''Robinson Crusoe'' di Daniel Defoe (superiori): differenze tra le versioni

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Visitata indi la mia stanza da letto, cominciai a pensare ove lo avrei allogato; e per fare tutto il meglio che poteva a suo pro senza mio incomodo, gli formai una picciola capanna nel vano fra le mie due fortificazioni, al di dentro dell’interna, al di fuori dell’esterna.
 
E poiché quivi era un ingresso alla mia grotta, lavorai un uscio di tavole collocandolo in quell’andito un po’ in dentro; il quale aprivasi dalla parte interna e lo teneva sbarrato tutta la notte, tirandomi anche la mia scala: per tal modo Venerdì non poteva penetrare oltre la cinta del mio primo muro senza far tanto strepito, che non mi avesse svegliato. Questa mia interna circonvallazione aveva ora una perfetta soffitta formata di lunghi pali, da cui tutta la mia tenda era coperta. Andando questa ad appoggiarsi alla spalla del monte era attraversata da rami che teneano luogo di assicelle intrecciate di paglie di riso, forti come le canne palustri. Circa poi a quell’apertura per dove si entrava e donde si usciva mediante la scala a mano, io aveva posto una specie di porta a trabocchetto, affinchèaffinché chi avesse tentato aprirla dal di fuori, fosse invece caduto giù facendo grande fracasso: quanta alle armi io le ritirava tutte dalla mia banda durante la notte.
 
Per altro non tardai ad accorgermi che di tante cautele io non aveva bisogno, perchè uomo al mondo non ebbe un servo più fedele, amoroso e leale di quanta fu per me Venerdì. Disinteressato, docile, incapace di macchinazioni, tutto dedito a me, comportavasi meco come figliuolo con padre; e ardisco dire che in qualunque occasione avrebbe messo la sua vita per salvare la mia, della qual devozione mi diede tante testimonianze, che postomi fuor d’ogni sospetto, non tardai a persuadermi come fosse inutile ogni guarentigia che rispetto a lui io cercassi alla mia sicurezza.