Sentenza Corte Costituzionale n. 120/2014 (Insindacabilità Interna Corporis Acta): differenze tra le versioni

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== Fatto ==
 
Un dipendente del Senato è ricorso in Cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso un atto/provvedimento del Parlamento, in particolare del [[w:Consiglio di garanzia|Consiglio di garanzia del Senato]], nell’ambito di un giudizio di ottemperanza relativo ad una causa di lavoro. La Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 del regolamento del [[w:Senato della Repubblica|Senato della Repubblica]] approvato il 17 febbraio 1971, e successive modifiche, nella parte in cui attribuisce al Senato il potere di giudicare in via esclusiva e definitiva i ricorsi avverso gli atti e i provvedimenti adottati dall’amministrazione di quel ramo del Parlamento nei confronti dei propri dipendenti.
 
La Corte remittente ravvisa vari motivi di illegittimità costituzionale.
La Corte di Cassazione sa che ai sensi dell'art. 12 dei Regolamenti e di varie sentenze della Corte di cassazione (nonché della sentenza n. 154/1985 della Corte costituzionale) si è ravvisata una [[w:autodichia|autodichia]] da parte del [[w:Parlamento della Repubblica italiana|Parlamento]] in alcune sue materie di natura interna. Ugualmente, prendendo spunto da una di tali sentenze, invita a riflettere sul punto che tali regolamenti - in quanto fonti (fonti-atto) di diritto oggettivo, assimilabili alle leggi formali, con le quali versano in rapporto di distribuzione (costituzionale) di competenza normativa a pari livello - siano sindacabili in alcuni punti. Nel rifarsi integralmente a tale prospettazione, le sezioni unite sottolineano la differenza tra l’esercizio delle funzioni legislative o politiche delle Camere, da un lato, e gli atti con cui le Camere provvedono alla propria organizzazione, dall’altro. Il Collegio riconosce la necessità di garantire alle stesse Camere una posizione di indipendenza affinché le stesse siano libere da vincoli esterni suscettibili di condizionarne l’azione; la Corte rimettente ritiene tuttavia che l’autodichia sui propri dipendenti non costituisca una prerogativa necessaria a garantire l’indipendenza del Parlamento e non sia affatto coessenziale alla natura costituzionale degli organi supremi; ed invero la Costituzione non tollera l’esclusione dalla tutela giurisdizionale di una categoria di cittadini e l’autonomia che spetta al Parlamento non comprende il potere di stabilire norme contrarie alla Costituzione.
Su questo punto la Corte ritiene che l’autodichia del Senato si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto una categoria di cittadini viene esclusa dalla tutela giurisdizionale in ragione di un elemento (l’essere dipendenti del Senato) non significativo ai fini del trattamento differenziato. A ciò la Corte di cassazione riconduce anche la violazione dell’art. 24 Cost., secondo cui «Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti […]» e che, al secondo comma, definisce la difesa «diritto inviolabile».
Le sezioni unite denunciano inoltre la violazione dell’art. 102, secondo comma, Cost., essendo gli stessi soggetti sottoposti ad un giudice speciale − quanto alle loro cause di lavoro − istituito dopo l’entrata in vigore della Costituzione. E infine il giudice ''a quo'' lamenta la violazione dell’art. 111 Cost.; in particolare il ''vulnus'' viene ravvisato con riferimento: al principio del giusto processo (primo comma), non potendo definirsi «giusto» un processo che si svolge dinanzi ad una delle parti; alla necessità che il contraddittorio si svolga davanti ad un giudice terzo e imparziale (secondo comma), ciò che non si verificherebbe nell’autodichia; al fatto che contro le sentenze è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge (settimo comma).