Patologia del Negozio

Per produrre effetti giuridici, un negozio deve essere valido ed efficace. La mancanza di questi requisiti influisce sugli effetti giuridici prodotti dal negozio.

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Patologia del Negozio
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto privato
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Il negozio giuridico è invalido quando è affetto da vizi che lo rendono inidoneo ad acquistare valore giuridico. Se il negozio è carente dei presupposti o dei requisiti richiesti dalla legge, se i limiti della libertà negoziale vengono superati, se il procedimento di formazione della volontà è affetto da anomalie, la sanzione che colpisce l'atto è l'invalidità.

L'invalidità può assumere due configurazioni: la nullità o l'annullabilità.

Il Principio di Conservazione

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Esistono dei Negozi validi anche se Irregolari. Questo perché il nostro sistema è volto alla Conservazione quanto più possibile dell'Efficacia degli Atti Giuridici. L'articolo 1338 obbliga una parte a dare notizia all'altra parte di una possibile causa di invalidità sotto pena di risarcimento danni per l'eventuale formazione dell'atto invalido. Secondo gli articoli 1419, 1420, 1446 l'invalidità di una clausola non comporta l'invalidità dell'intero negozio. Esistono poi dei casi in cui è stesso il legislatore a stabilire che la nullità di una clausola non fa decadere tutto il contratto (Nullità Parziale Necessaria). Il Principio di Conservazione è anche un criterio per l'interpretazione dei contratti (art. 1367) e ispira il campo delle disposizioni testamentarie, non potendo il testatore disporre in modo diverso.

L'Inefficacia o Inopponibilità

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Il nostro Codice non regola la questione dell'Inefficacia e la nostra dottrina non è concorde su darne una definizione se non generale e ampia. In un'accezione ampia esso è usato nei casi nei quali, per qualsiasi ragione, il Negozio non produce i suoi effetti. Ma se gli effetti non si producono vuole dire che siamo in presenza di un non-negozio. In realtà siamo in costanza di due figure diverse: Invalidità e Inefficacia. In primo luogo l'Efficacia del Negozio è legata alla Legittimazione dei Soggetti che lo pongono in essere. Il Negozio è Nullo se manca il Soggetto è Inefficace se il Soggetto non è Legittimato. Un Negozio Valido potrebbe non essere efficace perché l'efficacia la raggiunge in un secondo tempo (Inefficacia Temporanea). L'Inefficacia si può presentare anche solo verso alcuni Soggetti (Inefficacia Relativa) in questo caso si usa in dottrina anche il diverso nome di Inopponibilità. Infine le parti (e a volte la legge) subordinare l'efficacia del negozio al compimento di ulteriori atti o a Condizione o a Termine.

La Nullità Radicale

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Il codice civile qualifica spesso un atto come nullo (artt. 458, 735, 778, 1229, 1972 cod. civ.), ma non afferma mai esplicitamente cosa comporta questa qualificazione. Un atto si dice nullo quando non è idoneo a produrre i suoi effetti giuridici tipici. L'art. 1418 cod. civ. elenca le "Cause di nullità del contratto", cioè stabilisce quali vizi sono considerati così gravi da impedire completamente la produzione di effetti giuridici. La disposizione individua tre categorie di cause di nullità:

  • Nullità testuali: sono nulli i negozi giuridici espressamente vietati da una norma di legge. In questo caso la legge stabilisce che alcune precise categorie di negozi giuridici sono nulli. Un esempio sono i patti successori, vietati dall'art. 458 cod. civ.
  • Nullità strutturali: sono nulli i negozi che non presentano uno degli elementi essenziali elencati dall'art. 1325 cod. civ. Si parla di nullità "strutturali" perché la nullità è dovuta a una caratteristica intrinseca del negozio.
  • Nullità virtuale: sono nulli i negozi contrari a norme imperative. Non vi è una norma che vieta esplicitamente l'atto, ma è necessario stabilire se il negozio è compatibile con una norma di legge che pone un limite all'autonomia dei privati.

Al di fuori delle cause di nullità previste dall'art. 1418, nella legislazione speciale è comparsa la "nullità di protezione": un contratto è considerato nullo non per un suo vizio, ma per tutelare una delle parti. Numerose disposizioni di leggi speciali sono riconducibili alla nullità di protezione, ma la più rilevante è l'art. 36 del Codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005)

L'Annullabilità

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La Nullità può risultare eccessiva per alcuni difetti del negozio. Si è creata pertanto l'istituto dell' Annullabilità. L'atto esiste e produce i suoi effetti ma una parte ha la possibilità di chiederne l'annullamento con effetto retroattivo. Questo stato di pendenza dura fino a prescrizione. Dopo tale data l'atto si considera valido non solo definitivamente per l'avvenire ma anche per il passato come se fosse nato senza vizi. L'Atto può anche essere Convalidato.

La Convalida (art. 1444) può essere Espressa (Conferma) e consiste in una Dichiarazione dell'Intento di Sanare con espressa indicazione dell'Atto e del Motivo d'Invalidità oppure essere Tacita e consiste nella Esecuzione Volontaria dell'Atto Annullabile, fatta liberamente e con la consapevolezza del Motivo di Invalidità. In entrambi i casi sono richiesti i presupposti necessari per concludere validamente il negozio di cui si tratta. Può convalidare il negozio chi è legittimato a chiederne l'annullamento.

L'Annullabilità essendo una figura creata dalla legge i casi sono previsti soltanto testuali cioè previsti espressamente. L'annullabilità è sancita solitamente quando uno degli elementi del negozio è viziato. L'Annullabilità si riscontra nei seguenti casi (art. 1425 ss.):

  • Riguardo ai Soggetti: Se sono Incapaci di Agire oppure di Intendere o di Volere.
  • Riguardo alla Volontà: Se è viziata da vizi del volere o invece c'è Errore Ostativo nella Dichiarazione o Errore nella Trasmissione (art. 1433).

Ma vi sono anche altri casi di Annullabilità nello stesso codice e in alcuni casi si parla più propriamente di Impugnabilità quando l'Intervento del Giudice è invocato per Accertare una Situazione che non presuppone soltanto un Vizio di legalità.

Regole per la Dichiarazione di Nullità e per l'Azione di Annullamento

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La Nullità opera di Diritto pertanto il Giudice dovrà solo accertare attraverso una Sentenza Dichiarativa che vi sia o meno la nullità. Tale accertamento può essere compiuto anche d'ufficio senza istanza di parte se il presupposto risulta dagli atti. L' Annullamento è invece pronunciato con Sentenza Costitutiva su domanda di chi sia legittimato a chiederla. La Nullità può essere invocata da chiunque ne abbia interesse. L'annullamento invece di regola solo dalla parte nel cui interesse è stabilito (Annulabilità Relativa) e dai suoi legali rappresentanti o eredi e nel caso di incapacità dagli aventi causa. Ci sono alcuni casi di Annullabilità Assoluta cioè quando l'annullamento può essere richiesto da chiunque ne abbia interesse. Ciò avviene per gli atti dell'Interdetto Legale, per l'Annullabilità del Testamento e in alcuni Ipotesi di Annullamento del Matrimonio. Esiste nella Legislazione recente anche casi di Nullità Relativa cioè che può essere chiesta solo da determinati soggetti. L'Azione per la Nullità è Imprescrittibile mentre quella per l'Annullamento si prescrive in 5 anni (Sanatoria per Omissione). L'Eccezione di Annullabilità è invece Imprescrittibile. Questo avviene quando il Contratto è stato eseguito. Diverso nel caso in cui il Contratto non è stato ancora Eseguito. In Questo caso anche l'Azione di Annullamento è Invocabile in Perpetuo insieme all'Eccezione. Per la Nullità non è ammessa Convalida o Conferma mentre essa è ammessa nei Negozi Annullabili. L'Accertamento di Nullità ha effetto Retroattivo (ex tunc) nei confronti delle Parti e dei Terzi. Pure l'Annullamento è Retroattivo però esso ha effetto verso tutti, anche i Terzi aventi Causa, solo se dipende da Incapacità Legale. Diversamente esso non è opponibile ai terzi che, in buona fede, hanno acquistato diritti a titolo oneroso da colui contro il quale è stato chiesto e pronunciato l'annullamento. Ci sono anche regole comuni tra i due istituti come quelle sulla Restituzione. Quanto è stato dato in esecuzione di un contratto nullo annullato va restituito. La regola non vale per l'incapace il quale deve restituire solo ciò che gli è stato rivolto in suo effettivo vantaggio. Dove c'è il più ivi sta anche il meno. Su questo principio di facile intiuizione si ricava l'istituto della Conversione del negozio nullo. Infatti senza una nuova volontà si ricostituire un negozio giuridico utilizzando gli elementi validi di un atto, mentre vengono eliminati gli invalidi (art. 1424). Vi è Conversione Formale quando il negozio che aveva un difetto di forma si tramuta in un altro con uguale contenuto e con stessi effetti ma con la corretta forma. Si ha invece Conversione Sostanziale quanto il negozio invalido non si sana ma si trasforma in un altro con effetti più ristretti basandosi sul presupposto che se le parti avessero conosciuto l'invalidità del primo avrebbero ugualmente voluto anche il negozio nei nuovi termini.

La Tutela dell'Affidamento

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Profondi dibattiti dottrinali si sono sviluppati sul contrasto tra chi ritiene prevalente la dichiarazione sulla volontà e chi viceversa. Oggi si sono sviluppati alcuni negozi dove è prevalente la ricerca della volontà. Oggi ci si basa sul Principio dell'Affidamento che non significa affidamento assoluto all'apparenza ma protezione della Buona Fede. La Buona Fede è diventata condizione essenziale dell'agire ma esso non significa che bisogna agire con supina ignoranza o con cieca fiducia. È salvaguardato solo il Terzo che Agisce in modo Diligente nell'Informarsi. Esso è un criterio generale che non serve solo a superare il contrasto tra volontà e manifestazione. Molto spesso in diritto troviamo casi in cui gli effetti di una situazione giuridica sono attribuiti solo perché presenta all'apparenza corrispondenti elementi reali. Quando si tratta di rapporti privati alla presenza anche di interessi di terzi non basta credere che il proprio comportamento venga interpretato in un certo modo ma vi è un Dovere di Diligenza che impone di prevedere ciò che il destinatario di una dichiarazione potrebbe intendere. La Tutela dell'Affidamento si riscontra ancora nell'Invulnerabilità dell'Acquisto Fatto dai Terzi in buona fede e a titolo oneroso quando il diritto del loro dante causa si dimostra acquisito in base a titolo annullato. Questo vale solo se il titolo era annullabile non se fosse radicalmente nullo e non se l'annullabilità dipende da incapacità legale.

La Rescissione

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«Capo XIII: Della rescissione del contratto

Art. 1447 Contratto concluso in istato di pericolo
Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona (2045), può essere rescisso sulla domanda (2652) della parte che si è obbligata. Il giudice nel pronunciare la rescissione, può, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso all'altra parte per l'opera prestata.
Art. 1448 Azione generale di rescissione per lesione
Se vi è sproporzione tra la prestazione (att.166) di una parte e quella dell'altra, e la sproporzione è dipesa dallo stato di bisogno di una parte, del quale l'altra ha approfittato per trarne vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto. L'azione non è ammissibile se la lesione non eccede la metà del valore che la prestazione eseguita o promessa dalla parte danneggiata aveva al tempo del contratto. La lesione deve perdurare fino al tempo in cui la domanda è proposta. Non possono essere rescissi per causa di lesione i contratti aleatori (1934, 1970). Sono salve le disposizioni relative alla rescissione della divisione (761 e seguenti).
Art. 1449 Prescrizione
L'azione di rescissione si prescrive in un anno dalla conclusione del contratto; ma se il fatto costituisce reato, si applica l'ultimo comma dell'Art. 2947. La rescindibilità del contratto non può essere opposta in via di eccezione quando l'azione è prescritta.
Art. 1450 Offerta di modificazione del contratto
Il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del contratto sufficiente per ricondurlo ad equità.
Art. 1451 L'inammissibilità della convalida
Il contratto rescindibile non può essere convalidato.
Art. 1452 Effetti della rescissione rispetto ai terzi
La rescissione del contratto non pregiudica i diritti acquistati dai terzi (1757), salvi gli effetti della trascrizione della domanda di rescissione (2652). Gli artt. 1447 e 1448 del Codice civile prevedono due azioni di rescissione quale rimedio processuale per rimuovere negozi con prestazioni non eque a causa di una patologica formazione del consenso.»

Cenni storici

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L'istituto rescissorio compare, nell'ordinamento romano, con ogni probabilità, intorno al III secolo d.C.; nondimeno la prima traccia scritta di esso compare nel Codex Iustinianus in due rescritti (C.I. 4.44.2 e 4.44.8), i quali dichiarano di riportare due constitutiones emesse dagli imperatori Diocleziano e Massimiano; la prima di queste emessa a favore di tal Aurelio Lupo.

Il frammento del rescritto è catalogato sotto la rubrica De rescindenda venditione: Com queritur qualiter consulatur decepto in venditione est ita breviter distinguendum quia aut est deceptus ultra dimidiam iusti pretii aut infra.

Altri autori ritengono che il fondamento storico dell'art. 1448 citato sia di origini medioevali e risalga alla in integrum restitutio che, nello stesso tempo, serviva due scopi opposti:

  • conservazione dei patrimoni nella loro consistenza, pur garantendo la circolazione dei beni;
  • conservazione del negozio, in quanto modificativo dei patrimoni.

Una ricostruzione storiografica della rescissione deve farsi in modo necessariamente frammentato, in quanto solo dall'analisi dei singoli documenti si può risalire agli episodi in cui venivano realmente perseguiti i due scopi in maniera simultanea. Durante il periodo dell'Alto Medioevo, infatti, non c'erano organi giurisdizionali che tutelassero gli interessi dei soggetti privati; inoltre, era pressoché assente la circolazione degli immobili, ed in più l'economia era strettamente connessa ad istanze di indole istituzionale.

Gli organi dinanzi ai quali si discuteva di contratti viziati da laesio enormis erano consoli cittadini, giudici ecclesiastici, giudici imperiali. Tutti questi organi applicavano (più o meno) la costituzione impediale accolta nel Codex Iustinianeus, dove era richiamato il frammento del rescritto di Diocleziano.

La ratio del rimedio rescissorio

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Coerentemente con gli ideali dell'illuminismo una prima trattazione scientifica della rescissione si rinviene nelle opere di R.J.Pothier (ma qualche interessante considerazione già in C.Thomasius, Tractatio iuridica de aequitate cerebrina Legis II Cod. de Rescindenda Venditione eiusque usu practico, in Dissertationum academicarum, III, Halae Magderburgicae, 1777, p. 621). Secondo l'illustre autore francese:

  • « nelle convenzioni deve regnare l'equità (...) D'altronde il consenso della parte lesa è imperfetto, perché essa non ha inteso di dar ciò che ha dato nel contratto, se non nella falsa supposizione che ciò che veniva a ricevere in cambio valesse altrettanto di ciò ch'essa dava. »

(R.J.Pothier, Trattato del contratto di vendita, II ed. trad. it. Napoli 1820, I, p. 170 par. 208) Dunque in origine si giustifica il rimedio come fondato sull'ignoranza della parte lesa circa il valore del bene compravenduto. In altri termini l'azione veniva ricondotta all'area dei vizi del consenso ed in particolare, diremmo oggi, a quella dell'errore sul valore. Il code Civil ed il nostro abrogato del 1865 non codificano l'azione in modo difforme da quanto contenuto nel codice giustinianeo. Una radicale modifica è invece introdotta con il codice attuale (1942). La dottrina avvertiva, già da tempo, la necessità di far emergere la patologia sottesa all'azione, atteso che sino a quel momento il rimedio veniva accordato per il sol requisito dell'iniquità delle prestazioni. Si impose, in commissione redigente, un orientamento secondo cui l'azione sarebbe dovuta diventare il rimedio civilistico avverso i contratti usurari diversi dai negozi di finanziamento (per i quali veniva invece prevista la disposizione di cui all'art. 1815). Così da un lato nell'attuale art. 1448 c.c. venne trasfuso l'abrogato art. 1529, menzionando esplicitamente lo stato di bisogno e l'approfittamento (elementi già presenti nel testo allora in vigore per l'art. 644 del codice penale); dall'altro nell'art. 1447 c.c. si riassunsero alcune norme pertinenti al diritto della navigazione. Il risultato fu l'introduzione di un rimedio contrattuale fondato su un'alterazione dell'equilibrio economico del contratto quale prodotto di una patologica formazione dell'accordo. Alla stregua di un'analisi economica del diritto può anche dirsi che il contratto è un'operazione economica fondata sul concetto aristotelico della cosiddetta giustizia commutativa: lo scambio di prestazioni avviene dopo il procedimento di formazione della volontà ed è formalizzato in un rapporto che rispecchia un substrato economico, ispirato al principio di utilità marginale, secondo cui le parti tendono ad incontrarsi nel punto più alto consentito dalle rispettive curve di indifferenza.

È qui che i contraenti raggiungono una soddisfacente distribuzione delle risorse, tale che ciascuno di essi riesce a soddisfare le proprie aspettative e massimizzare le proprie risorse. Quando la contrattazione non avviene in condizioni "normali", sopravviene la cd. giustizia distributiva , che ha per oggetto il contenuto dell'operazione economica e mira a correggerne l'iniquità. E spesso, è la stessa Corte costituzionale a fare riferimento alla giustizia distributiva sub specie di "utilità sociale" come valore fondamentale dell'economia. Ma la giustizia distributiva ha molti profili che vanno dall'integrità del consenso contrattuale al comportamento deviante (malafede, scorrettezza), alla funzione concreta dello scambio.

Senza alcun dubbio l'art. 1447 c.c. non, sino ad oggi, offerto buona prova di sè, atteso che dal 1942 sino ad oggi in nessuna sentenza è stata pronunciata la rescissione del contratto in forza della norma citata. Qualche maggior successo può, invece, essere ascritto all'art. 1448 c.c, il quale tuttavia è stato, dalla giurisprudenza, esautorato proprio della disciplina dei contratti usurari, per i quali era stato in origine introdotto nel sistema. Per la giurisprudenza, infatti, la contestuale sussistenza del reato d'usura (quando commesso con negozi diversi da quelli di finanziamento), impone l'applicazione del combinato disposto art. 1418 comma 1 c.c. e 644 c.p. con conseguente nullità del contratto medesimo, lasciando all'art. 1448 c.c. la residuale funzione di governare le fattispecie ove il reato non sussiste, vale a dire le ipotesi in cui il soggetto avvantaggiato dall'iniquità era solo a conoscenza del bisogno altrui senza essersene anche approfittato.

Allo stato, dunque, se il reato d'usura è commesso per mezzo di un mutuo o altro negozio di finanziamento, la tutela civilistica per la vittima si rinviene nell'art. 1815 c.c. al quale spetta il compito di convertire il mutuo da oneroso a gratuito (id est: nullità della clausola usuraria); se il reato sottende un negozio usurario di scambio diverso dai negozi di finanziamento, la sorte del contratto-mezzo per il perfezionamento del reato è la nullità ex art. 1418 c.c. e 644 c.p.

Elementi costitutivi

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Sono elementi costitutivi della complessa fattispecie rescissoria: le condizioni inique che generano lo squilibrio tra le prestazioni, ossia l'alterazione del sinallagma (art. 1447 cod. civ.), nella proporzione della cd. lesione ultra dimidium (art. 1448 cod. civ.)

  • lo stato di necessità o bisogno di una delle parti
  • la conoscenza e l'approfittamento del bisogno altrui

L'alterazione del sinallagma è un'anomalia consistente nella difformità delle prestazioni dagli attuali valori di mercato: la sussistenza di uno stato di pericolo o di bisogno consente ad un contraente di ottenere un eccessivo profitto ai danni dell'altro, cioè il cd. iugulato (termine che, intuitivamente, richiama l'atto dello strangolare, del "prendere per la gola").

Il concetto di "approfittamento" è un concetto ampio: esso consiste nelle determinazione del soggetto avvantaggiato di non voler concludere nessun altro contratto se non quello per sè proficuo, e ciò unicamente in ragione della sua consapevolezza del bisogno altrui. Tale determinazione deve essere manifestata alla controparte, anche in modo implicito in ragione delle circostanze della contrattazione (cd. "prendere o lasciare"). Lo "stato di bisogno" consiste nella necessità di procurarsi un determinato bene onde sottrarsi ad un più grave pregiudizio (anche di natura non patrimoniale) diverso da quello espresso dalla sola mancanza del bene (non è stato di bisogno quello espresso dal collezionista il quale desidera a tutti costi "il pezzo" per completare la sua collezione). In ordine alla fattispecie rescissoria bisogna guardare all'illiceità ed immoralità del comportamento dello sfruttatore, comportamento che ha condotto ad una alterazione economica dello spostamento patrimoniale: in altre parole, la rescissione qui sanziona l'abuso economico, quale effetto di un abuso comportamentale. La sproporzione evoca un'anomalia procedurale nella conclusione del contratto: l'indagine si indirizza quindi verso l'integrità del consenso ed alla valutazione delle conseguenze oggettive dell'anomalia.