''San Martino'' di Giosue Carducci (superiori)
San Martino è una poesia di Giosuè Carducci. Fa parte della raccolta Rime nuove, che raccoglie liriche scritte dal 1861 al 1887. Il testo autografo riporta il titolo Autunno con la data «8 dicembre 1883: finito ore 3 pomeridiane». La poesia con il titolo San Martino (in maremma pisana) fu pubblicato nel supplemento Natale e Capo d'anno dell' Illustrazione Italiana del dicembre 1883. Il titolo definitivo fu inserito nelle Rime nuove e nell'edizione nazionale delle Opere (vol. IX).
Una lirica di Ippolito Nievo, antecedente a quella del Carducci di circa venticinque anni, contiene una serie di termini (nebbia, colli, mare, pensieri, uccelli, vespero, rosseggiare, ecc.) e immagini presenti anche in San Martino. Questo ha fatto avanzare l'ipotesi che Carducci, che aveva viaggiato in Toscana dal 17 al 26 settembre 1883 diretto a Roma e tornato a Bologna alla fine d'ottobre, nella sua visione lirica dei luoghi visitati si sia ispirato direttamente proprio alla poesia di Nievo, composta nel 1858, e l'abbia poi trasfigurata poeticamente secondo la sua sensibilità.
L'Autore
modificaGiosuè Alessandro Giuseppe Carducci (Valdicastello di Pietrasanta, 27 luglio 1835 – Bologna, 16 febbraio 1907) è stato un poeta e scrittore italiano. Fu il primo italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1906.
Il Testo e la Parafrasi
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L'Analisi del Testo
modificaLa poesia adotta la metrica dell'odicina anacreontica (quattro quartine di settenari).
Lo schema di rime è ABBC DEEC FGGC HIIC.
Si descrive un paesaggio in bianco e nero con l'eccezione del colore rossastro al termine della poesia che serve a far risaltare ancora di più il volo degli uccelli neri.
Evidente il contrasto tra l'atmosfera del borgo e il suono del mare in tempesta agitato dal maestrale, simbolo di un'inquietudine che, a mano a mano che si sale con fatica verso la cima del colle, quasi svapora attraverso la nebbia che vela la realtà, che non ci fa capire cosa veramente vogliamo, finché si giunge alla chiara allegrezza del borgo dove il rumore del mare è ormai lontano e dove si diffondono gli odori del vino che si sta facendo e della carne che gira sullo spiedo. Questi sono i suoni della pace, il vino che bolle nelle botti, la legna dello spiedo che scoppietta contrapposti alla furia del vento che agita il mare dell'esistenza umana.
Al termine della faticosa salita per la conquista della tranquillità ci attendono il vino e il cibo, una consolazione e un modo per raggiungere serenità, lasciare alle spalle, giù in basso il mare agitato della vita.
La serenità, oltre che negli odori, qui tinta di tristezza, è nel suono: nel fischiettio del cacciatore che appoggiato alla porta di casa guarda pensoso le nuvole rosse per il tramonto dove si stagliano uccelli neri che volano via come i foschi pensieri.
È una pace questa che si percepisce durerà poco, poiché ancora si sente là, in basso, il mare della vita rumoreggiare e poiché il poeta è ormai al tramonto che precede le tenebre della notte.