Pittura paleocristiana
La pittura dei primi secoli del Cristianesimo derivò il proprio stilema da correnti artistiche già in atto, legate al paganesimo o ad altre religioni, attribuendo però alle rappresentazioni altri significati.
Lo stile delle pitture va da un iniziale realismo a forme sempre più simboliche e semplificate, in linea con l'affermazione dell'arte provinciale e plebea nella tarda antichità. Con la fine delle persecuzioni, dal 313, la pittura si fece più sfarzosa, come i coevi esempi di pittura profana. L'aniconismo, cioè il divieto di raffigurare Dio secondo un passo dell'Esodo, applicato fino al III secolo, significò la necessità di usare simboli per alludere alla divinità: il sole, l'agnello, simbolo del martirio di Cristo, o il pesce.
Altre immagini-segno sono quelle che invece di narrare un avvenimento suggeriscono un concetto: il buon pastore, che simboleggiava la filantropia di Cristo, l'orante, simbolo di sapienza, eccetera. Anche queste raffigurazioni furono mutuate da iconografie antecedenti: il pastore proviene da scene pastorali o allegorie della primavera, il Cristo-filosofo, deriva dalla figura del filosofo Epitteto seduto. Tutti i temi legati all'Antico Testamento vennero invece ripresi dalla precedente tradizione giudaica: pittura cristiana ed ebraica nel III secolo sono pressoché combacianti, come testimoniano gli affreschi nella sinagoga di Dura Europos in Siria (oggi al Museo Nazionale di Damasco), dove la stilizzazione formale è legata al valore simbolico delle scene.
Gradualmente la perdita di interesse verso la descrizione di avvenimenti reali porta a una standardizzazione delle scene simboliche, con un progressivo appiattimento delle figure, preponderanza di raffigurazioni frontali e perdita del senso narrativo: gli artisti infatti adesso alludono al mondo spirituale, che prescinde dall'armonia formale e dalla verosimiglianza delle forme.