''Una Storia Semplice'' di Leonardo Sciascia (superiori)
Una storia semplice è un breve romanzo di carattere poliziesco dello scrittore Leonardo Sciascia, ispirato a un fatto realmente avvenuto, il furto della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi di Caravaggio.
Una storia semplice | |
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Autore | Leonardo Sciascia |
1ª ed. originale | 1989 |
Genere | Romanzo |
Sottogenere | Giallo |
Lingua originale | it |
Ambientazione | Sicilia |
«Ancora una volta voglio scandagliare scrupolosamente le possibilità che forse ancora restano alla giustizia» |
(da Friedrich Dürrenmatt, Giustizia) |
L'Autore
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«Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia… E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma…» |
(Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961) |
Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989) è stato uno scrittore, saggista, giornalista, politico, poeta, drammaturgo, critico d'arte e maestro di scuola elementare. italiano.
Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo, Sciascia è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo. All'ansia di conoscere le contraddizioni della sua terra e dell'umanità, unì un senso di giustizia pessimistico e sempre deluso, ma che non rinuncia mai all'uso della ragione umana di matrice illuminista, per attuare questo suo progetto. All'influenza del relativismo conoscitivo di Luigi Pirandello si possono ricondurre invece l'umorismo e la difficoltà di pervenire a una conclusione che i suoi protagonisti incontrano: la realtà non sempre è osservabile in maniera obiettiva, e spesso è un insieme inestricabile di verità e menzogna.
Dal 1979 al 1983 fu deputato del Partito Radicale.
La Trama
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Il telefonista di una stazione di polizia, la sera del 18 marzo alle 21:37, riceve una telefonata di un uomo che chiede di poter parlare col questore. Egli annota:
«L'ora e il nome della persona che telefonava, un certo Giorgio Roccella. Aveva una voce educata, calma, suadente. "Come tutti i folli" pensò il telefonista.» |
e trasferisce la chiamata al commissario che però in quel momento si stava infilando il cappotto per uscire. Così il brigadiere, che era seduto al tavolo vicino, prende la telefonata. L'uomo al telefono gli fornisce i propri dati, indica il luogo in cui si trova e chiede l'intervento di una pattuglia della polizia.
Il commissario convince il brigadiere che si tratta di uno scherzo dato che l'uomo che aveva chiamato, un diplomatico, non veniva in quei luoghi da anni ed era improbabile che fosse tornato. Il brigadiere si offre di andare sul luogo ma il commissario gli dice che, se vuole, può passare l'indomani tanto egli sarebbe stato assente fino a lunedì per festeggiare San Giuseppe da un suo amico in campagna.
«Ma no, sono sicuro che si tratta di uno scherzo... domani, magari, se hai tempo e voglia, vai a dare un'occhiata... Per quanto mi riguarda, qualunque cosa accada, domani non mi cercate, vado a festeggiare il San Giuseppe da un amico in campagna.» |
Il giorno dopo il brigadiere raggiunge in pattuglia il casolare nella contrada Cotugno ma la casa, che presenta evidenti segni di rovina, sembra deserta:
«Tutte le imposte erano chiuse, tranne di una finestra dai cui vetri si poteva guardar dentro. Stando nella luce abbagliante di quella mattina di marzo, videro dapprima confusamente l'interno; poi cominciarono a distinguere e a tutti e tre, ripetendo la prova facendosi schermo del sole con le mani, parve certo si vedesse un uomo che, di spalle alla finestra, seduto a una scrivania, vi si fosse accasciato.» |
Il brigadiere decide di rompere il vetro della finestra per entrare e, constatato che l'uomo è morto e che nella testa, che poggiava sulla scrivania, tra la mandibola e la tempia, c'era un grumo di sangue, dà ordine di non toccare nulla. La prima impressione è che si tratti di suicidio.
La pistola, una vecchia arma tedesca della guerra del '15-'18, si trova a terra sulla destra della poltrona, ma la mano del morto, invece di penzolare, è sul piano della scrivania a fermare un foglio su cui si leggeva:
«Ho trovato.» |
Questi elementi fanno presto scartare l'ipotesi precedentemente fatta.
Sulla scrivania si trovano un mazzo di chiavi, un calamaio di peltro, una fotografia di almeno cinquanta anni prima che rappresenta una allegra comitiva e vicino al foglio una penna stilografica chiusa che convince il brigadiere trattarsi di omicidio.
Il brigadiere così elabora una teoria. Egli pensa che l'uomo, dopo aver telefonato, abbia iniziato a scrivere quello che aveva trovato ormai dubitando che la polizia arrivasse e che poi, sentito bussare alla porta abbia aperto, nella convinzione che fosse la polizia, ma si era trovato davanti, invece, l'assassino. La penna chiusa dimostrava solamente che l'assassino aveva cercato di far passare l'omicidio per suicidio.
Dopo aver perquisito quella vasta casa, il brigadiere si convince che, malgrado l'apparente stato di abbandono, essa non fosse disabitata. Trova le prove di ciò in mozziconi di sigaretta nei portacenere, in cinque fondi di vino nei bicchieri portati in cucina, evidentemente, per essere lavati, e in una delle tre camere da letto che erano riusciti ad aprire, dove vede un letto sul quale sembrava che qualcuno avesse dormito.
Prima di lasciare il casolare il brigadiere e gli agenti notano che l'ampio spiazzo davanti era servito per manovre di automobili e autocarri e che tutti i catenacci che chiudevano le porte dei magazzini erano nuovi, evidentemente cambiati di recente.
Due ore dopo arrivano sul luogo il questore, il procuratore della Repubblica, il medico, il fotografo, un giornalista e molti agenti, tra i quali quelli della scientifica.
Dopo le indagini emergono nuovi indizi e si ricostruisce parte della vicenda: l'uomo, la cui identità viene chiarita, era tornato la sera prima e aveva mangiato presso il ristorante del paese, poi aveva chiamato un taxi e si era fatto portare alla villa, era entrato e aveva trovato con sorpresa un telefono che prima della sua partenza non c'era.
Chiama allora il professor Carmelo Franzò, suo vecchio amico, al quale dice di essere ritornato improvvisamente perché:
«Si era ricordato che in una cassapanca che doveva ancora esserci nel solaio del villino c'erano dei pacchetti di vecchie lettere: uno di Garibaldi al suo bisnonno, un altro di Pirandello a suo nonno (avevano fatto insieme il liceo); e gli era venuta la fantasia di recuperarli, di lavorarci un po' su.» |
Gli dice inoltre di aver trovato un quadro famoso che era scomparso qualche anno prima.
In seguito alla testimonianza del professore la tesi del suicidio viene scartata e si decide di fare una perquisizione più accurata nella villa.
Quello stesso giorno, alle due del pomeriggio, accade però un fatto che porta ulteriore sconvolgimento. Un treno locale si era fermato al semaforo che precedeva la stazione di Monterosso a causa della segnalazione di "impedimento" e dopo mezz'ora il segnale non era ancora cambiato.
Passeggeri e ferrovieri avevano pensato che il capostazione si fosse dimenticato di aprire la sbarra o si fosse addormentato e, all'unica macchina che si era fermata per chiedere che cosa fosse successo, una Volvo, il capotreno aveva chiesto al conducente di fargli il favore di salire alla stazione per domandare cosa fosse successo.
Ma il semaforo era rimasto rosso ancora a lungo e alla fine il capotreno e altri passeggeri erano saliti alla stazione a piedi e avevano scoperto che il capostazione e il manovale erano stati uccisi.
La polizia e i carabinieri vengono avvertiti e subito si danno alla ricerca dell'uomo della Volvo che nel frattempo si presenta spontaneamente in questura per raccontare quanto aveva visto il pomeriggio prima: un uomo che gli aveva aperto la porta e altri due uomini che stavano arrotolando un tappeto. La deposizione non convince però il commissario che trattiene l'uomo.
Da Edimburgo arrivano nello stesso giorno la ex-moglie della vittima e il figlio che racconta al questore che ogni tanto suo padre scriveva al prete del paese, Padre Cricco, per informarlo sullo stato di mantenimento della proprietà. Padre Cricco viene interrogato e afferma di non aver mai avuto le chiavi delle proprietà, ma che:
«Guardava da fuori la casa di città e il villino e che le sue notizie si limitavano ad assicurare che erano ancora all'impiedi, senza crepe vistose e senza irreparabili erosioni.» |
Durante una perquisizione della villa, il brigadiere insieme al commissario sale per una scalinata e raggiunge la soffitta: inizialmente non trova l'interruttore, ma d'istinto il commissario gli dice che l'interruttore è collocato dietro una statua.
Il brigadiere comincia a sospettare del commissario e l'indomani, quando entrambi sono nell'ufficio, il commissario tenta di sparargli ma il brigadiere riesce a schivare il colpo e a rispondere prontamenente al fuoco. Alla conclusione delle indagini si svela il mistero: il commissario assieme alla sua banda conduceva i suoi loschi traffici di droga ed opere d'arte nel villino e quando Roccella tornando improvvisamente vide depositato nella sua villa un quadro rubato, telefonò alla polizia. Perciò il commissario, fingendo di portargli aiuto lo uccise e inscenò il suicidio. Prese quindi il quadro e, per farlo sparire, lo portò dal capostazione suo complice (poiché sicuramente in un treno, un carico di notevoli dimensioni non sarebbe stato notato). Il capostazione oppone resistenza e il commissario lo uccide.
Malgrado ciò il magistrato, insieme al questore e al colonnello, decidono che "è troppo poco" per considerare la reazione del brigadiere legittima difesa e, per mancanza di prove, lo si definisce: “un incidente”.
Sui giornali si leggerà infatti:
«Brigadiere uccide incidentalmente, mentre pulisce pistola, il commissario capo della polizia giudiziaria.» |
Mentre si prepara la camera ardente per poi procedere a funerali solenni, l'uomo della Volvo viene finalmente lasciato libero e mentre sta uscendo "scarmigliaro e felicemente ilare" incontra padre Cricco, venuto a benedire la salma, che gli chiede se si conoscevano e se era della sua parrocchia. L'uomo della Volvo, dopo aver risposto:
«Ma che parrocchia? Io non ho parrocchia» |
se ne esce dalla città cantando quando, ad un tratto, gli viene in mente il volto del prete e capisce che si trattava dell'uomo che gli aveva aperto e che lui aveva creduto essere il capostazione. Padre Cricco dunque aveva appena ucciso il capostazione, e faceva anch'egli parte di un'organizzazione mafiosa.
Il romanzo termina con questo amaro explicit:
«Pensò di tornare indietro, alla questura. Ma un momento dopo: "E che, vado di nuovo a cacciarmi in un guaio, e più grosso ancora?" Riprese cantando la strada verso casa.» |
Il Brano: "Incipit" da Una Storia Semplice
modificaDi Seguito l'"Incipit" de "Una Storia Semplice" di Leonardo Sciascia:
«La telefonata arrivò alle 9 e 37 della sera del 18 marzo, sabato, vigilia della rutilante e rombante festa che la città dedicava a san Giuseppe falegname: e al falegname appunto erano offerti i roghi di mobili vecchi che quella sera si accendevano nei quartieri popolari, quasi promessa ai falegnami ancora in esercizio, e ormai pochi, di un lavoro che non sarebbe mancato. Gli uffici erano, più delle altre sere a quell'ora, quasi deserti: anche se illuminati, l'illuminazione serale e notturna degli uffici di polizia tacitamente prescritta per dare impressione ai cittadini che in quegli uffici sempre sulla loro sicurezza si vegliava. |