Il Risorgimento: differenze tra le versioni

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La rivoluzione francese del 1830 non ebbe ripercussioni né in Piemonte né nel Regno delle due Sicilie. In questi due Stati molti patrioti si trovavano in carcere o erano in esilio.
La rivoluzione invece scoppiò nell'Italia centrale.
 
Il sovrano del Ducato di Modena era l'arciduca Francesco IV, nipote di Maria Teresa d'Austria, che in gioventù aveva avuto grandi ambizioni. Aveva sognato negli ultimi anni dell'Impero napoleonico di conquistare l'Italia e porla sotto il suo scettro. Ma al Congresso di Vienna l'Austria preferì essere essa direttamente l'arbitra della vita italiana. A Francesco IV non restò che abbandonare le sue ambizioni e contentarsi del piccolo ducato di Modena. Ma a volte si lamentava di essere costretto a vivere in un piccolo ''guscio di castagne'' (tale egli considerava il suo Ducato).
 
Questo stato d'animo era a conoscenza dei capi carbonari emiliani, tra i quali primeggiava per ingegno e coraggio un ricco e giovane commerciante di Carpi, Ciro Menotti.
Questi si illuse di trasformare Francesco IV da arciduca austriaco in un principe italiano. Nacquero così accordi tra Ciro Menotti e Francesco IV: quest'ultimo promise il suo appoggio e in compenso avrebbe avuto la corona del nuovo Stato, che si sarebbe formato in seguito alla rivoluzione carbonara capeggiata dal Menotti.
 
Verso la fine del 1830 tutto ormai era pronto per la rivoluzione.
 
A questo punto la Francia, sul cui aiuto contavano i Carbonari, pur riaffermando il principio del non intervento, fece ben capire che non avrebbe usato le armi per aiutare i popoli oppressi in rivolta.
 
Il duca di Modena ebbe paura, e non volle più rischiare. Ma il Menotti non intendeva rinunciare alla attuazione del piano lungamente preparato.
 
Francesco IV allora cercò di soffocare la rivoluzione, prima che nascesse.
Così nella notte tra il 3 e il 4 febbraio 1831 fece circondare a Modena la casa del Menotti, che distava dal palazzo ducale poche centinaia di metri.
I cospiratori si difesero accanitamente per più ore: poi, in gran parte feriti, furono fatti prigionieri.
 
Francesco IV scrisse subito al governatore di Reggio di mandargli il boia.
Queste le benevoli intenzioni che il sovrano nutriva verso i patrioti, che ingenuamente avevano creduto alle sue parole.
 
Il boia giunse senza ritardo ma assieme a lui giunse una notizia inaspettata: era scoppiata la rivoluzione della vicina Bologna, e con la rapidità di un incendio si stava propagando nelle Romagne e nell'Umbria.
 
Francesco IV ritenne prudente abbandonare Modena e rifugiarsi nella fortezza austriaca di Mantova: si trascinò dietro prigioniero il Menotti.
La rivoluzione scoppiava intanto anche a Parma e Maria Luisa d'Austria, la vedova del grande Napoleone, era costretta a rifugiarsi a Piacenza, presidiata dall'esercito austriaco.
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Questa, ben sapendo che la Francia di Luigi Filippo non avrebbe mosso un dito, si mise in moto: le sue truppe entrarono nel Modenese, poi a Parma ed infine batterono a Rimini le poche truppe del generale Zucchi.
In due mesi la rivoluzione era finita.
 
I sovrani potevano tornare sui loro troni. Maria Luisa ed il Papa si mostrarono miti. Francesco IV invece si abbandonò a furiose vendette: moltissime le condanne. Ciro Menotti fu impiccato: prima di morire scrisse alla sua moglie una bellissima lettera, documento di caldo amore di patria e di fede nella Provvidenza. La lettera, scritta due ore prima dell'esecuzione e affidata a un sacerdote, non fu recapitata: venne ritrovata nel 1848 tra le carte del Ministero della Polizia, a Modena.
 
==Mazzini ed i carbonari==
Nell'aprile 1831 moriva a Torino Carlo Felice, re di Sardegna: il nipote Carlo Alberto saliva al trono.
 
Proprio nei primi giorni di regno del nuovo sovrano veniva diffusa una lettera, stampata a Marsiglia e intitolata ''A Carlo Alberto di Savoia un Italiano''.
 
La lettera, che destava ovunque entusiasmo, era lunga una ventina di pagine e recava l'epigrafe: ''se no, no!''.
Nella memorabile lettera, dopo aver ricordato i fatti del 1821, si esortava il re sabaudo a porsi capo della rivoluzione italiana, a diventare per l'Italia quel che Washington e Kosciusko erano stati per l'America e per la Polonia.
La lettera era stata scritta da un giovane carbonaro di 26 anni, Giuseppe Mazzini, nato nel 1805 a Genova. Il padre era un medico e professore di anatomia all'Università: la madre, Maria Drago, donna di grande intelligenza e bontà, educò il figlio al senso del dovere.
 
Nel 1821, mentre passeggiava con la madre per le vie di Genova, il giovinetto Mazzini fu colpito dallo spettacolo degli esuli dei moti piemontesi del 1821, che partivano per la Spagna.
Pochi anni dopo si iscrisse alla Carboneria e collaborò alla diffusione delle idee carbonare sull' ''Indicatore genovese'' e sull' ''Indicatore livornese''.
 
Venne arrestato, rinchiuso nella fortezza di Savona e poi processato: per insufficienza di prove il Mazzini venne assolto e liberato. Poteva scegliere tra il confino in un piccolo paese del Piemonte o l'esilio.
 
Il Mazzini nei lunghi mesi trascorsi nel carcere di Savona aveva meditato sulle cause dei fallimenti dei moti italiani ed aveva compreso che ciò era accaduto perché il popolo non aveva preso parte ai moti.
 
Egli pensava che non era necessario fondare una nuova società segreta.
Per realizzare questo suo scopo non poteva certo vivere in un piccolo paese sotto l'occhiuta sorveglianza della polizia, ma bisognava recarsi l''estero.
Ed il Mazzini andò in esilio in Francia, a Marsiglia: da questa città scrisse la sua famosa lettera a Carlo Alberto.
 
La risposta del sovrano sabaudo non si fece attendere: ordinò che il Mazzini fosse arrestato, nel caso che si fosse presentato alla frontiera piemontese.
 
==La giovane Italia==
Secondo il Mazzini, che aveva meditato a lungo, i difetti più gravi della Carboneria più gravi erano i seguenti:
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Per porre rimedio a questi difetti della Carboneria, il Mazzini fondò nel luglio 1831 a Marsiglia una nuova società segreta, la ''Giovane Italia''.
Essa faceva appello allo spirito rivoluzionario dei giovani, e voleva un'Italia una, libera, indipendente e repubblicana.
 
L'idea fondamentale del Mazzini era l'unità d'Italia; e di questa meravigliosa idea egli ne divenne il profeta.
Bisognava far sentire ai lombardi, ai piemontesi, ai veneti e ai toscani, ai romani, ai napoletani e ai siciliani che essi erano al di là di ogni divisione regionale solo ed unicamente italiani.
 
Bisognava convincere gli italiani che l'Italia doveva tornare una Nazione di uomini liberi. Per questo nessun compromesso era possibile con i vari sovrani degli Stati italiani. Occorreva abbattere i troni, segno di servitù del popolo.
Il sovrano, l'unico vero sovrano, era il popolo. Una repubblica unitaria: questo sarebbe stata l'Italia, perché nella repubblica si esprime pienamente al sovranità popolare.
Tra i compiti dell'Italia è quello di abbattere l'Austria e liberare tutti gli altri popoli europei ancora oppressi dalla monarchia asburgica. Tutto ciò, secondo il Mazzini, si ottiene solo con l'educazione e con l'insurrezione, cioè educando il popolo italiani con la parola e spronandolo con l'esempio.
 
Per iscriversi alla Giovane Italia non occorrevano le complicate cerimonie della Carboneria. Colui che voleva diventare seguace della Giovane Italia si impegnava con giuramento a non rivelare i segreti della Società: assumeva un falso nome (Giuseppe Garibaldi si fece chiamare Giuseppe Borel e Mazzini prese il nome di Filippo Strozzi), si procurava un fucile con cinquanta cartucce ed un pugnale.
 
La Giovane Italia era certamente una associazione clandestina per sfuggire alla polizia: ma di segreto aveva solo i nomi degli iscritti e l'organizzazione. Il suo programma era invece pubblico e lo si diffondeva coraggiosamente ovunque per renderlo popolare.
 
I punti più importanti di esso erano:
#L'Unita d'Italia, contro le vecchie divisioni storiche, le rivalità e le gelosie regionali e locali;