Il Risorgimento: differenze tra le versioni

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== I Carbonari ==
Nei carbonari i luoghi di riunione erano detti ''baracche'': le varie associazioni locali erano dette ''vendite''. La vendita più importante di una regione di chiamava ''alta vendita'', cioè vendita centrale. Gli appartenenti alla società si chiamavano tra loro ''buoni cugini''. La bandiera dei carbonari era un tricolore azzurro (colore della speranza), rosso (colore della libertà) e nero (colore della fede), il loro motto era ''Libertà o morte''. La loro pianta rappresentativa era l'acacia, perché è sempre verde e pungente. La cerimonia dell'iscrizione alla carboneria si svolgeva così: colui che desiderava iscriversi si inginocchiava sul ginocchio sinistro e rivolgeva un pugnale verso il cuore, poi pronunciava il giuramento, attorno a lui stavano con un pugnale in mano in atteggiamento di minaccia. Il capo pronunciava queste parole:
''Tutti questi pugnali saranno in tua difesa in ogni momento, se osserverai la santità del giuramento prestato; saranno invece a tuo danno se diventerai spergiuro. La pena del tradimento è la morte'', poi il capo lo abbracciava, nominandolo carbonaro.
La carboneria si diffuse molto nell'esercito, nella burocrazia, tra gli intellettuali ed i giovani nobili di idee aperte. Nel 1820, secondo lo storico P. Colletta, vi erano 642.000 carbonari nel solo Regno delle Due Sicilie. Mancò tuttavia alla carboneria una solida organizzazione sociale ed un programma politico ben definito e preciso. Ad esempio, i carbonari del Lombardo - Veneto volevano la costituzione, ma anche la guerra contro l'Austria, in Romagna si voleva addirittura la repubblica. La carboneria commise inoltre il grave errore di mantenere estranei alla loro società i contadini e gli operai, e ciò fu una delle cause del fallimento dei moti rivoluzionari dei carbonari.
== I moti napoletani del 1820 ==
L'origine e la causa dei moti liberali del 1820-21 in Italia fu la rivoluzione spagnola del 1820. Nel gennaio del 1820 Ferdinando VII, re di Spagna, aveva concentrato a Cadice un corpo di spedizione da mandare in America per sottomettere le colonie spagnole che avevano ottenuto l'indipendenza. Le truppe si ribellarono, rifiutarono d'imbarcarsi e sotto il comando del colonnello Riego marciarono su Madrid per ottenere la riconferma della costituzione che lo stesso re aveva concesso nel 1812 (simile a quella francese del 1791, con una solo camera).
Gli avvenimenti spagnoli ebbero una prima ripercussione nel Regno delle Due Sicilie. A Nola, ai primi di luglio dello stesso anno, due ufficiali di cavalleria, Morelli e Silvati, fecero insorgere la guarnigione e marciarono verso Avellino al grido di ''Viva il re! Viva la costituzione!''. In breve il moto si propagò a Napoli, dove assunse il comando delle truppe insorte un giovane di 17 anni e audace generale, Guglielmo Pepe. Il re Ferdinando I, impaurito dalla rapidità con cui l'incendio carbonaro si era propagato, concesse ''di sua propria libera volontà'' la costituzione, che giurò sul vangelo tra il commosso entusiasmo della popolazione e dell'esercito. Intanto anche la Sicilia insorgeva per ottenere l'autonomia. Appena il Metternich seppe della rivoluzione napoletana convocò un congresso a Lubiana, al quale invitò il re delle Due Sicilie. Questi non attendeva altro, richiese al parlamento il permesso di uscire dal regno per recarsi a difendere la costituzione. Invece il re spergiuro andava a Lubiana ben lieto di poter seppellire la costituzione. Il tradimento era sempre presento nel suo animo, ed infatti subito gettò la maschera e chiese l'intervento armato dell'Austria, che inviò un corpo di spedizione contro il quale nel marzo del 1821 a Rieti poco poté il generale Pepe, che venne facilmente sconfitto. E sotto la protezione austriaca Ferdinando I tornò a Napoli. La reazione si scatenò con vendette feroci. Morella e Silvati furono impiccati. Molti riuscirono a trovare salvezza con la fuga, tra essi il generale Pepe.
 
== I moti dell'Emilia-Romagna ==
La rivoluzione francese del 1830 non ebbe ripercussioni né in Piemonte né nel Regno delle due Sicilie. In questi due Stati molti patrioti si trovavano in carcere o erano in esilio.
La rivoluzione invece scoppiò nell'Italia centrale.
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I sovrani potevano tornare sui loro troni. Maria Luisa ed il Papa si mostrarono miti. Francesco IV invece si abbandonò a furiose vendette: moltissime le condanne. Ciro Menotti fu impiccato: prima di morire scrisse alla sua moglie una bellissima lettera, documento di caldo amore di patria e di fede nella Provvidenza. La lettera, scritta due ore prima dell'esecuzione e affidata a un sacerdote, non fu recapitata: venne ritrovata nel 1848 tra le carte del Ministero della Polizia, a Modena.
 
== Mazzini ed i carbonari ==
Nell'aprile 1831 moriva a Torino Carlo Felice, re di Sardegna: il nipote Carlo Alberto saliva al trono.
 
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La risposta del sovrano sabaudo non si fece attendere: ordinò che il Mazzini fosse arrestato, nel caso che si fosse presentato alla frontiera piemontese.
 
== La giovane Italia ==
Secondo il Mazzini, che aveva meditato a lungo, i difetti più gravi della Carboneria più gravi erano i seguenti:
#non aveva un programma unico e mancava di unità di comando;
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#Dio e Popolo. Dio è nel popolo e la volontà del Popolo è la stessa volontà di Dio;
#Culto del dovere. La vita di ogni uomo è una missione; ogni uomo ha un suo compito, una sua santa battaglia da combattere per il bene degli altri uomini.
== I moti mazziniani ==
Il primo moto mazziniano doveva scoppiare nel 1833, contemporaneamente a Genova e ad Alessandria. Ma la polizia piemontese vigilava: i congiurati, in gran parte arrestati, furono condannati assai severamente. Dodici di essi, tutti mazziniani, vennero fucilati. Un amico carissimo del Mazzini, il genovese Iacopo Ruffini, mentre era in carcere, temendo che sottoposto alla tortura avrebbe potuto confessare il nome degli altri congiurati, decise di uccidersi. Tolse alla porta del carcere una spranghetta di ferro arrugginita, né aguzzò la punta sulle pareti e si aprì le vene. Altri, come il sacerdote torinese Vincenzo Gioberti, trovarono la salvezza nell'esilio o nella fuga.
 
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Il Mazzini intanto fu espulso dalla Svizzera e costretto a rifugiarsi a Londra.
L'insuccesso non lo piegò. Dalla libera Inghilterra continuò con i discorsi, gli articoli sui giornali, le lettere a mantenere vivo il fuoco dell'amor di patria.
== I fratelli Bandiera ==
Nel marzo del 1844 scoppiò un moto insurrezionale in Calabria, che fu rapidamente soffocato dalla polizia borbonica.
La notizia tuttavia di questo moto spinse alcuni ferventi mazziniani a compiere uno sbarco in Calabria per rianimare l'insurrezione. Mazzini da Londra cercò di dissuaderli, conoscendo le scarsissime possibilità di successo: ma essi vollero egualmente tentare la disperata impresa.
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Solo otto tra essi ebbero la pena commutata nel carcere duro; gli altri, tra i quali i fratelli Bandiera, morirono fucilati nel tristo vallone di Rovito, presso Cosenza il 25 luglio 1844.
Il loro ultimo grido fu ''Viva l'Italia''.
== Vincenzo Gioberti ed il neoguelfismo ==
La morte dei fratelli Bandiera nel vallone di Rovito suscitò in tutt'Italia un fremito di commozione. Il fallimento di quel moto mazziniano accrebbe la sfiducia nelle idee del Mazzini.
Molti chiedevano se la strada indicata e battuta dal patriota genovese fosse proprio la giusta o se non fosse necessario cercarne un'altra, più capace di raggiungere risultati positivi. I moti isolati, le rivolte violente non avevano prodotto che feroci repressioni.
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Nel 1843 a Bruxelles, dove si era rifugiato, pubblicò un fortunato libro, ''Del Primato morale e civile degli Italiani'', che può essere considerato un autentico best-seller del XIX secolo: in vent'anni se ne stamparono più di ottomila copie.
Certamente l'Italia non poteva vantare in quel tempo primati di nessun genere e lo stesso Gioberti ne era consapevole.
Ma un tempo l'Italia era stata maestra di civiltà a tutto il mondo ed era dunque giusto che essa risorgesse libera tra le altre nazioni.
 
Il Gioberti proponeva di costituire una confederazione pacifica e perpetua di sovrani italiani, guidata e tutelata dal Papa.
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Il termine ''Neoguelfismo'' ricorda i Guelfi, cioè coloro che nel Medio Evo sostenevano il Papa contro l'Imperatore.
 
== Cesare Balbo e Massimo D'Azeglio ==
Alla corrente moderata del Gioberti appartengono due altri scrittori piemontesi: Cesare Balbo e Massimo D'Azeglio.
 
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Con il suo re D'Azeglio aveva avuto il 12 ottobre 1845 un interessante colloquio, in cui il re piemontese dichiarò che la sua vita e quella dei suoi figli sarà spesa per la causa italiana.
Il D'Azeglio rimase incantato e commosso dalla franchezza del Re, che alla fine del colloquio gli pose le mani sulle spelle e lo abbracciò.
== Altre tendenze politiche italiane ==
In contrapposizione con il pensiero neoguelfo sorse una tendenza politica detta ''neoghibellina'', che considerava il Papato come l'ostacolo principale alla liberazione dell'Italia ed il suo nemico maggiore.
Appartennero al neoghibellinismo il poeta Giovan Battista Niccolini, autore delle tragedie ''Arnaldo da Brescia'', ''Giovanni da Procida'', ''Filippo Strozzi'', il romanziere Francesco Domenico Guerrazzi, il poeta satirico Giuseppe Giusti.
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I federalisti repubblicani volevano abbattere le antiche monarchie ed in questo erano d'accordo con Mazzini, ma non volevano l'unità, che era la meta suprema del programma mazziniano. Essi ritenevano più adatto all'Italia un sistema di repubbliche libere, con piena autonomia regionale, come i cantoni della vicina Svizzera.
Le opinioni politiche erano piuttosto varie, tuttavia qualcosa di importante le legava in un vincolo comune: il vivo desiderio dell'indipendenza dell'Italia dallo straniero.
== Pio IX e le riforme ==
Dopo quindici anni di pontificato, nel 1846 morì il papa Gregorio XVI: reazionario com'era non lasciava rimpianti, ma le carceri pontificie piene di detenuti politici.
Veniva eletto papa il vescovo di Imola, Giovanni Mastai Ferretti, nativo di Senigallia, con il nome id Pio IX.
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Dichiaratamente ostili alle riforme rimanevano il Regno delle Due Sicilie, il Ducato di Modena, quello di Parma e soprattutto l'Austria.
 
== Gli statuti ==
Dal 1830 il Regno delle Due Sicilie era retto da Ferdinando II Borbone, uomo rozzo, superstizioso e bigotto fino al punto da ordinare che si coprisse la nudità della Venere di Prassitele.
 
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Così quel moto di riforma, che aveva avuto inizio nel 1846 per opera di Pio IX si concludeva ancora nello Stato Pontificio nel 1848, con la concessione della Costituzione.
 
== Le cinque giornate di Milano (18 - 22 marzo 1848)==
La meravigliosa notizia che la rivoluzione era scoppiata a Vienna il 13 marzo giunse a Venezia il 17 marzo e provocò un grande entusiasmo.
 
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In cinque eroici giorni di lotta Milano vince un esercito di 14.000 uomini, ben armati e comandato dal maresciallo Radetzky in persona. Per la prima volta in Italia l'invincibile esercito austriaco era battuto in una rivoluzione improvvisata da pacifici cittadini, trasformatisi in valorosi combattenti.
 
== La prima guerra d'indipendenza e le rivoluzioni a Venezia nell'Italia centrale ==
=== La campagna del 1848 ===
Il 22 marzo 1848 sul giornale torinese ''Il Risorgimento'' apparve l'articolo ''L'ora suprema della Dinastia di Savoia'': recava la firma di Camillo Cavour.
 
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Nel frattempo Carlo Alberto, informato della manovra austriaca, si preparò adeguatamente. A Goito Radetzky fu battuto e costretto alla ritirata: era il 30 maggio.
 
In quello stesso giorno si arrendeva la fortezza di Peschiera.
 
Questo fu l'ultimo successo dell'esercito piemontese. Poi gli Austriaci ripresero l'iniziativa, conquistarono Vicenza e batterono a Custoza in una lunga battaglia durata tre giorni (23 - 25 luglio) l'esercito piemontese.
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Si concludeva così la prima fase della guerra.
=== Insurrezioni e repubbliche nell'Italia centrale ===
L'infelice fine della prima parte della guerra ebbe gravi conseguenze negli altri Stati italiani.
Si diffuse dopo la sconfitta piemontese il concetto mazziniano che la guerra va fatta con il popolo per il popolo. Mazzini infatti affermò che la guerra regia è finita, e che incomincia la guerra del popolo.
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Leopoldo II di Toscana si vide anch'egli costretto ad abbandonare lo Stato e a cercare rifugio a Gaeta: in sua assenza governò un Triumvirato, di cui il personaggio più autorevole fu Francesco Domenico Guerrazzi.
 
=== La campagna del 1849 ===
In Piemonte nessuno si era rassegnato alla sconfitta: né il Re, né il Parlamento, né la stampa.
Così nel marzo del 1849 Carlo Alberto decise di riprendere la guerra.
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Le repressioni, che seguirono dopo la resa, furono di tale ferocia da disonorare per sempre coloro che le compirono: l'Haynau meritò l'odioso nome di ''iena di Brescia''.
 
=== La fine delle repubbliche di Roma e di Venezia ===
La prima guerra d'indipendenza si era conclusa infelicemente: solo le due repubbliche di Roma e Venezia difendeva ancora ocn ostinata tenacia e valore la loro indipendenza.
Roma era retta da un Triumvirato, formato da Mazzini, Saffi e Armellini.
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L'unica speranza rimane il Piemonte, dove il nuovo Re Vittorio Emanuele II ha conservato lo Statuto ed il Tricolore.
== Preparazione alla seconda guerra d'indipendenza ==
=== Le reazione negli Stati italiani ===
Dopo il fallimento dei noti del 1848 e della prima guerra d'indipendenza, si scatenò in tutti gli Stati italiani, eccettuato il regno di Sardegna, la reazione contro i patrioti.
Nel Lombardo-Veneto il vecchio maresciallo Radetzky perse ogni senso di misura: governava come un dittatore militare in un paese di conquista.
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Nel piccolo Ducato di Parma in soli quattro anni erano stati sottoposti alla pena della bastonatura più di 300 persone.
L'odio contro il duca Carlo III crebbe a tal punto che in pieno giorno (il 26 marzo 1855) per le vie della città il sovrano fu pugnalato da un uomo, che riuscì a fuggire. Tutta Parma conosceva il nome dell'assassino, ma nessuno parlò.
=== Il regno di Sardegna dal 1849 al 1852 ===
Ben diversa era la situazione nel Regno di Sardegna, il solo paese libero in Italia.
Sul trono sabaudo, dopo l'abdicazione di Carlo Alberto, saliva il figlio Vittorio Emanuele II.
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Il Piemonte aprì le porte ai profughi politici di tutt'Italia, furono accolti come fratelli ed ebbero la cittadinanza piemontese.
Il D'Azeglio ebbe tanti meriti nella sua abile e saggia attività di Presidente del Consiglio (1849-1852), ma il maggior merito fu senza dubbio quello di aver chiamato a far parte del suo governo, come ministro dell'Agricoltura e poi anche delle Finanze, il conte Camillo di Cavour, che sarà tra gli artefici massimi del Risorgimento.
=== Camillo Cavour ===
Camillo Benso, conte di Cavour, nacque a Torino il 10 agosto 1810, nel palazzo della sua famiglia nobile, al numero 8 dell'attuale via Cavour.
Era il figlio secondogenito del ministro di polizia piemontese, il marchese Michele Benso di Cavour.
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Era già un personaggio in vista, quando il D'Azeglio lo chiamò a far parte del suo Ministero. Il Re non aveva in principio molta simpatia per lui. Come ministro dell'Agricoltura e delle Finanze il Cavour propose numerose riforme sia per aumentare la ricchezza del paese, sia per fare del Piemonte un paese moderno ed evoluto a cui tutt'Italia doveva guardare con ammirazione.
Nel 1852 il D'Azeglio si dimise e propose al Re di nominare il Cavour Presidente del Consiglio. Così a soli 42 anni egli prendeva nelle sue mani abili le redini dello stato e diventava la mente direttiva di tutta la politica del Piemonte fino al 1859 (il Gran Ministero del Cavour).
=== La politica interna ed estera del Cavour ===
Il Cavour volle che il Piemonte fosse il più forte e più ricco in modo da poter affrontare meglio le prove che lo attendevano.
Per questo scopo diede un grande impulso all'agricoltura: volle che si svecchiassero i metodi di lavoro, che si facesse uso dei concimi chimici per aumentare la produzione, che si creassero impianti per l'irrigazione dei campi. Mediante una rete di canali, che presero il nome di canali Cavour, con le acque dei fiumi Po, Dora e Cervo si irrigarono ben 50.000 ettari di terreno.
Con l'attivo aiuto del Cavour il Piemonte si trasformò in paese industriale.
Per incrementare il commercio, Cavour diede impulso alla marina mercantile e alle costruzioni ferroviarie: nel 1848 esistevano in Piemonte solo 8 Km di ferrovie, nel 1852 se n'erano costruite 819  km.
Dovette imporre tasse ai contribuenti e ciò non era gradito a tutti.
Oltre che alle feconde opere di pace, il Cavour si dedicò a rendere moderno e ben armato l'esercito, che poteva mettere in campo ben 90.000 uomini.