''Erano i Capei d'Oro a l'Aura Sparsi'' di Francesco Petrarca (superiori)
Erano i capei d'oro a Laura sparsi è il sonetto numero XC (90) del Canzoniere di Francesco Petrarca, nel quale l'autore loda la bellezza angelica di Laura e giustifica il suo amore verso la donna.
L'Autore
modificaFrancesco Petrarca (Arezzo, 20 luglio 1304 – Arquà, 18/19 luglio 1374) è stato uno scrittore, poeta e filosofo italiano, considerato il fondatore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il Canzoniere, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da Pietro Bembo nei primi del '500.
Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla Scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico (e non più in chiave assolutamente teocentrica), Petrarca (che ottenne la laurea poetica a Roma nel 1341) spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura che una storia d'amore, e in quest'ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum.
Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'Aretino.
Il Testo e la Parafrasi
modificaTesto | Parafrasi |
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Erano i capei d’oro a l’aura sparsi |
I biondi capelli di Laura erano sparsi al vento |
Analisi e Interpretazione del Testo
modificaAnalisi del Testo
modificaIl sonetto è costituito da 14 versi, tutti in endecasillabi, divisi in quattro strofe: 2 quartine e 2 terzine. Le rime sono costruite secondo lo schema metrico ABBA, ABBA; CDE, DCE.
Figure retoriche
modificaDi seguito sono riportate le figure retoriche presenti nel testo:
- una sinestesia al verso 2: «dolci nodi»;
- un'iperbole al verso 2: «mille»;
- un poliptoto ai versi 3 e 8: «ardea ... arsi»;
- varie metafore: «d'oro» (al primo verso); «ardea» (v. 3); «esca amorosa» (v. 7); «arsi» (v. 8);
- un iperbato ai vv. 3-4: «e 'l vago lume oltra misura ardea / di quei begli occhi»;
- domanda retorica, all'ottavo verso: «qual meraviglia se di subito arsi?»;
- chiasmo: «uno spirto celeste, un vivo sole» (v. 12);
- epifonema: «piagha per allentar d'arco non sana» (v. 14);
- tre anastrofi: «a l'aura sparsi» (v. 1); «farsi, / non so se vero o falso, mi parea» (vv. 5-6); «non era l'andar suo» (v. 9);
- un'antitesi: «Non era l'andar suo cosa mortale, / ma d'angelica forma» (vv. 9-10);
- un senhal (vedi sotto).
Interpretazione del Testo
modificaIl senhal: Laura, lauro, l'aura, l'auro
modificaPetrarca inizia il poema con un nome fittizio che allude all'amata, il senhal: questo procedimento in realtà è già presente in altri componimenti del Canzoniere, tuttavia qui moltiplica i propri significati. Vi è infatti un'ambivalenza Laura-l'aura (= l'aria), acuita dalla tradizione medievale secondo la quale non si segnavano gli apostrofi bensì si scriveva di seguito. Di conseguenza, il verso «Erano i capei d'oro a l'aura sparsi» può essere letto sia come «I capelli biondi di Laura erano sparsi» che «I capelli di Laura erano sparsi al vento»: Petrarca, in questo modo, impregna il testo con la propria musa ispiratrice, divenuta ormai una figura tanto sottile quanto onnipresente.
Con il senhal Petrarca allude anche al mito di Dafne, ninfa che, vittima del folle amore del dio Apollo, viene trasformata in un lauro per sottrarsi alla sua corte. Il poeta, assegnando alla donna amata un nome così radicato nella mitologia greca, intende quindi incarnarsi in Apollo, dio di tutte le arti e quindi anche della poesia. Non a caso, il lauro (risultato della metamorfosi di Dafne) è anche un simbolo di gloria e trionfo letterario, tanto che la massima ambizione per Petrarca era quella di essere incoronato con l'alloro poetico.
Vi sono due ulteriori significati che si celano dietro questo frutto del genio petrarchesco. L'aura può essere infatti intesa anche come l'aurora, l'inizio di un nuovo giorno; questa analogia simboleggia infatti il rinnovamento tanto ambito da Petrarca. Inoltre, l'auro è anche un latinismo per «oro», emblema della purezza che assurge anche al colore dei capelli di Laura, ad indicare un sentimento puro avulso dalla volgarità e dalla mediocrità.
Il tema della memoria
modificaDecisivo appare in questo sonetto un dettaglio che distingue il pensiero di Petrarca da quello dei poeti stilnovisti, come Guinizzelli o Cavalcanti: è sì presente il tema della donna-angelo, intermediaria fra l'uomo e Dio, ma qui è stato rielaborato secondo i dettami della poesia petrarchesca. Mentre il Dolce Stil Novo la descrive con immediatezza oggettiva, come se fosse sotto gli occhi del poeta quand'egli ne parla, per Petrarca la stessa donna è proiettata in un passato imprecisato, in una presenza che si consolida solo nei ricordi del poeta.
Non a caso il tempo verbale scelto da Petrarca è l'imperfetto, al quale viene coniugata la quasi totalità dei verbi presenti: «erano», «avolgea», «ardea» ... Al presente viene invece assegnato un ruolo marginale, essendo utilizzato solo per le frequentissime espressioni di dubbio che attanagliano la psiche del poeta: «non so se vero o falso», «se non fosse or tale».
Questa diversa concezione è sottolineata nel diverso utilizzo del verbo «parere» che fanno Dante ed il poeta aretino. Beatrice nella Vita Nuova appare (pare) gentile ed onesta, è evidente che lo sia; Laura invece presenta delle connotazioni angeliche puramente iperboliche (così come era nella lirica siciliana), tanto che viene collocata in una dimensione interamente soggettiva, lacerata dal dubbio e dalla titubanza del poeta («che l'esca amorosa al petto avea, / qual meraviglia se di subito arsi?», vv. 7-8).