Lucrezio (superiori)

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Lucrezio (superiori)
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Letteratura latina per le superiori 2
Avanzamento Avanzamento: lezione completa al 100%

Notizie biografiche

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Busto ottocentesco di Lucrezio al colle Pincio, Roma

Di T. Lucrezio Caro (il praenomen ci è dato da San Girolamo mentre il cognomen è dato solo dai manoscritti ed è sospetto) il più grande poeta dell'età non solo ignoriamo la data esatta della sua nascita ma anche di ogni altro evento particolare della biografia. Fonti principali sono il Chronicon di San Girolamo e la Vita donatiana di Virgilio. Il primo ci da come data di nascita in alcuni codici il 96 a.C. in altri il 94 a.C. e che morì a quarantaquattro anni per suicidio a seguito della follia provocata da un filtro d'amore e che il suo poema fu pubblicato frettolosamente da Cicerone. La Vita donatiana afferma che Lucrezio morì nello stesso giorno in cui Virgilio prese la toga virile a diciassette anni. Da questi dati è incerta sia la data di nascita, 98-96 a.C., sia la morte, 55-53 a.C.. A stare a quanto ci dice il De rerum naturam e notizie contemporanee sappiamo che conobbe C. Memmio al quale dedicò il poema. La sua opera fu letta ed edita post mortem da Cicerone. Fu lodato come grande poeta da Cornelio Nepote e dovette avere un rapporto con la scuola dei poeti novi. Si ignora anche il luogo di nascita. Che la sua formazione fosse avvenuta prevalentemente a Roma è probabile ma sicuramente non basta per dire che era proprio romano. Di recente si è cercata di rivendicare come patria Pompei e si è voluto per questo dire che era un poeta chiuso nel suo oscuro provincialismo e nella stretta esperienza d'ardente neofita della dottrina d'Epicuro, legato al culto dei poeti arcaici e all'oscuro dell'arte contemporanea. In realtà Lucrezio, nonostante appare riservato e chiuso nel suo riserbo di esperienza teorica e morale ugualmente non è un uomo di umile condizioni ma anzi è un signore dell'espressione e conscio del gusto contemporaneo. Resta però la stranezza del fatto che in un'età in cui ai letterati piace parlare di se stessi non sia ricordato nel mondo contemporaneo e immediatamente posteriore a lui se non da Cicerone, Cornelio Nepote e Vitruvio mentre poeti come Virgilio e Orazio lo riecheggiano largamente. È fondato dubitare anche della notizia della sua follia e del suo suicidio. Certo alcuni aspetti della sua poesia come le improvvise pause d'opacità e le sue subitanee accensioni oppure l'appartenere alla filosofia epicurea ma allo stesso tempo essere molto pessimista sulla condizione e il destino umano di sicuro autorizzano a pensare alla notizia geronimiana che compose per intervalla insaniae. Non solo, il modo in cui si arride all'illusione amorosa e l'insopprimibile bestialità fondamentale, può addursi a riprova del filtro amoroso, che gli avrebbe ottenebrato il senno. Forse però la notizia di San Girolamo è viziata dal fatto che l'abbia confuso con Lucullo anch'esso morto, secondo Plutarco e Plinio il vecchio, a seguito della follia provocata da un filtro amoroso. Ciò spigherebbe come mai Arnobio e Lattanzio, i quali citano spesso Lucrezio, non sfruttino, per i loro fini apologetici, la notizia del suicidio.

Il poema

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Manoscritto del De rerum natura risalente al 1483

L'unica opera di Lucrezio è il De rerum natura, poema in sei libri, in esametri, sulla dottrina epicurea. È molto controverso se il poema ci è pervenuto nella sua versione conclusiva oppure la morte prematura di Lucrezio e la rapida pubblicazione veloce di Cicerone non ci hanno regalato solo una versione parziale di quella che invece Lucrezio voleva realizzare (tra l'altro alcune fonti ci dicono dell'intenzione da parte di Lucrezio stesso di concludere l'opera con un libro sul problema degli e della loro condizione cosa che invece non è avvenuta stando all'opera che leggiamo oggi). D'altra parte però i sei libri sembrano uniti insieme da una logica ternaria che li pone a coppie sia sotto l'aspetto contenutivo sia sotto l'aspetto del tono. La prima coppia tratta della canonica preliminare e del problema del cosmo (il libro I fonda i concetti del vuoto e degli atomi, della struttura stessa del cosmo, il libro II illustra la formazione dei concilia atomici, la nascita e la disgregazione dei mondi). La seconda coppia è dedicata alla psicologia (il libro II tratta il fondamentale problema della mortalità dell'anima, il libro IV illustra la meccanica dei sensi e l'origine delle passioni). La terza coppia è dedicata alla storia del cosmo e dell'umanità (il libro V fa la storia delle origini del mondo in cui viviamo e dell'umanità, sfatando l'illusoria idea del progresso, il libro VI illustra le cause e i preannunci di distruzione per il mondo e l'umanità). Ogni coppia si conclude con un pauroso quadro di dissolvimento: la prima con la visione della futura disgregazione del cosmo, la seconda con la spietata descrizione della follia d'amore e la terza con la raccapricciante raffigurazione della peste di Atene. A questo si aggiunge che Lucrezio nel corso della trattazione abbonda di ripetizioni e di richiami, oltre che di stereotipie di passaggio che sono i puntelli della trattazione. Né mancano lacune e altri segni di una non perfetta elaborazione e difettosa trascrizione. Tutto questo lascia perplessi sul problema della completezza o meno del poema. Una serie di contraddizioni sono alla base dell'opera e ne rappresentano anche il fascino. Già l'uso stesso del poema è stato una smentita alla dottrina di Epicuro che non lo tollerava se non in forma di versi leggeri e di facile piacere (esempio lo stesso coevo Filodemo che non va oltre a epigrammi lascivi proprio nell'ottica dell'ideologia epicurea). Varie sono le opinioni in merito a questa scelta ma sicuramente la più appropriata è quella di un Lucrezio desiderioso di porre sotto la voce artistica la sua esperienza filosofica. Ma le contraddizioni più grandi sono proprio nell'essenza stessa dell'opera. Lucrezio dichiara di voler liberare l'umanità dalla superstizione e dal peso delle passioni e della sfrenata cupidigia eppure nel suo poema il problema etico e sul sommo bene sono trattate solo di scorcio. Esalta la figura di Epicuro come salvatore dell'umanità ma nel suo poema c'è sempre un velo di miseria innata della natura umana al punto tale da preferire la felicità delle bestie inconsapevoli. Esalta anche la natura che è un quadro ricco di linfa vitale addirittura arrivando a percepire il pulviscolo dorato d'un raggio di sole e l'urto delle ruote di un carro contro un sasso per cui trema una casa eppure in essa vede tutto un cospirare di forze ostili e tremende che schiacciano l'umanità sotto il peso del suo anonimo furore. Lucrezio non si allontana però dalla dottrina di Epicuro che non solo vive come un fervente apostolo, e quindi come molti altri legato intellettualmente a tale ideologia, ma anche sotto un aspetto proprio sentimentale ed affettivo. C'è però in Lucrezio qualcosa che va al di là di Epicuro ma la sua infedeltà non è nei particolari dottrinali quanto nel tono e nei riflessi del canto. Se la dottrina epicurea aveva come unico scopo lo sfrondare il mondo della sua bellezza e dare pace intellettualistica all'uomo, Lucrezio invece da animo di poeta non poteva non interessarsi della passioni che voleva che gli uomini rifuggissero. Da poeta della dottrina che identificava il sommo bene con la voluptas avvertiva però che c'era qualcosa di amaro che sgorgava dalla gioa. Muovendo guerra alla religio si accorgeva però che l'umanità non era solo tormentata dal castigo oltremondani ma anche dall'idea della morte e che essa ha insieme il timore e la nostalgia per l'immortalità e, come tutti i grandi poeti, questo lo portò inconsciamente alla ricerca di Dio e ne ebbe folgorato lo spirito. Ci sorprende fin dall'inizio l'invocazione a Vedere ma assunta a simbolo della forza altrice di natura e dell'ideale del piacere pacificatore a cui fa scontro il trafico vanitas vanitatum della vita umana. In mezzo a questi due poli si instaura il tessuto dei luoghi in cui sorriso e pianto si mescolano e vengono rovistati le più intime pieghe dell'animo umano o dipinti i più diversi aspetti della natura o tracciata con possente disegno la storia degli avi. L'arte di Lucrezio può dirsi primitiva ma è primitiva quanto quella di Dante signore incontrastato e possente dei suoi mezzi espressivi. Egli ricorre a spezzature, arbitri verbali, congegni sintattici e frequenti allitterazioni che possono sembrare ingenui ma in lui la cura dell'espressione è così vigile e costante che non vi si sente estranea l'esperienza neoterica. La capacità di rendere con proprietà i termini specifici del linguaggio epicureo è magistrale tanto quanto quella di Cicerone a far parlare di filosofia la lingua latina. È tipica della sua natura di poeta e d'artista concepire ed esprimersi a grandi linee, a blocchi immani di forze e di immagini, di quella corpulenza sanguigna e robusta della sua tecnica quasi come un macigno scagliato da un ciclope che rimbomba nei suoi magniloquenti esametri, quella forza cosmica che accende il suo verso e sembra realmente il respiro stesso della natura. I vocaboli arcaici mediano la funzione artistica col sentore di premevo, di cosmico, di sacrale che diffondono nel verso. Il poema di Lucrezio sostituisce l'epos di tipo omerico di Ennio con una poesia epica dottrinale tra l'altro di una dottrina che è totalmente opposta e che anzi vuole spazzar via, quella della tradizione religiosa e civile della romanità diventano documento del cambiamento dei tempi e forse anche per questo sul nome di Lucrezio per lungo tempo calò il silenzio. Ma d'altro canto per la sua profonda risonanza umana e per la vigorosa accettazione di un destino fondamentalmente immedicabile, essa era pur sempre l'altissima poesia di un romano e costituì una folgorante rivelazione per le anime più penose della prima età augustea che ancora vivevano fra i marosi delle lette civili. Il richiamo alla natura, il suo vangelo virile e desolante, ma pur così carico di umana comprensione, fu la poetica medicina de cuori più sensibili. Senza Lucrezio non si comprenderebbe a pieno Virgilio. Lo splendore dell'arte augustea e le varie vicissitudini della moda letteraria offuscheranno Lucrezio in tutta l'età imperiale e sarà usato solo dagli apologeti cristiani che intuirono il suo profondo messaggio e lo sfruttarono sotto alcuni aspetti. Poi nel Medioevo, aborrente la dottrina di coloro che l'anima col corpo morta fanno, fu sprofondato nel buio fino al 1417 quando Poggio Bracciolini scoprì il suo poema in un codice ora perduto e lo offrì all'ammirazione degli uomini del Rinascimento, i quali ricavarono non piccolo contributo alla loro concezione naturalistica della vita. In età più recente Lucrezio è stato malamente salutato come maestro del materialismo positivistico, e solo oggi, mentre si è capita la poetica personalità della sua posizione, ci si è accostati ad assimilare ciò che vi è di eterno nella sua ansia drammatica e ad intendere e gustare l'altezza della sua poesia.