Il melodramma romantico (superiori)

Nella prima metà dell'Ottocento italiano, il melodramma fu il genere teatrale più fecondo, sebbene i librettisti dell'epoca non siano riusciti a raggiungere i livelli toccati durante il Settecento. Nei testi si assiste all'abbandono definitivo del modello metastasiano e l'affermazione di quello romantico, mentre sempre maggiore importanza ha la musica. La sua fortuna in tutta Europa si deve al genio di compositori come Gioacchino Rossini, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti e soprattutto Giuseppe Verdi, considerato il massimo esponente del melodramma romantico italiano.[1]

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Il melodramma romantico (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Letteratura italiana per le superiori 3
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 75%

Il teatro durante il Risorgimento modifica

 
Busto di Giovan Battista Niccolini al Pincio, a Roma

In Italia, il teatro produsse risultati di scarso rilievo nella prima metà del XIX secolo.[2][3] Il teatro comico fu particolarmente trascurato mentre per quanto riguarda la tragedia si sente l'influsso delle opere di Shakespeare, sebbene continui a sopravvivere il modello alfieriano e vengano ancora rispettate le tre unità aristoteliche (tempo, luogo, azione). I romantici mirarono a una tragedia "storica", che da un lato fosse utile alla lotta risorgimentale, dall'altro rispecchiasse la mentalità e i sentimenti della nuova generazione di intellettuali. Nel teatro di questo periodo trovano quindi espressione il senso cristianamente tragico della storia, ma anche il gusto per il passato e la sua distanza con il presente.[2]

Le compagnie di giro, che portavano i loro spettacoli teatrali da una città all'altra, avevano un vasto repertorio che però includeva pochi testi contemporanei e prediligeva le opere settecentesche (principalmente Goldoni e, in misura minore, Alfieri) e i drammi della letteratura europea (primo tra tutti Shakespeare). Al centro della vita teatrale si colloca la figura dell'attore, che con il suo carisma e la sua espressività era in grado di imporsi sul pubblico. L'iniziatore di questo teatro dell'attore fu il veneziano [[w:Gustavo Modena|Gustavo Modena (Venezia, 13 gennaio 1803 – Torino, 20 febbraio 1861).[3]

I più importanti esempi di teatro romantico sono le tragedie di Manzoni, che però hanno più valore dal punto di vista letterario che non teatrale e scenico.[3] Si possono poi ricordare la Francesca da Rimini (1914) di Silvio Pellico e le opere di Giovan Battista Niccolini (San Giuliano Terme, 29 ottobre 1782 – Firenze, 20 settembre 1861), come Antonio Foscarini (1827), Giovanni da Procida (1830), Arnaldo da Brescia (1843). Tra i pochi autori di commedie è degno di menzione Alberto Nota (Torino, 15 novembre 1775 – Torino, 18 aprile 1847), che risente ancora dell'influenza del goldonismo.

Il melodramma modifica

 
Gaetano Donizetti

Se il teatro "di parola" ebbe esiti modesti, ciò non significa che in Italia non sia esistita una produzione teatrale romantica. Il genere che produsse i risultati più importanti, che ebbero eco in tutta Europa, fu il melodramma. Si tratta però di un genere molto particolare, in cui il testo letterario è solo una parte dell'opera, che unisce le componenti del linguaggio scenico alla forza della musica. Inoltre, per la sua diffusione aveva bisogno di un'organizzazione molto complessa, sparsa in diversi centri della penisola. Questo generò una certa omogeneità nei gusti del pubblico, che superava i confini degli Stati italiani.[3]

Nel corso del Settecento, con il superamento del modello metastasiano, si creò nel melodramma una frattura tra poesia e musica, che portava quest'ultima a imporsi sulla prima. Intanto però in Europa, librettisti italiani come Da Ponte avevano cercato nuove forze drammatiche, in grado di generare situazioni sceniche intense, intrecci, conflitti. Nell'opera dell'Ottocento sono invece le voci cantanti a dar vita ai movimenti scenici, attraverso contrasti, sovrapposizioni, incontri. La distinzione tra arie e recitativo, inoltre, viene superata nel tentativo di giungere a un discorso musicale unitario. Tutte queste novità fanno sì che il melodramma diventi per lo spettatore un'esperienza di intensa partecipazione motiva. Il libretto, inoltre, perde l'importanza avuta ai tempi di Metastasio e diventa subordinato alla musica. Tuttavia, come sottolinea Ferroni, il melodramma è importante nella storia della letteratura perché contribuisce a diffondere tra un pubblico più vasto contenuti sviluppati dalla cultura letteraria alta.[4]

La prima metà del secolo fu dominata dall'opera di compositori del calibro di Gioacchino Rossini (Pesaro, 29 febbraio 1792 – Parigi, 13 novembre 1868), Vincenzo Bellini (Pesaro, 29 febbraio 1792 – Parigi, 13 novembre 1868) e Gaetano Donizetti (Bergamo, 29 novembre 1797 – Bergamo, 8 aprile 1848), che godettero grande fortuna anche al di fuori dell'Italia. Tra i librettisti di Rossini si ricordano Angelo Anelli (Desenzano del Garda, 1º novembre 1761 – Pavia, 9 aprile 1820), per L'italiana in Algeri (1813), e Cesare Sterbini (Roma, 1784 – Roma, 19 gennaio 1831), per Il barbiere di Siviglia (1816). Il maggiore librettista dell'epoca fu però Felice Romani (Genova, 31 gennaio 1788 – Moneglia, 28 gennaio 1865): critico letterario e poeta, condensò in libretti brevi forme drammatiche complesse e ricche di colori, così da fornire una valida base per l'invenzione musicale. A lui si devono i testi per alcune celebri opere di Bellini, come Il pirata (1827), La sonnambula e Norma (entrambe del 1931), mentre per Donizetti scrisse L'elisir d'amore (1832). Del compositore bergamasco bisogna ricordare anche Don Pasquale (1843), su libretto di Giovanni Ruffini (Genova, 20 settembre 1807 – Taggia, 3 novembre 1881), e Lucia di Lammermoor (1835), dalla collaborazione Salvadore Cammarano (Napoli, 19 marzo 1801 – Napoli, 17 luglio 1852).[5]

Giuseppe Verdi modifica

 
Giuseppe Verdi

Giuseppe Verdi nacque a Le Roncole, frazione di Busseto, il 10 ottobre 1813 da Carlo Verdi (1784-1867), oste e rivenditore di generi alimentari, e Luigia Uttini, filatrice. Pur essendo un giovane di umile classe sociale, riuscì a seguire la propria vocazione di compositore grazie alla buona volontà e al desiderio di apprendere. L'organista della chiesa delle Roncole, Pietro Baistrocchi, lo prese a benvolere e gratuitamente lo indirizzò verso lo studio della musica e alla pratica dell'organo e del pianoforte. Più tardi, Antonio Barezzi, un negoziante amante della musica e direttore della locale società filarmonica, convinto che la fiducia nel giovane non fosse mal riposta, divenne suo mecenate e protettore aiutandolo a proseguire gli studi intrapresi.

La prima formazione del futuro compositore avvenne sia frequentando la ricca biblioteca della Scuola dei Gesuiti a Busseto, sia prendendo lezioni da Ferdinando Provesi, maestro dei locali filarmonici, che gli insegnò i principi della composizione musicale e della pratica strumentale. Verdi aveva solo quindici anni quando, nel 1828, una sua sinfonia d'apertura venne eseguita, in luogo di quella di Gioachino Rossini, nel corso di una rappresentazione di Il barbiere di Siviglia al teatro di Busseto. Nel 1832 si stabilì a Milano, grazie all'aiuto economico di Antonio Barezzi e a una "pensione" elargitagli dal Monte di Pietà di Busseto. A Milano tentò inutilmente di essere ammesso presso il prestigioso Conservatorio locale (che oggi porta il suo nome). Verdi, dietro consiglio del docente di violino e viola Alessandro Rolla, si rivolse allora per delle lezioni private a Vincenzo Lavigna, maestro concertatore alla Scala. Il 4 maggio 1836 sposò Margherita Barezzi, ventiduenne figlia del suo benefattore, con la quale due anni più tardi andò a vivere a Milano in una modesta abitazione a Porta Ticinese. Questi furono gli anni più duri della sua vita, infatti morirono sia la moglie (18 giugno 1840) che i suoi figli. Dopodiché nel 1839 riuscì finalmente, dopo quattro anni di lavoro, a far rappresentare la sua prima opera alla Scala: era l'Oberto, Conte di San Bonifacio, su libretto originale di Antonio Piazza, largamente rivisto e riadattato da Temistocle Solera. L'Oberto era un lavoro di stampo donizettiano, ma alcune sue peculiarità drammatiche piacquero al pubblico tanto che l'opera ebbe un discreto successo e quattordici repliche.

Nabucco modifica

 
Giuseppe Verdi

Vista la buona riuscita dell'Oberto, l'impresario della Scala Bartolomeo Merelli gli commissionò la commedia Un giorno di regno, andata in scena con esito disastroso. L'insuccesso dell'opera fu dovuto, con ogni probabilità, alle condizioni in cui fu composta. Verdi era solo, privo ormai della sua famiglia. Ciò aveva gettato il musicista nel più profondo sconforto.

Fu ancora Merelli a convincerlo a non abbandonare la lirica, consegnandogli personalmente un libretto di soggetto biblico, il Nabucco, scritto da Temistocle Solera. Verdi, però, ancora scosso dalla tragedia familiare, ripose il libretto senza neanche leggerlo; sennonché, una sera, per spostarlo, gli cadde per terra e si aprì, caso volle, proprio sulle pagine del Va, pensiero. Quando Verdi lesse il testo del famoso brano rimase scosso... Dopodiché andò a dormire, ma non riuscì a prendere sonno: si alzò, e rilesse il testo più volte, e alla fine lo musicò, e una volta musicato il Va, pensiero decise di leggere e musicare tutto il libretto. L'opera andò in scena il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala e il successo fu questa volta trionfale. Fu replicata ben sessantaquattro volte solo nel suo primo anno di esecuzione.

Con Nabucco iniziò la parabola ascendente di Verdi. Sotto il profilo musicale l'opera presenta ancora un impianto belcantistico, in linea con i gusti del pubblico italiano del tempo, ma teatralmente è un'opera riuscita, nonostante la debolezza e alcune ingenuità del libretto. Lo sviluppo dell'azione è rapido, incisivo, e tale caratteristica avrebbe contraddistinto anche la successiva, e più matura, produzione del compositore. Alcuni personaggi, come Nabucodonosor e Abigaille, sono fortemente caratterizzati sotto il profilo drammaturgico, così come il popolo ebraico, rappresentato nella condizione della cattività babilonese che si esprime in forma corale, unitaria, e che forse rappresenta il protagonista vero di questa prima, significativa, creazione verdiana. Uno dei cori dell'opera, il celebre Va, pensiero, con l'immedesimazione del popolo italiano nella figura del popolo ebraico prigioniero, finì col divenire una sorta di canto doloroso o inno contro l'occupante austriaco, diffondendosi rapidamente in Lombardia e nel resto d'Italia.

Gli "anni di galera" modifica

 
Busseto: statua di Giuseppe Verdi

Nabucco segnò l'inizio di una folgorante carriera. Per quasi dieci anni Verdi scrisse mediamente un'opera all'anno, Da I Lombardi alla prima crociata a La battaglia di Legnano, passando per I due Foscari, Giovanna d'Arco, Alzira, Attila, Il corsaro, I masnadieri, Ernani e Macbeth. Tali opere giovanili, ad eccezione delle ultime due, pur presentando talvolta al loro interno pagine di acceso lirismo e una lucida visione dei meccanismi e delle dinamiche teatrali, non danno testimonianza di un'evoluzione del maestro verso forme musicali e drammaturgiche più personali e si adagiano su schemi già sperimentati in passato e legati alla tradizione melodica italiana precedente. Furono creazioni generalmente di successo rappresentate in molti teatri italiani ed europei, ma composte spesso su commissione, con ritmi di lavoro talvolta massacranti e non sempre sorrette da una genuina ispirazione. Per tale ragione, Verdi definì questo periodo della propria vita "gli anni di galera". Fra la produzione verdiana dell'epoca spiccano senz'altro, per forza drammaturgica e fascino melodico due opere, Ernani e Macbeth.

 
Il monumento a Giuseppe Verdi a Trieste

Tratta dall'omonimo dramma di Victor Hugo, Ernani fu concepito da Verdi fin dall'estate del 1843. Musicato nell'inverno successivo su libretto di Francesco Maria Piave, venne presentato al pubblico veneziano in marzo. La vicenda, ricca di colpi di scena e incentrata su un triplice amore, diede la possibilità a Verdi di approfondire la caratterizzazione di alcuni personaggi dal punto di vista drammaturgico e di iniziare ad affrancarsi dall'ingombrante influsso dei grandi compositori italiani dei primi decenni dell'Ottocento.

Macbeth, presentata al Teatro La Pergola di Firenze nel 1847, è con ogni probabilità il capolavoro giovanile di Verdi. Musicata su libretto di Francesco Maria Piave, si ispira alla tragedia omonima di William Shakespeare.L'opera, dalle potenti connotazioni drammatiche, si differenzia dalle precedenti per un maggiore approfondimento psicologico dei protagonisti della tragedia (Macbeth e Lady Macbeth), preannunciando, col suo debordante lirismo, la trilogia popolare di un Verdi entrato nella sua piena maturità espressiva.

Nel 1849, venne presentata al pubblico napoletano Luisa Miller, opera meno affascinante di Macbeth, ma importante per l'evoluzione dello stile musicale e della drammaturgia verdiana. L'orchestrazione si fa più raffinata, il recitativo più incisivo e il compositore scava nella psiche della protagonista come mai aveva fatto prima di allora. Anche nella creazione successiva, Stiffelio, rappresentata per la prima volta a Trieste nel 1850, Verdi portò avanti questo lavoro di caratterizzazione psicologica del personaggio centrale. L'opera presentava però alcune debolezze strutturali, dovute in parte ai drastici tagli operati dalla censura austriaca, che non le permisero di imporsi al grande pubblico italiano ed europeo.

La "trilogia popolare" modifica

Un anno più tardi, con Rigoletto (Venezia, 1851), Verdi si sarebbe imposto come il massimo operista italiano del suo tempo. L'opera fu seguita da altri due capolavori assoluti, Il trovatore e La traviata, che formano con esso la cosiddetta "trilogia popolare". Tratto da una pièce di Victor Hugo, Le roi s'amuse, Rigoletto è un'opera profondamente innovativa, sotto il profilo drammaturgico e musicale. Per la prima volta al centro della vicenda di un'opera drammatica troviamo un buffone di corte, cioè un personaggio che, utilizzando una terminologia moderna, potremmo definire un "emarginato sociale". La dimensione emotiva dei protagonisti è colta da Verdi magistralmente attraverso una partitura messa al servizio del dramma e di straordinaria bellezza melodica. Azione e musica sembrano rincorrersi e sostenersi mutuamente in una vicenda che ha un ritmo di sviluppo rapido, senza cedimenti né parti superflue.

Il trovatore (Roma, 1853) è un'opera dall'impianto più tradizionale, ma altrettanto affascinante. Dramma di grande originalità oltretutto, perché si struttura su una vicenda povera di avvenimenti e dove i protagonisti o sono proiettati verso un futuro gravido di incognite, o immersi nei ricordi di un passato lontano che ne condiziona l'azione e che li sospinge verso un destino di morte ineluttabile. Con quest'opera Verdi scrisse alcune fra le sue pagine più alte, ricche di patetismo e suggestioni tardo-romantiche che sarebbero nuovamente emerse pochi mesi più tardi, nella terza opera, in ordine cronologico, della trilogia: La traviata.

La traviata (Venezia, 1853) ruota attorno alla storia di una cortigiana travolta dall'amore per un giovane di buona famiglia. Più che su alcuni accadimenti esteriori, la vicenda viene vissuta all'interno della coscienza della protagonista la cui natura umana è scandagliata da Verdi in tutte le sue minime sfumature. Le scelte stilistiche del grande compositore risultano sempre adeguate alla complessa drammaturgia dell'opera e si traducono in un raffinamento orchestrale e in una complessità armonica la cui modernità non venne all'epoca pienamente recepita. Oggigiorno alcuni critici considerano La Traviata una vera e propria pietra miliare nella creazione del dramma borghese degli ultimi decenni dell'Ottocento e ne evidenziano l'influenza su Giacomo Puccini e gli autori veristi suoi contemporanei.[6]

L'esperienza parigina e Sant'Agata modifica

Con la "trilogia popolare", Verdi si era imposto come il più celebre musicista del suo tempo. Eugène Scribe, all'epoca librettista dell'Opéra di Parigi, propose al compositore un testo in francese per un'opera da rappresentare nella Ville Lumière. Non senza esitazioni, Verdi accettò. Ne uscì un'opera, Les vêpres siciliennes (1855), di notevole impatto musicale ma poco convincente sotto il profilo drammaturgico. L'opera, inquadrabile nel genere del Grand opéra, con spettacolari messe in scena, coreografie e movimenti di massa, poco si addiceva al genio verdiano, approdato con la Traviata a un tipo di drammaturgia più intimista, psicologica. Maggior successo avrebbe avuto, pochi mesi più tardi, la versione italiana dell'opera, I vespri siciliani (Parma, 1855).

 
La villa di Verdi a Sant'Agata

In quegli anni riaffiorò prepotente in lui il fascino della campagna.[7] Pertanto, nel maggio 1848 Verdi acquistò dai signori Merli la villa di Sant'Agata, una frazione di Villanova sull'Arda (provincia di Piacenza), dove diventò anche consigliere comunale.[8] Qui si stabilì tre anni più tardi, insieme alla sua nuova compagna, il soprano Giuseppina Strepponi, che sposò nel 1859. La fattoria finì con l'assorbire gran parte del tempo del Maestro, almeno tutto quello che la musica gli lasciava libero.[9] Il 31 agosto 1857 Verdi ottenne dalla Repubblica di San Marino il titolo di patrizio sanmarinese[10].

Gli anni della maturità modifica

 
Caricatura dell'amico Melchiorre De Filippis Delfico (1860)

La seconda metà degli anni cinquanta dell'Ottocento furono, per il compositore, anni di travaglio: Verdi poteva finalmente comporre senza fretta, ma l'intero mondo musicale stava lentamente cambiando. Sui palcoscenici italiani il Simon Boccanegra, presentato al pubblico veneziano nel 1857, non piacque. Il dramma, prettamente politico, non aveva quei risvolti sentimentali che tanto appassionavano il pubblico del tempo e dovette attendere quasi cinque lustri e una rielaborazione radicale (cui collaborò anche Arrigo Boito) per imporsi definitivamente nel repertorio lirico italiano ed internazionale (1881).

Due anni più tardi vedeva la luce, dopo varie vicissitudini prima con la censura napoletana (che in pratica rese impossibile la sua rappresentazione), poi con quella romana, Un ballo in maschera (Roma, 1859), opera di successo nella quale Verdi mescolò, con sapiente dosaggio, elementi procedenti dal teatro tragico e da quello leggero. Creazione musicalmente e drammaturgicamente raffinata, dallo stile elegante e delicato, in Un ballo in maschera affiora un'umanità vagamente inquieta, non esente da ambiguità, che trova nella relazione fra i due protagonisti i suoi momenti liricamente più elevati.

Un interessante connubio di elementi comici e tragici (con decisa prevalenza di questi ultimi), si realizza nella Forza del destino (San Pietroburgo, 1862). L'opera possiede un indubbio vigore musicale anche se appare in alcuni punti meno compatta, meno unitaria della precedente sotto il profilo teatrale. Ne La forza del destino Verdi riesce tuttavia ad elaborare un linguaggio ancor più realistico che in passato, anticipando l'opera successiva, il Don Carlos, presentato al pubblico parigino nel 1867.

Don Carlos è oggi considerato uno dei grandi capolavori verdiani. In quest'opera il compositore, pur facendo proprie alcune impostazioni del Grand opéra (fra cui l'articolazione in cinque atti, l'inserimento di un balletto fra il terzo e quarto atto e la creazione di alcune scene particolarmente spettacolari), riesce a scavare in profondità nella psicologia dei protagonisti, offrendoci una poderosa raffigurazione del dramma umano e politico che sconvolse la Spagna nella seconda metà del XVI secolo e che ruota attorno alla logica spietata della ragion di stato.

Tale periodo di massima maturazione umana ed artistica culminò con Aida, andata in scena al Cairo la vigilia di Natale del 1871. L'opera, su libretto di Antonio Gislanzoni, fu il risultato finale dei contatti tra Verdi e il kedivè d'Egitto, che nel 1869 aveva invano tentato di ottenere dal maestro un inno per l'inaugurazione del Canale di Suez.[11] Il quasi completo abbandono dei pezzi a forma chiusa, l'uso ancor più accentuato che in passato di temi e motivi musicali ricorrenti potrebbero fare accostare tale opera al dramma wagneriano. In realtà Verdi aveva seguito un percorso del tutto autonomo in Aida, opera fondamentalmente intimista e poggiata su una vocalità dalle caratteristiche prettamente italiane. Ricordiamo a questo proposito che la prima opera wagneriana ad essere rappresentata in Italia fu il Lohengrin a Bologna, e ciò avvenne dopo la prima esecuzione dell'Aida. Verdi era tuttavia già al corrente di alcune innovazioni musicali del grande compositore tedesco, verso il quale inizialmente non nutriva molta stima[12].

Dopo Aida Verdi decise di ritirarsi a vita privata. Iniziò così il periodo del grande silenzio – sia pure interrotto dalla Messa di Requiem scritta in occasione della morte di Alessandro Manzoni – durante il quale il rude contadino delle Roncole meditò sui grandi mutamenti artistici in corso nel mondo. A far uscire Verdi dall'isolamento fu Arrigo Boito, il compositore scapigliato che lo aveva pubblicamente offeso nel 1863 ritenendolo causa del provincialismo e dell'arretratezza della musica italiana del tempo.

Le ultime opere modifica

Con gli anni Boito aveva compreso che solo Verdi avrebbe potuto portare l'Italia musicale al passo con l'Europa e, con il fondamentale aiuto dell'editore Giulio Ricordi, si riconciliò con lui. Primo frutto della collaborazione fra il grande musicista e l'ex scapigliato fu il rifacimento del Simon Boccanegra rappresentato con grande successo al Teatro alla Scala di Milano nel 1881. Seguirono a distanza di alcuni anni due opere memorabili: Otello e Falstaff, entrambi frutto delle fatiche letterarie di Boito, che si occupò della stesura dei rispettivi libretti, e di Verdi che ne compose la musica. In Boito Verdi poté trovare un collaboratore prezioso, che seppe essere all'altezza delle proprie concezioni drammaturgiche, un intellettuale di notevole spessore culturale, duttile nella versificazione e a sua volta musicista, ovvero capace di pensare la poesia in funzione della musica.

Le due opere, entrambe rappresentate alla Scala, ebbero esiti diversi. Se Otello incontrò immediatamente i gusti del pubblico, affermandosi stabilmente in repertorio, Falstaff lasciò, in un primo momento, perplesso il grande pubblico verdiano e, più in generale, i melomani italiani. Per la prima volta dopo lo sfortunato Un giorno di regno infatti, l'anziano Verdi si cimentava nel teatro comico, ma con la sua estrema commedia aveva accantonato in un sol colpo tutte le convenzioni formali dell'opera italiana, dando prova di una vitalità artistica, di uno spirito aperto alla modernità e di un'energia creativa sorprendenti. Falstaff fu sempre amato dai compositori ed esercitò un influsso decisivo sui giovani operisti, da Giacomo Puccini agli autori della denerazione dell'Ottanta.

Verdi trascorse gli ultimi anni tra Sant'Agata e Milano. Nel 1897 la moglie Giuseppina morì, lasciandolo solo nella sua lunga vecchiaia. Nel 1899 istituì l'Opera Pia - Casa Verdi. Morì a Milano in un appartamento dove era solito alloggiare dal 1872 al Grand Hotel et de Milan[13] alle 2:50 del 27 gennaio 1901, a 87 anni. Venne sepolto a Milano presso la Casa di Riposo per i Musicisti che lui stesso istituì. Tra le cerimonie svoltesi in tutta Italia per commemorare la sua morte, particolarmente suggestiva fu quella che si svolse, alla presenza del duca di Genova, nel teatro greco di Siracusa. Fu stampata anche una cartolina commemorativa in occasione del luttuoso evento, mentre sia Pascoli sia D'Annunzio scrissero composizioni poetiche in sua memoria.

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Note modifica

  1. Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1978, p. 694.
  2. 2,0 2,1 Giuseppe Petronio, L'attività letteraria in Italia, Palermo, Palumbo, 1978, p. 693.
  3. 3,0 3,1 3,2 3,3 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 714.
  4. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 715.
  5. Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 716-717.
  6. Fra questi, René Leibowitz, secondo il quale «è presente quel lirismo realistico che già fa presagire il verismo di certi successori di Verdi fin da La traviata» (René Leibowitz, Storia dell'Opera, Milano, Garzanti Ed., 1966, pag. 226 traduzione di Maria Galli De' Furlani dall'originale francese dello stesso autore Histoire de l'Opéra, Ed. Bouchet/Chastel, Parigi 1957).
  7. Unitamente, secondo Maria Zaniboni (cfr. Maria Zaniboni, Il genio e l'agricoltura vanno d'accordo, in Historia n.272, ottobre 1980) al desiderio di incalzante di «far soldi» per comprarsi una casa ed un podere. Egli «desiderava il denaro», scrive la Zaniboni, «per una caratteristica ragione contadinesca che tutti i contadini portano sempre dentro di sé: il sogno di avere un campo, una casa, un mulo ed, eventualmente, anche una moglie.
  8. 350 «biolche» circa, con tutte le sementi, invernaglie, pali per le viti, quattro grandi botte di circa di circa 50 «brente», tine e la «gran macchina» del fiume Ongina per irrigare le ortaglie.
  9. «il se lève presque avec le jour - scriveva ad un'amica Giuseppina Strepponi - pour aller examiner le blè, le mais, la vigne».
  10. Annuario della Nobiltà Italiana, parte VI, anno 2000 e segg.
  11. Aida, dal Sito ufficiale di Giuseppe Verdi
  12. Possiamo constatarlo dai carteggi. Il 31 dicembre 1865, in una lettera diretta ad un amico da Parigi, Verdi così scriveva: «Ho sentito anche la sinfonia del Tannhäuser. È matto!!!» (Verdi, lettere 1835-1900 a cura di Giuseppe Porzio, p. 403, Milano, Mondadori, 2000) e qualche anno più tardi (19 novembre 1871) nell'esprimere un giudizio sul Lohengrin: «Impressione mediocre [...] l'azione lenta come la parola. Quindi noia... (Verdi, lettere 1835-1900 a cura di Giuseppe Porzio, p. 420, Milano, Mondadori, 2000). Con gli anni avrebbe mutato il proprio giudizio e alla morte di Wagner avrebbe pronunciato parole di sincero rammarico e profonda stima nei suoi confronti. Si dice che, benché avesse ascoltato pochissime opere di Wagner, Verdi nel suo armadio conservasse sempre le pubblicazioni di tutti gli spartiti del maestro tedesco.
  13. Il sito dell'Hotel contiene alcune immagini e una breve storia della presenza del Maestro presso quella dimora: Il sito