Epatite C
L'epatite C è una malattia infettiva del fegato causata dal virus dell'epatite C (HCV).
Si trasmette per via parenterale. Rispetto all'epatite A e all'epatite B presenta un elevato tasso di cronicizzazione.
Epidemiologia
modificaLe aree di diffusione sono generalmente associati ai vari genotipi virali:
- i genotipi 1, 2 e 3 sono diffusi in America, Europa (soprattutto l'1a), Giappone e Australia;
- il genotipo 3a è pressoché appannaggio dei tossicodipendenti;
- il genotipo 4 è endemico in Egitto (dove la prevalenza dell'infezione nella popolazione è ben del 22%);
- il genotipo 5 è presente in Sud Africa;
- il genotipo 6 è diffuso nel Sud-Est Asiatico.
Secondo i dati dell'Istituto Superiore di Sanità, in Italia l'incidenza della malattia è dell 0.2-0.3 per 100000, con circa un milione di casi nel territorio nazionale.
Va segnalato che grazie alle migliori condizioni igienico-sanitarie e a vari interventi di prevenzione (sterilizzazione della strumentazione chirurgica, ricerca del virus nei donatori di sangue, diffusione delle siringhe monouso nelle comunità di tossicodipendenti, eccetera) l'incidenza della malattia è ormai da anni in progressivo calo nei paesi industrializzati.
Virologia
modificaL'HCV appartiene alla famiglia delle Flaviviridae: presenta pericapside e all'interno del capside è presente un singolo filamento di RNA a polarità positiva. Il virus presenta un elevato grado di variabilità genetica, tanto che similmente a quando accade con l'HIV possiamo individuare vari polimorfismi in uno stesso individuo.
Dopo l'inoculazione il virus raggiunge il fegato per via ematica ed entra all'interno degli epatociti sfruttando la proteina di superficie CD81 (tetraspanina espressa su vari tipi di cellule, tra cui anche quelle ematopoietiche, cosa che spiega vari disordini linfoproliferativi ed altre patologie associate all'epatite C).
Una volta all'interno dell'epatocita una RNA polimerasi RNA-dipendente virale sfrutta il filamento di RNA positivo virale per crearne una copia a polarità negativa: tale copia verrà successivamente sfruttata come stampo per la replicazione dell'RNA virale.
Come accade nell'epatite B il virus non danneggia direttamente la cellula e il danno tissutale è primariamente dovuto alla reazione immunitaria in risposta all'infezione.
Clinica
modificaEpatite acuta
modificaL'epatite acuta da HCV è generalmente silente e solo in un quarto circa dei casi si possono manifestare sintomi perlopiù blandi come stanchezza, inappetenza, nausea: il più delle volte non si presenta nemmeno l'ittero.
L'epatite C acuta guarisce spontaneamente solo nella minoranza dei casi, mentre circa il 60-70% tendono a cronicizzare.
Epatite cronica
modificaL'infezione può manifestarsi dopo anni o decenni trascorsi in maniera completamente asintomatica o tutt'al più con sintomi aspecifici (a causa di ciò diversi pazienti scoprono di avere la malattia durante esami di routine in cui gli enzimi epatici risultano alterati, alcuni faticano addirittura a ricordare l'evento associato all'inoculazione del virus). Se l'infezione non è stata acclarata negli anni precedenti essa progredisce silenziosamente fino a manifestarsi nel 20-30% dei casi con un quadro cirrotico, o in alcuni casi direttamente con epatocarcinoma.
La progressione della cirrosi e da questa all'epatocarcinoma può essere accelerata da alcuni fattori, tra cui:
- sesso maschile;
- consumo di alcol:
- coinfezione da HBV e/o HIV;
- obesità viscerale e steatosi;
- insulino-resistenza e diabete II.
Le donne invece sembrano presentare un progressione cirrotica meno accentuata, presumibilmente a causa dell'azione antifibrogenetica degli estrogeni. Alcuni studi hanno associato ad una ridotta fibrogenesi anche il consumo di caffè. Fattori comportamentali come dieta e attività fisica possono contribuire a contrastare la cirrosi riducendo l'impatto delle malattie metaboliche associate.
Patologie associate
modificaL'infezione da HCV è stata associata a vari disturbi linfoproliferativi quali linfomi e a crioglobulinemia mista,a insulino-resistenza e diabete tipo II (si ritiene per interferenza diretta del virus nella trasduzione del segnale insulinico), ma anche all'aterosclerosi.
Diagnosi
modificaLa diagnosi di epatite C si effettua tramite la ricerca di anticorpi anti-HCV che può essere effettuata anche dopo qualche giorno dall'inoculazione del virus, sebbene in alcuni casi richiedano alcune settimane per manifestarsi. L'analisi quantitativa dell'HCV-RNA tramite PCR va effettuata almeno dopo 2-3 settimane e permette di valutare l'attiva replicazione virale. Un soggetto negativo alla ricerca di RNA virale e positivo agli anti-HCV è tecnicamente guarito.
La biopsia epatica permette di visualizzare direttamente lo stato di infiammazione (presenza di cellule infiammatorie) e fibrosi all'interno del fegato. Attualmente viene impiegata la classificazione Metavir, che suddivide la fibrosi in cinque stadi (abbreviati generalmente con F):
- stadio 0 (F0): fibrosi assente;
- stadio 1 (F1): fibrosi portale (ovvero attorno la triade portale) senza setti;
- stadio 2 (F2): fibrosi portale con pochi setti;
- stadio 3 (F3): fibrosi settale;
- stadio 4 (F4): cirrosi.
Altra tecnica impiegabile è il Fibroscan o elastometria epatica, esame decisamente meno complicato e invasivo della biopsia, in cui grazie ad una sonda ecografica è possibile studiare indirettamente il livello di fibrosi analizzando la durezza del fegato: più esso è indurito maggiore è la fibrosi. Non permette di effettuare una stadiazione diretta della fibrosi, ed è maggiormente indicato nel follow-up del paziente: ovvero, acclarato che il paziente abbia l'epatite C e verosimilmente da anni o decenni, è consigliabile eseguire prima una biopsia per accertare lo stato del parenchima epatico, e successivamente controllarlo tramite Fibroscan, permettendo così al paziente di non doversi sorbire una procedura chirurgica invasiva periodica ove non necessario. Come tutte le procedure ecografiche, il Fibroscan può risultare difficoltoso in pazienti obesi o con ascite.
Assai utile può essere lo studio del polimorfismo del locus IL28B, implicato nella produzione dell'interferone gamma, di cui alcune varianti (la cc in particolare) sono state associate a eradicazione spontanea del virus e miglior risposta alla terapia.
L'analisi dei genotipi virali può aiutare in fase di impostazione della terapia: infatti i differenti genotipi non sono associati a diversi livelli di progressione della malattia, ma a differenti risposte alla terapia.
Terapia
modificaLa terapia cardine è stata per anni la somministrazione di interferone peghilato e ribavirina (analogo della guanosina), similmente a quanto avviene nell'epatite B.
A partire dal 2011 sono entrati nel normale uso clinico alcuni farmaci antivirali ad azione diretta (Direct Acting Antivirals, DAA) che interferiscono nella replicazione virale: boceprevir e telaprevir sono due inibitori della proteasi che impediscono il corretto processamento delle poliproteine virali all'interno degli epatociti, e l'uno o l'altro sono associati a IFN-peg e ribavirina a formare la cosiddetta "triplice terapia", che ha permesso di alzare il tasso di guarigione dal 40% al 70%. Nel 2013 è apparso il sofosbuvir, un analogo nucleotidico, che a sua volta si è rivelato assai efficace. Lo svantaggio dei DAAs è che a tutt'oggi sono ancora assai costosi, oltre a non essere scevri da effetti collaterali (rash cutaneo, sonnolenza, ecc).
La terapia viene consigliata soprattutto a cirrotici non compensati e pazienti con fibrosi F3-F4; tutti gli altri vanno valutati caso per caso.
L'obiettivo ottimale è la guarigione, indicata come persistente assenza di HCV-RNA in circolo dopo 24 settimane dalla sospensione della terapia.