Il Risorgimento: differenze tra le versioni

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In Piemonte nessuno si era rassegnato alla sconfitta: né il Re, né il Parlamento, né la stampa.
Così nel marzo del 1849 Carlo Alberto decise di riprendere la guerra.
 
Ora il Piemonte era veramente solo contro il colosso austriaco: aveva messo su con grandi sacrifici un esercito di 90.000 soldati, ma in gran parte erano ancora reclute inesperte. Il Re, forse riconoscendo di non essere all'altezza della situazione, rinunziò al comando supremo. Si cercò in Francia un abile generale: non si poté ottenerlo. Si ripiegò su un generale polacco, Chrzanowski, ma fu una scelta infelice. Questo piccolo generale, freddo e taciturno, non conosceva l'italiano, né era pratico dei luoghi in cui doveva combattere: inoltre non ispirava fiducia nell'esercito piemontese.
 
Il piano del generale Chrzanowski era quello di passare con il grosso dell'esercito il Ticino a Nord, marciare su Milano e prendere alle spalle l'esercito del Radetzky, forte di 100.000 uomini.
 
Il generale Ramorino, noto per le sue idee mazziniane, doveva con la sua divisione presidiare il ponte di Pavia ed impedire il passaggio degli Austriaci. Per leggerezza o tradimento, il Ramorino (poi processato, condannato a morte e fucilato nella cittadella di Torino) lasciò indifeso il ponte: ciò permise al Radetzky di passare senza danni il Ticino a Pavia e di invadere il Piemonte.
 
Il generale polacco rimase disorientato: era un mediocre. Anziché proseguire nell'azione invadendo il Lombardo-Veneto e sollevandolo contro gli Austriaci, preferì tornare in Piemonte.
I Piemontesi si batterono bene nei primi scontri: vinsero a Vigevano, alla Sforzesca; a Mortara furono invece sconfitti: allora il generale polacco decise di concentrare tutto l'esercito a Novara.
 
Il 23 marzo si combatté la decisiva battaglia: sembrava che all'inizio la vittoria potesse arridere ai Piemontesi, poi la sconfitta si profilò irreparabile. Carlo Alberto, quando si rese conto dei disastro, cercò in ogni modo di morire combattendo; ma la morte non lo prese. Chiese l'armistizio al Radetzky, ma le dure condizioni del nemico gli parvero inaccettabili. Abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II e nella stessa notte partì per l'esilio.
 
Sul suo volto pallido e magro si leggeva un infinito dolore. A Oporto, in Portogallo, visse ancora per tre mesi. La tragica fine commosse tutti: i suoi errori e le sue debolezze furono perdonati. Lo stesso Mazzini gli perdonò e pose il suo nome tra i martiri del Risorgimento.
La sconfitta di Novara (23 marzo) ebbe gravi conseguenze per le città della Lombardia (Como, Bergamo, Brescia) che si erano sollevate. Di esse solo Brescia non depose le armi: assediò la guarnigione del castello e a sua volta fu assediata dalle truppe del feroce generale austriaco Haynau.
 
La lotta di protrasse casa per casa per dieci giorni: Brescia si coprì di gloria e meritò il nome di ''Leonessa d'Italia''.
 
Le repressioni, che seguirono dopo la resa, furono di tale ferocia da disonorare per sempre coloro che le compirono: l'Haynau meritò l'odioso nome di ''iena di Brescia''.