Politica agricola comune

La politica agricola comune (PAC) è una delle politiche comunitarie di maggiore importanza, impegnando circa il 44% del bilancio dell'Unione Europea. È prevista dal Trattato istitutivo delle Comunità.

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Politica agricola comune
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Economia agraria

L'articolo 2 del Trattato di Roma afferma che la Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale riavvicinamento delle politiche economiche degli stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche. Per raggiungere tale scopo, occorreva:

  1. Abolire i dazi doganali tra gli stati membri;
  2. Istituire tariffe doganali e politiche commerciali nei confronti degli stati terzi;
  3. Eliminare gli ostacoli tra gli stati membri di capitali, servizi e persone;
  4. Instaurare una politica comune nel settore dei trasporti e in quello dell'agricoltura;
  5. Creare un Fondo sociale europeo e una Banca europea, per promuovere gli investimenti.

La PAC (Politica Agricola Comune o Comunitaria), fin dal suo inizio si era prefissata due obiettivi:

  1. Soddisfare gli agricoltori grazie al prezzo di intervento. Questo era il prezzo minimo garantito per i prodotti agricoli stabilito dalla Comunità Europea. Il prezzo delle produzioni non poteva scendere al di sotto di questo;
  2. Orientare le imprese agricole verso una maggiore capacità produttiva.

A tal fine fu istituito il FEOGA (Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia Agricola); questo ente finanziario aveva il compito di raggiungere questi due obiettivi. Il mantenimento dei prezzi fu assicurato dalla CEE, grazie ad apposite aziende che si preoccupavano dell'acquisto delle eccedenze di produzione; queste venivano acquistate ad un prezzo d'intervento leggermente inferiore a quello indicativo. Le eccedenze venivano in seguito vendute a Paesi terzi con esportazioni sottocosto. Nel peggiore dei casi, le eccedenze venivano tolte dal mercato e quindi letteralmente distrutte. A causa dei prezzi dei prodotti agricoli dei Paesi extracomunitari, troppo bassi rispetto a quelli della Comunità Europea, furono erette delle vere e proprie barriere doganali, che imponevano dazi sulle merci in ingresso, facendone crescere il prezzo e scoraggiandone, quindi, l'importazione. Parallelamente, le esportazioni verso i Paesi dell'area extracomunitaria, furono incoraggiate con sovvenzioni (restituzioni) agli esportatori; tali restituzioni, compensavano la differenza tra prezzi comunitari più alti e pressi esterni, più bassi. In tal modo, si ridussero le eccedenze che, altrimenti, sarebbero dovute essere acquistate dalle aziende incaricate dal FEOGA.

Questo meccanismo mostrò subito un difetto: l'obiettivo della garanzia prevalse su quello dell'orientamento, favorendo da parte delle aziende agricole una tendenza ad accontentarsi del profitto garantito dai prezzi di intervento e dai prelievi tariffari. Venivano favorite quindi, sia le aziende meritevoli, quelle dirette da imprenditori più capaci, sia quelle meno efficienti, a scapito dell'ammodernamento, con grave costo sopportato dalla Comunità europea.

Breve percorso storico modifica

I sei paesi che costituirono il Mercato Europeo Comune erano appena usciti dalla guerra, la cui popolazione aveva conosciuto situazioni di gravissima penuria alimentare. In Germania una situazione prossima alla fame si era perpetuata fino all'alba degli anni Cinquanta. Quando i partner dell'accordo romano inviarono i propri ministri dell'agricoltura, circondati da stuoli di collaboratori tecnici, a Stresa, tra il 3 e l'11 luglio 1958, per decidere quale sarebbe stata la politica agraria del Mec, l'ordine dei governi era fondamentalmente uno: assicurare la certezza e l'abbondanza dei rifornimenti, qualunque situazione potesse attraversare il mercato mondiale. La durissima rivalità tra Usa e Urss rendeva facilmente prevedibili, infatti, difficoltà di transito marittimo: l'imperativo fu di assicurare il cibo a tutti gli europei. Della situazione approfittò la Francia, consapevole delle proprie immense risorse agrarie. Lucidamente, de Gaulle ordinò al ministro Pisani di obbligare la Germania, che risentiva ancora, psicologicamente, della sconfitta, a pagare il conto del successo agricolo francese. Adenauer dovette ordinare al proprio ministro di accettare, per entrare nel consorzio, il diktat del Generale.

Furono introdotti sussidi e incentivi alla produzione agricola, per aumentarne la quantità e per rendere più stabili i prezzi, a beneficio degli agricoltori. In seguito si sono aggiunti gli obbiettivi di garantire la sicurezza dei prodotti alimentari e il rispetto dell'ambiente rurale. Una delle misure consiste nella fissazione di livelli minimi di prezzo per i prodotti agricoli, che generano enormi eccedenze. La procedura usuale dell'Unione Europea è pagare gli esportatori perché vendano tali prodotti all'estero.

La storia dell'agricoltura del Mercato comune, che diverrà Comunità europea poi Unione europea, assorbendo, prima, la Grecia, l'Inghilterra, la Spagna e il Portogallo, poi tutti i paesi dell'est del Continente, è la storia dell'immenso successo della politica varata a Stresa, coronata da quell'abbondanza che si è tradotta, tra gli anni Settanta e Ottanta, in surplus di difficilissimo smaltimento. Il Consiglio dei ministri europei ha dovuto combattere, negli anni, con difficoltà sempre più gigantesche, soprattutto contro un'opinione pubblica che ha dimostrato chiaramente di rifiutare di finanziare i surplus, e l'assedio concentrico di tutti gli esportatori mondiali, in primo luogo gli Stati Uniti, che pretendevano di esportare nel ricco mercato europeo.[1]

Negli ultimi anni gli organi dell'Unione hanno radicalmente cambiato la politica tradizionale, i ministri dell'agricoltura possono vantare di avere assecondato gli impulsi dei media e dell'opinione pubblica. I nuovi regolamenti hanno drasticamente ridotto gli stimoli a produrre. Il risultato rischia, peraltro di creare proprio la situazione che i “padri fondatori” della Comunità vollero scongiurare, una situazione di penuria. Gli Stati Uniti paiono decisi, infatti, a trasformare in carburante l'immensa quantità di cereali con cui rifornivano il mercato mondiale, che oggi il prezzo del petrolio rende più vantaggioso destinare alle automobili americane che ai suini asiatici. Questo mentre l'Asia sta mutando radicalmente dieta, e non avendo spazi sufficienti per produrre cereali per l'allevamento li dovrà acquistare [2]. Avere abbandonato la politica della sicurezza potrebbe provocare, per paesi come l'Italia, che ormai non produce che un chilo di frumento su quattro necessari al pane quotidiano, e il cui allevamento dipende interamente dai panelli proteici del mercato mondiale, un'impennata dei prezzi del cibo assolutamente senza precedenti negli ultimi cinquanta anni. Il precedente, quello degli anni 1945-48, quello che l'opinione pubblica ha obbligato i politici di Bruxelles a dimenticare, è proprio quello che Adenauer, De Gaulle e De Gasperi avevano voluto scongiurare, per sempre, per i popoli d'Europa.[3]

Note modifica

  1. Antonio Saltini, Agripower: i futuri signori del grano del Pianeta, in Spazio rurale, LI, n. 2/2006
  2. Antonio Saltini, L'Asia abbandona il riso. È la più grande rivoluzione alimentare della storia, in Spazio rurale, L, n. 3/2005
  3. Antonio Saltini, Un deficit confortante, una dipendenza inquietante, in Spazio rurale, XLIX, n. 8-9 2004

Collegamenti esterni modifica

Bibliografia modifica

  • Simone Vieri, POLITICA AGRARIA COMUNITARIA, NAZIONALE E REGIONALE, Edagricole, Bologna, 2001
  • Roberto Fanfani, Lo sviluppo della Politica Agricola Comunitaria, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1990

Categoria:Economia agraria