Progetto e realizzazione di un alimentatore stabilizzato

Per alimentatore stabilizzato si intende un circuito elettronico il quale trasforma un segnale alternato proveniente dalla rete elettrica in un segnale continuo a bassa tensione.

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Progetto e realizzazione di un alimentatore stabilizzato
Tipo di risorsa Tipo: laboratorio
Materia di appartenenza Materie:
Avanzamento Avanzamento: laboratorio completa al 100%

Obiettivi didattici e prerequisiti

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Questa risorsa è stata pensata e concepita per allievi dei corsi di elettronica, elettrotecnica e telecomunicazioni sia degli Istituti Tecnici, sia degli Istituti Professionali, come conclusione del percorso laboratoriale sull'elettronica di base. Il suo obiettivo fondamentale è sviluppare un progetto il quale abbia applicazioni pratiche di immediata localizzazione.

Prerequisiti

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Agli studenti che affrontano questa attività si richiedono le seguenti conoscenze di base:

  • legge di Ohm;
  • primo e secondo principio di Kirchhoff;
  • carica e scarica del condensatore;
  • diodi (principio di funzionamento);
  • grandezze fondamentali relative alle tensioni alternate;
  • risoluzione di equazioni elementari.

Contenuti

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Partendo dalla tensione di rete si progetta un circuito in grado di erogare una tensione continua. Si affrontano in primo luogo le problematiche relative al trasporto dell'energia (giustificando così la scelta della tensione alternata e dell’alta tensione), si forniscono quindi elementi di sicurezza elettrica (i quali, anche se ripetuti, male non fanno), dopodiché segue l’analisi del circuito visto inizialmente come schema a blocchi per procedere poi con l’analisi e la realizzazione (in laboratorio) del circuito in esame.

Metodologie didattiche

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  • Lezioni frontali;
  • laboratorio di Informatica con accesso a internet;
  • laboratorio di elettrotecnica o similari.

Obiettivi

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Lo studente, al termine di questo lavoro:

  • conosce le motivazioni che spingono il gestore a utilizzare tensioni alternate e alte tensioni per il trasporto dell'energia;
  • è in grado di analizzare uno schema a blocchi elementare;
  • conosce il trasformatore, la sua utilità e i suoi utilizzi;
  • conosce alcune tra le principali applicazioni dei diodi e diodi led;
  • conosce il diodo Zener e la sua fondamentale applicazione.

Schema a blocchi

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Data la complessità del progetto si procederà con un’analisi del suo schema a blocchi, indagando cioè un aspetto alla volta – non il circuito in tutta la sua interezza – questo modo di procedere consente uno studio e una progettazione più semplice.

Da sottolineare che i vari blocchi possono influenzarsi a vicenda; per esempio se due blocchi sono costituiti da una resistenza l’insieme dei blocchi sarà la serie (o il parallelo, a seconda di come le si è disposte) di tali resistenze.

La cosa più importante da comprendere è che ogni singolo blocco ha uno scopo, il quale può essere indagato singolarmente. Dopodiché la “fusione” dei vari blocchi risulterà più agevole e semplificherà lo studio del circuito nella sua interezza.

Nel nostro caso lo schema a si presenta così:

 
Alimentatore stabilizzato schema blocchi

Da notare che l’ultimo blocco è evidenziato con un tratteggio, questo perché in realtà lo stabilizzatore (penultimo blocco) può esercitare anche la funzione di protezione contro i cortocircuiti, con opportuni accorgimenti che verranno approfonditi in seguito.

È stato inserito perché – a livello di progetto – può essere realizzato anche attraverso un componente separato. È il costruttore che poi decide, in base alla sua esperienza, se due funzioni possono essere aggregate o – diversamente – se una funzione è conveniente ripartirla in più parti.

Tensione di rete

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La tensione di rete distribuita dal gestore[1] ha un valore tipico di   e una frequenza di  [2]. Qua viene riportato – a puro titolo di esempio – il grafico del consumo di un sabato, istante per istante (i dati vengono rilasciati dal gestore ogni ora).

 

La curva viene elaborata in base alle informazioni acquisite dal sistema di controllo, per una quota corrispondente approssimativamente all’89% e in base a stime fuori linea, per la parte rimanente. Viene eseguita anche una stima, elaborata il giorno precedente sulla base dei valori di consumo relativi a giorni analoghi di periodi precedenti, considerando variabili che influenzano la richiesta di energia elettrica quali fattori meteorologici e climatici e variabili socioeconomiche.

La rete elettrica trasporta quindi enormi quantità di energia e occorre fare attenzione agli sprechi, anche minimi, poiché – quando si parla di potenze dell’ordine delle decine di GW – anche piccole percentuali possono originare perdite elevatissime.[3]

Uno schema di principio – anche se molto approssimato – di un elettrodotto può essere il seguente:

 


dove la corrente generata percorre centinaia, quando non migliaia, di chilometri[4] prima di giungere al carico. Ora l’elettrodotto può essere realizzato anche con i migliori materiali, ma una sua resistenza la presenta inevitabilmente – soprattutto a causa delle notevoli distanze – e questo fenomeno si modella con le resistenze di linea  . Queste resistenze dissipano una potenza proporzionale al quadrato della corrente che vi circola, infatti:

 

ne consegue che maggiore è la richiesta di energia, quindi di potenza e in definitiva di corrente, maggiori saranno le perdite sulle linee. Se si considerano gli elevati consumi energetici, lo studio di una strategia per minimizzare le perdite è tutt’altro che tempo perso.

Due parole sulla sicurezza elettrica

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Prima di compiere qualsiasi altro passo è fondamentale puntualizzare alcune norme di sicurezza, sia dell’installatore, sia dell’utente finale, che non dovranno mai essere dimenticate.

Il cercafase

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Cercafase a contatto smontato per mostrare la lampada interna

Durante un lavoro di installazione o di ricerca guasti è fondamentale lavorare in assenza di tensione. Per ottenere questa condizione non è sufficiente aprire l’interruttore principale: mai dare per scontato che esso sia perfettamente funzionante. Un bravo tecnico utilizza sempre il principio di precauzione il quale suggerisce di verificare con un tester o – più agevolmente – con un cercafase (riportato smontato in figura).

Il cercafase è uno dispositivo semplice ed economico usato per rilevare la presenza di tensione elettrica su un elemento circuitale, in particolare per individuare la presenza di una fase su un conduttore[5]. Solitamente ha la forma e la funzionalità di un cacciavite, in aggiunta nel manico trasparente è alloggiata una lampada al neon con una resistenza elettrica collegata in serie. Una estremità del circuito è collegata alla punta del cacciavite, l’altra a una piastrina metallica presente sul manico. Per utilizzare il cercafase è necessario tenere un dito in contatto con la piastrina e con la punta toccare le parti da verificare (fili elettrici, morsetti, carcasse metalliche...). Se è presente una tensione sufficiente ad accendere la lampada, un flusso di corrente scorre attraverso lo strumento, e attraverso l’operatore, disperdendosi verso terra e si può osservare una debole luce arancione nel manico. Il flusso di corrente è talmente debole da non essere neppure percettibile dall’uomo.

In questo caso si deve procedere con la ricerca di un ulteriore interruttore a monte di quello che si era disconnesso e – successivamente – alla sostituzione dell'apparato mal funzionante.

Messa a terra

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Presa P 17/11 (1) e presa P 40 (2)

Quelle mostrate a fianco sono le due più comuni prese di corrente viste migliaia di volte. Se le si confronta col circuito elettrico visto in precedenza una domanda dovrebbe sorgere spontanea: «se il carico è una resistenza – avente due terminali – e il generatore anch’esso ha un polo positivo e negativo – oppure, come nel caso della tensione alternata, un neutro e una fase – perché i forellini nella presa sono tre e non due?».

 
Nodo equipotenziale con disgiuntore per l'effettuazione di prove.

La risposta è piuttosto semplice ricordando il primo principio di Kirchhoff. I terminali in alto ed in basso (o ai lati) sono connessi al generatore e al carico, come mostrato nello schema successivo, mentre il terminale centrale è la

cosiddetta messa a terra[6] del supporto del dispositivo (nella figura a sinistra è mostrato una tipica connessione).

Se il circuito interno, con uno dei suoi mille fili[7], venisse a contatto con il contenitore metallico, chi si trovasse a toccarlo si troverebbe a contatto con la tensione di rete come schematizzato nel disegno:

 
l

A questo punto la corrente si dirige verso terra, dove il potenziale è neutro. Può percorrere due vie: la malaugurata persona a e la messa a terra (il cavo a monte della presa). La corrente elettrica passa dove la resistenza è minore e risparmia la vita al il malcapitato.

In questo caso si parla di contatto indiretto[8], questo si verifica quando un individuo viene in contatto con parti metalliche che si trovano in tensione accidentalmente e imprevedibilmente. Avviene in condizioni di guasto, come – per esempio – quando l’isolamento elettrico di un apparecchio cede o si deteriora in seguito a un guasto, spesso non visibile. L’involucro metallico dell’apparecchio elettrico si trova in questo caso sotto tensione e – in caso di contatto la persona – questa può essere investita dal passaggio della corrente elettrica verso terra.

Diversamente, si parla di contatto diretto quando si viene a contatto[9] con una parte attiva dell’impianto, ovvero una parte normalmente in tensione, come per esempio un conduttore, un morsetto, l’attacco di una lampada.

Interruttore differenziale

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Interruttore differenziale monofase.

Ma non sempre le cose vanno per il verso giusto. La persona che si trova a contatto con la corrente elettrica potrebbe essere scalza, con i piedi bagnati o magari con una ferita sia nella mano, sia nel piede. Per farla breve: il principio di precauzione impone di considerare il caso peggiore che si possa mai verificare.

Pertanto, un secondo accorgimento è interrompere l’alimentazione se la corrente dispersa (pari alla corrente erogata meno la corrente restituita) supera un valore prefissato (nelle utenze domestiche il valore tipico è  ). Questo avviene ricorrendo all’interruttore differenziale[10], popolarmente, ma impropriamente, noto come salvavita, mostrato qui a destra.

Il suo funzionamento si basa su un fenomeno elettromagnetico: la differenza di corrente entrante e uscente, superando un valore prefissato, generano una forza tale da aprire entrambi i contatti mostrati nel circuito sottostante:

 
Principio di funzionamento di un interruttore differenziale

tale differenza è data da:

 

e quando   supera i  [11] il dispositivo si apre.

Interruttore magnetotermico

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Interruttore magnetotermico monofase

Infine, per un lavoro “a regola d’arte”, va inserito un interruttore magnetotermico, detto anche interruttore automatico[12]. È un dispositivo in grado di aprire un circuito in caso di sovracorrente. Sostituisce il fusibile, col vantaggio d’una maggior precisione di intervento e d’essere più facilmente ripristinabile con la semplice pressione di un pulsante o l’azionamento di una leva. Come si intuisce dal nome, all’interno di un interruttore magneto-termico sono presenti due distinte sezioni che rilevano i due fenomeni per mezzo di differenti principi fisici.

Inizialmente l’interruttore deve essere chiuso agendo sul comando manuale. Così viene caricata una molla che tende a provocare l’apertura dei contatti, trattenuta da un’ancora. Quando una sezione del dispositivo rileva un guasto, la molla viene liberata e si ha l’apertura dell’interruttore. La forza prodotta dalla molla deve essere tanto più elevata quanto maggiore è l’intensità della corrente da interrompere, ovvero il potere di interruzione del dispositivo.

 
Interruttore magnetotermico aperto

A destra è riportato l’interno di un interruttore magnetotermico con evidenziati i suoi componenti:

  1. Leva di comando;
  2. meccanismo di scatto;
  3. contatti di interruzione;
  4. morsetti di collegamento;
  5. lamina bimetallica (rilevamento sovraccarichi);
  6. vite per la regolazione della sensibilità (in fabbrica);
  7. solenoide (rilevamento cortocircuiti);
  8. sistema di estinzione d’arco.

La protezione dai cortocircuiti avviene per mezzo di un solenoide avvolto su una barra magnetica, in pratica un relè. L’elevato impulso di corrente induce un campo magnetico, il quale attira una ancora che provoca l’apertura dell’interruttore.

La protezione da sovraccarichi avviene mediante una resistenza elettrica abbinata ad una lamina bimetallica. Grazie alla differenza nella dilatazione termica di due metalli accoppiati, la lamina si piega fino a provocare lo scatto dell’interruttore. Il tempo di intervento non è istantaneo: dipende – con funzione caratteristica dei diversi modelli – dall’inverso dell’entità del superamento del valore di soglia. Alcuni apparecchi più moderni impiegano sistemi elettronici per espletare questa funzione in tempi decisamente più rapidi.

Da non dimenticare

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È molto importante sapere che la maggior parte della resistenza elettrica che il nostro corpo offre al passaggio di corrente elettrica è data dalla pelle. I tessuti muscolari, il sangue e gli organi interni hanno resistenza pressoché trascurabile rispetto alla pelle[13]. L’acqua – specie se sporca – è un buon conduttore di corrente elettrica e potrebbe fare il resto.

Da sottolineare inoltre che non è la tensione a essere letale, ma la corrente che attraversa l'organismo. Naturalmente, se la tensione è alta, la probabilità che sia alta pure la corrente aumenta poiché  , tuttavia per avere effetti letali sono sufficienti meno di  . Con  , invece, si perde il controllo dei muscoli (che il cervello controlla mediante impulsi elettrici, ma ora che è presente una corrente molto maggiore rispetto a quella generabile dalla propria volontà, si rimane attaccati come si dice volgarmente).

Possiamo riassumere questi concetti con questa tabella:

Valori di corrente Definizione Effetti
  Soglia di percezione Non si hanno rischi o pericoli per la salute.
  Elettrificazione Produce una sensazione di formicolio più o meno forte e può provocare movimenti riflessi.
  Tetanizzazione Si hanno contrazioni muscolari. Se la parte in tensione è stata afferrata con la mano si può avere paralisi dei muscoli, rendendo difficile il distacco.
  Difficoltà respiratorie Si hanno a causa della contrazione di muscoli addetti alla respirazione, e del passaggio di corrente per i centri nervosi che sovrintendono alla funzione respiratoria.
  Asfissia La tetanizzazione dei muscoli della respirazione, può essere tale da provocare la morte per asfissia.
  Fibrillazione Se la corrente attraversa il cuore può alterarne il regolare funzionamento, provocando una contrazione irregolare e disordinata delle fibre cardiache che può portare alla morte.

Trasformatore

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Trasformatore da  .

Il trasformatore è una dispositivo elettrico statico (non contiene parti in movimento). È in grado di operare solo in corrente alternata, poiché sfrutta i principi dell’elettromagnetismo legati ai flussi variabili. A tutt’oggi riveste un ruolo fondamentale nell’elettrotecnica: senza di esso le grandi reti di trasporto dell’energia elettrica, che collegano le centrali elettriche a milioni di abitazioni e industrie, non potrebbero funzionare.

Qui a destra, a titolo di esempio, è mostrato un trasformatore per alte tensioni, da   a  .

Il funzionamento del trasformatore è piuttosto semplice da descrivere. Nel caso ideale (trascurando le perdite di potenza) viene espresso dalla seguente equazione costitutiva:

 

dove   e   sono tensioni e correnti d’ingresso, mentre   e   le tensioni e correnti d’uscita, mentre   è il cosiddetto rapporto di trasformazione. Moltiplicando ambo i membri dell'equazione precedente si nota che la

potenza in ingresso è pari a quella in uscita.

Nella realtà tutto questo è vero a meno di un rendimento, il quale verrà indicato col simbolo  .

Si ottiene:

 

dove, naturalmente:  .


Detto questo l’uso migliore che possiamo fare del trasformatore è il seguente:

  1. nel luogo più opportuno viene prodotta l’energia elettrica;
  2. la tensione viene elevata il più possibile con conseguente abbassamento della corrente;
  3. nell’elettrodotto ( ) circolerà quindi una corrente molto minore, con un ancor maggiore abbassamento di perdite;
  4. prima di passare alle utenze finali la tensione viene portata ai livelli desiderati;
  5. ora si è pronti per passare l’energia al carico ( ) ed il circuito si chiude.
 



Questo processo ottimizza i costi del trasporto dell’energia. Tuttavia se ora serve una tensione continua e più bassa, di quella fornita dal gestore, occorre, in primo luogo, impiegare un trasformatore che porti la tensione ai valori desiderati, in secondo luogo si dovrà trasformare la tensione da alternata a continua mediante un opportuno circuito elettrico.

Il trasformatore, infatti, è il primo componente del circuito che ci si appresta a realizzare. A puro titolo indicativo si fornisce il seguente dato: la tensione d’uscita del trasformatore deve essere pari a   volte la tensione che si desidera ottenere in uscita. per esempio:

 

Raddrizzatore

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Raddrizzatore

Il raddrizzatore è il passaggio successivo al trasformatore. È un dispositivo il quale, dato un segnale alternato – tipicamente a valor medio nullo, anche se tale condizione non è fondamentale – restituisce un segnale, anch’esso alternato, ma definito positivo, troncando o invertendo il segno della parte negativa.

Raddrizzatore a singola semionda

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Il metodo più semplice per raddrizzare una corrente alternata si basa sull’impiego di un diodo a semiconduttore. In questo caso viene lasciata passare la sola semionda positiva, mentre, quando è presente la semionda negativa, il diodo entra in interdizione e non si verifica passaggio di corrente.

Questa soluzione ha il difetto non trascurabile di generare un segnale difficile da rettificare per ottenere una corrente costante, oltre a essere causa di un notevole rumore elettrico.

Un secondo problema, ma non certo per importanza, è il fatto che – eliminando tutte le semionde negative – si ha un’immediata perdita netta del 50% della potenza disponibile in ingresso.

Raddrizzatore a doppia semionda

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Utilizzando invece un trasformatore con il secondario dotato di una presa centrale esattamente a metà avvolgimento, è possibile ottenere due tensioni sfasate tra loro di 180°, le quali possono essere raddrizzate singolarmente tramite due diodi che forniscono alternativamente la semionda desiderata al blocco successivo.

È una soluzione migliore della precedente, anche se antieconomica, poiché il trasformatore con secondario con presa centrale deve essere realizzato con estrema precisione e il suo costo non sarà trascurabile. Tuttavia va sottolineato che così è scomparso il problema della perdita in potenza del caso precedente.

Raddrizzatore a ponte di diodi

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Adottando quattro diodi disposti in configurazione a ponte di Graetz, è possibile ottenere un segnale pari alla semionda positiva seguito dalla semionda negativa capovolta (doppia semionda). Questa soluzione, molto usata negli alimentatori, rende più semplice il successivo filtraggio e livellamento della tensione fino a ottenere una corrente continua, non richiedendo peraltro un trasformatore con secondario con presa centrale.

Principale svantaggio di questo metodo è di avere una caduta di tensione pari a quella di due diodi in serie, quindi anche oltre  [14]. Nel raddrizzare tensioni molto piccole, tuttavia, si ha una perdita e una distorsione eccessiva.

In questo caso il circuito è il seguente:

 

Va sottolineato che la tensione in uscita, non solo è inferiore alla tensione in ingresso di   ma, fintantoché il segnale in ingresso non supera il valore di  , non si ha tensione in uscita poiché i diodi del ponte di Greatz sono interdetti. Per questo motivo questa soluzione viene scartata nel caso di deboli tensioni da raddrizzare.

Rettificatore

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Compito del rettificatore è trasformare la tensione pulsante (resa positiva dal raddrizzatore) in un segnale il più possibile prossimo ad un segnale continuo. Compiuto questo passo abbiamo ottenuto un alimentatore non stabilizzato. Vediamo il circuito elettrico fino a questo punto soffermandoci sui vari blocchi circuitali:

 

In uscita si ottiene un andamento di questo tipo:

 


Tensione di ripple

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È uno dei parametri che caratterizzano la qualità di un alimentatore, la sua misurazione si effettua con l’oscilloscopio. Si tratta del residuo della componente alternata della rete elettrica, raddrizzata dai diodi e rettificata dai condensatori di filtraggio. Questo residuo è costituito da una lieve oscillazione della tensione di uscita avente periodo pari o doppio alla sinusoide di ingresso.

In sintesi può essere considerato alla stregua di un disturbo che si sovrappone alla tensione continua fornita in uscita.

Studio a 1 kHz

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L’esigenza di questo studio, con frequenza più alta da quella di rete, nasce per due motivi:

  1. visualizzare meglio i segnali sull’oscilloscopio;
  2. ripassare il concetto di costante di tempo e applicarlo al caso di   senza ricalcolare i componenti circuitali.

Valori consigliati sono   e  . All’oscilloscopio si osserveranno tensioni di ripple via, via sempre più piccole. Questo perché all’aumentare della capacità, aumenta la costante di tempo  :

 

Un interessante esperimento può essere eseguito utilizzando una capacità molto piccola. Si osserva un’uscita che segue l’ingresso in quanto il condensatore non si carica e scarica in modo significativo.

Studio a 50 Hz

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In questa sede lo studio è pressoché analogo a quello eseguito nella sezione precedente. La differenza consiste nel fatto che si sta studiando il caso reale.

Il rapporto tra le due frequenze è pari a  . Conoscendo questo rapporto si può eseguire lo studio anche con frequenze diverse, a seconda delle esigenze del laboratorio o se si desidera personalizzare il lavoro.

Nel caso appena visto (una volta scelto il ripple che si ritiene accettabile) è sufficiente elevare di venti volte la costante di tempo, cosa che può essere fatta agendo sia su un solo componente (resistenza o condensatore), sia su entrambi.

Una nota a margine

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In questo caso l’alimentatore viene detto non stabilizzato non per via del ripple, il quale sarà sempre presente – anche se in misura decisamente inferiore – ma perché, in questo caso, la resistenza di carico si ritroverebbe in parallelo a  , alterando così il funzionamento del rettificatore e i calcoli e le simulazioni sin qui fatte.

Questo fenomeno è particolarmente visibile inserendo in uscita una resistenza più bassa di circa dieci volte il valore di  .

Stabilizzatore

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Lo scopo dello stabilizzatore è quindi rendere la tensione d’uscita indipendente dalla resistenza di carico.

Diodo Zener

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Simbolo del diodo Zener

Il diodo Zener, il cui simbolo elettrico è mostrato qui a fianco, è costruito appositamente per sfruttare il funzionamento del diodo nella sua polarizzazione inversa. È infatti un diodo costruito secondo caratteristiche particolari, per dissipare potenza quando viene utilizzato nella zona di break-down.

In questo stato la tensione ai capi del diodo rimane approssimativamente costante al variare della corrente, perciò il diodo può fornire una tensione di riferimento pressoché stabile; il diodo Zener è ottimizzato per questo uso, dove la tensione di Zener è resa il più possibile insensibile alla cosiddetta corrente di valanga, anche se – naturalmente – una tensione inversa eccessiva porta il diodo alla rottura.

 
Caratteristica di un diodo Zener

Il grafico mostra la curva caratteristica di un diodo Zener. Da notare che la tensione di soglia   è di circa  , la tensione di Zener può essere (in termini assoluti) anche centinaia di Volt.

In prossimità della tensione di Zener si ha una curva molto ripida dove, per grandi variazioni di corrente, corrispondono piccolissime variazioni di tensione[15]. Questo crea un effetto stabilizzante nei confronti dei carichi a valle del diodo Zener stesso.

Dunque, per quanto lieve, la dipendenza dalla corrente è sempre presente[16], inoltre la tensione di Zener varia sensibilmente con la temperatura ambiente. Per questo motivo i diodi Zener vengono utilizzati principalmente per generare tensioni di polarizzazione e stabilizzazione di alimentatori, mai come campioni di tensione.

Realizzazione circuitale

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Una volta collegato il diodo Zener in parallelo a una sorgente di tensione variabile nel tempo, polarizzandolo inversamente come in figura, il diodo Zener si dirige verso la tensione inversa di break-down  . Da quel momento in poi mantiene la tensione a quel dato valore.

 


Nel circuito realizzato la resistenza   è sottoposta alla tensione:

 

il valore di tale resistenza deve soddisfare due requisiti fondamentali:

  1.   deve essere abbastanza piccola per mantenere   nella zona di break-down. Tale valore è riportato nel datasheet[17] del diodo Zener stesso. Per esempio per il diodo Zener BZX79C12, un diodo Zener da  ,  , viene raccomandata una corrente inversa pari a  . Se il diodo viene attraversato da una corrente inferiore a   allora   non sarà stabilizzata. Da notare che nel calcolo di   non occorre conoscere la  , tra l’altro non specificata nel circuito.
  2.   deve essere sufficientemente grande affinché la corrente   non distrugga il dispositivo. Posta   la corrente attraversante  , la tensione di break-down   e la massima potenza dissipabile   si ottiene  .
 

Quando il diodo Zener viene usato così viene chiamato regolatore di tensione di shunt.[18]

Protezione contro i cortocircuiti

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Il problema che rimane da risolvere è quando, in luogo del carico, si verifica un cortocircuito. Questo evento è pericoloso per sé, per il circuito a monte (in questo caso l’alimentatore stesso) e per l’ambiente circostante, poiché moltissimi incendi – sia domestici, sia industriali – vengono originati proprio da eventi quali un cortocircuito.

Un cortocircuito è un collegamento fra due punti di un circuito che ha resistenza nulla, impone una tensione nulla ai suoi capi, senza imporre tuttavia vincoli sulla corrente la quale scorre attraverso di esso e può assumere valori molto elevati.

Nel caso presente non c’è quasi nulla da fare. Semplicemente si tratta di eseguire una semplice considerazione circuitale:  , quando il diodo Zener è cortocircuitato è sottoposta a tutta la tensione d’ingresso, mentre solitamente agisce come molla (assorbendo la parte in eccesso di tale tensione). Se   è dimensionata per supportare tale tensione non si corrono rischi.

Supponendo   si ottiene:

 

In sintesi, per evitare problemi connessi al corto circuito è sufficiente dimensionare opportunamente la potenza da dissipare su  , considerando che – in caso di cortocircuito – su essa cade tutta la tensione che diversamente sarebbe disponibile in uscita.

Espansioni suggerite

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Cose da non dimenticare mai

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Interruttore, fusibile, spia di accensione, sono componenti che non dovranno mai mancare. Tecnicamente non sono fondamentali per il funzionamento del circuito, ma la loro presenza non solo aumenta di tanto la sicurezza del circuito, dell’operatore e dell’ambiente circostante, ma rientra in quelle cose che al giorno d’oggi si è abituati a dare per scontate.[19]

Segnalatore di corto circuiti

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È interessante poter segnalare con l’accensione di un led, o con un segnale acustico, che si sta verificando un cortocircuito o un’anomalia. Per far questo è possibile connettere in parallelo ad   un diodo led in serie ad una resistenza di valore opportuno.

 


Quanto a   il suo calcolo è relativamente semplice. La tensione su  , in caso di corto circuito, è nota. Dunque il led   dovrà accendersi solo in quel caso.

 
Diodi LED

A seconda del diodo scelto si ha in esso una caduta di tensione come riportato in tabella:

Colore Caduta di tensione
Infrarosso  
Rosso  
Arancio  
Giallo  
Verde  
Blu  
Bianco  
Ultravioletto  

Sono stati riportati i diodi led più usati per completezza. Ora, ricordando il secondo principio di Kirchhoff e che i led più comuni lavorano con una corrente tipica di circa  , si ottiene finalmente:

 
  1. In Italia il Gestore della Rete Elettrica Nazionale (GRTN) è TERNA, si occupa della distribuzione dell’energia ad alta ed altissima tensione, rispettivamente   e  , dalle centrali alle utenze, sia private, sia aziendali.
  2. La frequenza esprime i cicli al secondo di una funzione variabile che si ripete periodicamente nel tempo. La sua unità di misura è l’Hertz (simbolo Hz).
  3. Il 5% di   (ipotizzando una perdita attorno valori tipici) è  , sufficiente ad alimentare oltre 580 000 utenze domestiche a pieno carico. Se si ragiona – come accade in realtà – con valori medi anziché di picco, il numero di utenze può anche raddoppiare.
  4. La Rete di trasmissione nazionale, al 30 giugno 2019, aveva una consistenza complessiva di 62 884 km di linee aeree; 1 948 km di cavi interrati; 1 463 km di linee in cavi sottomarini. Fonte: Terna, Piano di sviluppo 2020.
  5. Da qui trae il suo nome cerca-fase.
  6. Obbligatoria per legge, sin dal D.P.R. 547/55, Legge 46/90 art. 7, Norma CEI 64-8/4.
  7. Da sottolineare che la schematizzazione del carico con una resistenza è sì agevole dal punto di vista del calcolo dei consumi, ma non è altrettanto fedele alla realtà di circuiti talvolta complicati a piacere, dove è possibile che uno dei tanti componenti si stacchi dalla sua sede naturale e venga a contatto con il contenitore metallico e quindi con chi lo tocca dall’esterno.
  8. Norme CEI 11-1 art.1.2.08 e CEI 64-8/2 art. 23.6.
  9. Norme CEI 11-1 art.1.2.07 e CEI 64-8/2 art. 23.5.
  10. L’impiego dell'interruttore differenziale è disciplinato a partire dalle seguenti leggi e normative: legge 5 marzo 1990 n. 46 (norme per la sicurezza degli impianti); DPR 6 dicembre 1991 n. 447 (regolamento di attuazione della legge 5 marzo 1990, n. 46, in materia di sicurezza degli impianti); legge 1 marzo 1968 n. 186 (disposizioni concernenti la produzione di materiali, apparecchiature, macchinari, installazione e impianti elettrici ed elettronici); norma CEI 64-8 (disciplina gli impianti elettrici in bassa tensione attualmente alla sesta edizione); norma CEI 11-1 (disciplina gli impianti elettrici con tensione superiore a   in corrente alternata).
  11.   è un valore tipico delle utenze domestiche. Esistono interruttori differenziali tarati su diversi valori di  , a seconda delle esigenze dell’impiantista.
  12. L’interruttore automatico è presente in ogni abitazione poiché il gestore pone un limite massimo (stabilito in sede di contratto) ai consumi. Un valore tipico di un’abitazione civile è  .
  13. Per avere una prova immediata di quanto detto basta pensare al test che si fa, per sapere se una pila da   è carica, appoggiandola alla lingua. Si avverte l’effetto della corrente elettrica. Tale effetto non è invece nemmeno percettibile se il test lo si esegue appoggiando la medesima pila su una mano.
  14. La tensione di soglia di un diodo,  , può aumentare oltre i canonici   a seconda della temperatura e delle potenze impiegate.
  15. Nel grafico questa caratteristica è stata volutamente amplificata.
  16. Il componente ideale non esiste, purtroppo.
  17. Con il termine datasheet si indica la documentazione che il costruttore di componenti elettronici allega ai propri prodotti. Per molti componenti di largo impiego, il costruttore fornisce una documentazione supplementare nota come application note, consistente in esempi applicativi sotto forma di schemi elettrici, impieganti lo specifico componente.
  18. Shunt, in questo contesto, significa connesso in parallelo; mentre regolatore di tensione sta ad indicare una classe di circuiti elettronici i quali producono una tensione stabile indipendentemente dal carico.
  19. È impensabile un’abitazione dove per accendere e spegnere le lampade queste debbano essere avvitate e svitate dalla loro sede.