Il Codice civile vigente del 1942 non dà una definizione di obbligazione, perché il legislatore si è giovato delle fonti romane, dove si afferma che: obligatio est iuris vinculum quo necessitate adstringimus alicuius solvendae rei.
Ma in diritto romano il termine obligatio non indicava il dovere di eseguire una prestazione, bensì il vincolo personale che il debitore contraeva a garanzia dell'adempimento.
L'arcaico ius Quiritium fu molto preciso nel disciplinare i diritti reali e le successioni, ma fu carente rispetto al fenomeno economico del credito; tutti gli impegni assunti in tal senso non avevano alcun fondamento giuridico, ma si basavano sulla possibilità dei creditori di reagire contro l'inadempiente.
Con l'intensificarsi degli scambi commerciali e l'evolversi dei traffici giuridici, grazie anche all'introduzione della pecunia, si fece sentire sempre più pressante l'esigenza di garantire in qualche modo i rapporti relativi: il debitore diventava nexum (cioè vincolato) e se l'obbligazione restava inadempiuta, il creditore poteva incatenarlo o venderlo come schiavo, o addirittura ucciderlo.
Lentamente nei secoli cominciò ad affermarsi l'idea che il vincolo dovesse stringere due patrimoni e non due persone, e questa ideologia culminò nella lex Poetelia Papiria che nel 326 a.C. abolì la possibilità di esecuzione sulla persona del debitore.
La summa divisio di tutte le obbligazioni si articolava in due categorie: civili e pretorie. Le civili erano quelle costituite per legge o secondo il diritto civile. Le pretorie erano quelle introdotte dallo ius praetorium ed erano perciò dette anche honorariae.
Senza elaborare mai una categoria generale, per la nota avversione alle astrazioni, lo ius civile distinse le obbligazioni ex contractu, quasi ex contractu, ex maleficio, quasi ex maleficio.
Vi era poi la categoria residuale delle cosiddette obligationes ex variis causarum figurae, in cui rientrava la negotiorum gestio, la solutio indebiti e il legatum per damnationem. Fu il diritto pretorio che istituì poi le varie azioni a tutela del creditore insoddisfatto.

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Le Obbligazioni in Generale in Diritto Romano
Tipo di risorsa Tipo: lezione
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Fonti delle obbligazioni

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Giustiniano operò la summa divisio che identificava le fonti in contratti, quasi contratti, delitti e quasi delitti. Inoltre, egli operò una ulteriore distinzione tra obbligazioni convenzionali (contratte per effetto del consenso dei contraenti), gudiziali (provenienti dalla mera funzione del giudice), pretorie (stabilite dal pretore nell' edictum) e comuni (ad es. le cauzioni).
Tra le obbligazioni da atto lecito, troviamo l'obligatio re (originata dalla datio rei), la obligatio verbis (stipulata mediante domanda e risposta), l' obligatio litterarum (consistente in un documento scritto) e l' obligatio consensu (comprendente la locazione, il mandato, la compravendita e la società).

Elementi del rapporto obbligatorio

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Erano elementi dell' obligatio i soggetti, l'oggetto e le varie clausole (condicio, ecc.).
Circa i soggetti, questi di regola erano due, ma non era esclusa la compresenza di più soggetti attivi o passivi, e neanche le obbligazioni con un soggetto indeterminato.
Era ammessa la rappresentanza, per lo più in forma indiretta, e si conoscevano diverse categorie di soggetti che non potevano contrarre (muti, sordi, pazzi, minori, ecc.).
Circa l'oggetto della prestazione, nei tempi arcaici era la persona del debitore; poi si intese nel senso del comportamento che il debitore doveva tenere per soddisfare la pretesa del creditore: poteva essere un facere, un non facere, un dare, un praestare (nel senso di "garantire").
Era ritenuta inutile stipulatio (cioè invalida) quella avente ad oggetto res sacrae o res extra commercium, res illicitae o turpes. È da notare che se l'oggetto era indeterminabile o indefinito, l'obbligazione era nulla, mentre la semplice difficultas praestationis non facit inutilem stipulationem.
Circa le clausole apponibili, la disciplina era la stessa degli elementi accidentali del negozio, con tutte le conseguenze relative.
Oltre la condicio e il dies, anche i "luoghi" erano soliti essere inseriti nelle obbligazioni, come quando si diceva "prometti di dare in Cartagine": questa stipulazione, sebbene sembri sorgere puramente, tuttavia aveva inserita in sé una circostanza (cd. tempus iniectum) della quale il promittente approfittava per eseguire la prestazione.
Il diritto romano riteneva inutile la prestazione quando questa aveva ad oggetto una res futura, poiché in quel caso non era ancora nella disponibilità del promittente.
Le fonti non lo richiedono esplicitamente, ma sembra che la prestazione dovesse avere necessariamente un determinato requisito: la cosiddetta patrimonialità. Sembra infatti che non esistesse prestazione senza un contenuto patrimoniale.

Obbligazioni complesse

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Le Obbligazioni possono essere soggettivamente complesse e oggettivamente complesse.

Obbligazioni soggettivamente complesse

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L'obbligazione poteva presentare pluralità di soggetti sia dal lato attivo che passivo, o da entrambi i lati. Si faceva quindi la distinzione tra obbligazione parziaria e obbligazione solidale, a seconda del tipo di vincolo che stringeva i soggetti.
La regola era la parziarietà, perché l'adempimento spettava a ciascun creditore e gravava su ciascun debitore pro parte, in virtù del fatto che l' obligatio si divideva ipso iure in tante obbligazioni per quanti erano i soggetti attivi o passivi.
Solo in determinati casi, o per volontà delle parti o per legge, si aveva obbligazione solidale (nel vigente ordinamento accade esattamente il contrario), tant'è che nelle fonti si dice: «avendo due persone promesso o pattuito la stessa somma, ipso iure al singolo è dovuto e i singoli devono».
Se quindi la solidarietà non era stata convenuta o pattuita, cum una sit obligatio, una e summa est, ut sive unus solvat; la solidarietà stava nella possibilità di chiedere indifferentemente all'uno o all'altro debitore la prestazione. Ma per le obbligazioni ex delicto, il creditore era soddisfatto solo con l'estinzione dell'intero debito, mentre per le obbligazioni nascenti da atto lecito, il pagamento totale eseguito da uno dei condebitori produceva l'estinzione dell'obbligazione per tutti gli altri.
Le obbligazioni solidali nascevano per lo più da stipulatio o da legato per damnationem.
Il rapporto interno tra concreditori e condebitori era poco tutelato: gli altri creditori non potevano rivolgersi all'unico che avesse riscosso, né il debitore solvente aveva azione di regresso contro gli altri, a meno che non vi fosse una preventiva pattuizione in tal senso. In mancanza di accordi, il diritto romano accordò l'actio negotiorum gestorum sia al debitore solvente (in qualità di gestor), sia ai creditori insoddisfatti (in qualità di domini).
Altro sistema fu quello di ottenere dal creditore soddisfatto la cessio niminis' (cessione del credito): queste le regole romane per le obbligazioni elettive o correali.
L'estinzione dell'obbligazione parziaria si aveva con la solutio pro rata. Poteva estinguersi nei confronti di tutti i soggetti per novatio, pactum de non petendo in rem, solutio, litis contestatio (dopo il processo, l'obbligazione solidale si estingueva per il principio del ne bis in idem: se il creditore era rimasto insoddisfatto, non poteva più agire contro gli altri condebitori perché l'obbligazione era estinta).

Obbligazioni oggettivamente complesse

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Circa la prestazione, o meglio il suo oggetto, il diritto romano distingueva:

  1. obbligazioni generiche e specifiche: nelle prime, l'oggetto era una cosa generica (ad es. obligatio pecuniae) mente nelle seconde era una cosa ben individuata. L'obbligazione generica non diveniva mai impossibile, perché genus numquam perit ed il bene fungibile poteva essere facilmente sostituito. Nel diritto classico, la scelta delle cose da dare spettava al debitore (ad libitum debitoris), purché non desse la cosa peggiore ricompresa in quel genus (nec optimum nec pessimum). Giustiniano stabilì che la scelta potesse spettare anche al creditore: se spettava al creditore, egli poteva pretendere una res optima; se spettava al debitore, egli doveva dare una res mediae aestimationis.
  2. obbligazioni divisibili e indivisibili: la disciplina di esse era per lo più simile a quella moderna. Ad esempio, l'obbligazione di dare era di regola divisibile se era pecuniaria o aveva per oggetto una cosa fungibile.
  3. obbligazioni alternative (duae vel plures sunt in obligatione, una autem in solutione): lo ius electionis spettava di regola al debitore, salvo patto contrario. Il debitore aveva anche lo ius variandi, cioè la facoltà di mutare la scelta fino al momento della solutio. Se lo jus variandi spettava al creditore, egli poteva scegliere e mutare intenzione fino alla chiamata in giudizio del debitore. Lo ius variandi era escluso se vi era la clausola quam voluero: in tal caso, cum semel elegerit, mutare voluntatem non possit.
Lo ius variandi era trasmissibile agli eredi del debitore o del creditore; se spettava ad un terzo, morte finitur.
Problema particolare era se il debitore per errore pagasse entrambe le prestazioni alternative: si dubitava della titolarità del diritto di chiedere la repetitio rei, se al debitore o al creditore. Giustiniano attribuì la ripetizione allo stesso soggetto che aveva lo jus electionis.
Il pagamento, la acceptilatio o la remisione di una delle due cose alternative estingueva l'intera obbligazione. Il pactum de non petendo riferito ad una sola delle prestazioni non chiariva se si volesse rimettere tutta l'obbligazione o solo la prestazione cui si riferiva: Giustiniano ritenne che si volesse estinguere solo la prestazione cui era riferito il pactum, anche se non mancano fonti che sostengono il contrario.
La normativa romana in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione si avvicina molto a quella moderna. Se il perimento della cosa era dovuto a colpa del debitore, l'obbligazione si concentrava sulla cosa rimasta; se il perimento era dovuto al caso fortuito e riguardava l'unica cosa rimasta, l'obbligazione si estingueva, ma nel diritto postclassico la regola era che il perimento per caso fortuito della cosa rimasta dava al creditore la cd. actio doli per ottenere una somma pari al valore medio dele due prestazioni. Il debitore poteva liberarsi pagando l'aestimatio, cioè il prezzo della cosa perita per caso fortuito, anche se l'altra cosa era rimasta in vita.
Per ottenere l'adempimento dell'obbligazione alternativa, il creditore aveva l'actio certi (se la prestazione era generica, aveva l'actio incerti) quando la scelta spettava a lui. Se spettava al debitore, egli poteva agire con l'actio incerti, che poteva essere ex stipulatu oppure ex testamento a seconda della fonte dell'obbligazione.
  1. obbligazioni facoltative: qui la prestazione era una soltanto, ma il debitore poteva liberarsi prestando un'altra cosa (una res est in obligatione, duae sunt autem in facultate solutionis). L'obbligazione facoltativa era considerata a tutti gli effetti un'obbligazione semplice, con una sola prestazione.

Classificazione delle obbligazioni

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E' possibile classificare le Obbligazioni a seconda di varie caratteristiche che possono o meno avere.

Obbligazioni generiche e alternative

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Obbligazioni generiche sono quelle in cui l'oggetto è indeterminato solamente nel genere o in una categoria di oggetti (un quintale di grano, un cavallo).
Obbligazioni alternative sono quelle in cui è stabilito un gruppo di singoli oggetti, ciascuno determinato, tra cui scegliere.
La scelta che in entrambe le specie occorre fare compete di regola al debitore, ma può anche spettare al creditore o ad un terzo, ove ciò sia espressamente pattuito.
L'essenza della disciplina delle obbligazioni generiche e alternative sta nel diverso esito del deterioramento o della perdita dell'oggetto da prestare:

  • per le obbligazioni generiche, genus numquam perit e dunque la responsabilità resta a carico dell'inadempiente debitore;
  • nelle obbligazioni alternative, qualora perissero tutti gli oggetti tra cui compete la scelta, la responsabilità restava a carico di chi doveva compiere la scelta, ma costui poteva liberarsi pagando il prezzo dell'oggetto perito oppure soggiacere alla actio doli intentata dalla controparte.

Obbligazioni divisibili e indivisibili

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Le obbligazioni si dicono divisibili quando la prestazione ha natura tale che si possa eseguire parzialmente senza alterarne l'essenza. Indivisibili, nel caso contrario.
Le obbligazioni di dare sono in genere divisibili, perché i diritti sulle cose si possono di regola costituire pro parte, come ad esempio il diritto di diritto di proprietà, l'enfiteusi, il pegno, ecc.
Le obbligazioni di facere sono di norma indivisibili: eseguire una parte di edificio non è realizzare tutto l'edificio, ed in proporzione una parte non ha mai il valore del tutto.
Vi sono tuttavia alcune obbligazioni di facere che sono divisibili, e precisamente quelle che hanno per oggetto la prestazione di opere fungibili quae numero, pondee, mensura consistunt.
La distinzione tra obbligazioni divisibili e indivisibili assume rilievo in presenza di più soggetti attivi o passivi: il caso più frequente di pluralità di creditori (o debitori) rispetto ad un unico oggetto indivisibile si verificava nell'eredità, quando alla morte del creditore (o debitore) succedevano più eredi.
La Lex duodecim tabularum disponeva che i debiti e i crediti fossero divisi ipso iure tra i vari coeredi, sicché il diritto di credito veniva a scindersi in tanti diritti, ciascuno avente ad oggetto una parte della prestazione originaria.
Ma quando l'oggetto era indivisibile, al fine di ottenere una divisione congrua, ciascuno dei condebitori poteva chiedere una proroga al creditore per ottenere il pagamento pro parte dagli altri condebitori, (in presenza di più concreditori) il debitore adempiente poteva chiedere al creditore soddisfatto di garantirlo contro gli altri concreditori.

Obbligazioni con soggetto variabile

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Di regola, i soggetti dell'obbligazione sono individualmente determinati: può accadere tuttavia che i soggetti siano determinati solo in relazione ad un rapporto reale, in quanto l'essere debitore o creditore dipende dal rapporto con un certo bene.
Ad esempio, erano obbligazioni con osggetti variabile quelle dell'actio aquae pluviae arcendae, dell'actio quod metus causa, del solarium, del vectigal, ecc. Tali obbligaizoni erano chiamate obligationes propter rem.
Nel diritto romano non erano ammessi i cd. oneri reali, che ricollegavano arbitrariamente (mediante convenzione) le obbligazioni con i rapporti fondiari. Anche se qualcuno si obbligava ad eseguire una prestazione in relazione ad un fondo (ad es. dare una quantità periodica di frutti), quest'obbligo passa ai suoi eredi ma non ai successivi proprietari del fondo.

Obbligazioni parziarie e obbligazioni solidali

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Quando più debitori sono tenuti ad eseguire una certa prestazione, o più creditori hanno diritto di esigerla, il rapporto obligatorio si può configurare come parziario (se l'obbligazione si divide tra i vari soggetti) oppure solidale (se l'obbligazione è per l'intero (es. legatum per damnationem) e ciascun debitore è tenuto all'intera prestazione, ovvero ciascun creditore può pretendere l'intera prestazione.
Le obbligazioni solidali erano anche chiamate correali, poiché indicavano con l'espressione duo rei o conrei le stipulazioni con unico oggetto e pluralità di soggetti che una res, una summa, eadem res o pecunia, idem debitum habet.
A differenza dell'attuale regime delle obbligazioni solidali, la solidarietà doveva essere espressamente pattuita, altrimenti l'obbligazione si presumeva parziaria, ed inoltre la solidarietà escludeva di per sé il regresso, in quanto si riteneva che il debitore adempiente per l'intero avesse pagato un debito proprio.

Obbligazioni civili e onorarie

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Civiles in senso stretto erano le obbligazioni stabilite dagli organi legislativi del popolo romano o create dalla libera interpretazione della giurisprudenza.
Honorariae e pretoriae erano le obbligazioni introdotte di volta in volta dal pretore.
Tale distinzione aveva rilevanza nel diritto classico, perché nel diritto giustinianeo cadde in disuso.

Trasmissione delle obbligazioni

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Il diritto romano escluse che un rapporto obbligatorio fosse trasmissibile da persona a persona; l'unica eccezione riguardava la successione a titolo universale.
Questo divieto posto in via teorica, non impedì nella pratica che si potesse attuare il trasferimento del credito o del debito, o di entrambi, seppure mediante espedienti empirici.
A tale scopo, si utilizzarono lo schema della novatio delegativa e della novatio espromissoria.

La delegatio

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Chi voleva cedere un credito imponeva al debitore di promettere ad altri, nella forma di una stipulazione "novatoria", ciò che doveva a lui.
La delegatio (o novatio delegatoria) era un accordo trilatero fra creditore delegante, debitore delegato e terzo delegatario, e non comportava un semplice mutamento soggettivo, ma creava una nova obligatio con un nuovo creditore, sempre se sussisteva il consenso del debitore.
La definizione di delegatio si trova nelle fonti: «delegare significa dare un altro obbligato al creditore», sotto forma di stipulatio o per litis contestatio.
Il cessionario di un'eredità a titolo oneroso aveva l'actio utilis suo nomine (dove nomine significa "debito") contro tutti i debitori dell'eredità. In tal caso, il debitore che avesse avuto notizia della cessione non poteva più validamente pagare al cedente: si affermò così l'uso (divenuto poi regola giuridica) del cessionario di notificare immediatamente al debitore la cessione.
Al cessionario spettava la garanzia del nomen verum, cioè dell'esistenza del debito, non anche quella del nomen bonum (garanzia di solvibilità del debitore ceduto).
Il cessionario acquistava il credito così come era presso il cedente, e il debitore ceduto poteva opporre tutte le eccezioni relative al credito, salvo quelle inerenti alla persona del cedente.
Un mezzo più efficace per effettuare la cessione del credito fu dato dal ricorso alla cd. rappresentanza indiretta: il creditore conferiva al cessionario un mandato ad agire, ed il procuratore (che nel caso di specie era procurator in rem suam) con la litis contestatio acquistava il credito; tale sistema ebbe larga diffusione per la rapidità con cui si consentiva l'acquisto del credito.

L'expromissio

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Mentre la cessione del credito era di fatto ammessa, sia pure mediante espedienti pratici, in diritto romano la cessione del debito era impedita dal principio (quasi) inderogabile della intrasmissibilità dell'obbligazione dal lato passivo. Tuttavia, il fine pratico della cessione del debito venne comunque raggiunto con espedienti imperfetti, cioè con strumenti indiretti.
Uno di questi, il più diffuso, era la cd. expromissio, un contratto novatorio in cui si sostituiva alla vecchia obbligazione una nuova, con un nuovo soggetto passivo.
Anche nel campo della cessione del debito si affermò l'uso di far subentrare in giudizio, al posto del convenuto-debitore, un altro soggetto in veste di cognitor in rem suam (cd. cognitor interveniens). Costui prendeva il posto del debitore originario nel giudizio e ne assumeva il debito.
Sia nel caso del procurator che del cognitor, si aveva dunque un mutamento del soggetto (rispettivamente attivo e passivo) del rapporto obbligatorio, ma mentre nel primo caso l'accordo era trilatero, nella cessione del debito si aveva un accordo bilaterare tra cedente e cessionario, con l'esclusione dell'intervento del creditore ceduto.

Inadempimento dell'obbligazione

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Il diritto romano ammetteva che alcuni tipi di obbligazioni potessero far luogo a responsabilità, quando la prestazione non fosse adempiuta o non fosse esattamente adempiuta.
Il problema dell'inadempimento non si poneva nel caso delle obbligazioni di dare fungibili, perché si riteneva che nessuna sopravvenienza potesse rendere impossibile la prestazione.
Il discorso era diverso per le obbligazioni specifiche: qui il debitore poteva essere esonerato da responsabilità se l'impossibilità non dipendeva da sua colpa.
Problemi particolari si avevano circa le obbligazioni che importavano l'obbligo di restituzione (pegno, deposito, comodato) o di gestione di affari altrui (mandato, tutela, negotiorum gestio, ecc.): tale obbligo era detto custodiam praestare e si poneva in stretta relazione con la responsabilità (chiamata dolum praestare).
L'inadempimento poteva essere imputato per dolo o per responsabilità oggettiva; la figura della colpa era meno nota e si affermò solo nel tardo diritto postclassico.
La responsabilità da inadempimento si traduceva in responsabilità personale del debitore: quando la Lex Poetelia Papiria abolì il nexum, si affermò il principio della responsabilità patrimoniale: il creditore, in luogo di ridurre in schiavitù il debitore, poteva venderne i beni (bonorum venditio) in una sorta di procedura fallimentare. Si affermò poi l'istituto della bonorum distractio, cioè la vendita dei singoli beni, che costituisce l'archetipo della moderna esecuzione individuale.
Il debitore, peraltro, poteva evitare la procedura esecutiva cedendo volontariamente i beni ai creditori (cessio bonorum).
Con l'introduzione dell'esecuzione patrimoniale, il patrimonio del debitore assunse valore di garanzia generica per i creditori, ai quali furono riconosciute diverse azioni per il caso che il debitore distraesse dei beni sottraendoli alla garanzia generica.
Inoltre, furono riconosciuti diversi mezzi di rafforzamento del credito, detti garanzie, e si cercò di assicurare al creditore l'esecuzione della prestazione mediante clausole diverse (arrha, poena, ecc).

Responsabilità "contrattuale" nascente dall'obbligazione

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I criteri di imputazione della responsabilità "contrattuale" erano considerati "elementi naturali" dell'obbligazione, ma potevano essere modificati dalle parti.
Alcuni contratti ammettevano solo il dolus malus (frode), altri il dolo e la colpa: «magna neglegentia colpa est; magna culpa dolus est»: con queste regole, il diritto romano imputava l'inadempimento, ma non trascurava di operare una graduazione della colpa.

L'Esonero da responsabilità "contrattuale"

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I casi di esonero da responsabilità erano dati dalla vis maior e dal casus fortuitus, che portavano senz'altro alla liberazione del debitore, in quanto in entrambi i casi si trattava di eventi del tutto inevitabili (rapinae, incendia, impetus praedonum, ecc).
Nei casi in cui l'inadempimento poteva addebitarsi al debitore, l'obbligazione continuava a sussistere, in virtù del principio della perpetuatio obligationis che poteva far condannare il debitore (dal giudice a pagare una somma di denaro in luogo della prestazione ormai divenuta impossibile. Tra l'altro, vigeva anche il principio della compensatio lucri cum damno.
Era ben nota anche la responsabilità ex recepto: essa si agganciava ai contratti di jus civile che importavano restituzione o gestione; la neglegentia nella custodia faceva scattare una sorta di responsabilità oggettiva, per cui il soggetto passivo era tenuto a praestare dolum. Tale criterio di imputazione si riteveva applicabile se l'oggetto depositato o comodato periva.

La culpa

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La colpa (culpa) interveniva negli atti illeciti collegati ad un particolare rapporto (derivante da contratto) con un altro soggetto.
Erano ipotesi note:

  • la culpa lata (cioè non capire quello che tutti capiscono) assimilata in qualche ipotesi al dolo,
  • la culpa levis (cioè non provvedere diligentemente),
  • la culpa levissima, introdotta dalla Lex Aquilia e perciò detta "colpa aquiliana", ma riconoscibile solo nei casi di illecito extracontrattuale, dove manca qualsiasi rapporto convenzionale o pattizio con altri soggetti.

La lex Aquilia

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A prescindere dalle varie figure di delictus che rientravano nella tutela penale, lo ius civile conosceva alcune figure di danneggiamento che trovavano tutela in sede civile: si parla della cd. iniuria e del conseguente damnum iniuria datum.
La disciplina del damnum si trova nella Lex Aquilia (287 a.C.), la prima legge scritta in materia di risarcimento del danno: in primo luogo, impose di ragguagliare il valore del risarcimento all'ultimo prezzo più alto raggiunto dal bene nel mese precedente, e poi richiese che tra il damnum e il factus vi fosse un nesso di causalità.

L‘actio legis Aquiliae era concessa contro il danneggiatore che doveva risarcire il duplum se si provava la colpa, nonché il damnum (effettiva lesione) e l'iniuria (antigiuridicità).

Per la responsabilità, era sufficiente anche la culpa laevissima, aggravando così la posizione del danneggiante. Si legge infatti nelle fonti che la plebe romana fu contenta quando Aquilio Gallo (tribuno romano) emanò questa legge.

Generalmente, è detta iniuria tutto ciò che "accade contro il diritto", specialmente "gli insulti pronunciati per disprezzare, le offese e le altre iniquità e ingiustizie che i Greci chiamavano αδιχεμα".

La mora è l'inadempimento colposo dell'obbligazione al tempo debito e con le modalità previste, oppure il colposo rifiuto di accettarla.
Si distingue pertanto la mora in solvendo (mora del debitore) dalla mora in accipiendo (mora del creditore).

La mora debendi

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Mora fieri intellegitur ex re vel ex persona era il brocardo che sanciva la distinzione tra i due tipi di mora: quella automatica e quella ex persona.
La mora debendi (o mora solvendi) era la mora del debitore, cioè il ritardo colposo nel pagamento. In tale materia, vigeva il principio minus solvit, qui tardius solvit, poi recepito dal vigente art. 1282 del cod. civ.
Per aversi mora solvendi occorrevano i seguenti requisiti:

  • innanzitutto l'obbligazione doveva essere valida e munita di azione: non si configurava mora nelle obligationes naturales;
  • l'obbligazione doveva anche essere pura ed esigibile: non poteva essere richiesta la prestazione ante diem, ossia prima della scadenza del termine, né se mancava l'imputabilità del ritardo al debitore (mora videtur esse, si nulla difficultas venditorem impediat);
  • occorreva poi la cd. interpellatio, cioè l'atto di costituzione in mora (nulla mora ubi nulla petitio); per le obbligazioni eo die (cioè a termine) si applicava il principio del dies interpellat pro homine.

Per effetto della mora, l'obbligazione si perpetuava e sorgeva la responsabilità del debitore, che era perciò tenuto a dare usuras, cioè a pagare gli interessi dal giorno della mora, nonché a risarcire il danno derivante dal ritardo (damnum iniuria datum) e ad accollarsi il rischio del perimento della cosa.
Principio generale era in illiquidis non fit mora.

La mora credendi

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Diversa era la mora credendi (o mora accipiendi), che si verificava quando il creditore rifiutava senza motivo di ricevere il pagamento integrale.
Gli effetti della mora del creditore erano analoghi a quelli moderni: il rischio per il perimento della cosa era a carico del creditore, il debitore era esonerato dagli interessi e poteva addirittura rifiutare di adempiere se non veniva rimborsato delle spese sostenute per il ritardo.
Giustiniano introdusse l'offerta pubblica e il deposito della cosa, come forme valide di estinzione dell'obbligazione.

L'obbligazione di interessi (usurae)

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Dopo l'interpellatio, decorrevano a favore del creditore gli interessi (usurae); la misura degli interessi veniva determinata officio iudicis oppure apud iudicem, ma poteva anche essere stabilita dalle parti. Generalmente, comunque, la questione degli interessi era esaminata apud iudicem.
Le parti potevano preventivamente stabilire la misura degli interessi con una clausola chiamata stipulatio usurarum.
Giustiniano vietò gli interessi composti (anatocismo).

Estinzione dell'obbligazione

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L'obligatio, come la proprietà, era un rapporto tendenzialmente perpetuo, nel senso che occorrevano determinati negozi per estinguerlo (ad es. solutio per aes et libram), altrimenti durava indefinitamente, salva l'estinzione dell'oggetto su cui gravava.
Causa di estinzione dell'obbligazione era perciò qualsiasi fatto giuridico che comportasse la cessazione del rapporto obbligatorio comprendente tutti i diritti e obblighi che ne derivavano.
Nell'antico diritto, occorrevano forme solenni per poter sciogliere l'obbligazione:

  • Solvere dicimus eum, qui fecit quod facere promisit: sembra che la solutio, cioè l'adempimento, fosse il modo principale di estinzione dell'obbligazione. Ed infatti si legge nelle fonti: «le obbligazioni o naturalmente o civilmente si adempiono; naturalmente con la solutio o con l'acceptilatio o la novatio o il concursus causarum, o la confusio o la compensatio». Comunque, quidque contractum est, solvi debet: per il debitore non c'era altro modo di sottrarsi al vincolo che quello dell'adempimento.
  • solo nel diritto più tardo sorgeranno nuovi modi di sciogliere il vincolo obbligatorio: dissensu, remissio, nexi liberatio, ecc.

La morte o la capitis deminutio (perdita della capacità giuridica) estinguevano tutte le obbligazioni derivanti da mandato, delictum, sponsio (promesse unilaterali) e fideipromissio. Ciò, in quanto tali obbligazioni erano fondate sulla fiducia personale del debitore.

I Romani usavano distinguere i modi di estinzione delle obbligazioni in modi di estinzione ipso iure, che operavano automaticamente, e modi di estinzione ope exceptionis, che si potevano far valere solo attraverso l'inserimento nella foruma di una exceptio.

I tipi di estinzione ipso iure

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Vari sono i tipi di estinzione ipso iure.

La solutio

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La solutio per aes et libram era l'atto con cui il debitore si scioglieva dal vinculum, eseguendo la prestazione in favore del creditore: solvere dicitur qui id facit quod facere promisit.
Varie erano le regole che disciplinavano l'adempimento:

  • cum mutuum dedimus, ut retro pecuniae tantundem solvi debet (trad.: se abbiamo stipulato un mutuo, dobbiamo restituire il tantundem, cioè l'equivalente);
  • il debitore poteva pretendere la quietanza (apocha) o la presenza di cinque testimoni al momento dell'adempimento;
  • la solutio andava effettuata quando dies venit, ossia alla scadenza del termine, che di regola era a favore del debitore (diei adiecto pro debitore est); se non era stabilito un termine, il creditore poteva chiedere l'adempimento in qualsiasi momento, invitando formalmente (con l'interpellatio) il debitore a pagare, o poteva concedere proroghe;
  • circa il luogo del pagamento, se nulla era pattuito in proposito, il luogo era quello dove si trovavano gli oggetti.

L'adiectus solutionis causa

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L' obligatio poteva intercorrere fra due o più soggetti: quando era indicato il creditore, il pagamento liberatorio avveniva solo nei suoi confronti. Se invece l'obbligazione conteneva la formula prometti di dare a Caio o a Tizio?, allora sorgeva la figura dell'adiectus solutionis causa, un soggetto già indicato nell'atto quale valido destinatario alternativo del pagamento.

L'adstipulator era invece una persona di fiducia del creditore che stipulava un'obbligazione sulla scorta di quella originaria, con lo stesso oggetto.
Qualsiasi pagamento, fatto a persona diversa dal creditore, dall' adiecuts o dall'adstipulator, non era valido se il creditore non lo autorizzava.

Imputazione dei pagamenti

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Quando il debitore aveva più debiti verso lo stesso creditore, era libero di imputare il pagamento ad uno qualsiasi di essi; ma se mancava la scelta del debitore, soccorrevano criteri legali di imputazione. In ogni caso, si riteneva estinto dapprima il debito di interessi e poi quello di capitale.
L'imputazione seguiva questo ordine: prima le obbligazioni ex delicto, poi quelle ipotecarie e infine quelle indicate dal debitore o (in mancanza) dal ceditore.

Il concordato e il beneficium competentiae

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Altri modi di estinzione delle obbligazioni erano il concordato e il beneficium competentiae.
I Romani applicarono il concordato solo alle eredità: una costituzione di Marco Aurelio stabiliva che se un'eredità era molto gravata di debiti, l'erede aveva facoltà di convocare i creditori e invitarli a ridurre proporzionalmente i propri crediti. La deliberazione era presa a maggioranza dell'assemblea dei creditori.
In virtù del beneficium competentiae, il debitore aveva diritto di non essere condannato a pagare se non nella misura delle sue facoltà economiche (in id quod facere potest). Le persone alle quali il beneficio spettava erano:

  • il marito rispetto alla moglie
  • la moglie rispetto al marito
  • il suocero
  • il patronus
  • il milite
  • il socio
  • il donante
  • l'emancipato
  • il filiusfamilias diseredato
  • il fallito che cede i beni o ha subito la bonorum venditio
  • il debitore ex promissione doti oppure ex reddenda dote.

Il beneficium competentiae aveva lo scopo di evitare l'esecuzione personale o l'infamia (conseguente all'esecuzione reale) oppure ancora l'ignominia (derivante dalla cessio bonorum), sottraendo alla liquidazione generale il patrimonio (dedotte le spese per il necessario sostentamento: deductio ne egeat).

L'acceptilatio

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Istituto ibrido era l'accettilazione (acceptilatio): originariamente, era la dichiarazione con cui il creditore attestava di aver ricevuto la prestazione, poi fu usata come formula di remissione del debito.
La forma consisteva in una interrogazione e una risposta. Il debitore interrogava il crditore se avesse ricevuto il pagamento o meno:

  • (debitore): Quod ego tibi promisi habesne acceptum?
  • (creditore): Habeo

Era dunque un actus legitimus che non ammetteva né condizioni né termini, incompatibili peraltro col tenore della dichiarazione formale, che nel tardo diritto cominciò ad essere usata come una sorta di pactum de non petendo: rispondendo di aver ricevuto il pagamento, il creditore si impegnava con il debitore a non richiedere la prestazione; quindi, sostanzialmente si trattava di una remissione del debito, che poteva valere solo nei confronti del debitore (ne a te petam) oppure nei confronti di tutti i soggetti (condebitori, eredi, garanti, ecc.) coinvolti nel rapporto obbligatorio (ne petam).

Ulpiano diceva: «tra acceptilatio e apocha (=quietanza) c'è questa differenza: l'acceptilatio in ogni modo scioglie il vincolo e libera il debitore, anche se la pecunia non è stata data, mentre la apocha non libera se non è stata versata la pecunia».
Per Ulpiano, (...)quia hoc iure utimur, ut iuris gentium sit acceptilatio: et ideo puto ut Graece posse acceptum fieri, dummodo sic fiat, ut Latinis verbis solet (trad.: "perché secondo il nostro diritto l' acceptilatio è un'istituzione del ius gentium; e sono perciò d'avviso che essa possa essere fatta in greco, a condizione che sia fatta così come è usuale in parole latine: "tu hai ricevuto tanti denari?" "si, li ho ricevuti".)
Anche Gaio parla dell' acceptilatio come veluti imaginaria solutio, nel senso che è un pagamento immaginario: era sufficiente che il debitore chiedesse «Quod ego tibi promisi, habesne acceptum?» (trad.: ciò che ti ho promesso tramite una stipulazione, tu lo hai ricevuto?), e che il creditore rispondesse: «Habeo».
Nel diritto classico, l' acceptilatio fu usata principalmente come atto di remissione di un debito appartenente al ius gentium: era infatti il negozio di chi non accipiat pecuniam, sed habere se dicat.

La datio in solutum

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Il creditore non poteva essere costretto ad accettare una cosa diversa da quella dovuta; se accettava, si aveva la datio in solutum.
Secondo Giustiniano, la datio vicem venditionem habet (trad.: fa le veci della vendita) e doveva essere effettuata nel luogo e nel termine stabilito. Giustiniano introdusse anche una forma di datio necessaria, applicabile quando il debitore non poteva procurarsi denaro ma aveva degli immobili: in tal caso, il debitore faceva stimare equamente i suoi immobili e li offriva al creditore.
Oltretutto, il creditore non era tenuto ad accettare prestazioni parziali, se l'obbligazione poteva essere adempiuta in una volta sola. Tuttavia, il diritto pretorio concesse ai debitori meritevoli di evitare la bonorum venditio (e con essa l' infamia) mediante il beneficium competentiae, cioè condannando tali debitori all'id quod facere possunt.
Poteva altresì essere applicato il pactum quo minus solvatur, cioè una forma di concordato preventivo tra gli eredi del debitore insolvente e i creditori ereditari, allo scopo di limitare le pretese di questi ultimi ed evitare la bonorum venditio in danno del defunto.
Il pactum quo minus solvatur poteva anche consistere nel chiedere la metà del credito, e prendeva il nome specifico di pactum quo partem dimidiam solvatur, applicabile sulla base di apposito decretum emanato dal pretore.
Sia il pactum quo minus, che il pactum quo partem dimidiam, erano patti validi per lo ius civile.

La novatio

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Novatio non potest contingere ea stipulatione, quae non committitur: questo brocardo esprime una necessità formalistica del diritto romano, tendenzialmente contrario alle astrazioni, nonché la prima regola per potersi avere novazione: una novazione non può riferirsi a un contratto che non esista.
La novatio consisteva nella sostituzione di una nuova obbligazione con la vecchia, sicché quella vecchia restasse estinta (ut prior obligatio pereatur): un negozio, quindi, dal duplice effetto di costituire una nuova obbligazione ed estinguerne un'altra.
Si accedeva alla novatio mediante stipulatio. Circa l'oggetto, si diceva che omnes res transire in novatione possunt, ma nel diritto classico non si poteva mutare l'oggetto dell'obbligazione.
Anzi, fondamento dell'effetto estintivo della novazione era l'idem debitum, giacché non erano ammessi tra le stesse persone due contratti aventi lo stesso oggetto, come non erano possibili due processi sulla stessa controversia (bis de eadem re agi non potest).
Nel diritto giustinianeo, il concetto antico della novazione era svanito e l'identità di oggetto eliminata come requisito: anzi, la novità (aliquid novi) può consistere appunto nel mutamento dell'oggetto.
Era invece indispensabile l'animus novandi, cioè l'intenzione effettiva di novare, di non lasciar sussistere la nuova obbligazione insieme a quella vecchia.

La confusio

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Corrisponde alla moderna figura della confusione, ed era la concentrazione nella stessa persona della qualità di creditore e debitore, dovuta ad un evento giuridico: confusio est cum debitor et creditor una persona fit.
L'ipotesi più ricorrente era la confusio per successione nel credito, sia mortis causa che inter vivos. Si legge infatti nelle fonti che «se l'erede continuasse ad essere creditore verso il debitore e in seguito lo stesso creditore morisse, il legato sarebbe estinto: e ciò è vero, poiché l'obbligazione si estingue allo stesso modo per confusione e per solutio», in quanto debitor sui ipsius nemo esse potest..
La confusione operava quindi ipso iure l'estinzione dell'obbligazione: confusione perinde extinguitur obligatio ac solutione, senza ulteriori formalità.

Il concursus causarum

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Era una forma di satisfactio senza solutio, che si aveva nei casi di impossibilità sopravvenuta della prestazione: il nome preciso era concursus duarum causarum, perché si faceva distinzione a seconda che la causa dell'obbligazione (o quella dell'acquisto del bene) fosse onerosa o gratuita.
In sostanza, quando il creditore acquistava a titolo diverso (onerosamente o gratuitamente) e per altra via la cosa dovutagli, lo scopo del soddisfacimento del credito si riteneva conseguito.
La giurisprudenza classica ritenne poi che, qualora l'acquisto del creditore fosse stato a titolo oneroso, l'obbligazione non si estinguesse e il debitore dovesse pagare l'aestimatio.

I tipi di estinzione ope exceptionis

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Vari sono i tipi di estinzione ope exceptionis.

La compensatio

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La compensazione era il più importante modo di estinzione operante per lo più ope exceptionibus; nel diritto classico erra operò anche ipso iure, ed ebbe ambito applicativo più limitato.
Nel diritto giustinianeo, assunse le connotazioni moderne: poteva applicarsi solo ai casi espressamente previsti dalla legge, richiedeva dei presupposti tassativi ed occorreva l'intervento del giudice.
I casi legali di compensatio si identificavano in relazione ai soggetti e all'oggetto dell'obbligazione. In primo luogo, il credito poteva compensarsi solo con altro debito liquido, valido, scaduto, di facile prova ed omogeneo a quello per cui era stato convenuto il debitore in giudizio.
Solo in alcuni casi si escluse la compensazione: o per le qualità del creditore (fisco, municipio, ecc.) o per la natura dell'obbligazione fatta valere dal creditore (es. obbligazione alimentare, obligatio ex delicto, ecc.).
Il debitore convenuto in giudizio poteva opporre l'eccezione di compensazione o mediante una vera e propria exceptio oppure con una mutua petitio (=domanda riconvenzionale); il giudice doveva tener conto dell'ammontare del credito e condannare il debitore se (e solo se) il debito superava il credito. In caso di parità fra credito e debito, il giudice assolveva, in virtù del principio secondo cui la compensazione è bilanciamento fra credito e debito.

Il pactum de non petendo

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Era il patto con cui il creditore si impegnava a non richiedere (per sempre o per un certo periodo) il suo credito.
Tale patto poteva essere utilizzato come forma alternativa di remissione del debito o come dilazione nel pagamento: in ogni caso, era un accordo privo di ogni formalismo.
Si distingueva dalla figura della acceptilatio, in quanto non operava ipso iure come quella, ma dava al convenuto una exceptio pacti per paralizzare la pretesa dell'attore.
Poteva essere un pactum in rem oppure in personam: se era in rem, il creditore si impegnava a non richiedere il suo credito generaliter, cioè verso tutti. Se era in personam, si riferiva al solo debitore e non anche all'erede o al fideiussore di questi, e il creditore poteva chiedere quanto dovutogli ad altri (ad es. ai garanti o agli eredi).
In diritto romano era molto più frequente il pactum in personam, per agevolare il creditore che, volendo benficiare il debitore ma senza rimetterci il credito, poteva rivolgersi ad altri soggetti per il pagamento.

La transactio

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Era un negozio con cui porre fine ad una controversia (fine peraltro raggiungibile anche mediante acceptilatio, stipulatio, ecc.), che in più determinava anche l'estinzione delle obbligazioni eventualmente sussistenti tra le parti.
Il debitore citato in giudizio poteva appunto eccepire l'intervenuta transactio mdiante exceptio pacti. Solo in età giustinianea, la transactio divenne un autonomo negozio innominato, cioè atipico.
Il diritto romano attribuiva molta importanza alla transazione: «(...) è stabilito che non minore autorità della transazione rispetto alla cosa giudicata si abbia (...) Chi transige, transige sulla cosa dubbia e sulla lite incerta, non sulla cosa definita».

La praescriptio longi temporis

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Questo modo di estinzione delle obbligazioni fu introdotto da Teodosio II nel V secolo d.C., ma era inizialmente un modo di estinzione dell'azione creditoria: trascorsi trent'anni dal momento in cui il credito fosse divenuto esigibile e non fosse stato richiesto il pagamento, si estingueva la facoltà del creditore di agire in giudizio.
Il creditore non doveva essere né impuberefilius; se lo era, contro di lui non decorreva la prescrizione.
La messa in mora del debitore o il pagamento parziale erano atti interruttivi della prescrizione. Erano cause sospensive la sopravenuta incapacità del creditore, il sorgere di un rapporto di coniugio o affiliazione tra debitore e creditore.