Rivoluzione verde
La rivoluzione verde ha rappresentato un approccio innovativo ai temi della produzione agricola che, attraverso l'accoppiamento di varietà ad alto potenziale genetico a sufficienti input di fertilizzanti, acqua ed altri prodotti agrochimici, ha consentito un incremento significativo delle produzioni agricole in gran parte del mondo. Tale processo di innovazione delle tecniche agrarie iniziò in Messico nel 1944, ad opera del premio Nobel per la pace e scienziato statunitense Norman Borlaug con l'obiettivo di ridurre le aree a rischio di carestia. Oggi è diffusa in particolare in America, Europa, Oceania, Asia e Sudafrica. A causa delle condizioni climatiche e della situazione geo-politica tali pratiche agricole non si sono però rivelate applicabili con facilità nell'Africa sub-sahariana, che ancora oggi soffre di carestie endemiche.[1]
La rivoluzione verde non si è comunque rivelata esente da problematiche, prevalentemente ambientali, ed è oggi in corso una sua revisione che sappia fare tesoro dei suoi successi e al contempo riduca i livelli di inquinamento ambientale ad essa spesso correlati.
Storia
modificaL'inizio della rivoluzione verde si fa comunemente risalire al 1944, quando la Rockfeller Foundation fondò un istituto per aumentare il prodotto agricolo delle fattorie messicane. Ciò produsse risultati sorprendenti: il Messico passò dal dover importare metà del suo frumento all'autosufficienza nel 1956, fino all'esportazione di mezzo milione di tonnellate di frumento 1964.[2] In realtà, questo approccio al miglioramento genetico fu inizialmente messo in atto da parte di un ricercatore italiano, Nazzareno Strampelli, nei primi anni del '900. Le sue varietà ibride di frumento furono uno degli elementi decisivi che consentirono di vincere la cosiddetta Battaglia del grano lanciata in quegli anni da Benito Mussolini.
La storiografia ufficiale dà comunque il merito della trasformazione agricola ad un allora giovane genetista americano, Norman Borlaug, che incrociando frumenti bassi e frumenti altamente produttivi, ma alti, ottenne frumenti di taglia contenuta capaci di grandi produzioni. Per tale realizzazione ha ottenuto nel 1970 il premio Nobel per la pace.
Dopo le sperimentazioni degli anni '40, le tecnologie furono esportate all'estero, trovando applicazione in tutto il mondo. Il successo nei rendimenti crescenti fu indiscutibile. La crescita dei rendimenti era tale da consentire all'agricoltura di tener testa alla crescita della popolazione, scongiurando le fosche previsioni di Malthus. La produzione pro capite aumentò ogni anno dopo il 1950.
L'uso dell'ingegneria genetica in agricoltura con la creazione di piante geneticamente modificate (v. OGM) che possiedano specifiche caratteristiche agronomiche è vista da alcuni come la continuazione naturale del progresso genetico ottenuto dalla rivoluzione verde.
Tecnologie
modificaLe tecnologie della rivoluzione verde si suddividono in due categorie. La prima è la produzione di nuove varietà di piante; la seconda è lo sviluppo di nuove tecniche agricole.
Miglioramento genetico
modificaLa maggior parte dei raccolti consumati dal pubblico di massa delle nazioni industrializzate è costituita da raccolti derivati da sementi della rivoluzione verde. La progettazione di razze ibride (così chiamate perché create mediante riproduzione incrociata di un largo numero di varietà per produrre la combinazione desiderata di caratteristiche in una singola varietà, sebbene anche la mutazione genetica casuale era usata) era motivata dal desiderio in primo luogo di aumentare il rendimento del raccolto, e anche di estendere la durata per il trasporto e la longevità per la conservazione. Il grano "Norin 10" è un esempio di un ibrido che aiutò i paesi in via di sviluppo, come l'India e il Pakistan, ad aumentare la produttività dei loro raccolti. Da allora, gli ibridi sono stati eseguiti per raggiungere un'estetica migliore (es. pomodori più grossi, più diritti, pannocchie uniformemente colorate).
Poiché il miglioramento del rendimento dei raccolti era prodotto principalmente tramite l'uso di combustibili fossili pesanti (vedi sotto), l'elevata efficienza degli ibridi della rivoluzione verde è spinta da questi input (immissioni); infatti, gli ibridi sono più efficienti nello sfruttamento dei fertilizzanti chimici usati, e sono anche progettati per essere più facili da raccogliere meccanicamente.
Le tecniche messe a punto e sviluppate dalla rivoluzione verde sono, in breve:
- Uso massiccio di fertilizzanti chimici. Ogni pianta sostanzialmente conta su alcuni composti di base per crescere. In primo luogo è necessario l'azoto. Solo sotto forma di nitrato le piante possono assorbire l'azoto di cui hanno bisogno. Alcuni microorganismi trovati nel suolo sono capaci di trasformare l'azoto presente nell'aria nella forma di nitrato che le piante possono usare. La fissazione biologica dell'azoto può anche aver luogo per l'effetto di microorganismi viventi in piccoli noduli sulle radici di certe piante, come i legumi. I fosfati sono anche importanti, tanto quanto altri elementi presenti in tracce. Il pH del suolo (acidità o alcalinità) deve essere regolato fino a raggiungere le condizioni ottimali del prodotto in questione. In precedenza le condizioni del suolo dovevano contare solo su tecniche come la rotazione, la mistura di sementi, o fertilizzanti organici come il concime di cavallo. Il maggior passo avanti della rivoluzione verde in questo campo è stato l'uso di fertilizzanti chimici per aggiustare il PH del suolo e raggiungere i livelli giusti di tutti i composti necessari per la crescita della pianta.
- Irrigazione. Benché sia stata usata in agricoltura per migliaia di anni, la rivoluzione verde ha ancor di più sviluppato i metodi d'irrigazione migliorandone l'efficienza. È stato possibile avere più di un raccolto all'anno con una dipendenza ridotta dalle stagioni dei monsoni.
- Uso di macchinari pesanti. Le mietitrici meccanizzate e altri macchinari pesanti non erano nuovi per l'agricoltura (la mietitrice McCormick fu sviluppata nel XIX secolo), ma la rivoluzione verde permise una riduzione drastica nel fabbisogno di lavoro umano nell'agricoltura estendendo l'uso dei macchinari per automatizzare ogni possibile processo agricolo.
- Prodotti fitosanitari. Lo sviluppo dei prodotti fitosanitari di sintesi (inclusi i cloruri organici ed i composti organofosfatici) ha permesso ulteriori miglioramenti nella produttività dei raccolti, grazie ad un controllo efficiente delle malerbe (mediante l'uso di diserbanti nella stagione della crescita) e l'abbattimento di insetti nocivi.
Negli anni recenti le tecniche di ingegneria genetica sono state usate per estendere alcune delle migliorie della rivoluzione verde, specialmente l'uso dei pesticidi ed erbicidi. Per esempio molti prodotti agricoli commerciali questi giorni hanno sviluppato resistenza agli erbicidi, così che l'uso di quantità maggiori di erbicidi elimina le erbacce indesiderate lasciando intatto il raccolto.
Produttività
modificaLe varietà sviluppate nella rivoluzione verde sono chiamate comunemente varietà ad alta resa (High Yielding Varietis, HYV), spesso definite anche «semi miracolo»: questa definizione tuttavia è scorretta o quantomeno incompleta, perché la caratteristica principale delle varietà della rivoluzione verde è quella di aumentare la produzione di quelle parti della pianta che possono essere usate in modo efficiente nella produzione industriale (e quindi vendibili sul mercato o esportabili) a scapito delle altre: le piante, cioè, si può dire che concentrino le proprie energie nello sviluppo di certe parti piuttosto che di altre (tipicamente, nell'esempio del granturco, la pannocchia invece delle foglie e del gambo), ma spesso la resa complessiva, cioè la biomassa prodotta, non aumenta ma diminuisce. Del resto, come sottolineato da Angus Wright[3], dal punto di vista scientifico parlare di miracolo è sempre errato e sospetto.
La resa, del resto, è alta se non si considerano i casi sfavorevoli (nella supposizione che siano eliminati dalla gestione diretta di ogni fase della vita della pianta), cioè solo in funzioni delle alte immissioni (input) di nutrienti e prodotti vari (fertilizzanti e fitofarmaci in genere e acqua), mentre il loro mancanza le varietà tradizionali indigene hanno rese maggiori, motivo per cui l'autore dello studio su quindici Paesi in cui si è visto il fenomeno citato, il dottor Palmer, dell'Istituto di ricerca per lo sviluppo sociale dell'Onu, propone l'espressione «varietà ad alta risposta» in sostituzione di quella «varietà ad alta resa».[4]
Nel caso del riso, secondo un esempio di M. S. Swaminathan, due varietà, una ad alta resa e l'altra ad alto fusto precedente la rivoluzione verde, possono produrre entrambe 1000 kg di materia secca, ripartendole però rispettivamente in 500 e 500 o 700 e 300 kg di paglia e grani di riso: come si vede dalla tabella 1 (studio del 1944 sull'area di Hebbal condotto da A. K. Yegna Narayan Aiyer), in generale una varietà può produrre molti grani ma poca paglia o viceversa.[5]
Nell'agricoltura industriale, la perdita della paglia non è considerata una riduzione della produttività perché la paglia non può essere venduta convenientemente, tuttavia essa potrebbe essere usata in loco in moltissimi modi: tradizionalmente, per nutrire gli animali (a loro volta utili come fonte di energia a basso costo e letame per la concimazione), ma anche per reintegrare i nutrienti nel terreno oppure, in prospettiva, produrre energia con una delle varie tecnologie sviluppate per le biomasse.
Le varietà indigene, spesso, se trattate adeguatamente (sviluppando l'irrigazione e con un uso minimo di fertilizzanti chimici per integrare i metodi di coltivazione tradizionali) possono dare risultati paragonabili a quelle delle varietà ad alta resa (oltre i 3705 kg per ettaro): Richaria riferisce che circa il 9% di tutte le varietà coltivate in Uttar Pradesh rientrano nella categoria ad alta resa, con rese costanti oltre i 4000 kg per ettaro per la varietà Modko a Bastar e 4400 per la Chinnar (un riso profumato) nella zona di Dhamtari (Raipur), con un concime detto FYM integrato talvolta con basse dosi di fertilizzante azotato. Molte altre varietà vengono sviluppate di continuo con semplici incroci. Nello studio del 1944 di cui sopra, si riferisce di una gara indetta dal governo centrale indiano in cui la resa minima fu di 5300 libbre/acro, con un massimo di 12000 a Salem.
Un altro esempio, nell'ambito della silvicoltura, è l'eucalipto, una varietà principe della rivoluzione verde, per la sua crescita rapida, che tuttavia è fortemente compromessa nelle zone dove viene attaccato dagli infestanti o con suoli poveri e scarsità d'acqua, e spesso non è paragonabile a quella delle varietà indigene nemmeno in condizioni favorevoli: in tabella 2 si vedono molte varietà presenti sul suolo indiano che hanno una produzione di biomassa superiore a quella dell'eucalipto, che come si vede dalla tabella 3 in condizioni sfavorevoli non produce quasi nulla, e in ogni caso ha un calo progressivo di produttività dopo il quinto o sesto anno. La crescita dell'eucalipto, e in generale di tutte le varietà per la silvicoltura industriale, a differenza di quella degli altri alberi è concentrata nel tronco: la chioma si sviluppa scarsamente, così come le foglie e i frutti prodotti sono scarsi (da qui la minore biomassa totale). Soprattutto nelle zone molto piovose, la scarsità della chioma può esporre il suolo al dilavamento, non proteggendolo dalle forti piogge, e in quelle aride la scarsità delle foglie riduce la produzione di humus, il che (unito agli alti fabbisogni di acqua dell'eucalipto) porta all'inaridimento del suolo. Nelle zone aride indiane l'«agroforesta decentrata», costituita di molte varietà di alberi (fra cui honge, tamarindo, artocarpo, mango, jola, gobli, kagli, bambù) in simbiosi fra di loro, perfettamente integrati, distribuiti in aree in parte private e in parte comunitarie, e controllati dagli uomini, è sempre stata usata per produrre tutto il necessario per integrare l'agricoltura: cibo e foraggio per gli animali, fertilizzante e pesticidi, combustibile e piccolo legname. Di là dal caso specifico, una varietà specializzata nella produzione rapida di legname da tronco può risultare meno conveniente di un'altra più adatta alle condizioni locali e che comunque produce una biomassa superiore o più varia, utile per altri scopi (anche solo come legna da ardere).[6]
Tabelle
modifica1. Rapporto grani-paglia in alcune
varietà di riso (libbre per acro) | ||
---|---|---|
Nome delle varietà | Grani | Paglia |
Cbintamani sanna | 1663 | 3333 |
Budume | 1820 | 2430 |
Halubbalu | 1700 | 2740 |
Gidda Byra | 1595 | 2850 |
Chandragutti | 2424 | 3580 |
Putto Bbatta | 1695 | 3120 |
Kavada Bbatta | 2150 | 2940 |
Garike Sanno | 2065 | 2300 |
Alur sanna | 1220 | 3580 |
Bangarkaddi | 1420 | 1760 |
Banku (stagione piovosa 1925-26) |
1540 | 1700 |
2. Alcune specie indigene
a crescita relativamente rapida | ||
---|---|---|
Nome della specie | Età (anni) |
Incremento medio annuo (m³/ha) |
Duabanga sonneratioides | 47 | 19 |
Alnus nepalensis | 22 | 16 |
Terminalia myriocarpa | 8 | 15 |
Evodia meliafolia | 11 | 10 |
Michelia champaca | 8 | 18 |
Lophopetalum fibriatum | 17 | 15 |
Casuarina equisetifolia | 5 | 15 |
Shorea robusta | 30 | 11 |
Toona ciliata | 5 | 19 |
Trewia nudiflora | 13 | 13 |
Artocarpus chaplasha | 10 | 16 |
Dalbergia sissoo | 11 | 34 |
Gmelina arborea | 3 | 22 |
Tectona grandis | 10 | 12 |
Michelia oblonga | 14 | 18 |
Bisebofia iavanica | 7 | 13 |
Broussonatia papyrifera | 10 | 25 |
Bucklandia populnea | 15 | 9 |
Terminalia tomentosa | 4 | 10 |
Kydia calycina | 10 | 11 |
3. Rese dell'eucalipto ibrido | |||
---|---|---|---|
Qualità del luogo |
Età | Incremento medio annuo (m³/ha) (senza la corteccia) |
Incremento percentuale dell'ultimo anno (m³/ha) (senza la corteccia) |
Buona | 3 | 8,1 | – |
4 | 11,3 | 10,6 | |
5 | 13,5 | 22,3 | |
6 | 14,4 | 18,7 | |
7 | 13,9 | 11,3 | |
8 | 13,5 | 10,6 | |
9 | 12,9 | 8,0 | |
10 | 12,3 | 6,7 | |
11 | 11,6 | 5,2 | |
12 | 11,0 | 3,5 | |
13 | 10,4 | 3,6 | |
14 | 9,9 | 3,7 | |
15 | 9,4 | 1,9 | |
Povera | 3 | 0,1 | – |
4 | 0,4 | 1,4 | |
5 | 0,7 | 1,7 | |
6 | 0,8 | 1,7 | |
7 | 0,9 | 1,2 | |
8 | 1,0 | 1,4 | |
9 | 1,0 | 1,0 | |
10 | 1,0 | 1,3 | |
11 | 1,0 | 1,1 | |
12 | 1,2 | 0,7 | |
13 | 1,0 | 0,8 | |
14 | 0,9 | 0,8 | |
15 | 0,9 | 0,4 |
Critiche
modificaLa rivoluzione verde è stata criticata sotto molti aspetti, ma il primo argomento è ambientale. La rivoluzione verde, sostengono i critici, è difettosa per diversi conti:
- Perdita di biodiversità. La diffusione degli ibridi della rivoluzione verde e le tecniche ad essa associate ha portato alla coltivazione di poche varietà di sementi. Alcuni raccolti hanno visto la riduzione del 90% delle varietà delle sementi. La dipendenza da uno o poche forme di sementi significa una aumentata fragilità della popolazione e una compromessa capacità di migliorare le sementi nel futuro, oltre ad una perdita non stimabile nel contributo ad una dieta varia. Inoltre le sementi della rivoluzione verde sono create per efficienza nella crescita e longevità (e a volte per l'apparenza), non per il valore nutritivo. Così molti ibridi hanno un valore nutritivo inferiore rispetto ai loro antenati. L'introduzione dei prodotti principali della rivoluzione verde nelle regioni che in precedenza avevano centinaia o migliaia di varietà di sementi, così come la sostituzione di varie fonti nutritive con una singola alternativa della rivoluzione verde, ha portato ad un'alimentazione povera come risultato di un passaggio da diete varie con molte fonti nutritive a diete basate su uno o pochi cereali. La perdita di biodiversità può essere considerata un male in sé in quanto alterazione dell'ambiente e della natura, indipendentemente dai danni di natura alimentare che essa può provocare sull'uomo.
Alla perdita di biodiversità corrisponde la concentrazione dei produttori e rivenditori di sementi: negli anni settanta i produttori di pesticidi negli USA erano 30, nei primi anni novanta una dozzina[7]; contemporaneamente, le prime dieci società sementiere controllavano un quinto del mercato mondiale,[8] e nel 2000 il 32% (su circa 23 miliardi di dollari).[9]
- Dipendenza da combustibili fossili. Mentre i prodotti agricoli aumentavano come risultato della rivoluzione verde, la quantità di energia richiesta dal processo di produzione (cioè l'energia che deve essere spesa per produrre un certo prodotto) è anch'essa cresciuta ad un ritmo più alto, così che il rapporto tra raccolto prodotto ed energia di input è andato via via diminuendo. Le tecniche della rivoluzione verde fanno pesante affidamento sui fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi chimici, alcuni dei quali devono essere prodotti a partire da combustibili fossili, rendendo l'agricoltura progressivamente basata sui prodotti del petrolio.
- Inquinamento. Lo scolo di fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi continua ad essere una rilevante fonte di inquinamento, e la maggior parte dell'inquinamento delle acque. Benché i pesticidi più pericolosi, tossici e a volte cancerogeni della prima metà del secolo (come il 2,4,5-T e il DDT) sono stati pressoché eliminati dall'uso agricolo (anche se il DDT continua ad essere usato nelle nazioni del terzo mondo), i loro effetti non sono stati del tutto cancellati.
- Degrado del suolo. I critici sostengono che la rivoluzione verde distrugge la qualità del suolo su un lungo raggio. Questo è il risultato di una pluralità di fattori, inclusa l'accresciuta salinità del suolo derivante da una pesante irrigazione; "bruciatura" del suolo a causa di un uso pesante di fertilizzanti chimici, che uccidono i microbi benefici del suolo e altri organismi; erosione del suolo; e perdita di importanti elementi residuali. Questo può condurre ad una dipendenza crescente dagli input (immissioni) chimici per compensare il deterioramento del suolo, un processo che in definitiva può fallire.
- Dipendenza economica. Molto spesso le multinazionali dell'agricoltura vendono ai piccoli contadini e alle grandi aziende agricole i propri semi geneticamente modificati i quali, oltre ad essere spesso sterili e quindi devono essere riacquistati ad ogni stagione, necessitano di specifici erbicidi, pesticidi, fertilizzanti e macchine agricole. Questi ultimi vengono prodotti e venduti dalle stesse multinazionali. È un dato di fatto che tale meccanismo genera dipendenza dalle multinazionali e le spese molto spesso superano i ricavi, così che molti aziende falliscono e molti contadini sono costretti a vendere la propria terra per ripagare i debiti ed essere poi impiegati dal nuovo acquirente (molto spesso una delle suddette multinazionali) come braccianti agricoli in condizioni al limite della sussistenza, con tanto di violazioni di diritti umani, norme igienico-sanitarie, diritti dei lavoratori, ecc.
Inoltre, vi è anche una dimensione sociale importante, che deve essere presa in considerazione. La rivoluzione verde ha introdotto grandi cambiamenti in un mondo dove la maggior parte delle persone dipende ancora dall'agricoltura per la sopravvivenza. Il risultato di molte di queste tecniche fu l'incoraggiamento di un'agricoltura di vasta scala ai danni di piccoli contadini, che non erano capaci di competere con l'alta efficienza delle sementi della rivoluzione verde. I risultati sono stati spostamenti di massa e urbanizzazione e povertà crescenti presso questi contadini, e la perdita della loro terra a vantaggio di grandi aziende agricole, che sono molto più abili nella gestione delle imprese notevoli legate all'effettiva applicazione delle tecniche della rivoluzione verde. Ciò può essere paragonato alle proteste dei Luddisti circa la rivoluzione industriale. Una critica della rivoluzione verde è la scrittrice e attivista indiana Vandana Shiva.
La rivoluzione verde ha aiutato la produzione di cibo a stare al passo con la crescita della popolazione. Molte persone credono che una seconda rivoluzione verde dovrebbe prendere piede, e dovrebbe concentrarsi sui raccolti prodotti per i due miliardi di persone che mancano di sicurezza alimentare, soprattutto in vista del picco del petrolio.
Note
modifica- ↑ Report FAO sulla Food insecurity nel mondo
- ↑ Recentemente, dopo l'ingresso nel Nafta, trattato di libero scambio fra Usa, Canada e Messico, quest'ultimo fra il 1992 e il 1996 ha aumentato le proprie importazioni alimentari dal 20 al 43% (Shiva 2001, p. 21).
- ↑ Innocents Abroad: American Agricultural Reserch in Mexico, 1984; citato in Shiva 1995, p. 51.
- ↑ Citato in F. Lappe e J Collins, Food first, Ballantine, New York, 1981, p. 114; ripreso in Shiva 1995, pp. 46 sg.
- ↑ Shiva 1995, p. 47.
- ↑ Su tutta questa parte, si veda Shiva 1995, pp. 32 sgg.
- ↑ Shiva 1995, p. 111; nel 1986 le prime sette aziende produttrici di pesticidi (Bayer, Ciba-Geigy, ICI, Rhône-Poulenc, Monsanto, Hoechst, Du Pont) controllavano il 64% delle vendite mondiali, 11 miliardi di dollari (p. 104).
- ↑ Shiva 1995, p. 111.
- ↑ Shiva 2000, p. 21.
Bibliografia
modifica- Commitee on World Food Security, Special event on the green Revolution in Africa, background document, Fao, Rome, May 2005
- Conway Gordon, The doubly green revolution, Penguin books, Harmondsworth, 1997
- Daclon C.M., Agricoltura e riforme mondiali, in Agricoltura, Rivista del Ministero Politiche Agricole e Forestali, n. 300, 2000
- Daclon C.M., Biotecnologie e agricoltura, in Agricoltura, Rivista del Ministero Politiche Agricole e Forestali, n. 302, 2000
- Dhlamini Z, Spillane C., Moss J. P., Ruane J., Urquia N., Sonnino Andrea, Status of research and application of crop biotechnologies in developing countries, Fao, Roma 2005
- Islam Nurul (editor) Population and food in the early Twenty-first Century. Meeting future food demand of an increasing population, International food polily research Institute, Washington D. C., 1995
- Mann Charles C., Crop Scientists Seek a New Revolution, in Science, vol. 283, 15 jan. 1999
- National Academy of Sciences, Population and food: Crucial Issue, N. Ac. of Sc., Washington, 1975
- Pereira H. Charles, The historical response by agriculture to world food requirements, in The agro-technological system towards 2000. A European perspective, Nomisma, Bologna 1988
- Saltini Antonio, Il problema alimentare mondiale nel dibattito politico ed economico internazionale, in Rivista di economia agraria, XXXII n° 2, 1977
- Saltini Antonio, Tra storia e futuribile: dalla prima alla seconda rivoluzione verde, in Rivista di storia dell'agricoltura, XLI, n. 1, giugno 2001
- Saltini Antonio, Borlaug:”Pensiamo a quando dovremo mangiare in 9 miliardi”, in Agricoltura, Regione Emilia Romagna, Bologna, n. 7-8, lug-ago 2003
- Shiva, Vandana. Vacche sacre e mucche pazze. Il furto delle riserve alimentari globali (Stolen Harvest: The Hijacking of the Global Food Supply, 2000), traduzione di Giovanna Ricoveri, DeriveApprodi, Roma, 2001.
- Shiva, Vandana. Monocolture della mente (1993), traduzione di Giovanna Ricoveri, Bollati Boringhieri, 1995. ISBN 8833909182