Suicidio parlamentare/Germania

Il caso tedesco

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Gli anni '20

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La presa del potere dei nazisti è stata molto simile a quella dei fascisti. D'altra parte Hitler, per sua stessa ammissione, considerava Mussolini il suo maestro politico.

Anche nella Germania il primo dopoguerra fu segnato da gravissimi disordini e da lancinanti lotte di classe: da una parte le classi disagiate che chiedevano riforme in ambito sociale e dall'altra le classi altolocate sorde ad ogni ipotesi di apertura.

Tuttavia in Germania era presente una forte e matura formazione politica di sinistra: la famosa socialdemocrazia tedesca. In Germania, infatti, il processo di industrializzazione iniziò prima che in Italia. Di conseguenza le forze politiche di sinistra nacquero con una ventina d'anni d'anticipo rispetto a quelle italiane. Anche queste all'inizio erano caratterizzate da una granitica intransigenza, ma con il tempo il primo socialismo pionieristico si era evoluto in una moderna socialdemocrazia in grado di candidarsi alla guida del paese.

Subito dopo la fine della guerra i socialdemocratici salgono al potere insieme al partito cattolico di centro ed iniziano da un lato a fare le prime riforme e dall'altro ad usare la mano pesante con chiunque intendesse sovvertire l'ordine democratico, di destra o sinistra che fosse. Feroci furono le accuse di tradimento che le frange di estrema sinistra rivolsero ai socialdemocratici allorché questi fecero reprimere nel sangue la rivolta degli spartachisti, che preso il potere in alcune zone del paese e si ispiravano alla rivoluzione sovietica. Ed altrettanto feroci furono le critiche ai settori moderati dell'esecutivo quando il governo ordinò alla polizia di sparare sulla folla di nazisti che sfilando per le strade stavano dando vita a quella rivolta che passerà alla storia come il fallito Putsch di Monaco.

La crisi del 1929

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Nella seconda metà degli anni '20 le condizioni economiche andarono migliorando sempre ed il calo progressivo del malcontento segnò il declino dei partiti estremisti che basavano il loro consenso sui cosiddetti voti di protesta. La democrazia tedesca era dunque scampata al pericolo congiunto della crisi economica post-bellica e della rivoluzione sovietica, che fu invece fatale alla democrazia italiana e quella di altri paesi europei.

La crisi economica del 1929 fece ripiombare la Germania nel caos. Infatti economicamente la Germania era molto legata agli Stat Uniti e quindi in Europa fu la nazione che risenti maggiormente di tale crisi. Migliaia di tedeschi si ritrovarono senza lavoro e rinacque un forte malcontento.

I partiti estremisti ricominciarono a veder crescere esponenzialmente i loro consensi catalizzando il voto di protesta con grande furbizia. Nelle elezioni del 1932 il partito nazista divenne il primo partito con il 37% dei voti. Se a questo aggiungiamo che oltre il 15% dei voti erano andati ai comunisti possiamo concludere che la maggioranza dei tedeschi aveva votato, sia pure per protesta, per partiti che si dichiaravano pubblicamente contro la democrazia! Poiché i nazisti ed i comunisti erano ben lungi dall'accordarsi per dar vita ad un programma di governo, il parlamento tedesco era dominato da una maggioranza negativa: oltre la metà dei deputati votava contro qualunque governo.

La scalata al potere dei nazisti

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La costituzione della c.d. repubblica di Weimar (il regime tedesco dal '19 al '33) prevedeva una forma di governo semipresidenziale, con un forte Presidente del Reich eletto direttamente dal popolo ed un Cancelliere del Reich che dipendeva sia dal Capo dello Stato che dal Parlamento. Tale semipresidenzialismo, tuttavia, era alquanto particolare. Le regole costituzionali, infatti, erano tali che in condizioni ordinarie la Germania funzionasse quasi come una repubblica parlamentare caratterizzata da enormi garanzie per ogni piccola formazione politica. Tuttavia in caso di ingovernabilità il Presidente poteva far uso di poteri eccezionali che, su richiesta del governo, gli consentivano di approvare le leggi per decreto senza il consenso del parlamento e di sospendere le garanzie costituzionali. Il presidente non era eletto dal parlamento, ma dai cittadini, ai quali, per motivi propagantistici, non sempre veniva proposto il candidato con maggiori capacità politiche, ma sempre più spesso quello che appariva più convincente (oggi diremmo con maggiore impatto mediatico).

Negli anni '30 era presidente Paul von Hindenburgh, un ex-generale pluridecorato eroe di guerra, con scarse capacità politiche ed animato da profonda diffidenza per la democrazia. Questo era un nostalgico del periodo imperiale, nel quale il parlamento (e con esso la volontà popolare) era solo uno dei soggetti costituzionali, e neanche il più importante. Egli, tuttavia, da raffinato aristocratico, provava disgusto per il rozzo Hitler e da monarchico convinto era contrario all'instaurazione della dittatura.

Ciononostante il 30 gennaio Hitler divenne Cacelliere e pochi giorni dopo chiese ed ottenne dal Presidente lo scioglimento della Camera e l'indizione delle elezioni per il successivo 5 marzo. Con l'inizio della campagna elettorale si intensificarono le violenze politiche ed Hitler per mantenere l'ordine approvò per decreto una legge che permetteva l'arruolamento un gran numero di poliziotti ausiliari scelti tra i cittadini che avessero determinate caratteristiche richieste. Poiché tale arruolamento era effettuato dal Governo, Hitler scelse i poliziotti ausiliari tra gli appartenenti alle milizie del partito nazista. Questi dunque continuarono le loro violenze legittimati dall'uniforme dalla quale trassero enormi vantaggi. Alcuni giorni prima delle elezioni fu incendiato il Parlamento ed Hitler ne approfittò chiedere ed ottenere dal Presidente la sospensione di molte garanzie costituzionali. Nonostante tutto ciò, alle elezioni del 5 marzo i nazisti furono il primo partito, ma non ottennero la maggioranza assoluta ma solo il 44% dei voti.

Hitler non si scoraggiò. Accusò i comunisti dell'incendio del Parlamento e decretò la decadenza dei loro deputati per alto tradimento. Senza i deputati comunisti i nazisti avevano la maggioranza parlamentare, ma erano ancora lontani dalla maggioranza dei 2/3 necessaria per le modifiche costituzionali. Tuttavia la Costituzione tedesca stabiliva che la maggioranza dei 2/3 doveva essere calcolata sui presenti alle votazioni e non su tutti i componenti. Infatti affinché l'approvazione di legge costituzionale fosse valida era sufficiente la presenza dei 2/3 dei componenti. Di conseguenza inducendo con minacce e lusinghe all'assenza i deputati dell'opposizione di fatto si abbassava il quorum da raggiungere.

Subito dopo le elezioni Hitler propose l'approvazione di una legge costituzionale che concedesse al Governo i pieni poteri per quattro anni. Hitler, giocando sul consenso mostrato nei suoi confronti da una buona fetta del popolo tedesco e da cosiddetti poteri forti (industriali, latifondisti, militari, ecc...), nonché sulla macchina propagantista del partito nazista e sui tecnicismi parlamentari sopracitati, fu molto abile nell'indurre un gran numero di deputati nel pensare che l'approvazione di tale legge fosse solo questione di tempo. L'opposizione fu pervasa da un eccessivo sentimento di rassegnazione e pian piano alcuni deputati iniziarono a pensare che fosse meglio saltare sul carro del vincitore finché si era in tempo poiché l'avvento della dittatura era tanto imminente quanto inevitabile.

La fine della Repubblica di Weimar

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Il popolo tedesco non aveva conquistato la democrazia con lotte sanguinose, in quanto la monarchia cadde quasi spontaneamente poco prima della fine della prima guerra mondiale. La guerra, infatti, aveva affamato un popolo tra i più agiati ed industrializzati dell'Europa della "Belle Epoque" e l'ostinazione dell'Imperatore e della casta militare nel non rassegnarsi alla resa aveva danneggiato irreversibilmente il prestigio della monarchia sia davanti al popolo tedesco che alle classi dominanti (industriali e latifondisti). Bastò una leggera spallata di Friedrich Ebert, leader induscusso dei socialdemocratici, e l'Imperatore, abbandonato anche dai militari, fu costretto all'esilio. Di conseguenza non erano presenti in Germania larghe fasce della popolazione segnate in giovinezza da epiche lotta per la democrazia, ma solo dal lutto per la guerra persa e dal relativo astio. Quindi non furono molti coloro pronti a richiare la vita per difendere una democrazia sulla quale diversi partiti e lo stesso Presidente nutrivano aperta sfiducia.

Il 23 marzo del 1933 il Parlamento tedesco approvò la legge costituzionale dei pieni poteri. Anche se formalmente la costituzione non fu mai abolito, i giuristi concordano nell'individuare in questa data la fine della repubblica di Weimar. Grazie ai pieni poteri la demolizione non solo della democrazia, ma più in generale dello stato di diritto, procedì spedita. Già prima dell'estate i partiti politici furono sciolti ed entro la fine dell'anno furono destituiti e commissariati quasi tutti i governi locali. All'inizio del 1934 ormai si era in piena dittatura, ma mancavano ancora due questioni per arrivare ad un regime totalitario: il dissidio interno al partito nazista e il Presidente Hindenburgh.

Anche tra i nazisti, infatti, vi erano degli idealisti, degli intellettuali e dei facinorosi restii a qualunque tipo di disciplina. Hitler, non fidandosi completamente della milizia del partito (le S.A., Squadre d'Assalto), creò un'altra milizia di assoluta ed indiscussa fedeltà: le famigerate S.S., Sezioni di Sicurezza. La notte del 30 giugno 1934 (passata alla storia come la Notte dei lunghi coltelli) le S.S. massacrarono i capi ed i quadri intermedi delle S.A. insieme a tutti gli esponenti nazisti non perfettamente allineati ad Hitler e quei pochi esponenti della precedente classe politica che, alleatisi con i nazisti, cominciavano a mostrarsi insofferenti del regime. In totale le vittime di quella sanguinosa notte furono circa 5.000. I nazisti poterono proporsi come dei garanti dell'ordine intransigenti anche verso se stessi, e rassicurarono la borghesia, gli industriali ed i latifondisti, nonché l'anziano Presidente.

L'unico ostacolo rimasto era dunque l'ultraottantenne Presidente, nei confronti del quale Hitler continuava a mostrarsi falsamente devoto, poiché era risaputa l'autorevolezza di cui godeva il Capo dello Stato presso l'esercito, sia per il suo ruolo di comandante supremo, sia per il suo autorevolissimo passato di eroe di guerra pluridecorato. Hitler sapeva bene, infatti, che tutte le sue milizie poco avrebbero potuto contro l'esercito, che rimase sempre la roccaforte dell'aristocrazia terriera. Ma l'anziano Presidente morì il 2 agosto e subito dopo Hitler si proclamò per decreto Fuhrer, carica che cumulava in se quella di Presidente e di Cancelliere.

L'approvazione della legge dei pieni poteri rappresenta anch'essa, dunque, un classico esempio di suicidio parlamentare. Non si trattò, però, di una sorta di suicidio inconscio come nel caso italiano, ma di una eccessiva rassegnazione che, se comprensibile per via delle enormi violenze politiche del tempo nonché della sospensione delle garanzie costituzionali, fu assolutamente condannabile dal punto di vista morale.