso il bacino stesso e compresa tra il limite inferiore e il limite superiore di azione delle onde. In senso sedimentologico, una spiaggia è un corpo sabbioso, ciottoloso, più raramente siltoso-argilloso accumulato o rielaborato dalle onde.

Le spiagge possono impostarsi direttamente al limite della terraferma o su un cordone litorale (in tal caso viene detta anche spiaggia-barriera). In quest'ultimo caso, la spiaggia delimita verso mare un ambiente protetto (una laguna o una piana di marea). La formazione di una spiaggia è dovuta alla combinazione di fenomeni di erosione e sedimentazione, determinati dalle onde, dalle maree e dalle correnti costiere marine o lacustri costiere; il sedimento sciolto redistribuito da tutti questi agenti deriva nella maggior parte dei casi da apporti provenienti da delta fluviali o da litorali vicini. In alcuni casi, le spiagge sono composte da materiali presenti in loco e rielaborati da onde e correnti.

In aree con una elevata produttività biologica (proliferazione di organismi viventi), soprattutto nelle aree tropicali ed equatoriali, si possono avere anche spiagge costituite prevalentemente da detrito formato da resti o scheletri calcarei di organismi marini, quali ad esempio aculei e piastre di ricci mare, frammenti di coralli e briozoi, frammenti di gusci di molluschi e ooliti (concrezioni sferoidali prodotte dalla precipitazione di carbonato di calcio intorno a nuclei microscopici di detrito in ambiente di acque basse e calde tropicali). A seconda del tipo di sedimenti disponibili, materiali di diversa granulometria possono accumularsi sulle spiagge: si va da ghiaia e ciottoli dove l'energia dell'acqua è maggiore, a sabbia per la grande maggioranza delle spiagge, fino a fango, soprattutto presso la foce di grandi fiumi che trasportano grandi quantità di sedimenti molto fini (come ad esempio il Mississippi).

 
Schema in pianta di una spiaggia durante la bassa marea (non in scala). La battigia si trova in posizione e esterna, verso mare. Il solco (truogolo) subtidale è percorso dalla corrente lungo-costa generata dai fronti d'onda obliqui e i canali tra le barre subtidali sono percorsi dalle correnti di risacca. Queste correnti tendono a portarsi in posizione più interna con l'alta marea.

Il profilo morfologico o topografico di una spiaggia presenta tre unità principali:

  • Spiaggia emersa: è posta al di sopra del livello massimo di alta marea e si estende verso terra fino al limite massimo di azione delle onde di tempesta; è caratterizzata da una rampa inclinata verso mare (la battigia, ciclicamente sommersa ed esposta dal flutto montante) che termina verso terra in una leggera cresta a sezione triangolare (la berma ordinaria corrispondente alle condizioni normali di moto ondoso). Una o più berme di tempesta possono seguire in posizioni più interne, a rimarcare l'influenza delle mareggiate. Dove termina la berma più interna si può trovare una fascia di dune costruite dai venti e alimentate dalla sabbia asciutta della spiaggia emersa. La fascia di dune segna il limite interno della spiaggia e la linea di costa vera e propria (in senso sedimentologico e geomorfologico). La fascia di dune eoliche (e talora anche la berma più interna) possono essere colonizzate da piante psammofile (piante che vivono in un ambiente ad alta concentrazione di sali). Se la spiaggia si imposta come cordone litorale con una laguna alle spalle, spesso la potenza delle onde di tempesta arriva a scavare delle brecce nel cordone stesso scagliando materiale verso l'interno, che si depone in piccoli corpi sedimentari a conoide (ventagli di rotta): veri e propri piccoli delta caratterizzati da laminazioni interne inclinate verso terra (a differenza delle lamine di battigia, inclinate prevalentemente verso mare).
 
Schema in pianta di una spiaggia durante la fase iniziale dell'alta marea (non in scala). La battigia ordinaria (corrispondente al moto ondoso "normale" è in posizione interna, verso terra. Il solco (truogolo) intertidale e i canali tra le barre intertidali sono percorsi dalle correnti di marea, in questo caso di marea montante (con la marea calante, saranno correnti di riflusso e andranno verso mare). Nella fase di stazionamento alto della marea (intorno al massimo livello di alta marea) si possono sviluppare correnti lungo costa generate dai fronti d'onda, che tendono a percorrere il solco intertidale.
  • Spiaggia intertidale, tra il livello medio di bassa marea e il livello medio di alta marea: viene quindi ciclicamente sommersa e scoperta dalle acque due volte al giorno. Nelle coste molto basse con ampia escursione mareale (coste macrotidali, con escursione superiore ai due metri), si può sviluppare una vera e propria piana di marea, con caratteri peculiari che rientrano solo in parte nella definizione di spiaggia. Nelle coste in cui l'escursione della marea è molto limitata (meno di un metro), questa zona è generalmente molto ridotta o assente. Ove presente, la zona in esame è caratterizzata dallo sviluppo di barre (o "secche") in posizione esterna, la cui cresta segna il livello medio tra bassa e alta marea, separate dalla battigia da un solco (truogolo) che decorre lungo costa e sbocca verso mare attraverso canali di marea perpendicolari alla linea di costa. Il solco e i canali intertidali sono percorsi due volte giorno dal flusso e dal riflusso mareale. Durante l'alta marea, se i fronti d'onda sono obliqui rispetto alla costa, in questo settore possono svilupparsi anche correnti lungo costa, generate dalla componente di movimento parallela alla spiaggia.
  • Spiaggia sommersa: posta al di sotto del livello minimo di bassa marea, questa unità si estende fino al limite inferiore di azione delle onde "normali" (pari a circa metà della lunghezza d'onda). Anche in questo caso si sviluppano comunemente barre lungo-costa, separate dalle zone più interne, e incise da canali perpendicolari alla costa percorsi dalle correnti di risucchio o di ritorno.

Come si vede, questa definizione è notevolmente più ampia e articolata rispetto all'accezione comune, che identifica usualmente come spiaggia solo la parte emersa del deposito sabbioso.

 
Esempio di rifrazione dei fronti d'onda per opera della fisiografia costiera. L'energia delle onde si concentra sulle parti sporgenti e tende a regolarizzare ia linea di costa.

Le onde modellano continuamente la costa. Al modellamento contribuisce il fenomeno della rifrazione dei fronti d'onda, causato dall'irregolarità della linea costiera. Quando un fronte d'onda si avvicina a una costa con morfologia irregolare (ad esempio a baie e promontori, l'onda inizia a interagire con il fondale prima nelle zone più "sporgenti" della costa (e viene quindi "frenata" dall'attrito col fondo), e dopo in corrispondenza delle "rientranze". Questo provoca una inflessione del fronte dell'onda, che tende a convergere sulle sporgenze della costa, dove l'energia dell'onda si concentra, e a divergere in corrispondenza delle rientranze, dove l'energia tende a disperdersi. La conseguenza è che l'erosione si concentra sui tratti sporgenti della costa (i promontori) da cui il sedimento viene eroso e trasportato verso le zone ad energia minore (le baie).

Come abbiamo visto, la sedimentazione di spiaggia è controllata, oltre che dal moto ondoso, principalmente dalle correnti di deriva (o correnti lungo costa, longshore nella terminologia anglosassone). Queste correnti trasportano il sedimento parallelamente alla linea di costa. Quando cambia l'orientazione della costa, l'interazione delle correnti con la fisiografia costiera dà origine a depositi con morfologie caratteristiche.

 
Schema dei principali elementi della morfologia costiera.

Quando ad esempio abbiamo una baia, ovvero una rientranza nella costa, la corrente di deriva tende ad aggirare la rientranza deponendo sedimento all'uscita della baia stessa, formando una freccia litorale, cioè un cordone di sedimento che si protende in mare. Possiamo avere varie generazioni di frecce litorali che si giustappongono e tendono ad isolare tra l'una e l'altra, verso terra, piccoli bracci di mare e pozze destinati ad impaludarsi e interrarsi (se l'escursione di marea è abbastanza forte si può impostare una piana di marea). Il cordone litorale oltre un certo limite tende ad "uncinarsi" verso terra per fenomeni di rifrazione delle onde che tendono ad aggirare il cordone stesso determinando quindi una deviazione della corrente. Una baia può essere anche completamente chiusa (formando quindi una laguna o un lago costiero) o interrata per la sedimentazione litorale.
Frecce litorali possono essere costruite dalla corrente anche a ridosso di un promontorio (una sporgenza della costa in questo caso): in somma, ogni qual volta la linea di costa cambia direzione con un angolo abbastanza pronunciato.
Quando abbiamo un'isola vicina alla costa, l'azione della corrente di deriva può dare origine ad un cordone litoraneo che collega la costa all'isola, cioè un tombolo. Talvolta l'aggiramento dell'ostacolo da parte della corrente permette la formazione di un secondo tombolo sotto corrente, isolando così una laguna tra i due tomboli. E' il caso del Monte Argentario, sulla costa della Maremma toscana (Grosseto), un tempo un'isola e ora collegato alla costa da due tomboli che formano la Laguna di Orbetello.
Quando abbiamo un cordone litorale che delimita una laguna interna, interrotto da più bocche in comunicazione col mare aperto, si parla di isola-barriera: un tipico esempio è il cordone che delimita la Laguna di Venezia tra Cavallino e Chioggia.

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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

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Piana di Marea

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Schema generale di una piana di marea, con l'indicazione dei principali ambienti e subambienti. Si nota la tipica configurazione dei canali tidali (o canali di marea), fortemente ramificati e a meandri. Nel caso illustrato, la piana di marea è protetta verso mare da un cordone litorale, e abbiamo lo sviluppo di una laguna comunicante con il mare attraverso una bocca, in corrispondenza della quale si imposta un delta tidale (o delta mareale), sviluppato sia verso terra che verso mare (per il flusso e riflusso). In molti altri casi, quando il moto ondoso e le correnti costiere sono poco attivi, la piana passa direttamente a mare aperto.

Si definisce piana di marea o piana tidale un ambiente sedimentario in cui la sedimentazione è controllata dal flusso e riflusso della marea: le piane di marea si sviluppano lungo coste basse, a debole inclinazione, con elevata escursione di marea, nelle quali quindi l'innalzamento e l'abbassamento del livello marino comporta sommersione ed esposizione ciclica di ampie estensioni di territorio. In generale, le aree di piana di marea si suddividono in tre zone, definite dall'escursione tra il livello medio di alta marea e il livello medio di bassa marea:

  • Zona sopratidale. Questa zona è al di sopra del livello medio di alta marea, ed è invasa completamente dal mare solo eccezionalmente (maree sigiziali ed equinoziali, mareggiate, precipitazioni eccezionali se in clima umido, piene eccezionali se in ambiente deltizio). È influenzata principalmente da processi atmosferici e biologici. Nella sua parte più verso mare, l'area è in genere ancora incisa da canali di marea con il fondo sotto il livello medio di alta marea. Vi si possono formare paludi di acqua salata o salmastra e saline naturali. In clima umido vi si instaurano coltri di piante alofite, che possono dare luogo a torbiere. In clima arido, è priva di vegetazione e caratterizzata da depositi salini (carbonati, solfati e cloruri) precipitati in seguito all'intensa evaporazione dell'acqua in clima arido, in forma di croste. I sedimenti sono prevalentemente fangosi. Spesso si formano suoli poligonali (fessurazioni dello strato superficiale del terreno (pochi millimetri o centimetri), che si sviluppano per essiccazione su terreni fangosi e assumono una configurazione poligonale più o meno irregolare). Verso mare ci può essere una fascia di accumulo di gusci e conchiglie spiaggiati, che segna il livello medio di alta marea.
 
Principali strutture sedimentarie (rappresentate in sezione verticale) e loro distribuzione nella zona intertidale di una piana di marea.
  • Zona intertidale. Compresa tra i livelli medi di bassa e alta marea, questa zona è generalmente la più estesa di questo ambiente, e costituisce la vera e propria piana di marea, in cui la distribuzione del sedimento è determinata principalmente dalle correnti di marea. Si tratta di un'area pianeggiante e debolmente inclinata verso mare: le maggiori irregolarità (dell'ordine di decimetri o di metri) sono date da canali di marea e dai relativi argini naturali, e da barre tidali (dune di sabbia da corrente tidale). Barre e argini possono costituire aree emerse semi-permanenti, con i processi e i caratteri della zona supratidale. La piana intertidale può essere prevalentemente fangosa o sabbiosa, a seconda della granulometria del sedimento disponibile, ma più frequentemente appare zonata, con le aree più fangose nella zona più interna e nelle aree più lontane dai canali, presso il livello medio di alta marea, mentre le aree sabbiose sono in posizione più esterna (vicino al livello medio di bassa marea), entro i canali e in prossimità di questi. Questa distribuzione dei sedimenti si verifica perché l'energia dei processi mareali è massima in generale verso mare e in corrispondenza degli assi dei canali di marea, e tende a diminuire verso l'interno della piana e allontanandosi dai canali stessi. I canali di marea, scavati dalle correnti mareali, solcano tutta la piana e penetrano nella zona supratidale formando reticoli molto complessi, intrecciati e a meandri. Generalmente, più è fine il sedimento, più è elevata la sinuosità dei canali, mentre in piane sabbiose i canali tendono ad essere poco sinuosi e più ramificati che intrecciati. La presenza di piante alofite (come, in clima caldo-umido, le mangrovie), contribuisce a stabilizzare i sedimenti e le configurazioni dei canali di marea. Gli argini naturali sono prodotti dalla tracimazione e dall'accumulo di sedimento fine oltre l'alveo del canale, durante le maree più pronunciate e le mareggiate, e si situano prevalentemente nella parte concava (esterna) dei meandri, dove la velocità della corrente è maggiore. Le strutture sedimentarie più comuni nella fascia più esterna ed entro i canali di marea, in condizioni di alta energia, sono laminazioni da corrente che in sezione assumono una tipica configurazione a “spina di pesce”, determinata dall'inclinazione delle lamine sabbiose verso terra (corrente di marea montante, o di flusso) e verso mare (corrente di marea calante o di riflusso) prodotta dall'inversione ciclica della direzione di trasporto del sedimento sabbioso. Le lamine sono disposte in pacchi con inclinazione opposta, che si troncano reciprocamente. Si tratta di barre sabbiose sommerse, le cui creste sono erose alternativamente delle correnti di marea montante e calante. Spesso, una direzione tende a prevalere sull'altra, perché alcuni canali sono percorsi prevalentemente dal flusso e altri dal riflusso della marea.
  • Zona subtidale. Si trova sotto il livello medio di bassa marea, e costituisce la fascia più esterna della piana, che sfuma gradualmente nell'ambiente di piattaforma continentale. La sedimentazione è ancora influenzata dalle maree nell'area più prossimale alla piana, dove abbiamo i canali più ampi, intervallati da barre e secche sommerse. I sedimenti più grossolani (sabbie medio-grossolane) corrispondono agli assi dei canali, dove si sviluppano laminazioni incrociate ma volte prevalentemente verso mare (in questa zona la corrente di riflusso tende a prevalere), mentre sulle secche si accumulano i sedimenti più fini. Nella parte più distale tendono gradualmente a prevalere sedimenti fini con influenza sempre maggiore delle onde.

Le piane di marea, come altri ambienti di transizione tra il dominio marino e il dominio continentale, costituiscono ecosistemi molto complessi, in cui trovano rifugio elementi faunistici e floristici appartenenti ad entrambi i domini, e in cui si sviluppano adattamenti peculiari alle caratteristiche estreme dell'ambiente:

  • alternanza nell'arco del giorno di condizioni subacquee e subaeree (nella zona intertidale);
  • presenza di correnti con inversione ciclica, con velocità anche notevoli (fino ad alcuni metri al secondo);
  • elevata instabilità del fondale, a causa del trasporto di sedimento da parte delle correnti;
  • variazioni di salinità, in presenza di apporti di acque dolci continentali, con condizioni schizoaline, cioè variabili da iposaline (salmastre) a ipersaline, nelle zone più interne, per l'evaporazione e la concentrazione di sali.
  • variazioni di ossigenazione delle acque, con alternanza di condizioni di acque correnti e stagnanti.

D'altro canto, si tratta di aree protette sia nei confronti delle condizioni marine franche (onde, correnti costiere, tempeste e mareggiate), che delle condizioni climatiche continentali, spesso più estreme. In queste aree, anche gli organismi predatori di terraferma e di mare aperto si addentrano con difficoltà o tendono a evitarle. Inoltre si ha una elevata esposizione alla luce solare (a tutte le latitudini). Per tutti questi motivi, le piane di marea costituiscono aree rifugio per numerose specie, in particolare gli uccelli migratori.


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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

  • Processi e depositi di piana di marea[20][21]

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Piattaforma carbonatica

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Con il termine piattaforma carbonatica si intende, in sedimentologia e in biologia, un'area situata in ambiente marino o lacustre, caratterizzata da un rilievo topografico più o meno accentuato e da un'elevata produzione di materiale carbonatico autoctono[N 10] di origine prevalentemente biogenica[N 11], derivato dall'accumulo di parti dure di organismi a scheletro calcareo oppure dalla precipitazione di carbonato indotta dall'attività di organismi viventi. Il termine deriva dalla morfologia generalmente tabulare di questi corpi geologici e dal fatto che i sedimenti componenti sono carbonatici, composti da carbonato di Calcio (CaCO3). Una piattaforma carbonatica è un complesso molto articolato, che comprende diversi ambienti.

I termini piattaforma carbonatica e Barriera corallina (o reef) non sono sinonimi. Una barriera corallina è una scogliera bio-costruita e costituisce solo una parte della piattaforma carbonatica: tipicamente la sua fascia marginale esterna (più o meno estesa). Un esempio di piattaforma sviluppata lungo una costa continentale, in cui la parte di reef è molto estesa, è la Grande Barriera Corallina australiana.

 
Ubicazione nel mondo delle principali bio-costruzioni a coralli. Come si vede, anche se la maggior parte di queste sono situate nei mari caldi, bioherme a coralli sono presenti anche a latitudini elevate e in acque temperato-fredde.

D'altro canto, sono esistiti nella storia geologica complessi di piattaforma carbonatica privi di un vero e proprio reef (esempi molto studiati sono le piattaforme del Triassico, molto diffuse nelle Dolomiti e in tutte le Alpi meridionali). Anzi, i complessi di reef sono presenti in realtà solo in alcuni periodi della storia della terra.

Le piattaforme carbonatiche più tipiche e più studiate sono le piattaforme tropicali di bassa profondità. Si tratta di piattaforme di ambiente marino e di clima tropico-equatoriale, con acque molto pulite e ben ossigenate, e sono degli indicatori ambientali molto sensibili alla presenza di inquinamento (di origine sia naturale che antropica) e alle variazioni del clima. Si trovano attualmente solo in acque calde (>20 °C di temperatura media annua), in una fascia di latitudine compresa tra 30° S e 30° N. Un tipico esempio di piattaforma carbonatica attuale è costituito dalle Isole Bahamas. Si tratta di aree più o meno estese, a bassa profondità d'acqua (mediamente di pochi metri), con zone più profonde di laguna interna e spesso bordate verso il mare aperto da un sottile margine di reef o bioerma (scogliera bio-costruita). Gli organismi bio-costruttori sono principalmente autotrofi (alghe calcaree) o comunque strettamente dipendenti dalla luce solare (coralli ermatipici, simbionti con alghe verdi). Le aree di piattaforma interna sono caratterizzate dalla proliferazione di organismi come alghe calcaree, coralli non biocostruttori, crinoidi e molluschi. I sedimenti interni alle aree di piattaforma sono prevalentemente fanghi carbonatici derivati principalmente dalla disintegrazione degli scheletri calcarei delle alghe. Sono frequenti, soprattutto nelle facies ad alta energia come spiagge e barre sommerse, particelle e granuli di materiale carbonatico derivati da precipitazione chimica non indotta o controllata biologicamente, come le ooliti[N 12]. Le piattaforme carbonatiche di questo tipo sono in generale caratterizzate morfologicamente da un rilievo topografico più o meno accentuato nei confronti delle aree circostanti e tendono a "crescere", cioè a propagarsi in verticale e in orizzontale, progradando [N 13] sui sedimenti della piattaforma continentale o bacinali intorno, a causa del surplus di materiale carbonatico prodotto dagli organismi viventi. Questo materiale in eccesso si accumula tipicamente in una fascia di detrito esterna al margine della piattaforma, sulla scarpata di raccordo con i sedimenti di bacino, con granulometria fino a molto grossolana. Un atollo è una piattaforma carbonatica isolata in ambiente oceanico, in ambiente tropicale ed equatoriale. Le sue caratteristiche distintive sono la presenza di una barriera esterna, formata dagli organismi bio-costruttori (coralli), che può avere tratti emersi colonizzati da vegetazione ed eventualmente abitati, e una laguna interna poco profonda con acque calme e piccole bio-costruzioni a fior d'acqua. L'origine di queste formazioni è stata dibattuta a lungo. La teoria di Charles Darwin sostiene che gli atolli deriverebbero, per subsidenza, da scogliere coralline a isole oceaniche che, a causa di un lento e progressivo sprofondamento , si sarebbero evolute in scogliere a barriera circolari, delimitanti una laguna interna. Contemporaneamente allo sprofondamento, la barriera tenderebbe ad espandersi verso mare, sviluppandosi verso l'alto e verso l'esterno e allontanandosi progressivamente dalla linea di riva, aumentando così l'ampiezza e la profondità della laguna. In realtà la teoria di Darwin, sebbene per molti casi sia tuttora accettabile, è eccessivamente semplificativa: non tutti gli atolli infatti hanno al nucleo edifici vulcanici sepolti. Nella costruzione degli atolli intervengono anche fattori climatici a lungo termine che determinano l'innalzamento o l'abbassamento del livello marino su scala globale.

Esistono anche piattaforme di bassa profondità in acque temperato-fredde. Sono piattaforme presenti alle medie e alte latitudini, caratterizzate dalla predominanza di organismi bio-costruttori interamente eterotrofi (molluschi, anellidi, coralli non-simbionti). Gli organismi autotrofi (alghe calcaree) sono spesso presenti in percentuale molto variabile, e talora forniscono un contributo significativo. Le bioerme di questo tipo sono generalmente di dimensioni più ridotte. I sedimenti più diffusi sono composti da frammenti scheletrici calcarei della granulometria della sabbia o maggiore (granuli), mentre è meno frequente il fango carbonatico. Mancano generalmente ooliti e altri tipi di precipitati abiotici. Complessivamente, quindi, prevale la precipitazione dei carbonati biologicamente controllata. In territorio italiano, tra le bio-costruzioni più conosciute di questo tipo sono le tegnue[N 14] di Chioggia, presenti diffusamente al largo della costa Mare Adriatico settentrionale, i cui organismi costruttori sono principalmente alghe calcaree.


 
Schema generalizzato di sezione geologica attraverso una piattaforma carbonatica. Il margine della piattaforma è costituito in questo caso da una scogliera bio-costruita (reef), che delimita e protegge dalle correnti e dalle onde una laguna interna. Verso l'esterno (verso mare), il margine della piattaforma degrada rapidamente in una scarpata più o meno pronunciata, la cui fascia più prossimale è caratterizzata da sedimenti clastici grossolani, derivati dallo smantellamento della scogliera. In questo caso, la piattaforma tende a progradare sui sedimenti di bacino (perché il margine tende a spostarsi nel tempo verso mare).

Dal punto di vista geometrico, una piattaforma carbonatica è suddivisibile in diverse unità morfologiche:

  • Avanscogliera. È la parte più esterna della piattaforma, costituita da una fascia di detrito che si raccorda gradualmente verso l'esterno con i sedimenti del fondale marino. È composta di strati di sedimento inclinati verso l'esterno, la cui inclinazione tende a diminuire gradualmente fino ad orizzontalizzarsi al raccordo con i normali sedimenti fangosi di fondale. Le pendenze possono essere anche elevate (fino a oltre 45º). Talora la granulometria può essere fino a molto grossolana (ciottoli e massi), per fenomeni di crollo del margine della scogliera dovuti soprattutto alle onde di tempesta. Anche questa parte della piattaforma (almeno fino al limite della zona fotica) è intensamente colonizzata da organismi come coralli, briozoi, alghe e altri invertebrati che contribuiscono a cementare e stabilizzare il detrito.
  • Scogliera (reef). È la parte più propriamente biocostruita, composta di organismi costruttori coloniali o gregari. È tipicamente priva di stratificazione interna, ed è caratterizzata da una elevata porosità e permeabilità iniziale, che poi tende con il seppellimento a diminuire bruscamente per l'infiltrazione di fango carbonatico e fenomeni di ricristallizzazione e cementazione dei carbonati. La parte superiore del reef è piatta, e segna il livello di alta marea (oltre il quale gli organismi costruttori, ovviamente, non possono vivere).
  • Retroscogliera. La parte di piattaforma (spesso prevalente in volume ed estensione areale) che si sviluppa dietro la scogliera, verso terra (nel caso che la piattaforma si trovi in una zona costiera continentale o insulare), oppure verso l'interno di un banco o di un atollo (nel caso che la piattaforma sia isolata). Questa unità è caratterizzata da una fascia di detrito della granulometria della sabbia a ridosso della scogliera, che sfuma internamente in sedimenti fangosi. Si tratta di aree di laguna in cui possono crescere ancora piccoli banchi e scogliere satelliti, e in cui possono proliferare alghe calcaree e molluschi. La porosità e la permeabilità tendono a diminuire verso l'interno della piattaforma. La piattaforma interna può essere interessata da canali di marea e può raccordarsi con una piana di marea vera e propria (è il caso delle piattaforme costiere della Florida e di quelle del Golfo Persico). Localmente, possono esservi aree permanentemente emerse colonizzate da vegetazione e animali terrestri[N 15].

È importante notare che questa suddivisione non è solamente morfologica ma anche sedimentologica ed ecologica: ciascuna zona è caratterizzata da una particolare tipologia di sedimento e da una biocenosi ben definita e dotata di caratteri morfologici riconoscibili. Tutti questi caratteri sono riconoscibili anche nei sedimenti del passato geologico e permettono la ricostruzione paleoecologica di scogliere fossili tramite l'analisi della facies sedimentologica e l'analisi paleoecologica della associazione degli organismi fossili presenti (tanatocenosi).

Vari fattori, come un aumento eccessivo del tasso di subsidenza, un incremento eccessivo e subitaneo del livello marino, la mancanza di nutrienti, variazioni di temperatura e di salinità dovute a cambiamenti nella circolazione oceanica, proliferazione incontrollata di predatori degli organismi bio-costruttori, inquinamento, possono portare ad una crisi, anche irreversibile, della comunità che sostiene la piattaforma e causarne quindi l'annegamento[N 16] e la morte. Analogamente, un abbassamento improvviso del livello marino può portare ad emersione gran parte della piattaforma e causare la morte della sua comunità biologica.


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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

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Depositi torbiditici

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Conoide torbiditica

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Schema concettuale, in pianta e in sezione, di una conoide torbiditica.

Le conoidi torbiditiche si depongono in mare profondo, nella parte basale della scarpata continentale e nella piana abissale, per l'azione delle correnti di torbidità, flussi ad alta densità composti da acqua e sedimento in sospensione derivati da frane sottomarine al margine superiore ella piattaforma continentale che vengono rimobilizzati in seguito ad eventi sismici o tempeste, o convogliati direttamente dalle foci dei fiumi. Le correnti di torbidità scorrono dapprima entro canyon sottomarini scavati al margine della piattaforma continentale dall'erosione operata del susseguirsi di eventi torbiditici, poi, quando i canyon "sfociano" al piede della piattaforma nella piana abissale, i flussi si espandono rallentando e diluendosi, e perdono gran parte della loro capacità di carico, deponendo gradualmente i sedimenti trasportati.

 
Rappresentazione di un canyon sottomarino.

I depositi torbiditici danno spesso luogo ad una morfologia simile a quella fluviale, con veri e propri canali (spessoa meandriformi), e argini naturali, nelle aree più prossimali (dove prevalgono i processi erosivi). Nelle parti distali del sistema deposizionale torbiditico prevalgono invece i processi deposizionali, con morfologie a lobo (corpi convessi verso l'alto, con scarso rilievo e con forma generalmente a ventaglio se non confinati dalla morfologia del fondale). La stratificazione è generalmente grossolana nelle aree prossimali, con banchi sabbiosi o arenacei di spessore anche notevole, a base erosiva; è invece fine, con sottili alternanze tra livelli arenacei e pelitici, nelle aree distali.

 
Sequenza di Bouma completa in uno strato torbiditico dal Devoniano della Germania. In questo caso l'intervallo C è a laminazioni convolute.

Ogni evento torbiditico genera uno strato caratterizzato da una particolare successione verticale di strutture interne, chiamata sequenza di Bouma (dal nome dello studioso che la definì originariamente su sedimenti fossili, in affioramento). La sequenza tipica, come descritta da Bouma,[25] può essere suddivisa in 5 intervalli distinti (A-E), partendo dalla base e risalendo verso il tetto dello strato. Nella realtà alcuni intervalli possono mancare: infatti non tutte le correnti torbide hanno uguali livelli di densità e velocità e ognuna di esse ha origine in contesti litologici differenti. Il modello proposto nella classica sequenza di Bouma rappresenta una situazione ideale di deposizione di un singolo strato completo. Alla base della sequenza si trova una superficie di erosione, sopra la quale si depositano man mano i sedimenti, in regimi di flusso con energia decrescente verso l'alto. I fanghi in sospensione infine si depongono per decantazione.

In particolare (dal basso verso l'alto), abbiamo:

A: sabbie da molto grossolane a fini con gradazione normale (cioè sempre più fini verso l'alto)[N 17].

B: sabbie medio-fini con laminazione parallela

C: sabbie con laminazione obliqua da ripple mark o lamine convolute

D: sabbie finissime e silt laminati parallelamente

E: fanghi massivi, privi di strutture, spesso con evidenze di attività di organismi (bioturbazioni), a granulometria finissima (argilla, silt)

I termini di questa sequenza corrispondono a velocità e densità progressivamente minori della corrente torbida, e sono stati verificati sperimentalmente, riproducendo in laboratorio correnti torbide con velocità decrescente. Quindi nelle parti più prossimali (vicine al punto di origine della corrente) avremo sequenze prevalentemente troncate verso l'alto (ad esempio sequenze A; A-B), perché la corrente è ancora molto veloce e le frazioni più fini del sedimento tendono a restare in sospensione nel flusso. In situazioni intermedie avremo sequenze più complete, fino alla sequenza di Bouma completa (ad esempio A-C; A-D; A-E). Nella parte distale (lontana dal punto di origine della corrente) del deposito avremo sequenze troncate verso il basso (cioè mancanti delle frazioni più grossolane del sedimento), perché ormai il flusso della corrente è molto diluito e porta in sospensione sedimento molto fine (ad esempio sequenze B-E; C-E; D-E). Gli ultimi termini che si depongono, per decantazione, sono i fanghi torbiditici (E), ormai nella piana abissale, che possono essere alternati (tra un episodio torbiditico e un altro a fanghi di sedimentazione normale, con forte componente biogenica (ad esempio fanghi a globigerine o a radiolari).

 
Schema concettuale di evoluzione di un bacino di avanfossa (antistante una catena montuosa durante l'orogenesi della stessa). 1. Nella fase sin-orogenica il bacino è invaso principalmente da sedimenti clastici di tipo torbiditico (flysch) derivati dall'erosione dell'orogene in corso di sollevamento; 2. Nella fase post-orogenica il bacino viene colmato gradualmente da sedimenti (definiti tradizionalmente molasse) derivati dallo smantellamento dell'orogene ormai inattivo e dalle aree circonvicine.

Singoli episodi deposizionali corrispondenti ad eventi catastrofici (ad esempio terremoti di notevole magnitudine), possono dare origine a livelli spessi diverse decine di metri, definiti megatorbiditi o megabed. Questi livelli costituiscono spesso dei livelli marker, cioè dei livelli guida per la stratigrafia di un'area bacinale, in quanto essendosi deposti in un tempo pressoché istantaneo su aree molto vaste si possono considerare isocroni.

Le torbiditi si depongono spesso in aree tettonicamente attive. Si tratta di sedimenti tipici di bacini al margine di catene montuose in fase di sollevamento (orogenesi). Secondo un classico modello deposizionale, questi bacini vengono invasi e colmati durante le fasi orogenetiche attive da sedimenti di tipo torbiditico definiti flysch.

In presenza di determinati fattori di ordine stratigrafico, composizionale e strutturale, le torbiditi possono costituire importanti rocce serbatoio di idrocarburi (olio e gas), e sono quindi un obiettivo primario dell'esplorazione petrolifera, nell'ambito della quale rivestono una importanza sempre crescente. Le attività di esplorazione nel Golfo del Messico e nell'Atlantico al largo della costa dell'Africa occidentale, ad esempio, sono ormai focalizzate quasi interamente sulla ricerca di depositi torbiditici sepolti sotto coltri di sedimenti spessi fino ad alcune migliaia di metri (con battente d'acqua fino a oltre 1000 m), e che sono stati interessati dalla migrazione e dall'intrappolamento di idrocarburi.

Di seguito sono riportate le dimensioni (lunghezza x larghezza) di alcuni apparati torbiditici attivi attualmente (denominati come i sistemi fluviali collegati):

  • Rodano (Europa occidentale) 166 x 166 km
  • Congo (Africa occidentale) 520 x 185 km
  • Gange-Brahmaputra (India) 2.570 x 1.091 km (la più grande conoide sottomarina del mondo, conosciuta anche come conoide sottomarina del Bengala)
  • Mississippi (America settentrionale) 22 x 148 km

Tutti questi sistemi sono caratterizzati dalla presenza di canyon sottomarini che solcano la piattaforma continentale e di enormi edifici torbiditici alla base della scarpata continentale.

I depositi torbiditici di conoide sono stati ampiamente studiati soprattutto nei sedimenti fossili, in affioramento in tutte le terre emerse e anche nelle perforazioni offshore, sia oceanografiche che petrolifere (tramite carotaggi), oltre che mediante prospezioni sismiche. In Italia si trovano affioramenti rocciosi interpretabili come torbiditi in tutto il territorio nazionale (frequentati per ragioni didattiche e di studio da geologi di tutto il mondo).


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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

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Altri tipi di depositi da corrente torbida

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Regimi di flusso in un delta. Nel periodo di magra il carico in sospensione della corrente fluviale entrante dà origine a flussi ipopicnali (con densità minore rispetto alle acque del bacino), che depongono sedimento per decantazione. In regime di piena, il carico di fondo della corrente fluviale dà origine a flussi iperpicnali (più densi rispetto alle acque del bacino), con deposizione di sedimenti grossolani di tipo torbiditico.

Le torbiditi sono principalmente sedimenti marini profondi, tuttavia si possono verificare meccanismi di sedimentazione del tutto analoghi a quelli delle torbiditi anche in altri contesti deposizionali:

  • in mare basso (nell'ambito della piattaforma continentale, entro i primi 200 m di profondità); si tratta in questo caso tipicamente di depositi di prodelta;
  • in bacini lacustri di ambiente continentale, per fenomeni franosi e per la presenza di delta lacustri.

In questi casi, si parla più propriamente di depositi da flusso iperpicnale, cioè deposti per graduale perdita di carico da parte di correnti a densità maggiore rispetto alla massa d'acqua nella quale si muovono.

  Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Il modellamento fluviale (superiori)#Quando i fiumi incontrano i mari.
 
Rappresentazione schematica di un flusso iperpicnale iperconcentrato, conseguente ad un episodio di piena catastrofico. Il flusso è così denso e turbolento che si incunea sotto l'acqua marina richiamandola verso la foce e inducendola a sprofondare (downwelling). In queste condizioni non si forma uno strato superficiale di acqua dolce e sedimento fine diluito. Il flusso in profondità gradualmente perde l'acqua dolce interstiziale e il materiale più fine e leggero che si segregano in un "pennacchio" (plume) da cui questo materiale si sedimenta per decantazione ('fallout').

I flussi iperpicnali, quando sono particolarmente "concentrati", cioè quando il flusso in entrata è particolarmente denso (nel caso di piene fuori dell'ordinario fino a catastrofiche), hanno caratteristiche di turbolenza e densità decisamente maggiori dell'acqua marina. In questo caso il flusso (ad eccezione di frazioni molto fini e detriti vegetali molto leggeri) si "incunea" sotto la massa d'acqua ricevente, mantenendo la propria individualità. Questi flussi possono viaggiare a contatto con il fondale per una distanza anche notevole (chilometri, fino a decine di chilometri), formando depositi di tipo torbiditico definiti iperpicniti. Nel caso di flussi particolarmente densi e turbolenti (flussi iperconcentrati), si ha una sospensione di sedimento con acqua dolce interstiziale (praticamente una emulsione). In questi casi, tutto il flusso in entrata diviene iperpicnale e non si forma nemmeno uno strato superficiale ipopicnale, ma anche il materiale più leggero (acqua dolce, argilla, materiale vegetale) viene convogliato in profondità. In ambiente marino, perché la corrente in entrata possa raggiungere una densità maggiore dell'acqua di mare (assai più salata) è necessaria una concentrazione di sedimento in sospensione di almeno 35-45 Kg/m3. Questo vuol dire che (a parità di velocità e portata) in acqua dolce (ambiente lacustre), i flussi iperpicnali sarebbero molto più comuni, in quanto è sufficiente 1 Kg/m3 di sedimento in sospensione perché un flusso diventi iperpicnale[29]. Questi depositi (sia attuali che fossili) sono tuttavia conosciuti soprattutto in ambiente marino poco profondo. In questo contesto, sono da considerarsi ormai depositi marini di piattaforma continentale (e non depositi di transizione, come nel caso dei depositi di prodelta).

I flussi iperpicnali danno luogo a depositi (iperpicniti) caratterizzati nella parte basale da gradazione inversa (aumento della granulometria verso l'alto, prodotta dalla testa avanzante del flusso, seguita da gradazione diretta (diminuzione della granulometria verso l'alto), prodotta dal flusso calante e dalla decantazione del materiale più fine in sospensione[30]. Questi flussi hanno capacità erosiva e scavano canali anche di notevole lunghezza (fino a un centinaio di chilometri) nei sedimenti della piattaforma continentale, alla fine dei quali si formano depositi a lobo[N 18] anche di notevole estensione (chilometri e decine di chilometri quadrati) con morfologia poco rilevata se il bacino ricevente ha morfologia regolare, mentre tendono a ricoprire e ad adattarsi alla morfologia preesistente riempiendo gli avvallamenti in presenza di morfologia accidentata[31].

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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

  • Caratteri e forme di deposito dei depositi iperpicnali[32].

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La protezione delle aree costiere

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Il moto ondoso e le correnti costiere possono accelerare i processi di erosione, comportando l'asportazione dei materiali delle aree costiere non compensata da un adeguato deposito. Possono aversi anche d'altro canto fenomeni di sovra-sedimentazione (deposizione eccessiva di sedimento), che possono portare all'interramento di strutture portuali e turistiche.

I tipi di strutture artificiali che possono essere approntati a difesa da questi fenomeni si differenziano principalmente in due categorie:

  • Soft: come le spiagge artificiali, realizzate mediante ripascimento (trasporto di sabbia da altri siti). Sono molto ecosostenibili ma possono essere soggette a rapida erosione se non progettate accuratamente (tenendo conto delle caratteristiche di direzione e velocità di venti, onde e correnti costiere). Inoltre la sabbia di ripascimento deve avere caratteristiche di composizione e selezione (dimensione dei granuli) simili a quelle della sabbia in situ, sia per ragioni estetiche (per evitare un contrasto eccessivo rispetto alle aree adiacenti), sia soprattutto per evitare che le correnti costiere la erodano troppo in fretta (se troppo fine).
  • Hard: sono le vere e proprie strutture realizzate in mare o vicino alla costa. Tra le principali troviamo:
    • Strutture di difesa trasversale (pennelli): sono i più diffusi: si tratta accumuli di massi o blocchi di cemento disposti ortogonalmente alla linea di riva (o comunque ad alto angolo rispetto ad essa), distanziati tra loro di circa 2-3 volte la loro lunghezza. Il distanziamento va calcolato con cura tenendo conto della direzione dei venti dominanti e della velocità delle correnti costiere, in modo da evitare eccessiva erosione o eccessivo accumulo tra i pennelli successivi;
    • Strutture longitudinali distanziate emergenti: sono massi naturali o artificiali disposti parallelamente alla linea di riva. Il principale scopo è quello di dissipare l'energia dovuta agli attacchi frontali delle onde, tuttavia possono provocare l'accumulo di materiale dovuto alle correnti lungo costa;
    • Strutture longitudinali soffolte come le dighe soffolte (cioè sommerse): lo scopo è ridurre il moto ondoso prima che arrivi a riva, provocando il frangimento delle onde. Sono collocate alla profondità di alcuni metri, disposte parallelamente alla linea di riva. Devono essere segnalate perché possono creare rischi alle imbarcazioni.
    • Strutture aderenti: sono realizzate in prossimità della riva, con il compito di contenere i terreni e mantenere fissa e costante la linea di riva. Molto efficienti se l'attacco delle onde è frontale. Un esempio sono i Murazzi veneziani (1744-1782), fatti costruire dalla Repubblica di Venezia.

Nella progettazione delle opere di difesa costiera occorre sempre considerare che modificare un tratto della costa può trasferire semplicemente il problema in un altro tratto della costa stessa.


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Per approfondire questa parte potresti consultare i seguenti testi alle pagine indicate:

  • Gestione delle aree costiere; tipologia e progettazione delle opere di difesa costiera[33].

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Quando i fiumi incontrano i mari

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Le foci dei fiumi sono tipici ambienti di transizione o marginali. L'argomento è già stato trattato in precedenza e viene qui richiamato per sommi capi.

  Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Il modellamento fluviale (superiori)#Quando i fiumi incontrano i mari.
 
Nile delta landsat false color

Foce a delta: in cui si ha una intensa attività di deposizione dei sedimenti da parte della corrente fluviale. Ha generalmente forma a ventaglio, più o meno regolare, e si può formare sia sulle coste marine che lacustri. Se la velocità di sedimentazione del fiume è superiore a quella del mare di rimuovere i detriti se ne accumuleranno sempre di più fino a generare nuova terra emersa. I sedimenti fluviali sono poi rielaborati e ridistribuiti dalle correnti costiere e si depositano lungo costa costruendo gradualmente una pianura costiera interrotta da aree paludose, lagune e laghi costieri.

Quando le acque si gettano nel mare in zone dove non vi sono forti correnti, il delta si protende verso il mare formando lingue di terra frastagliate e ricche di canali (canali distributori). Se invece la zona del delta è interessata da un moto ondoso energico, il delta si apre e i detriti vengono depositati lateralmente in modo da costruire un apparato deltizio ventaglio, più o meno ampio. I delta che si formano dove ci sono forti escursioni di marea hanno pochi canali profondi, caratterizzati da isole di sabbia (barre) e accumuli di detriti.

 
Rio de la Plata BA 2

Foce ad estuario: si trova in fiumi che trasportano un carico di detriti ridotto rispetto alla portata, su coste con elevata escursione di marea. Ha la forma di un imbuto aperto verso mare e profondo. Durante l'alta marea gli estuari vengono invasi dalle acque del mare, mentre durante la bassa marea da quella dolce. La fauna presente è spesso in grado di adattarsi sia all'acqua salata che a quella dolce.

Voci correlate

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Fisiografia

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Processi fisici

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Forme di deposito

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Esplicative

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  1. Non vanno confuse con le correnti oceaniche, che interessano le acque profonde (ben oltre la linea dei frangenti), e sono influenzate in maniera minima (meno del 10% in volume), e solo nella parte più superficiale, dal vento o dal moto ondoso, avendo prevalentemente una origine termoalina (ovvero da differenze di densità dovute a variazioni di salinità e temperatura)
  2. Questo è, per inciso, il fenomeno che permette l'esercizio sportivo del surf, di solito praticato in spiagge oceaniche con onde ad alta energia e bassissima pendenza, nelle quali la zona di traslazione è particolarmente sviluppata
  3. la zona subtidale è la parte di piana di marea sotto il livello di bassa marea, perennemente sommersa e spesso confinante con il mare aperto.
  4. dal termine contour line che definisce una isolinea che unisce in una mappa bidimensionale punti a uguale valore di una certa grandezza, ad esempio: isobare (linee di uguale pressione), isobate (linee di uguale profondità)...
  5. L'estensione della zona fotica(o zona eufotica) dipende dalla torbidità dell'acqua, e quindi varia a seconda dell'ambiente: da pochi centimetri in acque di estuario o delta fluviale com molto carico di sedimenti in sospensione, a 200 metri in oceano aperto
  6. la presenza di anidride carbonica (CO2) contribuisce a tenere in soluzione il carbonato di Calcio (CaCO3), aumentando l'acidità delle acque, secondo la reazione:   (carbonato acido di Calcio solubile). In questo caso, l'attività fotosintetica porta alla rimozione di anidride carbonica dal sistema secondo la reazione: 6CO2 + 6H2O + energia solare → C6H12O6 + 6O2. L'allontanamento di CO2 dal sistema favorisce la precipitazione di carbonato di calcio, secondo la reazione:  (carbonato di Calcio insolubile)
  7. Si definiscono gregari organismi i cui individui tendono a vivere in gruppi con vari gradi di organizzazione, mantenendo la propria individualità. Negli organismi coloniali, gli individui sono biologicamente collegati tra loro (tramite tessuti viventi) e strettamente interdipendenti.
  8. Quindi, per diversi autori, i termini ermatipico e aermatipico per distinguere rispettivamente i coralli simbiotici e non-simbiotici sarebbe superata, in quanto entrambi i gruppi possono dare luogo a bioerme.
  9. Cioè con condizioni di salinità molto variabili. Un esempio possono essere le lagune costiere e le piane di marea.
  10. Cioè di origine locale, non trasportato da altri siti per opera di agenti erosivi quali onde e correnti.
  11. Derivato dall'attività di organismi viventi.
  12. Ooliti: granuli sferoidali con struttura interna a lamine concentriche derivati da precipitazione di carbonato di calcio intorno a nuclei preesistenti (frammenti di conchiglie e altri residui di organismi, granuli e cristalli minerali). Si producono in acque calde e agitate per precipitazione del carbonato durante il rotolamento dei granuli, dando luogo alla tipica struttura concentrica.
  13. La progradazione è una modalità di deposizione dei sedimenti, che si realizza quando in tempi successivi si depongono corpi sedimentari parzialmente sovrapposti in posizione sempre più lontana rispetto alla sorgente dei sedimenti stessi. In ambiente di piattaforma carbonatica, si ha quando la proliferazione degli organismi costruttori è tale da esportare materiale carbonatico verso l'esterno della piattaforma stessa, portando col tempo all'avanzamento della bio-costruzione verso il bacino
  14. Si tratta di un ambiente ben conosciuto e recentemente valorizzato anche dal punto di vista turistico. Alcune informazioni reperibili on line:Substrati solidi naturali del litorale clodiense Parco Delle Tegnue di Chioggia
  15. "Isole" nel senso comune del termine.
  16. Ovviamente non si intende in questo caso un annegamento per asfissia (si tratta comunque di organismi marini a respirazione subacquea, non aerea): è un termine tecnico tradizionale della paleontologia e della biologia che indica una situazione in cui la comunità biologica non riesce per le ragioni esposte a mantenersi alla profondità ottimale producendo carbonato in misura sufficiente a compensare la subsidenza o l'innalzamento del livello marino, e viene quindi portata ad un livello di profondità alla quale non può più vivere.
  17. Esiste anche una gradazione inversa, in cui invece la granulometria aumenta verso l'alto
  18. I lobi sono tipicamente depositi di forma ellittica o a ventaglio, con asse maggiore orientato nella direzione del flusso cheli genera, e poco rilevati rispetto all'area circostante.

Bibliografiche

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  1. Nichols (2009), pp.58-59.
  2. Ricci Lucchi (1980b), pp. 33-34.
  3. Nichols (2009), pp.199-200.
  4. Ricci Lucchi (1980c), pp. 189-191.
  5. Nichols (2009), pp.165-167.
  6. Nichols (2009), pp.170-171; pp.257-258.
  7. Nichols (2009), pp.61-62.
  8. Ricci Lucchi (1980b), pp. 43-49.
  9. Nichols (2009), pp.233-246.
  10. Ricci Lucchi (1980b), pp. 147-163.
  11. Ricci Lucchi (1980c), pp.263-310.
  12. Clarkson (1998).
  13. Frickel e Hottinger (1983).
  14. Ricci Lucchi (1980c), pp.375-402.
  15. Nichols (2009), pp.258-261.
  16. Lucarini e Del Gizzo (2007), pp.10-13
  17. Ricci Lucchi (1980c), pp.317-328
  18. Nichols (2009), pp.215-224.
  19. Ricci Lucchi (1980c), pp.173-216.
  20. Nichols (2009), pp.220-224; pp.230-232.
  21. Ricci Lucchi (1980c), pp. 219-232.
  22. Nichols (2009), pp.225-246.
  23. Ricci Lucchi (1980c), pp. 263-310.
  24. Schlager (2000).
  25. Bouma (1962).
  26. Nichols (2009), pp.62-64; pp.249-258.
  27. Ricci Lucchi (1980b), pp. 50-74.
  28. Ricci Lucchi (1980c), pp.317-367.
  29. Zavala e Pan (2018), p.3, con bibliografia citata.
  30. Zavala e Pan (2018), p.4..
  31. Zavala e Pan (2018), pp. 23-24..
  32. Zavala e Pan (2018), pp. 1-5.
  33. Lucarini e Del Gizzo (2007).

Bibliografia

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Per ulteriori approfondimenti ed eventuali necessità di citazione, si danno di seguito alcuni testi "chiave" per completezza e chiarezza di trattazione. Testi complementari si possono trovare in bibliografia nelle voci correlate (da Wikipedia).

  • (EN) Bouma A.H., Sedimentology of some Flysh deposits: A graphic approach to facies interpretation, in Elsevier, 168 pp., 1962.
  • (EN) Clarkson E.N.K., Invertebrate Palaeontology and Evolution, Malden (USA), Oxford (UK), Carlton (Australia), Blackwell, 1998, ISBN 978-0-632-05238-7.
  • (EN) Frickel H.W. e Hottinger L., Coral bioherms below the euphotic zone in the Red Sea, in Mar. Ecol. Prog. Ser., 11: 113-111, 1983.
  • Lucarini M., Del Gizzo M., Iadanza C., Cerri C., Berti D., Ligato D., Brustia E., Vittori E., Pasanisi F., Ferruzza G., Conti M., Cappucci S. e Corsini S., Atlante delle opere di sistemazione costiera. APAT, Manuali e Linee guida 44/2007., a cura di Ligato D., Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi Tecnici (APAT), 2007, ISBN 88-448-0237-6.
  • (EN) Nichols G., Sedimentology and stratigraphy - 2nd ed., Oxford, UK, Wiley-Blackwell, 2009, pp. 129-150; 179-214.
  • Ricci Lucchi F., Sedimentologia. Parte 1 - Materiali e tessiture dei sedimenti, Bologna, CLUEB, 1980.
  • Ricci Lucchi F., Sedimentologia. Parte 2 - Processi e meccanismi di sedimentazione, Bologna, CLUEB, 1980.
  • Ricci Lucchi F., Sedimentologia. Parte 3 - Ambienti sedimentari e facies, Bologna, CLUEB, 1980.
  • (EN) Schlager W., Sedimentation rates, and growth potentialof tropica, cool water and mud-mound carbonate systems, in Insalaco E., Skelton P.W. e Palmer T.J. (a cura di), Carbonate Platform Systems: components and interactions, London, Geological Society, 2000.
  • (EN) Zavala C. e Pan S., Hyperpycnal flows and hyperpycnites:Origin and distinctive characteristics., in Lithologic Reservoirs, 30(1): 1-27., 2018.