Torquato Tasso (superiori): differenze tra le versioni

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In tutto questo non aveva dimenticato l'opera principe, dimostrando di avere al riguardo idee piuttosto lontane da quella che sarà la realizzazione finale. A Lorenzo Malpiglio espose intenzioni sostanzialmente opposte agli interventi che Tasso verrà apportando negli anni successivi: parla di portare la ''Liberata'' da venti a ventiquattro canti (secondo l'idea originaria) e di accrescere il numero delle stanze, tagliando anche dei passaggi ma con il risultato che «la diminuzione sarà molto minor de l'accrescimento».<ref>''Lettere'', cit., II, p. 56</ref>
 
Eravamo intanto arrivati al 1586, e qualche segnale, magari anche dettato da semplice interesse, lasciava intravvedereintravedere un astio meno severo nei confronti del Nostro. Prima della reclusione, nel marzo del 1577, a Comacchio era stata rappresentata una commedia tassesca alla presenza della corte.<ref>La prima versione di quelli che saranno ''Gli intrichi d'amore'' non ci è pervenuta</ref> Ora Virginia de' Medici voleva che il testo fosse perfezionato e completato per essere interpretato durante i festeggiamenti del suo matrimonio con Cesare d'Este. Tasso si mise al lavoro ed esaudì la richiesta. L'opera fu poi pubblicata nel 1603 e ricevette il titolo - ''Gli intrichi d'amore'' - dal Perini, uno degli attori dell'Accademia di Caprarola, che aveva messo in scena la commedia nel 1598.<ref>L. Tonelli, cit., p. 238</ref>
 
L'opera, ricolma di intrecci amorosi e di agnizioni secondo il costume dell'epoca, è troppo sofisticata e inverosimile, ma non mancano pagine vivaci ed episodi ispirati all<nowiki>'</nowiki>''Aminta''. Vi si possono inoltre vedere alcuni elementi che confluiranno nella commedia dell'arte: il personaggio del ''Napoletano'', parlando in dialetto e «profondendosi in spiritosaggini sbardellate», richiama alla mente la futura maschera di Pulcinella.<ref>L. Tonelli, cit., pp. 239-240</ref> La critica è stata piuttosto concorde nel ritenerla infelice, tutta una goffaggine pedantesca e superficiale, nel giudizio di Francesco d'Ovidio.<ref>F. D'Ovidio, ''Saggi critici'', Napoli, Morano, 1871, pp. 266-267. Non fu più tenero il Solerti; cfr. op. cit., I, p. 475</ref>