Responsabilità dei pubblici dipendenti
La disposizione fondamentale sulla responsabilità amministrativa, inserita nella legge di contabilità di Stato, resta tuttora l'art. 82 del R.D. n. 2440 del 1923.
Tale norma configura una responsabilità patrimoniale risarcitoria per le azioni e le omissioni colpose imputabili agli impiegati dello Stato.
Il successivo art. 83 dello stesso regolamento fonda la giurisdizione della Corte dei conti, alla quale attribuisce il cd. potere riduttivo, stabilendo che essa, «valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto».
L'art. 52 del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. n. 1214 del 1934, ha poi sostanzialmente confermato la disciplina essenziale della responsabilità amministrativa; ed altrettanto si ricava dagli artt. 18 e 19 dello statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. n. 3 del 1957.
Nel corso dei decenni, soprattutto dopo l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, ed in particolare negli anni ‘70, la responsabilità amministrativa è stata gradualmente estesa a tutti i dipendenti e a tutti gli amministratori pubblici (cfr. art. 59, comma 1, del D. L.vo n. 29 del 1993).
In definitiva, la responsabilità verso le Amministrazioni è stata estesa a qualunque agente pubblico, intendendo per agente pubblico qualsiasi persona, normalmente fisica talvolta giuridica, che sia legata ad una Amministrazione pubblica da rapporto di servizio.
Tuttavia, se l'ambito di applicazione si è andato allargando nel tempo, il regime giuridico della responsabilità amministrativa è rimasto inalterato, fino alle riforme intervenute negli anni ‘90.
Natura giuridica della responsabilità amministrativa
modificaLa disciplina originaria era scarna, limitata a tratti essenziali, e lasciava alla Corte dei conti larghi margini per integrarla. La Corte, facendo leva sul carattere patrimoniale e risarcitorio della responsabilità, si è orientata verso una ricostruzione basata sulla falsariga della responsabilità civile, assumendo quest'ultima come archetipo di responsabilità patrimoniale e risarcitoria. Sicché le carenze nella disciplina positiva della responsabilità amministrativa sono state colmate attingendo:
- alla disciplina della responsabilità civile dapprima (fino alla fine degli anni ‘40),
- poi alla responsabilità aquiliana,
- infine alla responsabilità contrattuale.
L'orientamento della Corte sono state determinate per lo più dall'esigenza di agevolare il titolare dell'azione di responsabilità, ossia la Procura presso la Corte medesima: la ricostruzione della responsabilità amministrativa in termini di responsabilità contrattuale fu determinata non tanto da ragioni logico-sistematiche, quanto dalla più durevole prescrizione e dal più comodo riparto dell'onere della prova.
Si presentava però un inconveniente: la configurazione contrattuale, presupponendo un rapporto obbligatorio diretto tra responsabile e danneggiato, impediva di estendere la responsabilità amministrativa ai fatti dannosi cagionati dall'agente pubblico ad Amministrazioni diverse da quella di appartenenza, rispetto alle quali non era configurabile un rapporto obbligatorio diretto.
Quando la Corte tentò, alla fine degli anni ‘80, di riassorbire sotto la figura della responsabilità amministrativa i danni provocati dagli agenti pubblici ad Amministrazioni terze, la Corte costituzionale si pronunciò (sentenza n. 24 del 1993) in senso sfavorevole, argomentando proprio dal carattere contrattuale affermato da oltre quaranta anni dalla giurisprudenza della Corte dei conti.
Forzando la disciplina della responsabilità contrattuale, la Corte dei conti ha cercato di affermare il carattere solidale delle obbligazioni di più coautori del danno, ispirandosi all'art. 2055 c.c. e sottovalutando la disposizione specifica, per cui, quando il danno è dovuto al fatto di più agenti pubblici, «ciascuno risponde per la parte che vi ha presa».
Inoltre, la Corte ha inteso il potere riduttivo non come potere di commisurazione della obbligazione risarcitoria, ma come potere di concessione di un beneficio; come tale, da utilizzare solo in via eccezionale, e non, come prevede la norma, in via ordinaria.
In definitiva, la responsabilità amministrativa aveva assunto, per opera della giurisprudenza della Corte dei conti, connotati assai prossimi a quelli della responsabilità civile, fino ad assimilarsi totalmente (o quasi) con quest'ultima.
Il danno erariale
modificaLa nozione tradizionale di danno erariale riguarda qualsiasi nocumento patrimoniale subito dall'ente pubblico per effetto del comportamento illecito del soggetto agente, cioè per omesso o irregolare adempimento degli obblighi di servizio.
In genere, tale danno è costituito e quantificato dall'avvenuto (e provato) indebito esborso di denaro pubblico, ovvero dalla perdita o mancato introito di denaro. Si parla in tal caso di danno emergente: si pensi ad es. alle spese sostenute dall'Aministrazione per la costituzione di parte civile, ovvero ancora per interessi indebitamente corrisposti, oppure per pagamento di debito prescritto.
Nell'ipotesi di danno a beni patrimoniali, intesi anche nel senso di valori o beni di pertinenza effettiva dell'ente pubblico (cfr. il caso delle res nullius e delle res derelictae nella sentenza della Corte dei conti n. 24 del 30.6.1967, che ravvisava il danno erariale nel mancato aumento patrimoniale, cioè nel lucro cessante), è necessario procedere ad una valutazione dell'interesse oggetto del danno stesso.
Di recente, si sta affermando una nuova concezione del danno erariale, non più circoscritto al pregiudizio patrimoniale, ma esteso alle lesioni non patrimoniali: si parla di danno pubblico, che comprende:
- le lesioni agli interessi diffusi (cfr. Corte Costituzionale sentenza n. 641/1987);
- il danno all'economia nazionale, ravvisato al di fuori dell'alterazione del mercato dei cambi ed al di fuori della lesione del patrimonio statale (secondo l'orientamento della Cassazione, cfr. SS.UU. n. 4486 del 13.04.1992).
- il c.d. danno morale.
Nel concetto di danno pubblico rientrano quindi sia interessi pubblici economicamente valutabili, che hanno cioè una "quotazione di mercato", sia interessi pubblici per i quali non è possibile una stima commerciale. Al fondo di tutto vi è il concetto di "utilità del bene", cioè l'attitudine del bene a soddisfare bisogni umani.
Ai fini della responsabilità dei dipendenti pubblici, dunque, sfuma la distinzione tra beni patrimoniali e non patrimoniali, ed assume rilievo la c.d. utilità collettiva: ne deriva che i bisogni collettivi da soddisfare o sono tutelati dalla legge (e allora sono risarcibili) ovvero non ricevono tutela (e sono interessi di fatto senza rilievo giuridico).
Tale impostazione è seguita dalla Corte dei conti, la quale ricomprende nel significato di "danno contabile" ogni forma di lesione ad utilità economicamente valutabili, purché riconosciute tali dal diritto positivo in capo a singoli soggetti pubblici, come nel caso del danno non patrimoniale conseguente a reato, a prescindere dalle modalità da seguire per la concreta liquidazione di tale danno.
Sulla questione del danno morale sofferto dalla p.a., vi è da registrare una evoluzione della giurisprudenza sia in ordine alla certezza probatoria dell'an debeatur, sia con riguardo all'applicabilità della liquidazione equitativa.
Già dal 1923, le Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione avevano ammesso la configurabilità del danno non patrimoniale inteso come diminuzione del prestigio e della reputazione in capo ad un ente giuridico, sia esso privato o pubblico, in materia di illecita concorrenza (cfr. SS.UU. 22.5.1923), diffamazione, usurpazione di titolo, reati urbanistici (SS.UU. 21.4.1979), tangenti (SS.UU. 6.10.1979 sul caso Olivi).