Il Risorgimento: differenze tra le versioni

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Le idee moderate del Gioberti ebbero un gran numero di seguaci, che si chiamarono Neoguelfi: Neoguelfismo fu detto il movimento giobertiano.
Il termine ''Neoguelfismo'' ricorda i Guelfi, cioè coloro che nel Medio Evo sostenevano il Papa contro l'Imperatore.
==Cesare Balbo e Massimo D'Azeglio==
Alla corrente moderata del Gioberti appartengono due altri scrittori piemontesi: Cesare Balbo e Massimo D'Azeglio.
Nel 1844, un anno dopo la pubblicazione del ''Primato'', apparve un libro, che attirò l'interesse di molti: ''Le Speranze d'Italia'' del conte Cesare Balbo. Il libro era dedicato al Gioberti, del quale accettava l'idea della Confederazione di Stati italiani.
Però secondo il Balbo la confederazione non poteva realizzarsi perché l'Austria possedeva una parte del territorio italiano, perciò prima di tutto occorreva l'indipendenza, per ottenerla non occorreva una guerra contro l'Austria. L'Impero turco era in grande crisi e alla sua caduta l'Austria avrebbe ottenuto nella penisola balcanica nuovi territori e avrebbe ceduto all'Italia il Lombardo-Veneto. Il Balbo inoltre affermava che la Confederazione doveva essere guidata dal Piemonte, il cui re Carlo Alberto era la ''spada dell'Italia''.
Non tutti erano convinti certo della bontà delle sue idee.
Un altro libro, che suscitò interesse e larghi consensi, apparve nel 1846 con il titolo ''Gli ultimi casi di Romagna''.
L'aveva scritto Massimo D'Azeglio, già noto come romanziere e come valente pittore di paesaggi. In quest'opera si condannava con parole di fuoco il malgoverno pontificio: né questo giudizio era tanto nuovo.
Un grande storico inglese del tempo, Macaulay, aveva scritto che gli Stati della Chiesa erano i peggio governati di tutto il mondo civile, per cui non era esagerato dire che la popolazione consisteva principalmente di forestieri, preti e poveri.
Tuttavia D'Azeglio condananva le congiure e le insurrezioni mazziniane ed esortava a non cospirare più ma a protestare apertamente in tutte le occasioni possibili.
Egli inoltre esortava gli italiani ad avere fiducia nel sovrano del Piemonte, Carlo Alberto.
Con il suo re D'Azeglio aveva avuto il 12 ottobre 1845 un interessante colloquio, in cui il re piemontese dichiarò che la sua vita e quella dei suoi figli sarà spesa per la causa italiana.
Il D'Azeglio rimase incantato e commosso dalla franchezza del Re, che alla fine del colloquio gli pose le mani sulle spelle e lo abbracciò.