Materia:Diritto fallimentare: differenze tra le versioni

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Il diritto fallimentare italiano trova la propria regolamentazione soprattutto nel Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267. Per più di 60 anni le modifiche apportate riguardavano solo aspetti secondari o erano effetto degli interventi a seguito delle sentenze di incostituzionalità della Corte costituzionale.
I tanti tentativi di riforma erano naufragati nel nulla. Si era però sviluppata una normativa speciale per le grandi aziende in crisi che aveva assunto il nome di Amministrazione straordinaria che però rimaneva un istituto a parte, in cui maggiore era l’intervento del Governo.
Con il Decreto Legge 14 marzo 2005 n. 35 si è data una grande accelerata al processo di rinnovamento anche di concetti importanti dando più spazio al concordato preventivo ed attenuando persino uno dei canoni tradizionali il principio della par condicio credito rumcreditorum.
La riforma ha poi trovata concreta attuazione con il decreto legislativo n. 5 del 9 gennaio 2006 che ha apportato profonde modifiche al ''vecchio'' dioritto fallimentare.
Le linee guida prevedevano:
* una estensione dei soggetti esonerati dall’applicabilità dell’istituto del fallimento, *una semplificazione delle procedure per permettere una accellerazione dei tempi.
*una valorizzazione della figura del curatore fallimentare e di quella del comitato dei creditori; per contro il giudice delegato vede ridimension ato il suo ruolo.
*sullo schema anglosassone viene introdotta la disciplina dell’esdebitazione, il debitore viene liberato dai debiti residui nei confronti dei creditori.
 
 
==Il fallimento nella visione tradizionale e nel nuovo diritto==