Giacomo Leopardi/pensiero filosofico: differenze tra le versioni
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##''A un vincitore nel pallone''
##''La sera del dì di festa'', 1820
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#'''Favole''':
##''Alla primavera'', 1822
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È il dialogo tra Leopardi e gli autori della tradizione e tra il poeta stesso e un’entità futura che prende volto (donna, natura, lettore…)
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Leopardi coglie l’occasione per tracciare un canone ideale , una ''bella scola'' di riconoscimento da Dante fino a Tasso che il poeta di Recanati sente umanisti e poeti per vocazione.
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È un dialogo sommesso, vibrante, affettuoso; e il poeta decide di aprirlo con se stesso.
Il tema di [
Lei tesse di là dal muro e lui studia; si vede il parallelismo tramite cui sale in Leopardi la condizione di disagio e invidia con cui guardava agli altri ragazzi del paese che lo avevano involontariamente, ma inevitabilmente escluso (per la condizione sociale e fisica).
È un testo autobiografico “ti ricordi quando?” (rimembri), l’incedere è ritagliato tra la vita e la morte e il poeta sente una prosecuzione della vita dal momento che Silvia può rammentare solo perché è nella nuova vita.
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“Soavità e speranza” sono tutte rivolte al futuro affinché traggano più gioia di quanta ne ricavino da ciò che stanno realmente vivendo. È la speranza che dona senso all’esistenza, che ora appare come ricordo e che sembra irrimediabilmente cancellata.
Anche nello [
Il fatto che il poeta stia narrando da sopravvissuto quelle vicende, ci dice che la sua speranza è lacera, messa a durissima prova, ma sussiste. È un grido di ribellione:
Leopardi ha una cocente delusione delle aspettative di felicità, va gridando la sofferenza della dimensione dell’infelicità, in realtà non la accetta. Vede fino in fondo la crudezza del mondo e così se ne salva.
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Lo sconsolato constatare il suo presente nasce dall’avere appurato che la speranza di quegli anni sembra vacillare.
La natura non è più un dolce interlocutore, ma il nemico, la minaccia con cui fare i conti. Nello
Qui si arriva a una crisi personale, esistenziale e religiosa, l’impossibilità della creatura di criticare il creatore indica la mancanza di una dimensione trascendente di Dio.
Diventa una sorta di panteismo e così si ha per conseguenza una ribellione che non è più ribellione alle forze della natura, ma una ribellione a Dio.
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Gli interrogativi iniziali, paragonano la vita del pastore a quella della luna, ripetitiva e ciclica, e si domanda a che cosa servano entrambe. In un secondo momento la vita umana viene metaforicamente paragonata a quella di un singolo che ha vissuto futilmente fino alla morte.
Il destino dell’uomo è l’infelicità, la sofferenza, la vecchiaia e la morte. il gregge invece è incurante del suo terribile destino e vive più sereno del pastore tediato da una vita che pare priva di significato.
L’ultimo verso riassume tutta la poesia: è ''funesto a chi nasce il dì natale'' [
==== ''Il sabato del villaggio'' ====
Questa poesia mostra i momenti che precedono un dì di festa, che si rivelano migliori della giornata stessa.
Da questo “pretesto” iniziale, il poeta approfitta per riflettere sulla vita e, ancora una volta, sulla giovinezza; si nota nell’antitesi tra la donzelletta e l’anziana.
Il centro del testo sta nel paragone tra l’attesa del sabato, deluso poi nelle aspettative dalla noiosa domenica, e l’attesa del giovane per la vita futura che si immagina e che verrà inevitabilmente disilluso (''cotesta età fiorita è come un giorno d’allegrezza pieno'' [
Alla fine vi è quindi l’esortazione al giovane a cui viene detto ''godi'' , una sorta di ''carpe diem'' oraziano, un incitamento a vivere ora perché il futuro ci disingannerà, la vera felicità è nell’attesa.
====''La quiete dopo la tempesta''====
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