Sistemazioni di colle
Per sistemazioni di colle si intendono le pratiche di lavorazione ed adattamento del terreno scosceso o comunque in declivio per renderlo idoneo alle coltivazioni agricole.
L'antichità
modificaNell'Italia antica la parte preminente delle pianure era occupata da acque stagnanti, cosicché i primi coltivatori trovarono conveniente, fino dal Neolitico, di stabilirsi in aree collinari, siccome era più agevole abbattere un querceto che bonificare una palude. Da allora l'agricoltura italiana sarebbe rimasta, per settemila anni, prevalentemente un'agricoltura collinare, spostando definitivamente il proprio baricentro verso la pianura solo dopo il 1950. Siccome la violenza delle piogge, nel clima italiano, in autunno, epoca delle semine, asporterebbe, in pochi anni, i campi dal terreno più profondo, per millenni gli agricoltori italiani sono stati impegnati a terrazzare i propri campi, compiendo un'opera che risagomò l'intera superficie dei rilievi a media e bassa quota della Penisola e delle Isole. Il loro scopo fondamentale: evitare l'aratura a "rittochino", cioè secondo li linee di massima pendenza, la forma di lavoro del suolo che consente la massima velocità delle acque piovane, quindi l'erosione di quantità maggiori di terra. Le forme di sagomatura divennero un'autentica scienza, la scienza delle “sistemazioni di colle”, che fu sviluppata soprattutto a opera degli agronomi toscani.
Il cinquecento
modificaLa prima espressione di quella scienza può individuarsi nell'opera di un poeta del cinquecento, Luigi Alamanni, autore del più straordinario poema didascalico di soggetto agrario della letteratura italiana, La coltivazione.[1]
L'Ottocento
modificaLa seconda è quella di un curato toscano, Giovan Battista Landeschi, parroco di San Miniato, dove il giovane sacerdote trovò il podere parrocchiale rovinato dai predecessori che avevano spremuto tutto senza restituire nulla, e che si impegnò a rimodellare i campi creando moduli di sistemazione assolutamente nuovi. Elementi chiave della metodologia di Landeschi erano i ciglioni inerbiti e i “pescaioli”, fossi tracciati per indirizzare le acque a asportare la terra dove le piogge non regolate l'avessero depositata, per condurla dove fosse stata sottratta[2]. La terza tappa della “scienza delle sistemazioni” è rappresentata da un altro autore toscano, il marchese Cosimo Ridolfi, il maggiore agronomo italiano dell'Ottocento, che nella tenuta di Meleto perfeziona il sistema ideato dal fattore che gli ha insegnato, ragazzetto, ad amare i lavori dei campi, Agostino Testaferrata, ideatore del metodo delle “colmate di monte”, eseguite, ancora, usando la forza dell'acqua per asportare la terra dove il disordine l'abbia accumulata, e condurla dove la abbia sottratta. Mediante le “colmate” i campi vengono sistemati, secondo il metodo di Testaferrata “a spina”[3]
Gli autori successivi codificheranno tre secoli di esperienze toscane definendo le forme di sistemazione in “tagliapoggio”, “girapoggio”, “cavalcapoggio” “spina” e nelle varie forme di terrazzo, che possono prevedere lo scolo verso il bordo esterno o quello interno, un muro di sostegno o un ciglione inerbito. Nei terreni a pendenza più dolce resterà possibile una sistemazione a "rittochino". Tra gli autori che hanno contribuito alla definizione della “scienza delle sistemazioni di colle” un ruolo capitale deve riconoscersi a Luigi Ridolfi, figlio dell'agronomo ottocentesco.
L'epoca attuale
modificaLe sistemazioni di colle sono state abbandonate, con l'avvento della moderna agricoltura meccanizzata, all'alba degli anni Sessanta. Da quel momento le piogge non più controllate hanno iniziato a cancellare, dalle dorsali siciliane alle terrazze liguri, le forme in cui centinaia di generazioni di contadini avevano sagomato i campi dell'intera Italia. Un agronomo autorevole ha ripetutamente invitato, prima che le ultime tracce del lavoro millenario siano cancellate, a eseguire l'inventario, regione per regione, delle forme tipiche di sistemazione, proponendo, come esempio, la raccolta di una serie di immagini riprese nelle isole di Vulcano, Filicudi, Salina e Lipari, dove esistevano terrazzamenti agricoli, eseguiti in massicce rocce laviche, tra i più imponenti che si potessero ammirare in tutta l'Italia.[4]
Il girapoggio è una sistemazione agraria (sistemazioni di colle) del terreno che consiste nello scavare le scoline (fossi di scolo) lungo le curve di livello delle colline allo scopo di raccogliere le acque di precipitazione piovosa e condurle in un fosso aperto lungo la linea di massima pendenza. Ha lo scopo di limitare il fenomeno dell'erosione, in quanto limita il ruscellamento.
Tra le forme di sistemazione dei terreni di collina è la più efficiente dal punto di vista idraulico, in quanto i fossi, perpendicolari alla massima pendenza, limitano l'erosione.
Di contro la forma dei campi , seguendo le linee di livello, risulta irregolare ed ostacola le lavorazioni meccaniche. Inoltre le macchine operatrici, dove i fossi sono più ravvicinati, dovrebbero muoversi trasversalmente al pendio, con gravi rischi di ribaltamento.
Riversando le acque in fossi perpendicolari, se la distanza tra questi è eccessiva la forza delle acque diviene incontrollabile, e i danni dell'erosione diventano gravi. Per versanti dalle pendenze più irregolari i coltivatori delle aree di collina, in particolare di quelle toscane, elaborarono sistemi più complessi come il cavalcapoggio, il rittochino e la sistemazione "a spina".
Il grande centro di perfezionamento delle forme di modellamento dei campi in collina fu l'azienda Meleto, tra Empoli e Castelfiorentino, del Marchese Cosimo Ridolfi, dove il fattore, nelle aziende toscane figura capitale, aveva sperimentato delle forme di sistemazione che il giovane marchese perfezionò sul piano concettuale. Per sottolineare l'importanza di Meleto nella storia dell'agricoltura italiana basta ricordare che nel 1840 Ridolfi vi creava una scuola di agraria, preludio della a "scuola superiore di Agraria" che il Granduca lo avrebbe incaricato di fondare a Pisa.
A "Meleto" la procedura di sistemazione più ampiamete adottata sarebbe stata quella "a spina", di esecuzione più complessa del girapoggio, ma tale da potersi adattare anche a campi dalla pendenza irregolare e dove il disordine delle acque avesse già prodotto gravi danni.
Il maggior ostacolo alla conservazione delle antiche sistemazioni collinari è la loro incapacità di adattarsi alla meccanizzazione agricola fondata su grandi trattori e grandi mietitrebbie. Per contro il paesaggio agrario toscano, così come lo conosciamo e che ha un grande valore storico e culturale è legato a queste tercniche antiche, che sono rimaste confinata quasi esclusivamente a qualche vigneto più tradizionale.
Merito del grande studioso Emilio Sereni è quello di avere additato la ricchissima messe di dati iconografici della pittura per interpretare l'evoluzione del paesaggio.. Già in Mantegna nelle Storie di San Giacomo e di San Cristoforo (chiesa degli Eremitani a Padova) si vede un uso delle coltivazioni in pendio che assicurava il rispetto dell'ambiente e del grande pericolo delle frane. In questo senso il girapoggio ha trovato degli antecedenti nella sistemazione agraria dei secoli precedenti, in particolare nella funzione avuta dalle strade e dai camminamenti protetti da muriccioli che appunto "giravano il poggio".
Questi concetti sono stati ripresi dallo Statuto del territorio della Provincia di Firenze che dispone, appunto la conservazione degli antichi viottoli e, dove possibile, delle antiche sistemazioni, anche in areali ridotti.
Note
modificaVoci correlate
modificaBibliografia
modifica- Cosimo Ridolfi, Lezioni orali di agraria, 2 voll., Firenze 1857
- Cosimo Ridolfi, Sulle colmate di monte, Giornale agrario toscano, II, 1828
- Giovanni Battista Landeschi, Saggi di agricoltura, Firenze 1810
- Francesco Lami, La bonifica della tipica collina toscana da G. B. Landeschi a C. Ridolfi, Bologna 1938
- Luigi Ridolfi, Le coltivazioni di poggio, le colmate agrarie in pianura e collina, Firenze
- Emilio Sereni Storia del paesaggio agrario 1961
- Antonio Saltini e Maria Sframeli L'agricoltura e il paesaggio italiano nella pittura dal Trecento all'Ottocento, Octavo, Firenze 1995