Un romanzo libertino

LES AMOURS DU CHEVALIER DE FAUBLAS DI J. - B. LOUVET DE COUVRAY

lezione
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Un romanzo libertino
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Letteratura francese

Tra gli innumerevoli romanzi «libertini» del XVIII secolo, ha attirato, in anni recenti, l'attenzione della critica il romanzo di Jean-Baptiste Louvet Les Amours du chevalier de Faublas, che raccoglie tre parti pubblicate sotto i titoli di Une année de la vie du chevalier de Faublas (1787), Six semaines de la vie du chevalier de Faublas, pour servir de suite à sa première année (1788), Fin des amours du chevalier de Faublas (1790).

Questo interminabile romanzo (più di ottocento pagine nella edizione della Bibliothèque de la Pléiade) presenta una sorprendente varietà di situazioni e di personaggi, ma anche, come spessissimo avviene nella narrativa «libertina» del secolo, una non meno sorprendente uniformità e ripetibilità di «funzioni».1) Durante tutta la vicenda, infatti, non si fa che sacrificare a Venere, ed eroe instancabile di questi «combats voluptueux» è il sensibile, il galante, il coraggioso cavaliere di Faublas che passa tutta la sua vita in «doux exercices», «nuits heureuses», «parties fines» e «parties carrées», sempre pronto a condividere il letto di tutte: donne del gran mondo e plebee, vedove devote e... fantasmi, suore e donne di strada, pulzelle nel fiore degli anni e, se pur con qualche disgusto, «tendrons de près de soixante ans» (p. 562). 2)

Nessuna ansia conoscitiva, nessuna epica della trasgressione nel nostro Valmont de poche. Convinto, «dans l'innocence de son coeur», che «l'amant heureux d'une belle dame peut être aussi l'amant tendre d'une jolie demoiselle» (p. 702), egli procede arricchendo senza posa il numero delle copule realizzate, esaurendo tutta la serie di combinazioni possibili, e tutto ciò sotto il segno di una folgorante rapidità. Ché, ad evitare le esasperanti lentezze e le intricate complicazioni di ogni assedio, lo aiuta un'arma segreta: il travestimento, infallibile apriti sesamo che gli spalanca le porte di alcove e «boudoirs» e lo conduce, attraverso una serie di metamorfosi incredibile, ora sotto le vesti di amazzone inglese, ora travestito da ragazza del gran mondo, da suora, da monaco, da medico, da pezzente, a penetrare in tutte le case e ottenere, in men che non si dica, i favori di finte ingenue e di giovanette realmente un po' troppo credule.

Tutto sotto il segno della rapidità dunque, ma anche sotto il segno della facilità, poiché non sempre servirebbero travestimenti e grazie native se il nostro «séducteur pressé» non trovasse complici un po' dappertutto: compiici le menadi assetate che prevengono ogni suo desiderio con la loro arrendevolezza; complici i luoghi e i mille joujoux3) di cui l'amore si alimenta: complici, infine, mariti sciocchi e amanti compiacenti sempre pronti a gettargli tra le braccia le loro donne.

«Acceptez le lit de madame, vous y serez bien», prega il marchese di B***. che, nonostante le sue vantate doti di fisionomista infallibile, non sa scorgere, sotto le vesti di Mlle du Portail, il vigoroso chevalier de Faublas; «Impartite lezioni di enigmistica alla mia cara sposa», supplica il vecchio e impotente conte di Lignolle, maniaco di rebus ed enimmi e si indovina quali charades in versi e in prosa risolverà il nostro campione; «Siate compiacente con il mio amico», va raccomandando il visconte di Valbrun alla vivace Justine, e costei, impareggiabile padrona di casa, darà una deliziosa interpretazione dei doveri dell'ospitalità. E così, l'universelle confrérie cresce e si allarga all'infinito.

Infaticabile Faublas! Dimentico di ogni cautelosa raccomandazione paterna contro gli eccessi, insofferente di ogni morale piccolo-borghese del risparmio, egli sperpera nei luoghi più impensati una ricchezza che sembra inesauribile. Ma, ahimè, anche l'etica della quantità ha un suo limite invalicabile, dal momento che il nostro «épouseur» di professione ha pur sempre un cuore. Strano cuore però il suo, che incapace di privilegiare una sola creatura, la Sposa unica, la Diletta, batte di uguale amore per tre donne contemporaneamente: per la passionale Mme de B.***, che lo ha iniziato ai dolci misteri dell'amore, per la «romantica» Eléonore de Lignolle, che gli ha fatto conoscere i tormenti della passione, per la dolce, la tenera Sophie sempre disposta alle lacrime e al sacrificio.

Fra queste tre amanti perfette Faublas trapassa felice, tradendo tutte, ma tornando sempre a ciascuna carico di tutte le virtù del rimorso; finché — già si sa che storia della felicità non ci è data — questi tre amori fanno groppo e stringono il sempre più smarrito cavaliere, diviso tra «le souvenir de Sophie, l'espoir d'embrasser Eléonore et le désir de revoir la marquise» in un viluppo inestricabile. Per uscire dall'incubo basterebbe scegliere, ma un «ami de toutes les femmes» come il nostro4) è costituzionalmente incapace di scelte decisive, sicché sarà il Destino a sciogliere tutti i nodi e lo farà nel modo più crudo.

Mme de B.***, scoperta in flagrante adulterio, verrà uccisa dal marito; Eléonore metterà fine ai suoi giorni nelle acque della Senna; il capitano di Lignolle, persecutore dell'infelice Eléonore, verrà trapassato da parte a parte dall'infallibile spada di Faublas; La Fleur, il servo delatore, sarà impiccato; Rosambert, il libertino cinico, porterà per sempre i segni di grave ferita; Mme de Fonrose, l'angelo malefico di tutto l'intrigo, trascinerà i suoi giorni sfigurata da un colpo di pistola; Mme d'Armincour agonizzerà in un lontano castello; Justine pagherà il fio dei suoi ardori eccessivi nel carcere di Saint-Martin, e Faublas, infine, oppresso da tante sciagure, cadrà in preda a orrenda follia.

Per fortuna gli implacabili «dieux vengeurs» sanno anche essere pietosi e definire per il meglio, nell'assoluto rispetto dei valori convenuti, tutta l'ingarbugliata vicenda, e così il nostro casalingo Amleto, curato da un medico sapiente,5) circondato dall'affetto di un padre e di una sorella tenerissimi, aiutato da Sophie, sposa quanto mai comprensiva, recupererà il senno e potrà finalmente «jouir, au sein de l'hymen, d'une félicité qu'il n'a jamais connue dans ses égarements».

Questo, in breve, il canovaccio sul quale Louvet de Couvray ha intessuto i fili di un tal numero di peripezie che sarebbe impresa disperata, e in fondo inutile, voler dar conto di tutte. Ci limiteremo, per il momento, ad osservare che si tratta di avventure ora paradossali, ora inverosimili, ora francamente assurde, ma tutte riscattate, come vedremo più avanti, dalla vivacità di un linguaggio spesso allusivo e sottilmente ironico, da un procedimento di amplificazione sistematica che conferisce alla vicenda una sua «epicità», dalla rapidità quasi clownesca del ritmo narrativo, che trascinando il lettore in una sorta di balletto folle, lo distoglie da ogni considerazione sulla plausibilità dei fatti narrati o sulla consistenza e credibilità dei personaggi.

Les Amours du chevalier de Faublas ottennero, fin dal loro primo apparire, uno straordinario successo, come fanno fede il numero delle edizioni e delle traduzioni, i rifacimenti e le contraffazioni, gli adattamenti per il teatro di uno degli episodi intercalati nella vicenda principale,6) la popola¬rità dell'autore7) e dei personaggi,8) i giudizi lusinghieri espressi dai contemporanei9)

Presente nelle biblioteche di moltissimi grandi scrittori europei dell'Ottocento, da Musset a Stendhal, da Balzac a Flaubert, da Scott a Carlyle, da Wieland a Jean Paul, da Puskin a Herzen,l0) l'opera di Louvet godette soprattutto di grande fortuna popolare, che durò ininterrotta — se dobbiamo credere a Flaubert — fino alla metà del XIX secolo.11) Successo di scandalo,12) senza dubbio, ma anche successo legato ad una attesa del pubblico il quale, oltre a subire il fascino di una storia ricca di amori consumati in fretta e di scene madri a grande orchestra, riconosceva, nella rappresentazione di un'epoca tutta intessuta di rare eleganze, di piaceri frivoli e leggieri, di «débauche aimable» e di vizi adornati delle grazie dello spirito, la mitica belle époque di sempre.

La critica, da parte sua, reagisce in modo piuttosto contraddittorio. Disposta a riconoscere al romanzo il pregio di uno stile «vif et alerte», di un dialogo «souvent spirituel», di una invenzione «gracieuse et féconde», essa si divide sul giudizio da dare in merito al valore morale della vicenda nar¬rata. Questione di diritto inutile e falsa, è ovvio, ma su di essa discettano, con impegno degno di miglior causa, i pensatori ufficiali della buona società borghese e gli immancabili «canonizzatori» per vocazione.

E mentre i primi, convinti assertori di un XVIII secolo tutto corruzione e vizio, breccia aperta alla irruzione del male nel mondo, si accaniscono contro questa «histoire obscène du vice», 13) contro questo «écrit pernicieux»,14) contro questo «fruit impur des moeurs de la France esclave» che altera la rettitudine dei principi,15) i secondi, con un glissement altrettanto arbitrario, vedono in Faublas un «modèle de grâce et de délicatesse»,16) scoprono in questo «coureur d'aventures» la stoffa «d'un vrai père de famille» ed esaltano il romanzo «écrit sous la préoccupation constante d'une idée morale»17) Puerilità tutte queste sulle quali sarebbe inutile insistere e che abbiamo riportato per puro dovere di informazione.

Per completare il quadro della fortuna del romanzo aggiungeremo che, dopo la metà del secolo, essa conosce un rapido declino: le riedizioni si fanno sempre più rare e sono per lo più riservate alla curiosità di bibliofili estetizzanti; l'autore è confuso e dimenticato nella infinita schiera di romanzieri libertini, e, di quella che era stata chiamata «l'Astrée de la volupté libertine», non resta, si può dire, che il nome del personaggio prin¬cipale, Faublas, sinonimo di seduttore superficiale e fatuo.18)

Relegato tra le opere di «deuxième ou troisième rayon» per moltissimi anni,19) il romanzo è tornato a suscitare solo qualche decennio fa un rinnovato interesse testimoniato, oltre che dalle riedizioni della Bibliothèque de la Pléiade (1965), dell'editore Tchou (1966) e della Bibliothèque 10/18 (1966), anche da un certo numero di articoli che fanno a gara per trarre dall'oblio uno scrittore ingiustamente «sacrifié»,20) per assegnargli un posto di tutto rispetto nel consesso dei grandi narratori del secolo, per riconoscere alla sua opera un potere di irraggiamento storico davvero sorprendente.

Prendendo le mosse, forse, da un giudizio di Gide, che aveva citato il Faublas tra i dieci romanzi preferiti, un ristretto, ma battagliero manipolo di estimatori invasati parla risolutamente di «chef d'oeuvre»,21) di «grand ouvrage du siècle »;22) tratta Louvet sullo stesso piano di Laclos,23) e di Balzac,24) lo giudica, comunque, superiore a La Rochefoucauld, La Bruyère, Mme de La Fayette,25) ispiratore di Constant,26) anticipatore di Stendhal27) e di Dostoievski,28) precursore del romanticismo e antesignano del moderno realismo.29)

Frastornante girandola di affermazioni, tanto perentorie quanto gratuite, che non si sa se attribuire all'ingenuo entusiasmo di zelatori maldestri o al deliberato proposito di mistificatori in vena di facezie. Per fortuna, accanto a questi «patiti» dell'encomio solenne, c'è chi, più cauto e più responsabile, abbandona la facile via del ridicolo trionfalismo e dell'impressionismo superficiale per tentare di elucidare, al di là di ciò che appare sulla superficie più visibile dello scritto, i significati latenti.

Henri Coulet,30) ad esempio, individua nel conflitto tra «vertu» e «plaisir» l'elemento costitutivo di tutto il romanzo. Contrasto, si sa, essenziale a tutto il XVIII secolo, ma qui vissuto dal protagonista della vicenda fino ai suoi limiti estremi, in uno stato di «confusionnisme moral» assoluto, tale cioè da indurlo a credere che basti abbandonarsi agli istinti naturali perché valori morali e valori sentimentali si concilino.

Succede però che questo abbandono agli impulsi della natura finisce per generare bisogni tra loro incompatibili, per cui Faublas, diviso tra la «vérité de ses élans» e la «nécessité de se plier aux préjugés», incapace di dialettizzare i termini di questa doublé postulation, sconta con la disintegrazione della sua personalità il suo eccesso di fiducia in una natura, inadatta di per sé, a fornire «un principe dynamique de conduite et d'unite pour l'individu».

Anche per Michel Crouzet, autore dell'unico saggio veramente ragguardevole apparso su Louvet,31) il motivo profondo che struttura il romanzo è il dissidio tra «volupté» e «vertu». Tale contrasto però non conduce a nessuna tragica impasse, sia perché Faublas, seduttore puro «de toute cruauté et de tout défi», ama su questo doppio registro senza scindere mai la voluttà dai buoni sentimenti, sia perché l'intera vicenda progredisce costantemente verso «la conversion de la volupté à l'ordre», secondo un itinerario comune a tutte quelle opere che, ispirandosi alla Nouvelle Héloïse, illustrano «l'assomption du plaisir dans la vertu». Ma se questo itinerario, che dà al romanzo di Louvet una connotazione « révolutionnaire », è piuttosto noto, restano da chiarire i motivi che rendono necessaria la punizione dell'eroe, che impongono la ricostituzione dell'ordine legittimo sugli eccessi del disordine provvisorio.

Secondo Crouzet, essi sono strettamente legati a una sorta di peccato di «démesure» commesso da Faublas, il quale, invisibile e invulnerabile, insofferente di ogni autorità costituita,32) dotato, per mezzo del travestimento, di una «ubiquité surhumaine» e di una assoluta «aisance a réaliser tout rêve de puissance», soffre di una «insuffisance d'obstacles» che lo fa vivere nell'umanità come «un être de contrebande». Quella stessa assenza di limiti, quella libertà assoluta che erano apparse a Faublas come condizione prima della felicità, gli si rivelano, a un certo punto, come fattori di disincarnazione, per cui egli dovrà ricostituirli questi limiti, postulare l'esistenza di una morale schiacciante che facendolo «point d'application de la loi», lo liberi dalla difficile libertà in cui tutto deve essere giustificato dalla legge interiore.

Colui che guiderà il nostro eroe sulla via dell'espiazione, l'agente della rigenerazione, sarà Lovzinski, il «beau père» testimone della purezza e della virtù, che sostituendo alla dissolvente morale del piacere quella del «respect de la femme et du dévouement civique», lo costituirà come persona, aiutandolo cosi a recuperare la sua individualità. Dalla vertigine del piacere alla vertigine punitiva: tale è, secondo Crouzet, la parabola di un romanzo in cui «le lìbertinage connaît son feu d'artifices, puis se liquide dans la culpabilité ».

Se c'è un ridicolo dell'enfasi consacratoria, ve ne può essere uno anche della seriosità eccessiva, e a qualcuno è parso sin troppo facile ironizzare su chi, come Crouzet, si è dato «à la frivolité avec le bonnet du sociologue sur la crâne et les lunettes du psychanalyste sur le nez».32) Nonostante l'amenità del rilievo restiamo convinti che il discorso del Crouzet va meditato, proprio perché, nel suo tentativo di chiarire i motivi che trasformano questa storia della facilità in una sorta di tragedia elisabettiana, egli indica una delle vie per spiegare le ragioni che giustificano il tragico scioglimento di gran parte dei romanzi settecenteschi.

Anche noi, rifiutando le facili soluzioni proposte dai partigiani dell'ovvietà, secondo i quali il tragico epilogo del Faublas si spiega con la necessità di por termine al romanzo, con la concessione al gusto dell'epoca che voleva la punizione finale dei colpevoli o con ragioni estetiche di stilizzazione, cercheremo di ribadire le ragioni interne che rendono impossibile l'happy ending. E per far questo ci richiameremo innanzitutto, e ancora una volta, al protagonista della vicenda.

Che Faublas sia il tipo di libertino perverso e pervertitore34) o, più semplicemente, un insidioso maestro di galanteria35) sono opinioni che oggi nessuno oserebbe sostenere. Tutt'al più si vede in lui l'archetipo, ad usum barbarorum, del francese tipo, «agité, libertin, frivole, volage, tendre et cynique»,36) l'incarnazione del don Giovanni un po' vano, privo di eccessive malizie e ignaro di ogni malvagità,37) se non addirittura, il modello esemplare del candore e dell'innocenza.38)

In realtà, nonostante certe compiacenze morbose alle lacrime,39) alla morte,40) alla disperazione e a stati d'animo talvolta torbidi o ambigui41) — compiacimento del resto abbastanza comune a tanta narrativa del secolo —42) Faublas rappresenta una vera e propria negazione del seduttore libertino.

Nessuna propensione segreta per la sventura, nessuna voluttà della profanazione,43) nessun amore della «dispute»,44) nessuna ricerca dell'inedito,45) nessuna «pureté de méthode» nel nostro eroe.

Vittima, si vorrebbe dire con Rougemont, «d'un ordre social où les obstacles se sont dégradés », in cui ogni resistenza cede «avant que l'expérience même ait abouti »,46) succube di quel suo «génie» irrequieto che lo porta al possesso avido e frettoloso del «premier objet que le hasard lui livre», (p. 653), egli vive in uno stato di fornicazione puro e semplice, ignaro o, se si vuole, incurante, non solo di ogni teorica, ma anche di qualsiasi tecnica che non sia quella, antica quanto il mondo, del travestimento.

Quanta distanza dal crudele art de tromper dei grandi seduttori del secolo! Là, una tecnica della dissimulazione morale che impone alla Merteuil di «montrer» solo ciò «qui lui semble utile de laisser voir»,47) a Versac di «se défigurer sans cesse»,48) al conte di *** di «cacher ses propres sentiments»;49) qui, una tecnica dell'illusionismo fisico che, in fondo non inganna, nessuno.

Eppure tra il ricorso ai dehors trompeurs e l'arte di fingere sentimenti dettati dalle circostanze — aspetti entrambi di quell'amore dello sdoppiamento che caratterizza tutto il secolo -50) è proprio il primo che rischia di rivelarsi il più pericoloso.

Mentre infatti i Valmont e i Versac, pur risentendo come condizione dolorosa il continuo sacrificio dell'essere al parere, («Pensez-vous» dirà Versac a Meilcour «que je me sois condamné sans réflexion au tourment de me déguiser sans cesse?»), lo riscattano in virtù di una intelligenza speculativa che li rende padroni del gioco, il nostro «jeune homme aux cinquante noms» (p. 378) finisce per pagare col “non essere” il suo esistere senza corpo.

Il travestimento, insomma, sentito in un primo tempo da Faublas come condizione felice che lo sottrae alla responsabilità,51) viene ad assumere a poco a poco una funzione irrealizzante che, compromettendo la sua identità, lo porta a vivere, «incertain de nom et de sexe» (p. 30), in un mondo di apparenze arbitrarie, preso ora per monaco, per prostituta, per sbirro; ora confuso con Justine o Dorothée, con Florvac o Florville; ora scambiato con la sorella, con l'amante o il fratello di se stesso, e perfino con la «maîtresse» della sua amante.

Per uscire da una individualità perennemente provvisoria, egli avrebbe bisogno di una “presenza” che lo costituisse come unicum, di un Garante che assumesse al suo posto tutte le responsabilità. Ma in un mondo in cui tutti soffrono di una carenza di realtà esistenziale,52) ogni via d'uscita intravista si rivela allo smarrito cavaliere un'entrata che si apre su lui stesso.

Tutto concorre a strapparlo da una felice condizione fatta d'assenza e passività: ciascuna delle tre eroine, ad esempio, dopo aver fatto di Faublas, incapace di porsi come antagonista, il puro oggetto di uno sguardo,53) pretende di essere da lui trascelta a prediletta e signora; i Giudici (padre 54) o «beau père» che sia) che dovrebbero, giustificandolo o colpevolizzandolo, cristallizzarlo in una forma, l'abbandonano proprio quando l'assunzione di responsabilità è più penosa;55) il Destino «cruel et persécuteur», che dovrebbe dargli, punendolo ingiustamente, un rassicurante statuto di innocente, finisce per imporgli la dura legge «de vìvre et de choisir» (p. 663).

Così il nostro eterno minorenne, per il quale esse est percipi, privato di ogni tutela, spogliato d'un tratto di ogni alibi, si trova costretto non solo ad assumersi in solitudine tutte le responsabilità e a crearsi i propri valori, ma anche a ricomporre in unità tutta una vita dispersa in una serie di episodi tra loro nettamente e irrevocabilmente sepa¬rati.

Impresa per lui assolutamente impossibile, sia perché la sua abitudine a «consentir aux charmes de l'instant» gli impedisce di ritrovare i nessi che, trasformando gli «aneddoti» in «storia», potrebbero dare un senso alla sua vita, sia perché la sua docilità a lasciarsi «fare», il suo sì perpetuo alle sensazioni e alle occasioni, lo hanno spossessato di ogni capacità selettiva delle esperienze, di ogni scala di valori che gli permetta di gerarchizzare un mondo dove tutto tende a disporsi su un piano di equivalenza.56)

E quando il compromesso [«Quoi!» andrà chiedendosi fino all'ultimo «n'y aurait-il pas moyen de concilier... »] (p. 663) non sarà più consentito, quando la gioiosa «escarpolette» di un tempo minaccerà di tramutarsi nella dolorosa fissità del nec tecum nec sine te, (quante esitazioni senza via di uscita tra Sophie «son unique passion», Eléonore «son dernier amour» e Mme de B.*** padrona «de ses sens étonnés»), il nostro eroe rifuggirà dall'opzione definitiva convertendo la tormentosa presa di coscienza in torpore dello spirito, nell'inerzia di una pazzia «provvisoria», che, sospendendo momentaneamente e legittimamente ogni responsabilità del protagonista, riversa su «les dieux vengeurs» il compito di risolvere ogni dilemma.

Giunto sull'orlo della tragedia, il romanzo si muta così in melodramma convenzionale, dove il tragico vero è espunto dalla preponderanza di un destino risolutore degradato a puro meccanismo romanzesco.

Dal poema del facile erotismo avventuroso al drammone strappalacrime: questa la parabola disegnata dal Faublas secondo un itinerario che anticipa, almeno in parte, i modi del roman feuilleton. Vi si ritrovano, infatti, gli stessi ingredienti: imprese temerarie, fughe, rapimenti, duelli, fantasmi, agnizioni, banditi generosi e innocenti perseguitate; vi si ritrovano la stessa inerzia della intelligenza a tutto favore di una fantasia sovrabbondante e congestionata; lo stesso uso dell'inverosimiglianza e della outrance che mascherano un procedimento di degradazione di ogni contenuto ideologico, morale e sentimentale.

Capita così che Louvet, attratto e distratto dall'arabesco dell'avventura, indugi in modo affatto superficiale sull'analisi delle umane passioni o sulla esplorazione di quella realtà sociale e morale che pur aveva preteso indagare. Nonostante le conclamate ambizioni «filosofiche»,57) il suo républicanisme non va al di là della esaltazione enfatica delle lumìères e della denuncia astratta contro «les tìtres vains et les richesses corruptrices» (p. 31), contro la triste condizione dell'onesto lavoratore «presque partout dédaigné et partout respectable» (p. 420), contro il commercio «si fatal à l'espèce humaine» (421)

II modello di bonheur che propone è già il paradigma esemplare di una felicità piccolo-borghese, fatta di tenere emozioni domestiche, di piaceri moderati e di slanci filantropici. Basterà, per averne la prova, leggere il program¬ma di vita comune che Eléonore, questa républicaine che s'ignora, espone a Faublas. «Nous achèterons dans une jolie campagne... non pas un château, ni même une maison... une cabane, Faublas, une cabane petite et gentille; qu'il y ait seulement de quoi loger une personne car nous ne serons qu'un (...). Le jardin sera grand, nous le ferons cultiver... Tiens, nous marierons à quelque jolie paysanne un paysan bien pauvre, mais qui l'aimera; nous leur donnerons notre jardin: ils le cultiveront pour eux, et ils nous laisseront bien prendre ce qu'il nous faudra pour notre nourriture. (...). J'accoucherai, je nourrirai notre enfant.. ». ecc. (pp. 591–2).

La sua concezione morale non supera i limiti di un conformismo filisteo che vede tutti — padri nobili, seduttori cinici e donne traviate58) — esaltare l'ordine, il decoro, le convenienze, la virtù: una virtù, per dirla con Auerbach, triviale quanto il vizio cui si opponeva perché tutta fondata «sulla vita sessuale, sul suo ordine o sul suo disordine».59)

La passione amorosa di cui si parla, concepita come grazia del cielo, come sentimento sempre identico a se stesso, comporta un cerimoniale che non conosce, come abbiamo visto, né tattiche, ne premeditazioni, ne ritardi del piacere, né alternative dell'odio, ma solo un elementare gioco di azioni e reazioni meccaniche determinato dalla presenza di «atomes sympathiques, qui, tout d'un coup partis du corps brûlant d'un adolescent vif, et dans la même seconde, émanés des nubiles attraits d'une fille, se cherchent, se mêlent et s'accrochent pour ne faire bientót des deux individus doucement attirés, qu'un seul et même individu» (p. 356). L'indigenza di questo cerimo¬niale, fondato sulla fede assoluta nell'automatismo degli istinti e ignaro di ogni dialettica dell'ostacolo, ha già tutte le caratteristiche di un'ars amatoria «massificata ».

Non meno conformista la sua concezione dell'Eros, questo abisso profondo. Il grande mistero della sessualità, che appariva ad alcuni grandi scrittori del secolo come il tramite privilegiato di un rapporto significativo con la realtà, viene esorcizzato da un lato dalla prevedibilità di immagini voluttuose troppo insistite o dalla meccanicità di atti sessuali ottenuti senza ostacoli e ripetuti senza varietà, svigorito dall'altro da una estensione delle qualità erotiche agli oggetti. Tutto si erotizza. La grotta misteriosa e l'alcova, i déshabillés generosi e i profumi inebrianti, le peintures charmantes e i meubles élégants, le soffici ottomane e le infernali poltrone destinate a permettere “un vìol confortarle”,60) assumono un'importanza non meno grande della parola e del gesto; e così, mentre la tensione sessuale si svia e si allenta, l'Eros, nel suo aspetto degradato, colora di sé il mondo, si fa oggetto di consumo.

Nessuna inversione di segno dei valori tradizionali dunque, ma semplicemente il loro adattamento ai gusti di un lettore di massa, di quel lettore, che subendo già il fascino di un “divismo”, ante litteram corre ad applaudire il romanziere alla Convenzione.

Certo, si potrebbe sostenere, come è stato fatto,61) che la tesi di fondo del romanzo, con la sua esaltazione dell'amore poligamico, rappresenta un originale tentativo di proporre una morale nuova; in realtà si tratta più di una rêverie voluptueuse che di una concezione veramente sovversiva dei rapporti amorosi. Faublas, infatti, rifiuta i falsi veli del conformismo, difende il suo diritto di essere contemporaneamente «adorateur de Sophie, amant de la comtesse et amoureux de Mme de B*** » (p. 409) solo finché si muove nella “heureuse liberté du masque”, ma quando la folie del travestimento lo riduce, per cosi dire, alla condizione di «cavaliere inesistente», egli è costretto, come abbiamo visto, a chiedere conferma della sua esistenza a quell'exécrable pouvoir de l'opinion (p. 434) che aveva inteso sfidare. Atto di integrazione, questo, che nel conferire al nostro eroe un suo statuto di reprobo pentito, svela il carattere lusorio e illusorio di quella contro-morale che egli aveva preteso difendere.

Oltre che attraverso un processo di appiattimento e di «massificazione» dei valori, l'opera di Louvet prefigura il romanzo popolare ottocentesco anticipandone la struttura narrativa, fratta e ripetitiva, che prevede da un lato una serie di stacchi atti a stimolare nel lettore l'impazienza di conoscere il seguito dell'avventura, dall'altro l'iterazione di una medesima sequenza fondamentale e il ricorso a stilemi stereotipati.

A ben vedere, infatti, l'autore del Faublas, pur attraverso opportuni effetti di analogia e di opposizione, non fa altro che riprendere e raccontare sempre la stessa storia; il che conduce, per usare i termini di Todorov,62) a quella sorta di visione «stereoscopica » della vicenda narrata che è tipica appunto del romanzo popolare.

Un esempio di tale procedimento narrativo l'abbiamo già dato parlando della maniera in cui mariti sciocchi e amanti compiacenti sforzano quasi le loro donne al cedimento; in pari modo, se pur con stato d'animo diverso, toccherà a Faublas, per una serie di inopinati eventi, spingere Eléonore tra le braccia del marito: identità di situazione accentuata dalla dissimiglianza di motivazioni.

E si potrebbe aggiungere ancora l'identica prova, ma a parti rovesciate, che Faublas deve affrontare una volta nel letto di Mme de B.*** e di Mme d'Armincour, dove svolge la parte di colui che viene déniaisé, un'altra volta in quello di Eléonore e Mile de Mésange dove assume il ruolo del déniaiseur; oppure tutte le straordinarie circostanze che portano Mme de B.*** ad assistere, suo malgrado, alle robuste effusioni di Faublas con Eléonore e del marito con Justine; il buon barone di Faublas ad essere testimone del «tradimento» di suo figlio con Coralie; il marchese di B***. a far da spettatore delle prodezze di Faublas con Mme de B.***; e Faublas stesso, infine, per ironica legge di contrappasso, ad ascoltare, di sotto un'ottomana o dentro una carrozza, i non equivoci stridori di molle provocati dal marchese di B.*** con la legittima consorte o dallo stalliere La Jeunesse con la volubile Justine.

A tutti questi parallelismi (e gli esempi si potrebbero moltiplicare) sul piano del sujet), fanno riscontro, a livello del récit, formule verbali stereotipe, cliché privi di ogni tonalità espressiva. I dettagli descrittivi dei personaggi, ad esempio, si ripetono con varianti minime, sicché le eroine della nostra storia, invariabilmente «belles» o «jolies», hanno tutte «une longue chevelure» (Sophie p. 5, Mme de B.*** p. 228, Eléonore p. 503), il piede «mignon» (Sophie p. 5, Coralie p. 161, Mlle de Mésange p. 560), la pelle «fine et blanche» (Sophie p. 5, Coralie p. 161, Mme de B.*** p. 397, Eléonore p. 503). Le scene di seduzione, costantemente intessute di trascoloramenti, di «oeillades meurtrières», di infiniti «soupirs» e di voci ora «altérées» ora «éteintes», hanno come risultato scontato una straordinaria fioritura di «yeux battus».

Lo «strazio» di Faublas, esitante tra le tre amanti, è immutabilmente sottolineato da una invocazione all'assente {«Ah! ma Sophie!»... «Ah! mon Eléonore»... «Ah! Mme de B.***...») cliché che ritorna per ben sessantacinque volte nel romanzo. I momenti di suspense, per limitarci ad un ultimo esempio, sono quasi sempre creati anticipando inevitabili ed oscuri eventi : «]e ne sais quoi semblait m'avertir que je touchaìs au moment le plus douloureux de ma vie» (p. 143) ... «Un secret pressentiment semblait m'avertir des malheurs qui menaçaient mon amour» (p. 177) ... «Je ne sais quel pressentiment doux et cruel m'avertissait que je touchais au moment de ma vie le plus intéressant (p. 430) ... «Averti par je ne sais quel pressentiment..» (p. 645) ecc.

Giunti a questo punto però, occorre procedere ad alcune doverose distinzioni, perché se è vero che il Faublas contiene alcuni degli ingredienti essenziali al romanzo feuilleton, quali l'intreccio aggrovigliato, la presenza dell'eroe accentratorc, il ricorso all'enfatizzazione drammatica, l'uso delle storie ad incastro (episodi di Lodoiska, di Florval, di Lucas e Lisette), l'adozione di contenuti tesi a confermare il lettore nelle sue certezze, a farlo muovere in terra cognita dove tutto è «sacralizzato» 63) da punti di riferimento immutabili, non è men vero che ad esso fanno difetto altri elementi altrettanto essenziali.

Gli manca, ad esempio, quella concezione manichea del mondo che, strutturando il romanzo feuilleton secondo uno schema oppositivo di luce e di tenebra, gli impone una tipologia canonica fatta di “scellerati” e di “innocenti”. I personaggi del Faublas, in effetti, pur soffrendo di una certa astrazione simbolica, non si risolvono mai in esempi paradigmatici del bene o del male. La figura del vilain è qui assente, e coloro che potrebbero incarnarla — sia Rosambert, il libertino cinico pronto ad ogni misfatto, sia Mme de B.*** la donna fatale nata «pour les crimes de l'ambition» (p. 653) — finiscono non solo per parlare talvolta il linguaggio del moralismo più austero,64) ma anche per farsi, al termine della vicenda, carichi di perdoni e odorosi di laica santità.65)

È da notare, infine, che mentre nel feuilletoniste il linguaggio, tutto dichiarativo e pratico, tende a favorire un processo di identificazione del lettore con l'eroe del romanzo, in Louvet. la narrazione, ricca di sottintesi, doppi sensi, quiproquo, allusioni, antifrasi, tutta punteggiata da sorrisi di ironica intesa, provoca nel lettore, insieme con il sospetto di una intenzione parodistica da parte del romanziere, un senso di estraneazione abbastanza segnato rispetto alla vicenda narrata. Ed è proprio da questa allusività del discorso, da questa continua connivenza col lettore 66) che nascono le cose migliori del Faublas: un romanzo che, se non si legge «d'une traite» come vuole Etiemble, riserva, di tanto in tanto, qualche piacevole sorpresa e comunque ci sottrae, non fosse altro che per tutto il tempo in cui dura la lettura, ai fastidi e alle tirannie di questo nostro mondo troppo ricco di cause e di fini.

  • 1) Secondo la terminologia usata da VJ. PROPP in Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966.
  • 2) II numero di pagina, segnato a fianco di ogni citazione tratta dal romanzo, rimanda a Les Amours du chevalier de Faublas, (Paris), Tchou, 1966.
  • 3) L'amore, oltre a essere «un enfant qui s'amuse de ses métamorphoses» (p. 99), è anche «un enfant auquel il faut des joujoux» (p. 392). Sulla erotizzazione dell'oggetto nel romanzo del Settecento cfr. E. et J. GONCOURT, La Femme au XVIII siècle, Paris, Flammarion, (s.d.) pp. 100–101 e R. MAUZI, L'Idée du bonheur au XVIII siècle, Paris, Colin, 1960, pp. 425 e sgg.
  • 4) Cosi Mme de Fonrose definisce il nostro Faublas (p. 334).
  • 5) Sapientissimo, anzi, questo dottor Willis, e, sia detto un po' celiando, ardito precorritore dei tempi. Non par egli, forse, anticipare il dottor S. di sveviana memoria, quando consiglia al melanconico Faublas di liberarsi delle sue ossessioni scrivendo la storia della sua vita? (cfr. p. 680).
  • 6) Si tratta del cosiddetto episodio polacco che narra il grande e sfortunato amore di Lovzinski e Lodoïska, genitori infelici di Sophie, la futura sposa di Faublas. Questo episodio, pub¬blicato parecchie volte a parte (abbiamo potuto consultare edizioni di Aubry, Tiger e Bonnet), ha fornito la trama di tre libretti d'opera: uno scritto e musicato da J.P. KEMBLE (1794), gli altri due scritti da FILLETTE-LOREAUX e DEJAURE e musicati rispettivamente da CHERUBINI e KREUTZER. Queste due ultime opere, presentate per la prima volta a Parigi nel 1791, ottennero un immenso successo e furono rappresentate successivamente a Bruxelles e Amsterdam nel 1793, a Londra nel 1792 e 1794, a Venezia e alla Scala nel 1796, a Colonia nel 1796 e 1797, a Roma nel 1798, a Dresda nel 1802, a Varsavia nel 1804, a Vienna nel 1805, a Berna nel 1809 e anche a Brunswick. Aggiungiamo infine, di aver trovato il nome di Lodoiska in due poesie di H. MOREAU e E. DES ESSART e nel dramma Le ]eu de l'amour et de la mort di R. ROLLANO. .
  • 7) Quando Louvct parlava alla Convenzione — racconta MICHELET — «un murmurc parassait, un sourire du côté de ses amies et le petit mot: C'est Faublas » (cfr. Histoire de la Révolution francaise, Bibliothèque de la Pléiade, t. I, p. 1271.)
  • 8) «Le nom de Lodoiska» scrive A. AULARD «fut aussitót a la mode. Combien d'enfants nés entre 1790 et 1800 eurent ainsi Louvet pour parrain» (Cfr. «Nouvelle Revuc de la Révolution fran¬çaise», t. XXXVII, nov.-déc. 1885, p. 346).
  • 9) M.ME ROLAND loda «ses jolis romans où les grâces de l'imagination s'allient a la légèreté du style, au ton de la philosophie, au sel de la critique». (Cfr. Mémoires (...), Paris, F. Didot, 1847, p. 398.) Il «Mercure de France» del 10-2-1787 parla di «véritable talent». GRIMM e M. J. CHENIER esprimono giudizi favorevoli rispettivamente nella Correspondance littéraire, philosophique et critique del 1787 e nel Tableau (...) de la littérature française depuis 1789.

M.me DE STAEL confessa di «raffoler» per Chénier e di « aimer beaucoup» Louvet. (Cfr. J. DE PANGE, M.me de Staël et Francois de Pange, Paris, 1925, p. 148.)

  • 10) Accenni a Faublas figurano nella Confession d'un enfant du siècle di MUSSF.T, nella Correspon¬dance e in Le Rouge et le Noir di STENDHAL, nella Correspondance e nella Comédie humaine di BALZAC (vedi per esempio Eugènie Grandet e Le Message), nella Correspondance e nella prima versione dell'Education sentimentale di FLAUBERT, nell'Eugenio Onegin di PUSKIN, negli scritti personali di HERZEN, in Thè Life oj Napoleon (...) with a Prelimi nary Vieiv oj thè French Révolution di SCOTT, in un feroce giudizio di CARLYLE che qualifica il romanzo «sordida fogna, priva persino della profondità di una cloaca». WIELAND fu il traduttore del Faubìas.
  • 11) «Sais-tu ce qu'on vend annuellement le plus? » scrive Flaubert a Louise Colet il 22-1-1852 «Faublas et l'Amour conjugal, deux productions ineptes.»
  • 12) II romanzo, condannato dai tribunali nel 1822, 1825 e 1838, era stato messo all'indice nel 1825. (Cfr. F. DRUJON, Catalogne des ourages (...) poursuivis, supprimés ou condamnés depuis le 21 octobre 1814 jusqu'au 15 juillet 1877, Paris, Rouveyre, 1879.)
  • 13) J. JANIN, cit., da M. CROUZET in Le dernier des libertins, saggio che serve da introduzione a Les Amours du chevalier de Faublas, Paris, Union generale d'éditions, Bibliothèque 10/18, 1966, p. 39.
  • 14) F. DRUJON, op. cit. ibid
  • 15) PH. CHASLES, Considérations sur la vie et les ouvrages de J.-B. Louvet, saggio introduttivo a Les Amours du chevalier de Faublas, Paris, F. Didot, 1822, p. XIII.
  • 16) Les Aventures du chevalier de Faublas, Edition précédée d'une notice par PH. DE LA MADELAINE, Paris, J. Mallet. 1842.
  • 17) Les Amours du chevalier de Faublas, avec une préface par H. FOURNIER, Paris, Jouaust, 1884.
  • 18) Ricordiamo i versi di VERLAINE, tratti dalla Chanson des ingénues: Les Richelieux et les Caussades / Et les chevaliers Faublas / Nous prodiguent les œillades / Les saluts et les «hélas»!
  • 19) Histoire littéraire de la France, Paris, Les Editions Sociales, 1969, t. IlI, p. 32. Ricordiamo che, su 17 manuali letterari consultati, 10 non fanno alcun cenno al nostro autore, 5 citano semplicemente il titolo dell'opera e 2 ne danno un rapido giudizio negativo.
  • 20) J. DUTOURD, Un délicieux héros de roman: le chevalier de Faublas in «La Parisienne », novembre 1956, pp. 729–36.
  • 21) J. DUTOURD, ibid.
  • 22) Nell'articolo Valeur esthétique du roman, apparso in «Recherches internationales a la lumière du marxisme », cahier n. 50, 1965, (pp. 8–27), VADIM KOJINOV afferma che i romanzi di « Fielding, de Smolleit, de Richardson, de Rousseaii, de Sterne, de Goldsnìith, de Louvet de Couvrai, de Dìderot, de Goethe apparaissent camme les grands ouvrages du siede ».
  • 23) «Laclos n'est pas plus grand écrivain que Louvet», sentenzia J. DUTOURD (art. cit.).
  • 24) Per qualcuno Louvet è addirittura «plus subtil que Balzac ». Cfr. W. DE SPENS, L'amour et le bonheur chez Louvet de Couvray, in «La Parisienne», septcmhrc 1953, pp. 1209–1213.
  • 25) Secondo J. DUTOURD (art. cit.), il «croustlllant "Faublas"» è preferibile «à la prétendue connaissance du coeur humain de La Rochefoucauld, aux portraits léchés de La Bruyère et aux drapés de "la Princesse de Clèves" ».
  • 26) C. NICOLAS, Autour d'un double anniversaire (...), in «Kwartalnik neofilologiczny», z. 2, 1966, pp. 151–169. In questo articolo la NICOLAS, dopo aver fatto alcune doverose distinzioni, sostiene che il romanzo di Louvet ha in qualche modo influito sulla composizione dell'Adolphe e ne dà, come prova, il fatto che in entrambi i romanzi vi è la stessa preoccupazione di «apporter une leçon morale et même moralisatrice», la stessa «hantise de l'opinion publique», la stessa funzione determinante assegnata alla figura del padre. Accostamenti, come si vede subito, affatto inconcludenti poiché le presunte prove della Nicolas altro non sono che luoghi comuni riscontrabili in quasi tutta la narrativa settecentesca. Quanto poi alla ipotesi secondo la quale l'episodio polacco, inserito nel Faublas, avrebbe suggerito a Constant l'ambientazione del romanzo, non sappiamo proprio che dirne. Ricorderemo soltanto, sulla scorta fra l'altro di quanto dice la Nicolas stessa, che nel periodo a cavallo tra il Settecento e l'Ottocento le vi¬cende della Polonia avevano suscitato un grande interesse fra gli storici francesi, e che anche Constant — frequentatore in Parigi di circoli polacchi — ne aveva fatto oggetto di meditazione nel vasto trattato politico intorno al quale andava lavorando.
  • 27) «Louvet, en faisant éprouver a son héros plusieurs amours simultanés, se revèle stendhalien avant l'heure». (J. DUTOURD, art. cit).
  • 28) «Ce n'est pas seulement le romantisme que Louvet annonce, comme Goethe, mais au-delà des larmes d'apparat, l'angoisse et les hallucinations de Dostoïevski». (W. DE SPENS, Louvet de Couvray, in « Médecine de France», n. 160, 1965, pp. 33–40.)
  • 29) Nella sua Histoire du naturalisme français (Paris, Correa, 1949, t. I, p. 59), CH. BEUCHAT affer¬ma che Louvet è «un des pères du réalisme moderne».
  • 30) H. COULET, Le Roman jusqu'à la Révolution, Paris, Colin, 1967, pp. 450–453.
  • 31) M. CROUZET, op. cit.
  • 32) «Faublas fait échec a tout représentant de l'autorité. D'emblée le précepteur est disqualifié et mis au rang de messager galant. Le mari est sommairement frustré de sa femme (…) Quant au père, encore redoutable pour des Grieux, on mesure ici sa défaite. Sa sévérité verbale est sans pouvoir » (M. CROUZET, op. cit., p. 34).
  • 33) G. PIROUE, Avant les bandes dessinées: Faublas, in «La Gazette de Lausanne », 2-3 avril 1966.
  • 34) Tale era l'opinione di MUSSET e, fra gli altri, di F. SOULIE che nei suoi Mémoires du diable (1837) indica nel Faublas e in Justine i due romanzi di cui ci si serve per corrompere la purezza sen¬timentale della giovane eroina.
  • 35) In una lettera alla sorella Pauline, scritta il 7 febbraio 1806, Stendhal le consiglia di far leggere al giovane Gaétan il romanzo di Louvet, libro «un peu trop galant», è vero, ma che «élève a la vraie galanterie».
  • 36) P. MORAND, Les oeillades du chevalier de Faublas, in « N.R.F. », n. 27, 1966. Lo stesso articolo serve da prefazione alla edizione del Faublas pubblicata dall'editore Tchou nella collezione «Les Liaisons dangereuses».
  • 37) M. CROUZET, op. cit., pp. 25–26.
  • 38) «Libertin le petit Faublas. Que non, un ange de douceur» Cosi G. PIROUE conclude il suo articolo su Louvet (art. di.).
  • 39) Si piange molto nel romanzo e Faublas sensibile, come altri di lui più crudeli, al «puissant attrait des larmes», gode di osservarle [«Une femme qui pleure est si intéressante!» (p. 186)] e quando gli capita di versarne sceglierà volentieri, come ricettacolo di stille tanto preziose, il «sein découvert» ora di M.me de B***. (p. 280) ora di Eléonore (p. 438).
  • 40) II richiamo alla morte è frequente soprattutto in Faublas e Eléonore, ma mentre per il primo essa è il mezzo per sfuggire alle «horribles perplexités» che lo tormentano (p. 663), per la seconda essa rappresenta il momento conclusivo che sublima amore (pp. 591, 593, 594, 661).
  • 41) Basterà ricordare l'episodio in cui Faublas, liberato dalla Bastille. incontra la sorella e sente nascere per lei una attrazione vagamente incestuosa. «Que je la trouvai mieux faite encore et mieux formée, plus grande et plus jolie! O fille tout aimable! Si je n'avais pas été ton frère, que n'aurais-je pas fait pour être ton amant?» (p. 372).
  • 42) Nell'indicare questa voluttà della sofferenza come tema ricorrente in moltissimi romanzi del Settecento, G. NICOLETTI vede in essa «la manifestazione letteraria di una società che affinava la teoretica dell'autolesione». (Cfr. Saggi e idee di letteratura francese, Bari, Adriatica editrice, 1967, p. 145.)
  • 43) Il nostro eroe, non potrebbe mai dire come Valmont: «Mon projet est (...) de faire expirer sa vertu dans une lente agonie».
  • 44) «C'est au raccomodement que vous visez et vous esquivez la dispute», lo rimprovera M.me de B.*** (p. 154).
  • 45) Altro rimprovero rivolto da M.me de B.*** a Faublas è quello di prendere invariabilmente «le roman par la queue».
  • 46) D. DE ROUGEMONT, L'Amour et l'Occident, Paris, Union générale d'éditions, 1962, p. 239-40.
  • 47) LACLOS, Les Liaisons dangereuses, lettera LXXXI.
  • 48) CREBILLON, Les Egarements du coeur et de l'esprit, in Romanciers du XVIÌI siècle, a cura di Eticmble, Paris, Bibliothèque de la Plèiade, 1960, t. II, p. 151.
  • 49) DUCLOS, Les Confessions du comte de ***, ibid., p. 219.
  • 50) J. STAROBINSKI, L'Invention de la liberté, Genève, Skira, 1964, p. 56.
  • 51) Se si ama tanto il travestimento è che «comme personne ne se reconnaît, on n'a d'obligation à personne» (p. 47).
  • 52) Quante identità precarie nel romanzo! Mme de B.*** è scambiata successivamente per l'amante di se stessa (p. 451), per l'amante di Mlle de Brumont (p. 485), per l'amante di Mme de Fonrose (p. 495); Justine e confusa con Mme de B.*** o con Faublas (pp. 385–6); Adélaide con Mlle du Portail (p. 240) o con Mlle de Brumont (p. 671); il barone di Faublas con M. de Brumont (p. 439) o con il capitano de Lignolle (p. 672); Sophie con la sorella di Derneval (p. 250) o con Mme de B.*** (p. 671)...
  • 53) Si pensi alle dichiarazioni di Faublas: «Je n'ai pas pris Mme de B.***, e'est elle qui s'est donnée» (p. 87)... «]e désirerais devenir sage; mais je suis toujours entraîné» (p. 440)... «Jamais je n'ai séduit, je me suis trouvé toujours entraîné» (p. 617)...
  • 54) Contrariamente a quanto afferma CROUZET (v. nota 32), Faublas ha un costante bisogno del padre e non potrebbe mai rinnegarlo. Salvo che in una sola circostanza (p. 180), son tutte proteste di affetto, manifestazioni di rispetto, dichiarazioni di obbedienza, a una «autorité si chère» a ordini «toujours sacrés» (v. pp. 207, 297, 342, 379, 441, 469, 517, 593, 628, 631, 661, 664).
  • 55) Nelle ultime pagine del romanzo Faublas non fa che lamentare la propria solitudine: «Tout me manque à la fois, aucun appui ne m'est laissé dans un moment où j'aurais besoin du secours de tout le monde» (p. 660). E più avanti: «Si du moins quelqu'un daignait m'aider d'un conseil secourable. Allons consulter mon père... Insensé!» (p. 663).
  • 56) È proprio la capacità di discriminare tra i sentimenti che distingue Meilcour e il conte di *** (amanti anch'essi di più donne contemporaneamente) da Faublas. Meilcour, infatti, non mette sullo stesso piano la prude Mme de Lursay, l'impudente Mme de Senanges e l'angelica Mile de Théville; il conte di *** non amerà che Mme de Selve: le altre si tratta solo di «les tromper toutes et (de) faire croire à chacune qu'elle est l'unique».
  • 57) In una nota ai suoi Mémoires LOUVET si vanta di aver riscattato la «légèreté» del suo Faublas intessendovi «les principes de philosophie et ceux d'un républicanisme encore assez rare a l'époque où le roman fut écrit».
  • 58) Quando Faublas, recatosi per la prima volta in un postribolo, si espone a un fiasco totale, la prostituta lo consola con queste parole: «Tant mieux, ç'aurait été dommage» (p, 48),
  • 59) E. AUERBACH, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino, Einaudi, 1964, t. II, p. 161.
  • 60) È curioso notare che questo incredibile congegno, descritto per la prima volta da LOUVET, riappare nei Mémoires di CASANOVA (1791), nell'Anti-Justine di RETIF (1798), in Pauliska, ou la Perversité moderne di Réveroni di SAINT-CYR (1798) e, infine, nell'Excommunié di BALZAC, pubblicato sotto lo pseudonimo di HORACE DE SAINT-AUBIN nel 1837. (Dobbiamo queste informazioni a M. RUFF, L'Esprit du Ma! et l'esthétique baudelairienne, Paris, Colin, 1955, pp. 51, 394).
  • 61) J. DUTOURD afferma che il Faublas è «une apologie et une justiflcation de la polygamie en Occident» (op. cit.).
  • 62) T. TODOROV, Le categorie del racconto letterario, in L'analisi del racconto, Milano, Bompiani, 1969 passim.
  • 63) II romanzo popolare, come modo di recupero del «sacro», meriterebbe un ampio discorso.
  • 64) Rosambert si intenerisce sulla «pauvre vierge» (p. 47), invita Faublas a lasciare le troppe av¬venture per adempiere i suoi doveri di figlio amoroso (p. 207); Mme de B.*** deplora «l'art détestable des séductions» (p. 283), va dicendo che, per essere felici, occorre « remplir ses devoirs» (p. 282) e sfug¬gire «les attachements illégitimes» (p. 283)...
  • 65) Rosambert, gravemente ferito, incarica Faublas di dire a Mme de B.*** «qu'il n'est pas mort sans avoir éprouvé le sincère repentir de ses cruels procédés pour elle» (p. 646); Mme de B.***, l'implacabile nemica di Eléonore, giunta agli ultimi istanti della sua vita, scongiura Faublas di «sauver l'infortunée comtesse» (p. 650).
  • 66) Nel romanzo abbiamo contato un centinaio di richiami al lettore, invocato ora come giudice «équitable», «scrupuleux », «sévère», ora come confidente «sensible» e «compatissant», ma più frequentemente come complice un po' ingenuo che si invita a condividere un'impresa, a immaginare i dettagli di una scena scabrosa, a completare una dolce fatica lasciata a metà, e della cui credulità il narratore si burla di continuo consigliandolo perfino di «ne pas donner une confiance aveugle a des propositions, qui ne sont peut-etre pas trop vraies» (p. 357).