Tradizione orale berbera

Il termine Letteratura berbera (o letteratura nordafricana) comprende, nella sua accezione più ampia, tutte le manifestazioni letterarie, scritte e orali, opera di nordafricani non solo nella lingua autoctona — il berbero —, ma anche nelle lingue che in Nordafrica si sono avvicendate nel corso dei secoli, e in particolare, il punico, il latino e l'arabo. In un senso più ristretto si potrebbe limitare la definizione alle opere letterarie in berbero, ma questo porrebbe problemi di catalogazione per numerosi autori — come Mouloud Mammeri, Taos Amrouche e altri — che si sono espressi sia in berbero che in altre lingue.

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Tradizione orale berbera
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Lingua berbera

È alquanto improprio parlare di un'unica letteratura per un territorio così vasto ed un arco temporale così esteso, tanto che la massima esperta contemporanea in quest'ambito, Paulette Galand-Pernet, intitola il suo lavoro di sintesi sull'argomento, Letterature berbere (1998), un titolo che sottintende la molteplicità di tradizioni, ambienti e generi che si possono riscontrare in tutto il territorio del Nordafrica. Per questo motivo si accennerà qui al quadro complessivo di queste forme letterarie, rimandando, per analisi più puntuali, alle singole "letterature" e ai singoli "generi" letterari.

Letteratura "tradizionale" (prevalentemente orale)

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La letteratura tradizionale giunta fino a noi è stata tramandata quasi esclusivamente per via orale, anche se non mancano, soprattutto tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, esempi di una sua fissazione nello scritto anche indipendentemente dalla pressione della cultura coloniale europea. Questa letteratura comprende produzioni di vario genere, sia in versi che non. La grande diffusione della poesia nella letteratura orale si spiega, tra l'altro, con il valore di aiuto mnemonico fornito dal verso, unità modulare con un determinato ritmo e con vari tipi di rime e assonanze, che permette al recitatore di meglio tenere a mente testi anche di una certa lunghezza. Analogamente, anche nei racconti è stata spesso individuata una scansione in "sequenze narrative" memorizzate le quali ogni recitatore provvedeva poi a fornire un testo di volta in volta nuovo per la forma ma codificato per quanto riguarda il contenuto (su questi aspetti del racconto berbero si può vedere M. Kossmann 2000: 11 ss., Y. Allioui 2001-2, vol I, p. 16 ss./56 ss. e P. Galand-Pernet 1998: 62).

Sebbene la consuetudine con lo scritto, tipica delle letterature "occidentali", rischi di far ritenere svalutate le letterature orali, non va dimenticato che anche in un contesto di oralità come quello berbero vi è stata una consapevolezza dell'importanza del patrimonio letterario e sono sempre esistite figure delegate alla conservazione e alla trasmissione di questo patrimonio. L'esempio più tipico è quello degli imusnawen della Cabilia (sing. amusnaw, dal verbo ssen "sapere": "colui che detiene la tamusni, la conoscenza"). Ogni villaggio, ogni tribù aveva il suo amusnaw, che mandava a memoria una grande quantità di poemi antichi e moderni, conosceva le leggi consuetudinarie, le genealogie delle famiglie e la storia del paese, ecc. E quando l'amusnaw era un po' avanti con gli anni, si premurava di trovare qualche giovanotto dalla buona memoria a cui trasmettere, un po' alla volta, il proprio sapere, per non interrompere la "catena" degli imusnawen.

Anche in altre regioni sono sempre esistite figure di riferimento per la conservazione e la trasmissione del patrimonio letterario. Oltre ai cantori e cantastorie "professionali" che esistono un po' dovunque (si ricordano in particolare le figure dei rrwayes nel sud del Marocco, degli imedyazen nel centro del Marocco, degli idebbalen e degli imeddahen in Cabilia), è interessante, in ambito tuareg, la figura dell'énalbad, una sorta di "segretario" dei poeti maggiori, che si incarica di apprendere e trasmettere nel modo più corretto le poesie composte da questi ultimi.

Poesie e canzoni

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In una cultura orale, il confine tra "poesia" e "canto" è estremamente labile. Infatti, ogni tipo di poesia esiste solo all'atto della recitazione, non se ne sta fissata su un muto foglio di carta. E la buona recitazione richiede un controllo di ritmo, tono di voce, pause, sonorità non dissimile da ciò che è richiesto per cantare bene.

Data la vastità del mondo berbero, esiste una grandissima varietà di canti e poesie, che nelle diverse regioni assumono forme e denominazioni specifiche: amarg presso gli chleuh del sud del Marocco, izli, tamdyazt, ahellil nel Marocco centrale, izli, asefru, urar, tibugharin, adekker, ecc. in Cabilia, e così via. Di seguito, in un paragrafo apposito, verranno brevemente trattate alcune delle tradizioni più note e studiate.

Da rilevare che, oltre ad una grande eterogeneità di generi, esiste pure una grande diversità quanto ai metri poetici, che si basano a volte su scansioni sillabiche (chleuh, cabili, ecc.), a volte su una prosodia quantitativa (tuareg).

Racconti, fiabe e altri "generi minori"

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  Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Fiabe berbere.

Una grande parte della letteratura orale dei Berberi è costituita da racconti e fiabe, di cui molti sono stati raccolti e pubblicati, sia in berbero che in traduzione, negli ultimi due secoli. (Una raccolta di testi, tradotti in italiano, provenienti da diverse regioni berbere è costituita da Brugnatelli 1994).

Spesso chi si è occupato di racconti berberi ha cercato di classificarli "per generi", ma questo tipo di classificazione, basato di norma su punti di vista eurocentrici, non corrisponde alle "categorie" indigene. Anche se la terminologia varia da regione a regione, e quindi non è possibile proporre generalizzazioni eccessive, si osserva che i Berberi tendono ad operare una distinzione soprattutto tra il racconto "inventato" e quello che viene considerato "realmente accaduto" (per inverosimile che possa essere: è il caso tipico di racconti eziologici). In cabilo, questa dicotomia è espressa da tadyant "storia, narrazione di avvenimento passato" e tamacahut "racconto, storia inventata" e anche "indovinello". In tuareg si ha

  • eni «è considerato la narrazione di fatti reali ma estremamente antichi, o un racconto, magari anche inventato, ma destinato a fornire un insegnamento applicabile alla vita reale»
  • emäy «è un'opera di pura invenzione, da cui non si pretende di ricavare alcuna morale» (Casajus 1985: 2)

È interessante osservare che spesso i Berberi designano con lo stesso nome generi che per un Europeo andrebbero tenuti nettamente distinti. In particolare, spesso lo stesso termine (molto diffuso è tanfust, ma anche chleuh umiy, pl. umiyn, cabilo tamacahut, etc.) indica sia il racconto "inventato" sia gli "indovinelli".

Testi storici

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Il qanun degli At Ali u Herzun, raccolto insieme a tanti altri dal generale Hanoteau nel XIX secolo. Il testo berbero completo, con traduzione francese, è stato pubblicato in trascrizione latina da Ouahmi Ould Braham su Etudes et Documents Berbères 1 (1986), pp. 68-77

All'interno del patrimonio di "racconti" (ma anche del patrimonio poetico) sono frequenti i testi che riferiscono di azioni passate, eventi bellici, biografie di personaggi pii o illustri, storie di clan e famiglie, eccetera. Tutto ciò in molti casi non è qualificabile frettolosamente come "mito", ma in molti casi deve considerarsi come vera e propria fonte "storica", per quanto inevitabilmente "deformata" nel corso della sua trasmissione. Raramente questi testi sono stati messi per iscritto dalle comunità in cui circolano, ma moltissimi sono stati raccolti e pubblicati da studiosi europei che desideravano accostarsi alla storia di questi paesi.

La più notevole tra queste raccolte è la storia del gruppo tuareg dei Kel Denneg, raccolta e ordinata cronologicamente da Ghoubeïd Alojaly su impulso del danese K.-G. Prasse (1975). Tra le numerose altre opere in cui il materiale letterario tradizionale è raccolto in funzione del suo valore storico si possono ricordare i tre volumi di R. Bellil sulla regione del Gourara (1999-2000), od il volume di J. Drouin (1975) su di un santo locale del Medio Atlante. Per la Cabilia, molti testi del genere sono stati raccolti dai Padri Bianchi nel Fichier de documentation berbère, per esempio nelle opere monografiche su alcuni villaggi e tribù (H. Genevois 1995 e 1996).

Testi giuridici

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I testi giuridici della tradizione berbera sono estremamente interessanti sia per la loro ricchezza e varietà sia, soprattutto, perché sono una fonte insostituibile per conoscere il diritto consuetudinario delle regioni del Nordafrica, che ha per secoli convissuto con le norme sciaraitiche ed è giunto fino ai giorni nostri.

In diverse regioni del mondo berbero, si può dire che ogni villaggio abbia il proprio insieme di norme, codificate e memorizzate perlomeno dalle più importanti personalità del villaggio. In qualche caso questo insieme di norme è stato anche messo per iscritto (non di rado in arabo, ma a volte anche in berbero). L'insieme di queste norme di diritto consuetudinario è denominato in vari modi: in Cabilia qanun, e in Marocco azref.

Le leggi consuetudinarie più conosciute e studiate sono quelle della Cabilia, grazie all'intenso lavoro di raccolta sistematica dei qanun da parte del generale Adolphe Hanoteau, che ne pubblicò parecchi all'interno della vasta opera in tre volumi che scrisse sulla Cabilia insieme al giurista A. Letourneux. Per il Marocco, invece, anche se manca un'opera sistematica del genere (che sarebbe stata infinitamente più difficile da attuare, viste le dimensioni enormemente maggiori del Marocco rispetto alla Cabilia), esistono numerosi studi che spesso contengono, in berbero o in traduzione, gli izerfan di molti villaggi e tribù.

Testi religiosi ebraici

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Il Nordafrica ha sempre ospitato comunità ebraiche, che di norma condividevano con la maggioranza musulmana la lingua del paese. In territori berberofoni, dunque, queste comunità si esprimevano nelle diverse varietà di berbero. Oggigiorno la maggior parte degli Ebrei del Nordafrica è emigrata in Israele o altrove, e le comunità sono ridotte a poca cosa, ma ancora negli anni Cinquanta esse avevano una ricca vita culturale. Risale proprio agli anni Cinquanta l'unico testo religioso in berbero che sia stato fin qui pubblicato. Si tratta del testo di una Haggadah, una recitazione rituale tipica della festa di Pesach (la Pasqua ebraica), proveniente dalla regione di Tinrhir, nel Marocco centrale (lingua tamazight), che è stata pubblicata da P. Galand-Pernet e da H. Zafrani (1970).

Una seconda Haggadah in tashelhit, il berbero del Sud del Marocco, è stata pubblicata, insieme ad altro materiale linguistico e letterario giudeo-berbero marocchino, da J. Chetrit (2007).

Testi religiosi cristiani

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La nascita di Gesù in un catechismo in cabilo (Amat 1920)

Se le comunità ebraiche abitano il Nordafrica senza soluzione di continuità da secoli e addirittura millenni, il cristianesimo, invece, che pure ebbe nei primi secoli un grande sviluppo, a partire da un'epoca imprecisata nel tardo medioevo scomparve del tutto come religione locale, e venne reimpiantato (in misura molto limitata) solo di recente ad opera di missionari. Soprattutto i Padri Bianchi compresero l'importanza della lingua per l'apostolato, e studiarono a fondo non solo l'arabo ma anche il berbero, giungendo a padroneggiarlo al punto di poter scrivere interi libri in questa lingua. Probabilmente il testo Lsas n-Ddin del 1920 è il primo libro scritto in cabilo, anche se il suo autore è un missionario europeo. Se in seguito l'opera dei Padri Bianchi fu soprattutto volta alla pubblicazione di testi linguistici ed etnografici raccolti preso le popolazioni locali (il ricchissimo Fichier de Documentation Berbère), non mancarono produzioni "originali" di questo stesso tipo ad uso dei convertiti. Per esempio, una raccolta di canti per bambine, Avette chante (1955), è divisa in due parti, una con canti in francese e l'altra con Chnawi s teqbaylit "canzoni in cabilo" (peraltro, questi testi sembrano opera, almeno in gran parte, di autrici berbere).

Poesie e canti delle diverse regioni

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Poesie tuareg

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Presso i tuareg la composizione di poesie è un fatto naturale ed estremamente diffuso, anche se pochi sono i grandi poeti la cui rinomanza vada al di là della propria tribù e le cui opere vengano trasmesse nel tempo.

«Quasi tutti compongono versi tra i Kel Ahaggar, i Taitoq e i Kel Ajjer. Sono pochi quelli di loro, uomini o donne, nobili, plebei o servi, che non ne compongano. La maggior parte ne fanno solo un po', in età giovanile. Alcuni ne compongono molti e lo fanno per tutta la vita Quelli che si distinguono per il loro talento sono conosciuti in tutto il territorio dell'Ahaggar, del paese di Taitoq e dell'Ajjer; le loro poesie vi sono recitate e cantate per due o tre generazioni.»

(Ch. de Foucauld 1925: III)

Le poesie possono essere recitate (si parla in questo caso di tesawit) o cantate (asâhar), e in quest'ultimo caso non si tratta di arie scelte a caso, ma ogni ritmo è di norma legato a determinate arie (anéa). Le occasioni più frequenti per la recitazione e il canto delle poesie sono gli ahal, riunioni conviviali notturne in una tenda, dove uomini e donne (nubili o libere di stato) si ritrovano insieme con una libertà di costumi che ha stupito più di un osservatore, soprattutto quando si pensi alla ben diversa condizione dei due sessi nel mondo islamico tradizionale.

Sia le opere di Ch. de Foucauld (tuareg del nord) sia gli studi di Prasse e Alojali (tuareg del sud) hanno permesso di rilevare un gran numero di ritmi poetici. I 7 più diffusi nell'Ahaggar ai primi del Novecento erano: seienin (il più impiegato), heinena (apparentemente introdotto solo di recente; il-anegh Yalla ("Dio ci possiede", più antico del seienin); aliwen ("gli olivi selvatici") e taré, versi arcaici usati dalle donne in particolari canti di nozze; ahellel (un tempo impiegato solo per canti religiosi), e azahalag (antico, in via di sparizione). Diversi di questi metri sono noti anche tra i tuareg del sud, sia pure con nomi diversi (ad esempio quello noto come ahellel è tuttora il più diffuso nell'Aïr, ma con il nome di tazzayt "l'albero gommifero"). Tutte le poesie di norma sono monorime, vale a dire utilizzano dall'inizio alla fine la stessa rima, che può consistere nell'ultima vocale o vocale più consonante.

A detta di Ch. de Foucauld, per i tuareg del nord il miglior poeta in assoluto era la poetessa taitoq Kenwa ult Amastan (nata nel 1860). Secondo gli odierni tuareg dell'Air, il più grande poeta di tutti i tempi sarebbe invece Ghabidin ag Sidi Mukhammad (1860-1944).

Poesie berbere del Marocco

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Anche in Marocco le poesie e le canzoni sono molto diffuse, ma le tradizioni sono molteplici e spesso diverse tra loro, per cui non è possibile tratteggiare in breve un quadro esaustivo della situazione. Oltretutto, se alcune regioni sono più note e studiate (Marocco centrale e meridionale), certe altre come il Rif sono molto meno conosciute ai ricercatori.

Nel sud del Marocco (lingua tashelhit) la poesia in generale viene designata col termine amarg, dalle numerose sfumature di significato: oltre a "poesia" anche "amore", "pene d'amore", "dolore dell'animo", "nostalgia", "rimpianto", ecc. (El Mountassir 2004). La figura del poeta-cantore itinerante, rrays (plurale rrways) o bab n umarg "padrone dell'amarg", è molto importante perché ha consentito la diffusione della letteratura orale su di un vasto territorio. Come ha rilevato P. Galand-Pernet (1967), la lingua dei rrways ha caratteristiche particolari che permettono la comprensione delle poesie ad un gran numero di persone, anche al di là del villaggio o della regione di nascita del compositore. Si può a buon diritto parlare, in questo caso, di una koinè poetica chleuh.

La poesia può essere di vari tipi. Oltre all'amarg n rrways, poesia dei cantori itineranti (e delle cantanti: tirraysini), si distinguono: amarg n uhwash, poesia destinata ad essere cantata nelle cerimonie di danza; urar "canto" (in generale); tizrarin, canti di donne per danza o per accompagnare lavori domestici; tanggift, canti di matrimonio; tamawasht, tenzone poetica, tandamt, "poesia gnomica", taqsit "lungo poema" (spesso a sfondo religioso), ecc.

Nel Marocco centrale (lingua tamazight), la situazione è analoga, salvo il fatto che i poeti-cantori itineranti si chiamano imdyazen (singolare amdyaz). Il loro canto è tamdyazt, "un lungo poema cantato", anche se questo termine è in concorrenza, a volte, con altre denominazioni come ahellel, in origine forse "canto religioso", ma oggi anche designazione generica di un tipo di composizione dal contenuto serio, tanshatt (eseguita dall' anesshad), la composizione di tipo più esplicitamente religioso, tayffart "poesia cantata contenente enigmi o allegorie" e tamnatt (plurale timnadin), dalle caratteristiche prosodiche particolari. Tutti questi generi "alti" si contrappongono all' izli (plurale: izlan) "canto, ritornelli dei canti di ahidus (danza)" e alle timawayin (singolare tamawayt), canti isolati.

Pur nella varietà dei ritmi, la metrica delle poesie marocchine sembra sempre basata su di un particolare principio a "formule metriche" in cui hanno importanza non solo il numero delle sillabe ma anche la loro qualità (sillabe aperte o chiuse), e perfino la qualità di certe consonanti in posizione fissa. Per esempio una matrice di tipo

a lay la li la lay la lay la li da lal

corrisponde a un verso di 12 sillabe, di cui la 2a, la 6a, l'8a e la 12a terminanti per consonante; inoltre, la penultima sillaba deve iniziare per una consonante sonora. Aderisce a questo schema un verso come

(BER)

«wada nra, wa t-ufiɣ, wada iran, agiɣ in»

(IT)

«chi mi piace non lo trovo, quello cui piaccio io non lo amo»

(da Jouad 1986: 106)

che si scandisce:

wa dan ra wa tu fiɣ wa day ra na gi ɣin.

Poesie cabile

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Una pagina della raccolta di poesie di A. Hanoteau (1867), con un brano sulla conquista francese e la cattura di Lalla Fadhma n'Soumer
  Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Poesie cabile.

Delle poesie cabile si possiede un numero relativamente elevato di composizioni anche di una certa antichità, e questo grazie a due raccolte: quella pubblicata dal generale A. Hanoteau nel 1867 e quella, basata sulla tradizione autentica degli amusnaw, opera di Mouloud Mammeri (1980). La prima, pur essendo stata fatta da un europeo che non aveva gli strumenti critici per giudicare adeguatamente il valore delle singole composizioni, è particolarmente voluminosa (quasi 500 pagine) e consente di avere uno "spaccato" dei vari tipi di produzioni poetiche esistenti intorno alla metà del XIX secolo. La seconda è anch'essa quantitativamente cospicua (oltre 110 poesie), ma soprattutto è il frutto di una paziente opera di scelta da parte di Mouloud Mammeri, figlio dell'ultimo amusnaw degli At Yenni, il quale aveva ricevuto, dal padre e dagli altri imusnawen che egli frequentava, non solo un grande massa di testi antichi, ma anche il gusto estetico che gli permetteva di riconoscere quali brani fossero i più meritevoli di essere accolti nella sua antologia.

Le poesie tradizionali venivano normalmente ripartite in due grandi categorie: quelle di tono "elevato", che venivano composte e recitate dagli imeddahen (singolare:ameddah), e quelle di genere più ricreativo, appannaggio perlopiù degli idebbalen (singolare adebbal) e particolarmente legate ad un'esecuzione in cui la musica aveva un grande rilievo. Parallelamente a questa bipartizione delle opere, anche gli autori godevano di statuto completamente differente nella società tradizionale: l'ameddah era considerato uno dei personaggi più in vista della tribù, il cui parere era ascoltato con attenzione nell'assemblea (tajmaat), viceversa gli idebbalen erano personaggi "marginali", ai più bassi gradini della scala sociale, al pari dei macellai e dei misuratori di grano.

Il poeta antico più prestigioso, e di cui si tramandano ancora diverse composizioni, fu Yusef u Qasi (XVII-XVIII secolo). In epoca più recente, Si Mohand ou-Mhand (1848-1905), poeta di un tipo completamente diverso e di sensibilità estremamente moderna, è stato ed è tuttora considerato come il miglior poeta della Cabilia.

Gli ahellil del Gourara

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  Per approfondire questo argomento, consulta la pagina Ahellil.

Negli ksour berberofoni del Gourara è tuttora molto praticato, soprattutto in occasione di talune festività religiose, un genere musicale particolare che comporta l'esecuzione di canti in coro, danze e partecipazione collettiva dell'uditorio. Esso prevede l'intervento di numerosi partecipanti: un capo-coro che dirige il movimento del coro, un solista (abecniw) affiancato da due o tre suonatori (almeno un battitore di tamburo (gellal) e un suonatore di bengri (una sorta di liuto) o di flauto (temja), mentre due danzatori lo precedono rivolti verso di lui e camminando quindi all'indietro., mentre i partecipanti al coro, un buon numero di abitanti del villaggio, fanno un cerchio intorno ad essi stringendosi spalla a spalla, si muovono lentamente in senso antiorario, battono le mani e rispondono al solista.

Nel 2005 l'UNESCO ha proclamato gli ahellil capolavoro del patrimonio orale e immateriale dell'Umanità. Il timore di molti tra quanti hanno a cuore la cultura del Gourara è che questo riconoscimento, lungi dall'aiutare a preservare questo patrimonio, finirà per contribuire alla sua "folklorizzazione", con conseguente distacco dai valori tradizionali al cui interno gli ahellil sono nati. Eloquenti in proposito le osservazioni di Mouloud Mammeri:

«A Sidi Hadj Belkacem, il grande raduno di tutto il Gourara, il primo anno (1971) noi eravamo praticamente gli unici "forestieri". Gli Zeneti erano tra loro. E noi che, nonostante il nostro buffo abbigliamento artificiale (avevamo tutti adottato almeno un elemento del vestiario del Gourara), venivamo dall'esterno, fummo sopraffatti dall'impressione di entrare nel tempio: gli Zeneti non recitavano, officiavano. [...] Nel corso della nostra ultima missione, dieci anni dopo, gli spettatori venuti da fuori erano numerosi quanto gli autoctoni, e gli esecutori, cedendo senza dubbio inconsapevolmente alla pressione, anch'essa involontaria, di tutta quella folla allogena, tendevano a recitare per essa, avviandosi in qualche modo da sé sulla via della propria stessa alienazione»

(Mouloud Mammeri, "Culture du peuple ou culture pour le peuple", Awal 1 (1985), p. 54)

Poemetti ibaditi

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Un tipo interessante di composizioni poetiche, a carattere in origine orale, ma successivamente tramandate anche per iscritto, è costituito da alcuni poemetti a carattere religioso, composti intorno agli inizi dell'Ottocento nelle regioni ibadite, in particolare a Djerba e nel Gebel Nefusa.

Il più antico di tali poemi, composto da uno sheikh di Djerba (Shaaban el-Qanushi, o forse el-Mennushi) tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, è tuttora cantato in occasione dei decessi, e tratta di ciò che avviene all'anima del defunto dopo la morte, con la sepoltura, il giudizio particolare e infine quello universale, con estese descrizioni dei peccati maggiori e delle pene ad essi relative.

Riguardo al Gebel Nefusa (Libia) si conoscono almeno due poemetti di questo tipo (la denominazione autoctona per questa forma letteraria è taqsitt), composti da un religioso di Nome Abû Fâlgha e tramandati oralmente fino al giorno d'oggi. Già Francesco Beguinot accennò negli anni Venti a questi testi, pubblicandone però solo l'incipit in traduzione. Alla fine degli anni sessanta, Luigi Serra raccolse da un anziano di Mezzu (nel Gebel Nefusa) il testo berbero di due poemetti che sembrano coincidere con quelli segnalati da Beguinot. Il primo, il cui incipit rimanda con evidenza al poema gerbino, parla anch'esso dell'aldilà, soffermandosi però maggiormente sulle ricompense per chi avrà ben meritato; l'ultimo poi è una descrizione dei cinque arkan, o "pilastri" della fede islamica.

Sembra evidente che lo scopo di queste composizioni fosse l'ammaestramento religioso, con la parola cantata, di popolazioni molto poco alfabetizzate. Probabilmente i poemi, redatti in una sorta di koinè, circolavano in tutti i paesi ibaditi del Nordafrica, come testimonia il fatto che una parte del poema gerbino era stata registrata, sul finire del secolo XIX, nello Mzab da R. Basset.

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