Genova vista da illustri viaggiatori: differenze tra le versioni

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[[File:Genova - Veduta da Palazzo Doria poi Tursi-Audot - da L'Italie..., Paris, Audot Fils, 1834-1837.jpg|350px|thumb||[[Genova]] vista dal giardino di [[Palazzo Doria-Tursi]], sede del Comune, in un'[[incisione]] della prima metà del [[XIX secolo]] del francese Audot]]
{{vai a|Genova}}
{{quoteCitazione|Genovesi, ovvero mercanti|Poeta anonimo del [[XII secolo]]|lingua=lt|Ianuensis, ergo mercator}}
La città di '''[[Genova]]''', come molte altre località italiane ricche di fascino e di [[storia]], è stata visitata, raccontata, amata e talvolta anche criticata da numerosi viaggiatori illustri. Le sue strade, le sue fontane, i suoi palazzi, le sue gallerie d'arte hanno destato lo stupore di molti di essi. Talvolta ne hanno registrato anche il disappunto ma, più spesso, anche una ''celebrazione'' la più sfacciatamente iconografica se non improbabile.
 
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}}
 
{{quoteCitazione|Ombre di facce facce di marinai / da dove venite dov'è che andate|[[Fabrizio De André]], [[Creuza de mä]], [[1984]]|Umbre de muri muri de mainé / dunde ne vegnì duve l'è ch'ané|lingua=lij}}
"''Ho ricordato, lo confesso, i versi di [[Montesquieu]] sul piacere di lasciare Genova e il famoso proverbio italiano: "Mare senza pesci, donne senza bellezza, ecc. ecc.''", scriveva [[Stendhal]] in ''Memorie di un turista'' ([[1837]]).
 
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== Donne genovesi e marinai di tutti i mari ==
[[Mark Twain]], in ''Innocenti all'estero'', [[1867]]:
{{quoteCitazione|Mi piacerebbe restare qui, preferirei non procedere oltre. Può darsi che vi siano in Europa donne più graziose, ma io ne dubito. La popolazione di Genova è di centoventimila anime: di queste, due terzi sono donne, e almeno due terzi delle donne sono belle; ben vestite, fini, leggiadre quanto si può senza essere angeli. Gli angeli, però, non sono molto ben vestiti, mi pare: almeno quelli dei dipinti: non hanno che le ali.|}}
[[File:Antica figura di donna genovese.JPG|right|thumb|275px|Immagine di donna genovese intenta all'arte del [[ricamo]]]]
E ancora:
{{quoteCitazione|... queste donne genovesi sono incantevoli. La più gran parte di queste damigelle sono vestite di una bianca nube dalla testa ai piedi, sebbene molte si adornino in una maniera più complicata. Nove su dieci non hanno sul capo null'altro che un sottilissimo velo ricadente sulle spalle a guisa di bianca nebbia. Hanno capelli biondissimi e molte di loro occhi azzurri, ma più spesso si vedono occhi neri e sognanti occhi castani ...|}}
Nello scorrere del breve brano di prosa è racchiuso probabilmente il senso della bellezza mediterranea delle donne genovesi di metà [[XIX secolo|Ottocento]], coi loro vestiti ampi, il capo coperto da veli o talvolta, nelle fasce più popolari, ''mezeri'' multicolori di foggia [[medio Oriente|mediorientale]].
 
Ma Twain aiuta ancora a meglio conoscere e capire Genova, attraverso lo studio dei suoi abitanti, ampliando il suo punto di osservazione:
{{quoteCitazione|Le signore e i gentiluomini di Genova hanno la piacevole abitudine di passeggiare in un ampio parco in cima a una collina al centro della città'' [ nota: il parco a [[Spianata dell'Acquasola]] ] ''dalle sei alle nove di sera; e quindi, per un altro paio d'ore, di prendere il gelato in un giardino adiacente.|}}
 
Nel medesimo anno, e più genericamente, [[Aleksandr Herzen]] poteva così stupirsi:
{{quoteCitazione|I genovesi [...] è difficile osservarli: vi guizzano di continuo davanti agli occhi, corrono, si affacendano ([[sic]]), scorazzano (sic) di qui e di là, si affrettano. I vicoli verso il mare brulicano di gente, ma quelli che stanno fermi non sono genovesi, sono marinai di tutti i mari e di tutti gli oceani ...|da ''Passato e pensieri'', 1867}}
 
== Marmo e ardesia: i palazzi di una città "solida" ==
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''Genova è la città dei contrasti, dei grandi palazzi e dei miseri "[[carruggi]]"'', scriveva nel [[1896]] lo scrittore spagnolo [[Vicente Blasco Ibanez]]. Per aggiungere poi:
{{quoteCitazione|In alto, sulla cima delle colline, giardini lussureggianti, ville marmoree, veri nidi d'amore che fanno ricordare i voluttuosi alberghetti francesi del tempo della Reggenza; in basso, vicino al porto, quartieri che sono veri ghetti con viuzze strette e sotterranee, dove le grondarie si toccano e tre persone non possono camminare fianco a fianco per la rapida discesa dell'acciottolato.|}}
 
E più avanti:
{{quoteCitazione|In nessuna parte d'Italia, né del mondo, si è usata tanto, sino all'abuso, questa pietra'' [il marmo], ''preziosa e carissima in altri paesi, ma qui trattata col disprezzo dell'abbondanza fino al punto da servire molte volte per acciottolare le strade [...] A notte inoltrata, quando l'illuminazione pubblica incomincia a venir meno, queste strade strette, con le loro pareti di marmo che sembrano risalire fino alle stelle che occhieggiano, ricordano al passante le sconvolte gallerie di una cava nella quale il piccone ha tracciato capricciosamente profili e rilievi: alla luce del sole queste ferite sono prodigi d'arte. Le antiche glorie della Repubblica genovese, la potenza che le dettero i suoi marinai e commercianti si rivela in questi grandi palazzi che erano abitati dai patrizi liguri, quelle famiglie che, con intrighi e cospirazioni, si disputavano le cariche di [[doge (Repubblica di Genova)|doge]] o di capitano della Repubblica ... Quarantasette palazzi, tutti splendidi nel loro interno, e tutti di marmo dalle fondamenta all'ultima balaustra, si contano nelle quattro vie che costituiscono la spina dorsale della città.|}}
 
[[File:Mark Twain Cigar.jpg|thumb|right|125px|[[Mark Twain]]]]
Ancora [[Mark Twain|Twain]] [cit.]:
{{quoteCitazione|La "Superba", la "città dai bei palazzi", sono da secoli gli appellativi di Genova. Certo essa è piena di palazzi, e questi dentro sono sontuosi ma esternamente molto malandati e senza pretese di grandiosità architettonica. "Genova la Superba", sarebbe un titolo indovinato se si riferisse alle donne. Di palazzi ne abbiamo visti parecchi: immensi molti dagli spessi muri, con grandi scalinate di pietra, pavimenti tassellati di marmo (talvolta lavori a mosaico, di disegno complicato, ornati di cristalli di rocca o di piccoli frammenti di marmo fissati con il cemento) e grandiosi saloni con alle pareti dipinti di [[Rubens]], [[Guido Reni]]. [[Tiziano]], [[Paolo Veronese]], ecc., e ritratti di capostiti della famiglia in elmi piumati e splendide armature, e di patrie in stupefacenti vestiti di secoli fa.|}}
 
L'autore de [[Le avventure di Tom Sawyer]], a questo punto, non risparmia una tirata ai ''padroni di casa'', che ''naturalmente'' - scrive - sono ''tutti in campagna per l'estate'' (aggiungendo poi, modesto: ''e se fossero stati qui, probabilmente non ci avrebbero conosciuti abbastanza per invitarci a pranzo'').
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[[File:Sigmund Freud LIFE.jpg|thumb|right|125px|Sigmund Freud]]
[[Sigmund Freud]], che abitò a [[Rapallo]], sulla [[riviera ligure]] di levante nel [[1905]], scriveva, in una lettera datata 17 settembre:
{{quoteCitazione|Genova la conosci: è imponente, solida, quasi altera, pulita, benestante; notevolissima è la diffusione della [[lingua tedesca]] negli alberghi e nei negozi ... vi sono più insegne tedesche a Genova che a [[Trieste]] o a [[Praga]] ... Alla fine della settimana ritornerò, avendo consumato buona parte dei miei onorari editoriali, presto vedrò l'ultimo [[olea europaea|olivo]], l'ultima [[magnolia (botanica)|magnolia]] e così via ...|}}
 
Da notare che due anni dopo, nel [[1907]], in ''Psicopatologia della vita quotidiana'' lo stesso Freud darà conto di una conversazione su ''Genova e i suoi dintorni'' avuta con un giovanotto che ''vuole nominare anche la località di [[Pegli]] ma riesce a ricordare questo nome soltanto dopo lunghi sforzi'' e solo grazie a fortuite assonanze fonetiche con un nome similare letto su un [[libro]].
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Nel [[1845]] l'autore di [[Madame Bovary]] condensò la sua esperienza genovese in una raccolta di lettere che bene rende conto del suo sentimento verso la città ligure:
{{quoteCitazione|Da [[Voltri]] a Genova si vedono sempre case, tutto annuncia una grande città. Presto il porto appare e si vede la bella città seduta ai piedi delle montagne: il faro della [[Lanterna di Genova|Lanterna]], come un minareto, dà all'insieme qualche cosa d'orientale e si pensa a [[Costantinopoli]]|}}
Probabilmente, ''una bellezza che strazia l'anima'', come avrà modo di scrivere successivamente da [[Milano]] ad Ernest Chevalier (lettera del 15 giugno).
 
[[File:Gustave Flaubert.jpg|right|thumb|150px|[[Gustave Flaubert]]]]
E scrive ancora:
{{quoteCitazione|Ho visto una bellissima strada, la [[via Aurelia]], ed ora sono in una bella città, una vera bella città, Genova. Cammino sul marmo, tutto è di marmo: scale, balconi, palazzi. I palazzi si toccano tanto sono vicini e, passando dalla strada, si vedono i soffitti patrizi tutti dipinti e dorati. Vado a visitare le chiese, sento cantare suonare l'[[organo (musica)|organo]], guardo i monaci, osservo i paramenti sacri, gli altari, le statue; in altri momento (ma non so bene quali) forse avrei riflettuto di più e guardato di meno. Invece qui spalanco gli occhi su tutto, ingenuamente, semplicemente, e forse è molto meglio ...|da ''Lettera ad Alfred Le Poittevin'', 1º maggio}}
 
Nel resoconto fedele e visibilmente emozionato dello scrittore, vi è posto anche per una curiosa osservazione a proposito di un personaggio che alla fantasia nulla deve: [[Don Giovanni (opera)|Don Giovanni]]:
{{quoteCitazione|Bisognerebbe pensare a lui soltanto qui: è bello immaginarlo mentre si vaga nelle chiese italiane all'ombra dei marmi ... Deve essere molto dolce amare in questi luoghi'' |}}
Flaubert tornerà a parlare di Genova in una lettera di pochi giorni successiva, data ancora da [[Milano]], dove si era nel frattempo trasferito:
{{quoteCitazione|Durante il mio viaggio ciò che ho visto di più bello è Genova. Ti consiglio di andarvi un giorno o l'altro ... Dopo aver visitato i suoi palazzi si ha un tale disprezzo del lusso moderno che viene voglia di abitare in una scuderia e di uscire vestiti da operai ...|da ''Lettera a Ernest Chevalier'', 13 maggio}}
 
Anche [[George Byron]] apprezzò il suo passaggio per Genova. In [[Albaro (quartiere di Genova)|via Albaro]], una lapide ricorda ancora il suo soggiorno nella villa in cui abitò.
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[[File:Staglieno1-statua.jpg|thumb|right|175px|Statua al [[cimitero monumentale di Staglieno|cimitero di Staglieno]]]]
Qui si riprende un passaggio - controcorrente e di epoca più recente - di [[Pio Baroja]] (letterato spagnolo definito dai biografi inquieto e contraddittorio, [[1872]] - [[1956]]) che nel [[1949]] in ''Il volto degli italiani'' scriveva, a proposito del cimitero monumentale:
{{quoteCitazione|Mi fu raccomandato di andare a vedere i cimiteri di Genova. Raggiunsi in tram un antico camposanto in una valle del fiume [[Bisagno]], molto amena e placida, e mi riferirono che a poca distanza ve n'era un altro, pieno di statue. Lo vidi e non mi piacque per niente. Mi diede l'impressione di un baraccone di figure di cera, prive di colore.|}}
Va detto che il giudizio di Baroja non fu - almeno in quella occasione (e non si sa se ce ne sia stata un'altra) - benevolo nei confronti di Genova (''che fin dall'antichità ha cercato di trarre vantaggio dal mare e dal commercio''), tanto da definire ''piuttosto mediocri'' le statue moderne qui presenti, al pari di quelle delle città italiane, e ''un patriota italiano violento e focoso'' [[Giuseppe Mazzini]] che, a Staglieno, appunto, riposa.
 
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In questo contesto poteva nascere un piccolo fenomeno di costume come quello dell'''Hotel Miramare'', meta di attori, teste coronate, statisti, un albergo - si direbbe oggi - da ''quattro stelle'', destinato ad una clientela non comune, e del quale uno scrittore del calibro di [[Francis Scott Fitzgerald]], che nell'Hotel trascorse assieme alla moglie Zelda, una notte del [[1924]], darà in ''L'età del [[jazz]]'' ([[1934]]) una descrizione illuminante:
{{quoteCitazione|Il Miramare di Genova inghirlandava la curva oscura della spiaggia con festoni di luce e la sagoma delle montagne faceva spicco sullo sfondo nero grazie al riverbero delle finestre degli alberghi più in alto ...|}}
 
Altri tempi e, evidentemente, altri alberghi verrebbe da pensare. E dalle alture sopra il porto, fra i palmizi del giardino del Miramare, il ''remare per ritrovarsi proiettati verso il passato'' - alla maniera del ''Grande Gatsby'' - doveva sembrare un esercizio dolce anche per lo scrittore che stava segnando un'epoca letteraria.
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[[File:Michel de Montaigne.jpg|thumb|right|150px|[[Michel de Montaigne]]]]
Si dà conto qui - uno per tutti - di un testo di [[Michel de Montaigne|Montaigne]] risalente al [[1581]] (''Giornale di viaggio in Italia'') che bene restituisce l'idea di qualcosa che poteva essere e non è stato:
{{quoteCitazione|[In viaggio da [[Massa Carrara]]] - Per andare a [[Milano]] c'è poca differenza di passar per Genoa ''[testuale]'', o per l'altra via, e torna a uno. Desiderava veder quella città e l'imperatrice che ci era. Mi disturbò che, per andarci, sono due strade, l'una lunga di tre giornate di Sarrezana ''[l'odierna [[Sarzana]]]'', la quale ha quaranta miglia di cattivissima ed alpestrissima via di sassi e precipizi, e male osterie: poco si bazzica quella via; l'altra è per [[Lerici]] discosto tre miglia di Sarrezana, dove si mette per mare e si passa in dodici ore in Genoa. Io, non sopportando l'acqua per il difetto del stomaco, e non tanto sospettando il disagio di quella strada, quanto il stentare d'alloggiare per la gran calca ch'era in Genoa; e di più, che si diceva, che la strada di Genoa a Milano non era troppo sicura di ladri; e non avendo altro in testa che il mio ritorno; mi risolsi di lasciar Genoa da parte, e segui la strada a man dritta fra molte montagne, tenendo sempre il fondo e vallone, il lungo del fiume [[Magra]]. Et avendola a man stanca, passammo adesso per il Stato di Genoa, adesso del duca di [[Firenze]], adesso dei signori di casa Malaspina. Infine, per una via comodamente bona, fuori di qualche passi scoscesi e diripiti, giunsimo a dormire a [[Pontremoli]].|}}
 
[[File:Genova-Parco dell'Acquasola-incisione di L.M.Gautier.JPG|150px|right|thumb|Il [[parco dell'Acquasola]] in un'incisione dell'Ottocento]]