Divina Commedia - Inferno - II Canto (superiori)
Il Secondo Canto dell' Inferno di Dante Alighieri funge da proemio della cantica, e si svolge fuori dalla selva; siamo alla sera dell'8 aprile 1300 (Venerdì Santo), o secondo altri commentatori del 25 marzo 1300 (anniversario dell'Incarnazione di Gesù Cristo).
Lettura e Parafrasi del Canto
modificaTesto | Parafrasi |
Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno toglieva li animai che sono in terra da le fatiche loro; e io sol uno 3 |
Il giorno era quasi finito, e l'oscurità toglieva gli animali che sono in terra dalle loro fatiche; |
m’apparecchiava a sostener la guerra sì del cammino e sì de la pietate, che ritrarrà la mente che non erra. 6 |
e io ero il solo che mi preparavo ad affrontare un cammino angoscioso e terribile, che la mia mente infallibile descriverà. |
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, qui si parrà la tua nobilitate. 9 |
O muse, o alto ingegno poetico, aiutatemi; o mente, che annotasti quello che hai visto, qui dovrai dare dimostrazione della tua nobiltà. |
Io cominciai: «Poeta che mi guidi, guarda la mia virtù s’ell’è possente, prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. 12 |
Io cominciai a dire: «Poeta che mi guidi, valuta se la mia virtù è sufficiente, prima di condurmi in questo arduo viaggio. |
Tu dici che di Silvio il parente, corruttibile ancora, ad immortale secolo andò, e fu sensibilmente. 15 |
Tu dici che il padre di Silvio (Enea), ancora in vita, andò nell'Aldilà in carne e ossa, con tutto il corpo. |
Però, se l’avversario d’ogne male cortese i fu, pensando l’alto effetto ch’uscir dovea di lui e ’l chi e ’l quale, 18 |
Perciò, se il nemico di ogni male (Dio) fu cortese verso di lui,l'uomo e i suoi meriti, |
non pare indegno ad omo d’intelletto; ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero ne l’empireo ciel per padre eletto: 21 |
non sembrano indegni a un uomo dotato di intelletto, se si pensa all'alto effetto che doveva essere prodotto da lui; infatti egli fu scelto nell'Empireo come fondatore della nobile Roma e del suo impero: |
la quale e ’l quale, a voler dir lo vero, fu stabilita per lo loco santo u’ siede il successor del maggior Piero. 24 |
e Roma e il suo impero, a dire la verità, furono stabiliti come la santa sede dove risiede il successore del primo papa (Pietro). |
Per quest’andata onde li dai tu vanto, intese cose che furon cagione di sua vittoria e del papale ammanto. 27 |
Grazie a questo viaggio che tu narri, Enea sentì cose che lo portarono poi alla vittoria e produssero il manto papale (la nascita della Chiesa). |
Andovvi poi lo Vas d’elezione, per recarne conforto a quella fede ch’è principio a la via di salvazione. 30 |
Vi andò poi (nell'Aldilà) lo strumento della scelta (san Paolo), per rendere salda quella fede che è principio alla via della salvezza. |
Ma io perché venirvi? o chi ’l concede? Io non Enea, io non Paulo sono: me degno a ciò né io né altri ’l crede. 33 |
Ma io perché dovrei andarci? chi lo concede? Io non sono Enea, né san Paolo; né io né nessun altro mi ritiene all'altezza di questo compito. |
Per che, se del venire io m’abbandono, temo che la venuta non sia folle. Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono». 36 |
Perciò, se accetto di seguirti, temo che il mio viaggio sia una follia. Sei saggio, comprendi meglio di come io possa spiegare». |
E qual è quei che disvuol ciò che volle e per novi pensier cangia proposta, sì che dal cominciar tutto si tolle, 39 |
E come colui che non vuole più ciò che voleva, e cambia idea a causa di nuovi pensieri, cosicché recede totalmente dai suoi propositi, |
tal mi fec’io ’n quella oscura costa, perché, pensando, consumai la ’mpresa che fu nel cominciar cotanto tosta. 42 |
così divenni io in quei luoghi oscuri, perché pensandoci sopra posi fine all'impresa che fu così rapida all'inizio. |
«S’i’ ho ben la parola tua intesa», rispuose del magnanimo quell’ombra; «l’anima tua è da viltade offesa; 45 |
L'ombra di quel nobile uomo rispose così: «Se io ho capito bene le tue parole, la tua anima è vittima di viltà, |
la qual molte fiate l’omo ingombra sì che d’onrata impresa lo rivolve, come falso veder bestia quand’ombra. 48 |
la quale molte volte opprime l'uomo e lo fa desistere da un'impresa onorevole, proprio come una falsa immagine fa imbizzarrire una bestia quando si adombra. |
Da questa tema acciò che tu ti solve, dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi nel primo punto che di te mi dolve. 51 |
Affinché tu ti liberi da questi timori, ti dirò perché sono venuto qui e quello che sentii nel primo momento che provai per te dolore. |
Io era tra color che son sospesi, e donna mi chiamò beata e bella, tal che di comandare io la richiesi. 54 |
Io ero tra le anime sospese del Limbo, e mi chiamò una donna tanto beata e tanto bella che le chiesi di comandarmi. |
Lucevan li occhi suoi più che la stella; e cominciommi a dir soave e piana, con angelica voce, in sua favella: 57 |
I suoi occhi erano più lucenti di una stella e lei iniziò a parlarmi con tono dolce e soave, con una voce che sembrava il linguaggio di un angelo: |
"O anima cortese mantoana, di cui la fama ancor nel mondo dura, e durerà quanto ’l mondo lontana, 60 |
"O nobile anima mantovana, di cui la fama ancora perdura nel mondo e durerà tanto quanto il mondo, |
l’amico mio, e non de la ventura, ne la diserta piaggia è impedito sì nel cammin, che volt’è per paura; 63 |
colui che mi amò in modo disinteressato (Dante) sul pendio deserto di un colle è impedito a tal punto che si è voltato indietro per paura; |
e temo che non sia già sì smarrito, ch’io mi sia tardi al soccorso levata, per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. 66 |
e temo che sia già smarrito a tal punto che io mi sono mossa troppo tardi per soccorrerlo, per quello che ho sentito su di lui in cielo. |
Or movi, e con la tua parola ornata e con ciò c’ha mestieri al suo campare l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata. 69 |
Ora muoviti, e con la tua parola elegante, e con ciò che è necessario per la sua salvezza, aiutalo in modo che io ne sia consolata. |
I’ son Beatrice che ti faccio andare; vegno del loco ove tornar disio; amor mi mosse, che mi fa parlare. 72 |
Io che ti faccio andare sono Beatrice; vengo da dove desidero tornare; l'amore mi ha fatto venire qui a parlarti. |
Quando sarò dinanzi al segnor mio, di te mi loderò sovente a lui". Tacette allora, e poi comincia’ io: 75 |
Quando sarò davanti a Dio, spesso loderò il tuo nome". Allora tacque e io risposi: |
"O donna di virtù, sola per cui l’umana spezie eccede ogne contento di quel ciel c’ha minor li cerchi sui, 78 |
"O donna virtuosa, l'unica per cui la specie umana si eleva al di sopra di tutto ciò che si trova sotto il cielo della Luna, |
tanto m’aggrada il tuo comandamento, che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi; più non t’è uo' ch'aprirmi il tuo talento. 81 |
la tua richiesta mi trova così d'accordo che se anche avessi giù ubbidito sarebbe tardi; non devi fare altro che dirmi quello che vuoi. |
Ma dimmi la cagion che non ti guardi de lo scender qua giuso in questo centro de l’ampio loco ove tornar tu ardi". 84 |
Ma dimmi il motivo per cui non hai timore nello scendere quaggiù, all'Inferno, dal luogo più ampio dove desideri tornare". |
"Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, dirotti brievemente", mi rispuose, "perch’io non temo di venir qua entro. 87 |
Lei mi rispose: "Poiché vuoi maggiori dettagli, ti spiegherò in breve il motivo per cui non temo di venire qua dentro. |
Temer si dee di sole quelle cose c’hanno potenza di fare altrui male; de l’altre no, ché non son paurose. 90 |
Si devono temere soltanto quelle cose che hanno il potere di fare male agli altri; le altre no, poiché non sono spaventose. |
I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, che la vostra miseria non mi tange, né fiamma d’esto incendio non m’assale. 93 |
Io sono resa da Dio, bontà sua, tale che la vostra miseria non mi tocca e nessuna fiamma dell'Inferno può danneggiarmi. |
Donna è gentil nel ciel che si compiange di questo ’mpedimento ov’io ti mando, sì che duro giudicio là sù frange. 96 |
Nel cielo c'è una donna nobile (Maria) che si duole di questo impedimento per il quale chiedo il tuo aiuto, così che infrange il duro giudizio divino. |
Questa chiese Lucia in suo dimando e disse: - Or ha bisogno il tuo fedele di te, e io a te lo raccomando -. 99 |
Costei chiese di parlare a Lucia e le disse: - Ora il tuo fedele ha bisogno di te e io a te lo raccomando -. |
Lucia, nimica di ciascun crudele, si mosse, e venne al loco dov’i’ era, che mi sedea con l’antica Rachele. 102 |
Lucia, nemica di ogni uomo crudele, si mosse e venne là dove io ero, seduta accanto all'antica Rachele. |
Disse: - Beatrice, loda di Dio vera, ché‚ non soccorri quei che t’amò tanto, ch’uscì per te de la volgare schiera? 105 |
Mi disse: - Beatrice, autentica lode di Dio, perché non soccorri colui che ti amò al punto da elevarsi al di sopra della schiera volgare? |
non odi tu la pieta del suo pianto? non vedi tu la morte che ’l combatte su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? - 108 |
Non senti l'angoscia del suo pianto? non vedi la morte che combatte sul gorgo tempestoso del peccato? - |
Al mondo non fur mai persone ratte a far lor pro o a fuggir lor danno, com’io, dopo cotai parole fatte, 111 |
Al mondo non ci furono mai persone tanto rapide a perseguire il loro vantaggio o a fuggire il loro danno, quanto io, dopo aver udito quelle parole, |
venni qua giù del mio beato scanno, fidandomi del tuo parlare onesto, ch’onora te e quei ch’udito l’hanno". 114 |
venni quaggiù dal mio scanno celeste, affidandomi alle tue parole nobili che onorano te e quelli che le hanno udite". |
Poscia che m’ebbe ragionato questo, li occhi lucenti lagrimando volse; per che mi fece del venir più presto; 117 |
Dopo che mi ebbe detto questo, girò gli occhi che brillavano per il pianto, il che mi indusse a venire più presto; |
e venni a te così com’ella volse; d’inanzi a quella fiera ti levai che del bel monte il corto andar ti tolse. 120 |
e venni da te come lei volle; ti soccorsi da quella belva (la lupa) che ti impedì una facile ascesa al colle. |
Dunque: che è? perché, perché restai? perché tanta viltà nel core allette? perché ardire e franchezza non hai? 123 |
Allora che c'è? perché, perché resti qui? perché coltivi in cuore tanta viltà? perché non hai coraggio e determinazione? |
poscia che tai tre donne benedette curan di te ne la corte del cielo, e ’l mio parlar tanto ben ti promette?». 126 |
visto che queste tre donne benedette si preoccupano per te nella corte celeste e le mie parole ti promettono ogni bene?» |
Quali fioretti dal notturno gelo chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca si drizzan tutti aperti in loro stelo, 129 |
Come dei fiorellini chiusi e rivolti in basso dal gelo notturno si drizzano tutti aperti sul loro stelo, dopo che il sole li ha illuminati, |
tal mi fec’io di mia virtude stanca, e tanto buono ardire al cor mi corse, ch’i’ cominciai come persona franca: 132 |
così feci io con la mia stanca virtù, e al cuore mi venne tanto coraggio che iniziai a dire, come persona rinfrancata: |
«Oh pietosa colei che mi soccorse! e te cortese ch’ubidisti tosto a le vere parole che ti porse! 135 |
«Oh donna pietosa che mi soccorse, e tu cortese che obbedisti subito alle parole autentiche che ti disse! |
Tu m’hai con disiderio il cor disposto sì al venir con le parole tue, ch’i’ son tornato nel primo proposto. 138 |
Tu, con le tue parole, mi hai disposto il cuore al desiderio di venire, al punto che che sono tornato al primo proposito. |
Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: tu duca, tu segnore, e tu maestro». Così li dissi; e poi che mosso fue, 141 |
Adesso va, poiché entrambi vogliamo la stessa cosa: tu sei la mia guida, il mio signore, il mio maestro». Così gli dissi, e dopo che si fu messo in cammino |
intrai per lo cammino alto e silvestro. 142 | intrapresi il percorso arduo e selvaggio. |
Analisi del Canto
modificaPerplessità e timori di Dante - vv. 1-42
modificaDante, dopo aver trascorso una notte e un giorno tra la selva e il pendio del colle, verso sera inizia il suo viaggio nell'oltretomba. Sulla terra tutti riposano, solo Dante si appresta ad intraprendere un viaggio duro (la guerra) e forse superiore alle sue forze: si tratta infatti di un viaggio sì del cammino quindi fisico, ma anche de la pietade cioè spirituale (tutta la Divina Commedia viene infatti indicata come un percorso di conversione, attraverso l'espiazione graduale del peccato nell'Inferno, la purificazione nel Purgatorio e la beatificazione nel Paradiso). Il tutto verrà raccontato dalla mente che non erra, cioè dalla memoria che si ricorda bene quello che ha visto.
Il secondo canto è il proemio alla cantica infernale e per questo Dante invoca le Muse per aiutarlo nel duro compito di riferire proprio senza errori tutto quello che è stato visto: qui si vedrà la nobiltà del suo ingegno di poeta e di uomo.
Questa riflessione sulla grandezza della sua mente provoca in Dante una riflessione sulla sua virtù: egli chiede al maestro di guardare s'ell'è possente, cioè all'altezza, prima di partire per l'alto passo (il difficile viaggio, più adatto al senso del canto piuttosto che riferito al difficile compito di riportare per iscritto quello che ha visto).
Altri hanno avuto esperienza, ancora vivi (mortali), nel regno dell'oltretomba:
- Enea, padre di Silvio che andò nell'Averno sensibilmente, cioè con il proprio corpo e i propri sensi, accompagnato dalla Sibilla: Dio (avversario d'ogne male) glielo concesse perché sapeva l'alto compito che l'attendeva, la fondazione di Roma caput mundi e sede della Chiesa apostolica (il loco santo / u' (ubi, cioè "dove") siede il successor del maggior Pietro), quindi era tutt'altro che indegno. Proprio per quella visita nell'altro mondo egli capì cose che furono la causa della sua vittoria e (saltando all'era cristiana) del papale ammanto.
- Il "Vas d'elezione", ovvero San Paolo (secondo la Seconda lettera ai Corinzi dove l'apostolo dice di essere stato rapito dal terzo cielo) che aveva avuto da Dio il compito di arrecare conforto alla fede cristiana, bisognosa, nel periodo delle origini, di conferma e coraggio.
«Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede? |
(vv. 31-33) |
Dante dunque non si reputa degno di tale compito (né se stesso né nessun altro), perché teme che (sul testo la costruzione di temo è alla latina con la negazione come timeo ne) se venisse l'impresa sarebbe folle: e arriva anche a spronare Virgilio di essere savio e capire. Così, in quell'oscura costa Dante diviene come colui che disvuol ciò che volle, perché nuovi pensieri gli hanno fatto cambiare idea e ora distoglie il pensiero dal cominciare l'impresa: quindi pensando e valutando le proprie forze Dante si pente della sua affrettata accettazione (cotanto tosta).
Conforto di Virgilio e soccorso delle tre donne - vv. 43-126
modificaVirgilio non fa tardare la sua risposta: (parafrasi) "Se ho ben capito le tue parole, la tua anima è ora offesa da viltà, la quale spesso ingombra gli uomini allontanandoli dalle imprese onrate (degne di onore), come quando una bestia si impaurisce per qualcosa che invece è solo ombra. Perché tu ti sollevi da questo timore ti spiegherò perché venni da te e intesi la prima volta che mi preoccupai per te".
Inizia quindi la spiegazione di quello che è successo a Virgilio mentre Dante era smarrito nella selva, con un'analessi a più voci contemporanea agli avvenimenti del Canto I.
Virgilio si trovava tra color che son sospesi (nel Limbo) quando venne chiamato da una donna beata e bella, che gli fece provare il desiderio spontaneo di essere comandato, di obbedirle. Virgilio non lo dice subito ma è la figura angelicata di Beatrice, tra i protagonisti assoluti del poema, che fa il suo ingresso, indiretto, in questa cantica.
Ella aveva gli occhi più lucenti di una stella e cominciò a rivolgersi a lui soave e piana con angelica voce: (parafrasi) "Oh anima cortese (gentile, onesta) mantovana, la cui fama ancora è viva nel mondo e durerà fin quando dura esso, quanto il mondo lontana, (captatio benevolentiae), il mio amico (Dante), disinteressato (e non de la ventura, verso dall'interpretazione ambigua, in genere parafrasato come una nota all'amore divino e spirituale che lega i due), è impedito nel cammino nella diserta piaggia (la selva), tanto che è già tornato indietro per paura, e temo che si sia già smarrito se mi sono alzata a soccorrerlo troppo tardi, dopo che ho udito quello che mi hanno detto di lui in cielo... Ora vai, e con la tua bella arte retorica (la parola ornata) e con ciò che serva a farlo salvare (campare) aiutalo, così che io abbia consolazione. Chi ti fa andare sono io, Beatrice, e vengo dal luogo dove voglio tornare, da dove mi mosse l'amore (termine volutamente ambiguo: amore per Dante? o spirito di carità generico? o Dio stesso?) che mi fa parlare; quando tornerò davanti al mio Signore con lui mi loderò spesso di te."
Virgilio risponde entusiasta a quella che chiama "donna di sola virtù", per la cui virtù la specie umana oltrepassa fino al cielo con il cerchio minore (quello della Luna, a voler significare che la gente supera le cose terrene), dicendole che è così felice del suo ordine che non vede l'ora di ubbidire, basta che lei gli dica il suo desiderio (talento); chiede anche quale sia la ragione per la quale ella non ha temuto di scendere al centro dell'universo, dove presto lei vuole tornare (la Terra era il centro dell'universo nel sistema tolemaico e per i padri della Chiesa al centro della terra si estendeva l'Inferno che era il punto più lontano da Dio).
Beatrice allora risponde brevemente che non teme l'Inferno, perché non è cosa che per lei faccia male, quale creatura divina, non avendo effetto su di lei le fiamme di quello 'ncendio. C'è una Donna in paradiso (probabilmente la Madonna) che si dispiace per l'impedimento dove lei sta mandando Virgilio e che con la sua misericordia spezza il severo giudizio divino; questa chiese a Lucia di proteggere quel suo fedele (nel Convivio III 9, 15-16 Dante racconta di aver avuto una grave malattia agli occhi e che richiese l'aiuto della protettrice degli occhi). Allora Lucia andò da Beatrice, seduta accanto a Rachele e le parlò (si noti come le parole di Lucia sono riportate da Beatrice attraverso il racconto di Virgilio, attraverso la narrazione di Dante): (parafrasi) "Beatrice, lode vera di Dio, perché non soccorri colui che t'amò tanto e che per te uscì de la volgare schiera? (di nuovo il tema dell'amore spirituale che innalza gli uomini) Non senti il dolore del suo pianto, non vedi come egli combatte la morte sul fiume dove il mare non prevale? (metafora forse dei gorghi dell'esistenza)". Beatrice continua a spiegare come si sia affrettata scendendo dal suo beato scanno nella fiducia dell'onesta loquela di Virgilio, che onora lui e chi lo ode.
Finito di riportare il discorso di Beatrice, Virgilio prosegue: egli si era sentito lacrimare gli occhi dopo il soave discorso di Beatrice e venne subito da Dante, come ella aveva voluto; lo tolse di davanti a quella bestia (la lupa), che gli aveva impedito la via breve per scendere al monte. Inizia poi a spronare Dante chiedendogli cosa ci sia, perché (ripetuto due volte) egli si attarda; perché ha tanta viltà nel cuore senza ardire né franchezza, quando tre donne benedette si curano di lui nella corte celeste e quando il bel ragionamento che Virgilio gli ha detto finora prometta tanto bene?
Anche il viaggio di Dante risponde ad un disegno provvidenziale, come quelli di Enea e di San Paolo. Essendo voluto da Dio, non è solo conquista personale e personale elezione, ma si configura anche nei suoi aspetti generali come il viaggio dell'intera umanità per ritrovare pace e giustizia.
Le tre donne rappresentano probabilmente tre momenti della Grazia: la Grazia preveniente (la Vergine), la Grazia illuminante (santa Lucia) e la Grazia operante (Beatrice).
Ritrovata sicurezza di Dante - vv. 127-142
modificaRinfrancato da queste parole, Dante si rianima, come quei fiori che piegati dalla brina notturna si drizzano forti sullo stelo quando il sole li scalda. Senza alcuna esitazione, ringrazia Beatrice (pietosa) e Virgilio (cortese) e si dichiara pronto a seguirlo nel suo difficile cammino, come aveva già deciso alla prima: il loro due voleri ora sono uno solo, cioè Dante concorda con Virgilio, suo duca (che lo precede nell'andare), signore (che prende le decisioni, comanda) e maestro (che spiega e risolve i dubbi).
Allora Dante parte ed entra per un sentiero alto e silvestro, cioè arduo e selvaggio.