Il Risorgimento: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Riga 243:
 
Si concludeva così la prima fase della guerra.
==Insurrezioni e repubbliche nell'Italia centrale==
L'infelice fine della prima parte della guerra ebbe gravi conseguenze negli altri Stati italiani.
Si diffuse dopo la sconfitta piemontese il concetto mazziniano che la guerra va fatta con il popolo per il popolo. Mazzini infatti affermò che la guerra regia è finita, e che incomincia la guerra del popolo.
Venezia, che aveva accettato di far parte del regno di Carlo Alberto, sconfessò questa sua decisione e proclamò di nuovo la repubblica: pieni poteri furono affidati a Daniele Manin.
A Roma il papa Pio IX non si sentì più sicuro e si rifugiò a Gaeta presso il re di Napoli: sorse così a Roma la Repubblica romana, che dichiarò finito il potere temporale dei papi. Pio IX reagì con la scomunica e chiedendo aiuto ai sovrani europei.
Leopoldo II di Toscana si vide anch'egli costretto ad abbandonare lo Stato e a cercare rifugio a Gaeta: in sua assenza governò un Triumvirato, di cui il personaggio più autorevole fu Francesco Domenico Guerrazzi.
==La campagna del 1849 e le rivluzioni a Venezia e nell'Italia centrale==
In Piemonte nessuno si era rassegnato alla sconfitta: né il Re, né il Parlamento, né la stampa.
Così nel marzo del 1849 Carlo Alberto decise di riprendere la guerra.
Ora il Piemonte era veramente solo contro il colosso austriaco: aveva messo su con grandi sacrifici un esercito di 90.000 soldati, ma in gran parte erano ancora reclute inesperte. Il Re, forse riconoscendo di non essere all'altezza della situazione, rinunziò al comando supremo. Si cercò in Francia un abile generale: non si poté ottenerlo. Si ripiegò su un generale polacco, Chrzanowski, ma fu una scelta infelice. Questo piccolo generale, freddo e taciturno, non conosceva l'italiano, né era pratico dei luoghi in cui doveva combattere: inoltre non ispirava fiducia nell'esercito piemontese.
Il piano del generale Chrzanowski era quello di passare con il grosso dell'esercito il Ticino a Nord, marciare su Milano e prendere alle spalle l'esercito del Radetzky, forte di 100.000 uomini.
Il generale Ramorino, noto per le sue idee mazziniane, doveva con la sua divisione presidiare il ponte di Pavia ed impedire il passaggio degli Austriaci. Per leggerezza o tradimento, il Ramorino (poi processato, condannato a morte e fucilato nella cittadella di Torino) lasciò indifeso il ponte: ciò permise al Radetzky di passare senza danni il Ticino a Pavia e di invadere il Piemonte.
Il generale polacco rimase disorientato: era un mediocre. Anziché proseguire nell'azione invadendo il Lombardo-Veneto e sollevandolo contro gli Austriaci, preferì tornare in Piemonte.
I Piemontesi si batterono bene nei primi scontri: vinsero a Vigevano, alla Sforzesca; a Mortara furono invece sconfitti: allora il generale polacco decise di concentrare tutto l'esercito a Novara.
Il 23 marzo si combatté la decisiva battaglia: sembrava che all'inizio la vittoria potesse arridere ai Piemontesi, poi la sconfitta si profilò irreparabile. Carlo Alberto, quando si rese conto dei disastro, cercò in ogni modo di morire combattendo; ma la morte non lo prese. Chiese l'armistizio al Radetzky, ma le dure condizioni del nemico gli parvero inaccettabili. Abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II e nella stessa notte partì per l'esilio.
Sul suo volto pallido e magro si leggeva un infinito dolore. A Oporto, in Portogallo, visse ancora per tre mesi. La tragica fine commosse tutti: i suoi errori e le sue debolezze furono perdonati. Lo stesso Mazzini gli perdonò e pose il suo nome tra i martiri del Risorgimento.
La sconfitta di Novara (23 marzo) ebbe gravi conseguenze per le città della Lombardia (Como, Bergamo, Brescia) che si erano sollevate. Di esse solo Brescia non depose le armi: assediò la guarnigione del castello e a sua volta fu assediata dalle truppe del feroce generale austriaco Haynau.
La lotta di protrasse casa per casa per dieci giorni: Brescia si coprì di gloria e meritò il nome di ''Leonessa d'Italia''.
Le repressioni, che seguirono dopo la resa, furono di tale ferocia da disonorare per sempre coloro che le compirono: l'Haynau meritò l'odioso nome di ''iena di Brescia''.
==La fine delle repubbliche di Roma e di Venezia==
La prima guerra d'indipendenza si era conclusa infelicemente: solo le due repubbliche di Roma e Venezia difendeva ancora ocn ostinata tenacia e valore la loro indipendenza.
Roma era retta da un Triumvirato, formato da Mazzini, Saffi e Armellini.
A difesa della Città Eterna erano accorsi volontari provenienti da ogni parte d'Italia: Garibaldi era con loro.
Contro questi valorosi la Spagna, la Francia, l'Austria, il regno delle Due Sicilie mandarono le loro truppe: mazza Europa era contro di loro.
Un esercito francese comandato dal generale Oudinot sbarcò a Civitavecchia il 25 aprile 1849. Il suo esercito venne battuto sul Gianicolo, presso Porta Angelica, e perdette un migliaio di soldati. Eguale sorte ebbero le truppe napoletane battute da Garibaldi a Palestrina e a Velletri.
Intanto era giunto un nuovo corpo di spedizione francese di 20.000 uomini.
La notte del 3 giugno i Francesi scatenarono un attacco di sorpresa alla città di Roma, cercando di impadronirsi del Gianicolo.
La resistenza dei repubblicani fu eroica.
Dal 3 al 30 giugno i soldati della Repubblica Romana, animati dall'esempio e guidati dal genio militare di Garibaldi, tennero testa alle forze francesi compiendo prodigi di valore. Porta S. Pancrazio, Villa Pamphilly, Villa Corsini, Villa Spada, il Vascello, sono i nomi dei luoghi in cui avvennero i combattimenti.
Morirono insieme a molti altri Enrico Dandolo (21 anni) e Luciano Manara (24 anni), due eroi delle Cinque Giornate di Milano, Goffredo Mameli (21 anni) il giovanissimo poeta-soldato.
Il numero soverchiante degli avversari rese alla fine impossibile la resistenza ed ogni sacrificio inutile.
Il 3 luglio mentre le truppe francesi entravano a Roma, Garibaldi insieme alla fedele compagna Anita e con un migliaio di volontari cominciava la leggendaria ritirata attraverso l'Italia Centrale per raggiungere Venezia, dove ancora si combatteva contro gli Austriaci. Quattro eserciti (il francese, l'austriaco, il napoletano, lo spagnolo) gli diedero la caccia. Tra privazioni di ogni genere, Garibaldi raggiunse San Marino e qui sciolse la sua legione.
Poi con duecento volontari arrivò a Cesenatico e qui s'imbarcò su alcuni bragozzi per Venezia. Ma le navi erano in agguato, attaccarono i bragozzi e ne presero alcuni: Garibaldi di buttò nella spiaggia e si rifugiò nella pineta di Ravenna. Anita, sfinita dalle sofferenze, spirò tra le braccia di Garibaldi. Inseguito dagli Austriaci, di nascondiglio in nascondiglio, attraversò l'Appennino tosco-emiliano e raggiunse un piccolo porto della Maremma, dove s'imbarcò per l'America.
Era in suo secondo esilio.
Venezia intanto resisteva ancora: fu l'ultima a cedere.
Come a Roma così anche a Venezia erano giunti da ogni parte d'Italia giovani valorosi. Tra essi c'era il generale Guglielmo Pepe, che comandò la difesa della città.
La resistenza durò cinque mesi (marzo-agosto 1849). Prima gli Austriaci tentarono di conquistarla per mare senza riuscirvi; poi cercarono di prenderla per terra. Attaccarono Mestre e si impadronirono dopo una lunga lotta del forte di Marghera. Il Radetzky credeva che la città si sarebbe arresa: ed invece resistette.
Fu dato ordine di bombardarla: il 24 giorni caddero su Venezia 23.000 proiettili. Intanto scarseggiavano i viveri, le munizioni e si andavano diffondendo il tifo ed il colera.
Quando ogni resistenza diventò impossibile, Venezia capitolò (22 agosto).
L'unica speranza rimane il Piemonte, dove il nuovo Re Vittorio Emanuele II ha conservato lo Statuto ed il Tricolore.