Antonio Gramsci (superiori)
Negli anni che precedono e seguono la prima guerra mondiale si assiste in Italia al rilancio della cultura marxista. Gli sviluppi più originali si hanno a Torino, dove un gruppo di intellettuali vicini al movimento operaio elabora una politica rivoluzionaria che finirà per rompere gli equilibri interni al Partito Socialista. Da questo nasce per scissione, nel gennaio 1921, il Partito Comunista d'Italia. Tra i padri del nuovo partito ricopre un posto di rilievo il filosofo Antonio Gramsci, la cui opera diventerà nel secondo dopoguerra uno dei punti di riferimento per il marxismo italiano.[1]
La vita
modificaAntonio Francesco Gramsci nasce ad Ales, vicino a Cagliari, il 22 gennaio 1891, in una famiglia della piccola borghesia impiegatizia. Nel 1911 ottiene una borsa di studio, che gli consente di iscriversi alla facoltà di lettere di Torino. Inizialmente si interessa alla glottologia e, nonostante le fragili condizioni di salute, segue regolarmente i corsi universitari fino al 1915. In quell'anno inizia l'attività giornalistica presso il giornale Il grido del popolo e prende attivamente posizione contro l'intervento dell'Italia nella Grande Guerra, appoggiando i socialisti. Entra quindi nella redazione dell'Avanti!, il giornale del Partito Socialista, dove scrive di critica teatrale. Parallelamente prosegue la sua formazione culturale, approfondendo la filosofia idealista di Croce e Gentile e il pensiero di Marx. Allo scoppio della rivoluzione russa, segue con interesse lo svolgersi degli eventi e si schiera tra i sostenitori dei bolscevichi.
Nel 1918 fonda un nuovo giornale, L'Ordine Nuovo, che sostiene le lotte operaie del biennio rosso (1919-1921). Nel gennaio 1921 il giornale diventa quotidiano e si apre a collaborazioni con intellettuali di altri orientamenti ideologici, come Piero Gobetti. Nello stesso periodo, partecipa al congresso di Livorno e appoggia la scissione dal PSI del gruppo comunista, che porterà alla nascita del Partito Comunista d'Italia. Nel maggio dell'anno successivo parte per Mosca, dove segue da vicino l'organizzazione del nuovo Stato sovietico. Vi rimane per diverso tempo, costretto dalla salute malferma a farsi ricoverare in una casa di cura. In Russia conosce Julija Schucht, che diventerà sua moglie e da cui avrà due figli, Delio e Giuliano. Intanto Gramsci continua a curare i contatti internazionali per conto del Partito Comunista. Nel 1923 è a Vienna, quindi febbraio 1924 fonda a Milano l'Unità, il nuovo organo di stampa del Partito Comunista. A maggio rientra in Italia dopo essere stato eletto alla Camera dei deputati. A Roma partecipa alle attività di opposizione al fascismo, finché queste non vengono dichiarate illegali.
Il 18 novembre 1926, nonostante goda dell'immunità parlamentare, Gramsci viene arrestato. Condotto al carcere di Regina Coeli, è poi trasferito al confino sull'isola di Ustica, quindi nel 1927 viene spostato in varie carceri. Nel 1928 la sua salute peggiora. Passa alla prigione di Turi, in Puglia, dove ottiene una cella singola e ha la possibilità di scrivere: nel 1929 inizia la stesura dei Quaderni del carcere. La sua situazione fisica e psicologica diventa sempre più precaria, e a poco valgono i tentativi dei gruppi antifascisti all'estero per chiederne la liberazione. Nel novembre 1933 viene spostato al carcere di Civitavecchia, quindi il mese successivo viene trasferito in una clinica a Formia. Infine ottiene la libertà condizionale nel 1934. Gravemente malato, viene ricoverato nella clinica Quisisana di Roma, dove muore il 27 aprile 1937.[2]
Punti fondamentali del pensiero gramsciano
modificaIl pensiero gramsciano rappresenta uno dei capisaldi del marxismo occidentale, e avrà grande risonanza a partire dagli anni cinquanta. Considerata la natura di questo libro, che si pone l'obiettivo di ripercorrere la storia della letteratura italiana, non sarà possibile ricostruire nel dettaglio il pensiero di questo filosofo. In questa sede ci si limiterà a soffermarsi sui motivi fondamentali della sua opera.
Per Gramsci la scrittura è sempre collegata alla lotta politica. Nei suoi moltissimi scritti utilizza un linguaggio netto e lucido, esponendo gli argomenti secondo uno sviluppo razionale. La scrittura è però anche uno strumento di conoscenza, attraverso approfondire i valori e gli scopi della lotta operaia, alla quale il filosofo si sente partecipe. Come scrive Ferroni, «tutto il lavoro di Gramsci tende ad affermare la capacità della classe operaia di assumere su di sé la coscienza e la guida del processo storico, rovesciando i rapporti di classe esistenti».[3]
La visione gramsciana del marxismo si appoggia sull'insegnamento di Labriola, che lo interpreta come "filosofia della praxis". Gramsci tuttavia pone la sua riflessione nell'orizzonte della tradizione italiana, confrontandosi con gli sviluppi della filosofia e della cultura del primo Novecento, compresi i principi proposti dalla cultura ufficiale fascista. In particolare riflette sulla storia d'Italia a partire dalla figura e dal ruolo degli intellettuali. Questi sono da lui interpretati come un mediatori di cultura e di consenso sociale. La storia della battaglia intellettuale mostra come questa loro funzione è tanto più incisiva quanto più gli intellettuali sono "organici" a una classe sociale, cioè partecipano e sono radicati nei suoi valori e nelle sue rivendicazioni. Gli intellettuali hanno un'importanza fondamentale in vista di una reale trasformazione della società: devono portare al livello più alto la cultura della classe di cui sono espressione, fino a farla diventare il punto più elevato della coscienza umana e così imporla all'intera società. In questo modo gli intellettuali organici realizzano l'egemonia della loro classe.[4]
Tuttavia, guardando alla storia d'Italia, Gramsci sottolinea come l'intellettuale italiano si ponga per tradizione come "non organico": non si riconosce con la realtà del suo paese, e questo spiega anche la distanza che nella cultura italiana separa l'intellettuale dal popolo. Gramsci quindi si sofferma con attenzione su tutti gli aspetti che riguardano la diffusione della cultura, come il folklore, il mito, la letteratura popolare, il giornalismo. Prende in considerazione anche gli aspetti legati alla più moderna cultura di massa.[5]
La riflessione sulla letteratura segue quella generale sul ruolo dell'intellettuale. Gramsci guarda con attenzione alle avanguardie e dimostra in parte simpatia per il futurismo. Fu tra i primi a comprendere il carattere di rottura attuato dalla fase "grottesca" del teatro di Pirandello, e nelle sue recensioni come critico teatrale pubblicate sull'Avanti! dimostra grande lucidità e vena polemica.[6] Critica la figura dell'intellettuale-letterato, pur riconoscendo alla letteratura un ruolo decisivo nella mediazione della cultura. Gramsci si forma sul modello crociano, ma arricchisce la sua cultura letteraria con le esperienze delle avanguardie e dei vociani. La sua è una critica letteraria militante, che deve fondere la critica puramente artistica con la lotta per un nuovo umanesimo. In altre parole, la critica gramsciana deve essere consapevole del valore organico della letteratura. Un modello di tutto ciò viene riconosciuto nell'opera di Francesco De Sanctis.[7]
I Quaderni del carcere
modificaPer approfondire su Wikipedia, vedi la voce Quaderni del carcere. |
Per leggere su Wikisource il testo originale, vedi Quaderni del carcere
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Gramsci inizia a scrivere i Quaderni del carcere l'8 febbraio 1929, mentre si trova recluso a Turi. Si tratta di una serie di riflessioni e appunti, che però rientrano in un lavoro di ampio respiro, una «ricerca sulla formazione dello spirito pubblico in Italia» nell'Ottocento. Negli anni della reclusione il filosofo riempie 29 quaderni a righe, nei quali ritorna più volte sugli stessi temi. Custoditi dall'Istituto Gramsci di Roma, vengono pubblicati per la prima volta da Einaudi tra il 1948 e il 1951, organizzati in sei volumi divisi per tematica:
- Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce
- Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura
- Il Risorgimento
- Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno
- Letteratura e vita nazionale
- Passato e presente
A Valentino Giarrata si deve l'edizione critica del 1975, nella quale si riporta l'attenzione sulla natura di questi testi e sul "metodo" con cui sono stati scritti, che prevede di tornare su un tema per scavarlo, correggerlo e integrarlo.[6]
La scrittura è quindi una continua ricerca, è uno strumento con cui il soggetto si difente dalla situazione che sta vivendo, ma è anche un modo per proseguire la lotta proletaria. Come scrive Ferroni, «il grande valore letterario di questa scrittura sta proprio nel senso fortissimo di resistenza che essa dimostra, nella tensione con cui si cerca una programmaticità e un un impegno risolutivo nel momento stesso in cui essi appaiono impossibili».[6]
Nei Quaderni si trovano vari esempi della critica militante e integrale sostenuta da Gramsci. Particolarmente importanti sono le sue interpretazioni di Dante, Machiavelli e Pirandello. Il filosofo spende però molte energie per studiare le forme d'uso sociale della letteratura nella tradizione italiana. Pone in particolare l'attenzione sul legame tra la questione della lingua e l'identità degli intellettuali-letterati e propone spunti di ricerca su vari temi, come: la diffusione pubblica della letteratura, la letteratura popolare, il rapporto tra pubblico e generi letterari.[7]
Note
modifica- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 901.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, pp. 901-902.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 902.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 904.
- ↑ Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, pp. 904-905.
- ↑ 6,0 6,1 6,2 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 903.
- ↑ 7,0 7,1 Giulio Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 2001, p. 905.
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