Il Risorgimento: differenze tra le versioni

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Nel piccolo Ducato di Parma in soli quattro anni erano stati sottoposti alla pena della bastonatura più di 300 persone.
L'odio contro il duca Carlo III crebbe a tal punto che in pieno giorno (il 26 marzo 1855) per le vie della città il sovrano fu pugnalato da un uomo, che riuscì a fuggire. Tutta Parma conosceva il nome dell'assassino, ma nessuno parlò.
===Il regno di Sardegna dal 1849 al 1852===
Ben diversa era la situazione nel Regno di Sardegna, il solo paese libero in Italia.
Sul trono sabaudo, dopo l'abdicazione di Carlo Alberto, saliva il figlio Vittorio Emanuele II.
Era un giovane non ancora trentenne di temperamento cordiale e simpatico, robusto fisicamente, dotato di grande coraggio, di una volontà inflessibile.
La bonarietà e la semplicità del montanaro si mescolavano alla nobile altezza del discendente di una stirpe, che era già illustre quando gli Asburgo d'Austria e gli Hohenzollern di Prussia non erano che ignoti castellani.
Vittorio Emanuele II aveva tra le sue migliori qualità un intuito sempre chiaro ed immediato delle situazioni politiche, un buonsenso acuto e realistico.
Il giovane re saliva al trono in momenti dolorosi. Cominciava il suo regno con un gran sacrificio: rassegnarsi alla condizione di vinto.
Il 28 marzo 1849, accompagnato da pochi ufficiali, si recò a trattare personalmente con il maresciallo Radetzky a Vignale, una località presso Novara.
Certamente quest'incontro è una delle scene più grandiose della storia del Risorgimento: da una parte il vecchio e vittorioso maresciallo, dall'altra il giovane sovrano, nuovo al comando e al regno; senza aiuti egli era in potere dell'uomo che aveva vinto suo padre.
Il Radetzky proponeva condizioni migliori se il sovrano sabaudo avesse abbandonato il tricolore innalzato dal padre e avesse ritirato lo Statuto.
Il giovane Re con felice intuito non accettò le esortazioni e le lusinghe del generale austriaco. E con questa coraggiosa scelta iniziava mirabilmente la sua opera di sovrano, diventava agli occhi di tutti il campione della libertà e dell'italianità.
Dopo trattative lunghe e difficili si giunse alla pace con l'Austria (Trattato di Milano): il Piemonte doveva pagare una indennità di guerra di 75 milioni.
Il trattato, per avere valore, doveva essere ratificato dal parlamento piemontese.
Nella discussione, cui diede luogo, il patriota e storico, Cesare Balbo, che aveva mandato cinque figli in guerra, uno dei quali erano morto gloriosamente a Novara, propose che sarebbe stato dignitoso approvare il trattato in silenzio.
Ma non così pensava la maggioranza della Camera dei deputati, che pretendeva invece di riprendere la guerra.
Il re allora, per saggio suggerimento del Presidente del Consiglio, Massimo D'Azeglio, sciolse la Camera dei deputati e indisse nuove elezioni, pubblicando contemporaneamente un proclama, che dal luogo in cui fu emanato venne detto proclama di Moncalieri. Questo fece un'immensa impressione: il re invitava gli elettori ad eleggere persone responsabili, capaci di seguire le direttive del governo. In caso contrario il Re sarebbe stato costretto a ritirare lo Statuto. Era un parlar chiaro. E gli elettori compresero ed elessero elementi moderati, che approvarono quasi all'unanimità il trattato di pace, Si chiudeva così un triste periodo e se ne apriva un altro.
Diventò presidente del consiglio Massimo Taparelli D'Azeglio.
Il Piemonte aprì le porte ai profughi politici di tutt'Italia, furono accolti come fratelli ed ebbero la cittadinanza piemontese.
Il D'Azeglio ebbe tanti meriti nella sua abile e saggia attività di Presidente del Consiglio (1849-1852), ma il maggior merito fu senza dubbio quello di aver chiamato a far parte del suo governo, come ministro dell'Agricoltura e poi anche delle Finanze, il conte Camillo di Cavour, che sarà tra gli artefici massimi del Risorgimento.