La Costituzione italiana: differenze tra le versioni

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La prima parte della Costituzione contiene i principi fondamentali e l’enunciazione dei diritti che devono conformare l’ordinamento intero, la cui penetrazione nello stesso è stata forse la performance più inattesa.
E’ noto come nei primi anni della sua applicazione, vi sia stata molta resistenza a riconoscere alla nuova Costituzione la possibilità di applicazione diretta, senza intervento mediatore della legge ordinaria.
La distinzione tra norme precettive e programmatiche aveva sterilizzato l’innesto della Costituzione democratica in un tessuto normativo (codici, legislazione ordinaria e regolamenti di attuazione), nonchènonché nel contesto di un organico degli apparati burocratici e della magistratura che erano transitati dal regime fascista a quello repubblicano senza alcuna reale rottura, senza rilevanti discontinuità.
I modelli organizzativi della pubblica amministrazione rimasero sostanzialmente gli stessi e l’azione antifascista si ridusse ad un’opera di ripristino del vecchio ordinamento, col quale la Costituzione non poteva fondersi armoniosamente; nè i giudici, abituati a disconoscere fonti superiori alla legge ordinaria, erano predisposti a mutare radicalmente i loro paradigmi.
Fu soltanto a distanza di parecchi anni che la generalità degli operatori giuridici cominciò ad avvertire l’impatto dei nuovi principi sulle attività interpretative.
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Addirittura il Governo, davanti alla Corte costutizionale ai suoi esordi, arrivò a difendere la legislazione repressiva fascista che si poneva contro norme costituzionali che garantivano le libertà, sostenendo che solo le norme costituzionali precettive (e non programmatiche, come quelle) avrebbero potuto produrre l’abrogazione diretta del diritto vigente anteriormente alla Costituzione.
La Corte ha sin da subito sconfessato questo teorema, affermando la sua competenza a giudicare della compatibilità con la Costituzione delle leggi ad essa anteriori; ciò implicava l’affermazione netta della prevalenza delle norme costituzionali su qualsiasi altra norma vigente nell’ordinamento.
Talvolta la prevalenza delle norme costituzionali può operare coi meccanismi dell’abrogazione, ma avviene di rado, perchèperché la norma costituzionale abrogante dovrebbe essere sufficientemente precisa (e non un semplice principio) e la sua applicazione non condizionata a successive integrazioni normative.
E’ vero che mai la Corte non ha mai dichiarato abrogata una norma sottoposta ad un suo giudizio di legittimità, dato che spetterebbe giudici ordinari.
Del resto, che le norme costituzionali abroghino tacitamente le disposizioni legislative precedenti contrastanti è un fenomeno ritenuto del tutto normale sia a seguito dell’introduzione della Costituzione, sia in conseguenza dell’entrata in vigore delle leggi di revisione costituzionale.
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In molti casi è la Corte costituzionale a fissare il “precedente” da cui i giudici ordinari deriveranno l’interpretazione conforme alle leggi (celebre esempio è la sentenza in materia di danno biologico.
Ma molto spesso è il giudice ordinario a procedere all’interpretazione costituzionalmente orientata (alla quale talvolta si conforma la stessa Corte costituzionale).
Quando la saldatura tra le due fonti non è possibile, perchèperché il testo della legge non consente un’interpretazione adeguatrice (valutazione rimessa al giudice), la Corte procede con la rimozione della disposizione legislativa.
 
== Le Sentenze Additive ==
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Vi sono però sentenze “interpretative di accoglimento”, dette che “manipolative”, in cui l’effetto normativo è particolarmente vistoso; comprendono:
* sentenze di accoglimento parziale, in cui viene colpita da illegittimità solo una ristretta parte della disposizione
* sentenze sostitutive, in cui è dichiarata illegittima la disposizione nella parte in cui “prescrive un determinato comportamento anzichèanziché un altro
* sentenze additive, in cui l’impugnazione di una disposizione e la sua dichiarazione di illegittimità non toccano direttamente il testo, ma solo una delle norme che può esserne ricavata; queste sentenze presentano poi l’aspetto ulteriore di aggiungere una norma ad un testo che non sembrava capace di esprimerla (ciò significa che la stessa disposizione di legge può essere dichiarata illegittima più volte, senza che il testo venga toccato, con l’addizione incrementale in esso di significati); d’altra parte, l’annullamento dell’intera disposizione potrebbe causare situazioni ancora più pesanti dell’illegittimità, oppure la produzione di vuoti enormi nella
legislazione.
Le sentenze additive rappresentano un meccanismo di produzione normativa che si basa su un’intesa collaborazione tra giudice e Corte costituzionale; questa infatti ha posto alcune condizioni all’ammissibilità di pronunce additive, le quali di solito nascono dalla richiesta del giudice di estendere le prestazioni o garanzie previste dalla legge alla situazione di cui si trova a trattare, ritenendo che l’esclusione di essa non sia ragionevole; il che significa che in genere questo tipo di sentenze sono la conseguenza di un giudizio di ragionevolezza, basato di regola sul principio di eguaglianza.
Il giudizio di ragionevolezza si basa sulla giustificazione delle differenziazioni o parificazioni di trattamento; di conseguenza il giudice, per provocarlo, deve formulare con cura il petitum, fissando il profilo e i termini del contrasto nell’ordinanza di rimessione, pena l’inammissibilità della questione.
La Corte infatti pretende che sia il giudice remittente ad indicare il verso dell’addizione, ossia la norma da aggiungere alla disposizione impugnata, formulando la relativa fattispecie astratta in modo che non si allontani più del necessario alla fattispecie concreta del suo caso (la norma non può essere formulata liberamente, perchèperché il giudice deve delimitare la questione di legittimità nei termini rigorosi della rilevanza).
Il giudice formula la questione rispettando la regola della pregiudizialità, cioè legando i termini generali ed astratti del quesito che propone alla Corte alle caratteristiche particolari e concrete del caso che sta giudicando.
La Corte, controllato il rispetto della regola della rilevanza, deve pronunciarsi nel rispetto del thema decidendum, ossia del quesito tracciato dall’ordinanza del giudice a quo.
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Nei casi esaminati finora, l’applicazione dei principi costituzionali ai rapporti giuridici si compie in via indiretta, tramite l’interpretazione adeguatrice della legge o attraverso la dichiarazione di illegittimità di una disposizione legislativa per quello che esprime o omette di prevedere.
In alcuni casi il giudice ordinario trova direttamente nei principi costituzionali la norma da applicare al caso; ciò si verifica soprattutto in alcune ipotesi:
* caso di applicazione della Costituzione come fonte diretta della regola al caso, fu quello in cui gli art 36-37 Cost in ordine all’entità della retribuzione sufficiente del lavoratore e della parità di diritti della donna lavoratrice furono impiegati non solo per dichiarare la nullità delle clausole contrattuali non corrispondenti ai criteri in essa indicati, ma anche per elaborare la regola che fissava l’ammontare della retribuzione senza l’intermediazione di una legge attuativa, nonchènonché l’obiettiva parità delle prestazioni lavorative delle donne. Altri casi si sovrappongono a quelli di dichiarazione dell’avvenuta abrogazione tacita di disposizioni previgenti in forza delle norme costituzionali o di disapplicazione di regolamenti amministrativi illegittimi.
* una seconda ipotesi si realizza quando la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità di disposizioni in cui il legislatore ha fissato un assetto troppo rigido degli interessi, impedendo al giudice di comporre il loro conflitto in relazione al caso concreto; sono i casi di delega del bilanciamento, in cui la Corte, fissata la topografia degli interessi rilevanti in gioco, affida al giudice il compito di valutare le circostanze di fatto ed elaborare la regola di prevalenza con cui giustificare il bilanciamento (la Corte non sostituisce l’assetto fissato dal legislatore con l’indicazione di un punto di equilibrio alternativo, perchèperché ritiene che a ciò si possa pervenire solo in considerazione delle concrete e specifiche condizioni di tempo, modo, luogo). Tipico è il caso dei reati d’opinione, per i quali la Corte ha ritenuto che possa sussistere qualche caso concreto in cui la disposizione restrittiva della libertà possa avere applicazione legittima per tutelare interessi rilevanti, ma ha rinviato al giudice di merito di operare il bilancia mento tra essi in relazione alle circostanze specifiche. In questi casi la regola al caso è fissata dal giudice ordinario con applicazione diretta e bilanciata dei principi costituzionali.
* in caso di una vera e propria lacuna dell’ordinamento, il divieto del non liquet impone al giudice di ragionare in base ai principi generali dell’ordinamento giuridico, partendo inevitabilmente dai principi costituzionali.
Particolare risonanza hanno avuto le sentenze della Cassazione civile in merito al caso Englaro, in cui la Corte ha affrontato “una delicata opera di ricostruzione della regola di giudizio nel quadro dei principi costituzionali” in assenza di specifiche norme legislative, per decidere in merito alla richiesta di interrompere trattamenti sanitari presentata dal tutore della persona in stato vegetativo persistente e permanente, pur non essendoci alcuna dichiarazione anticipata di trattamento.
La stessa Corte costituzionale aveva indicato questa strada, potendo essa limitarsi a fissare la topografia degli interessi in gioco (indicando implicitamente la strada al giudice di merito), ma trovandosi nell’impossibilità di decidere in merito alla questione prospettata dal giudice, mancando una disposizione di legge riferibile al caso. Al giudice veniva perciò affidato il compito di individuare la regola del caso attraverso un bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti.
La Corte di Cassazione allora sviluppa i suoi precedenti in tema di consenso libero e informato ai trattamenti sanitari, che avevano fatto perno sugli artt 32.2, 13 e 2 Cost, per riaffermare il principio che “il consenso informato ha come correlato non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di rifiutare la terapia e decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”, principio da cui deriva il corollario “deve escludersi che il diritto di autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite allorchèallorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita”.
Da qui, la norma al caso: “ove il malato giaccia in stato vegetativo permanente da moltissimi anni, tenuto in vita da un sondino nasogastrico...... su richiesta del suo tutore e nel contraddittorio col curatore speciale il giudice può autorizzare la disattivazione del sondino quando lo stato vegetativo sia accertatamente irreversibile e tale istanza sia espressiva della voce del paziente..”
 
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Ad un secondo livello, i principi costituzionali costituiscono dei punti di riferimento costanti per il giudice, sia in chiave d’interpretazione delle disposizioni costituzionali sia per il completamento dell’ordinamento.
I principi costituzionali sono per lo più norme “a fattispecie aperta” o senza alcuna fattispecie, che raramente fissano già la regola di prevalenza tra interessi concorrenti, specificando quando uno debba prevalere sull’altro; ciò richiede al giudice di effettuare un’opera di bilanciamento per poter individuare la regola del caso.
Sotto questo profilo, il “rinvio ai principi generali” operato dall’art 12 Preleggi assume oggi un significato più pregnante, perchèperché non solo più da ricercare solamente nelle norme poste dal legislatore, poichèpoiché la Costituzione offre riferimenti positivi.
Anche la precedenza fissata dallo stesso articolo 12 dell’intenzione del legislatore sul ragionamento per principi appare oggi invertita.
Il Tribunale di Cagliari infatti, in una decisione relativa all’analisi preimpianto nella fecondazione medicalmente assistita, forza l’interpretazione adeguatrice della legge esplicitamente argomentando sulla prevalenza, tra gli strumenti ermeneutici, dell’orientamento ai principi costituzionali rispetto alla considerazione delle intenzioni del legislatore: l’obbligo di interpretare la legge in senso conforme ai principi costituzionali non può trovar limite nell’intenzione del legislatore quale emerge dai lavori parlamentari prodromici all’approvazione della legge; questi possono al limite servire ad individuare il significato delle disposizioni.