Leon Battista Alberti (superiori)
Filosofo, scrittore e architetto, Leon Battista Alberti è una delle figure più poliedriche dell'Umanesimo e del Rinascimento, di cui fu una figura emblematica per il suo interesse nelle più varie discipline.
Suo costante interesse è la ricerca delle regole, teoriche o pratiche, in grado di guidare il lavoro degli artisti. Nelle sue opere menziona alcuni canoni: nel De statua espone le proporzioni del corpo umano, nel De pictura fornisce la prima definizione della prospettiva scientifica e infine nel De re aedificatoria descrive tutta la casistica relativa all'architettura moderna, sottolineando l'importanza del progetto e le diverse tipologie di edifici a seconda della loro funzione.
Come architetto Alberti è considerato, accanto a Brunelleschi, il fondatore dell'architettura rinascimentale. L'aspetto innovativo delle sue proposte consiste nel mescolare l'antico ed il moderno esaltando così la prassi degli antichi e quella moderna inaugurata da Brunelleschi. Inoltre, secondo Leon Battista Alberti: «...l'artista in questo contesto sociale non deve essere un semplice artigiano, ma un intellettuale preparato in tutte le discipline ed in tutti i campi». Una concezione figlia dell'enciclopedismo medievale degli uomini dotti, ma aggiornata all'avanguardia umanista. La classe sociale a cui Alberti fa riferimento è comunque l'aristocrazia e l'alta "borghesia" illuminata fiorentina, e lavora al servizio dei committenti più importanti dell'epoca: il papato, gli Este a Ferrara, i Gonzaga a Mantova, i Malatesta a Rimini.
La vita
modificaLeon Battista Alberti nasce il 18 febbraio 1404 a Genova, figlio illegittimo di Lorenzo Alberti, esponente di una ricca famiglia di mercanti e banchieri fiorentini, banditi dalla città toscana nel 1402 per motivi politici.
I primi studi sono di tipo letterario, prima a Venezia al seguito del padre che si spostava per i suoi commerci e poi a Padova nella scuola dell'umanista Gasparino Barzizza, dove studia il latino e forse anche il greco.[1] Si trasferisce poi all'Università di Bologna, per studiare diritto canonico, coltivando però parallelamente il suo amore per altre discipline artistiche quali la musica, la pittura, la scultura.
Alberti si dedica all'attività letteraria sin da giovane. A Bologna scrive una commedia autobiografica in latino, una lingua della quale possedeva una padronanza assoluta, la Philodoxeos fabula ("Amante della Gloria"), con la quale inganna tutti gli esperti dell'epoca, che la ritengono originale e la attribuiscono a Lepido, nome con il quale Alberti si firma. Compone dialoghi, sempre in latino, intitolati Intercoenales e, nel 1428, un'opera chiamata Deifira, dove spiega come fuggire da un amore iniziato male, probabilmente ispirato a vicende personali.
Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1421, Alberti ritorna temporaneamente a Padova, dove trascorre alcuni anni pieni di difficoltà, entrando in forte contrasto con i parenti che non vogliono riconoscere i suoi diritti ereditari né favorire i suoi studi. In questi anni coltiva soprattutto gli studi scientifici, astronomici e matematici.[1] Ritornato nuovamente a Bologna si laurea nel 1428, nonostante le difficoltà economiche e di salute.
Negli anni della formazione tra Padova e Bologna intreccia amicizie con molti intellettuali, come Paolo dal Pozzo Toscanelli, Tommaso Parentuccelli, futuro papa Niccolò V, e probabilmente Niccolò Cusano.
Gli anni 1428-1431 non sono documentati, anche se si ipotizza che si sia recato a Firenze dopo il ritiro del Bando (1428) e che sia entrato al seguito del cardinal Albergati accompagnandolo in Francia e nel Nord Europa.[1]
La difficile situazione personale porta Alberti a maturare la decisione di prendere i voti religiosi per iniziare la carriera ecclesiastica, come lui stesso spiega nel De commodis. Nel 1431 diventa segretario del patriarca di Grado e trasferitosi a Roma con questi, nel 1432 è nominato abbreviatore apostolico, il cui ruolo consiste, tra l'altro, nel redigere i brevi apostolici, le disposizioni papali inviate ai vescovi, oltre alle epistole ed ai discorsi pubblici degli alti prelati della curia. Entra così nel prestigioso ambiente umanistico della corte papale al servizio del papa Eugenio IV, che lo nomina (1432) titolare della pieve di San Martino a Gangalandi a Lastra a Signa, vicino a Firenze, e del cui beneficio gode fino alla morte, pur compiendovi visite molto sporadiche.[1]
Alberti, vivendo prevalentemente a Roma ma spostandosi per periodi anche lunghi e per varie incombenze ed occasioni anche a Ferrara, Bologna, Firenze, Mantova e Rimini, lavora come abbreviatore per la curia per ben 34 anni, fino al 1464, quando il collegio degli abbreviatori viene soppresso. Rimane comunque a Roma fino alla morte, avvenuta il 20 aprile 1472 all'età di 68 anni.
I libri della famiglia
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Tra il 1433 ed il 1434 Alberti scrive, in pochi mesi, i primi tre libri Della Famiglia, un trattato in volgare completato da un quarto libro nel 1441. Composto in forma di dialogo ambientato nella Padova del 1421. Al dibattito partecipano vari componenti della famiglia Alberti, personaggi realmente esistiti, scontrandosi su due visioni diverse: da un lato c'è la mentalità moderna e borghese e dall'altro la tradizione, aristocratica e legata al passato. L'analisi che il libro offre è una visione dei principali aspetti ed istituzioni della vita sociale dell'epoca, quali il matrimonio, la famiglia, l'educazione, la gestione economica del focolare, l'amicizia e in genere i rapporti sociali: Alberti esprime qui il suo punto di vista "filosofico" pienamente umanistico che ricorre in tutte le sue opere di carattere morale e che consiste nella convinzione che gli uomini sono responsabili della propria sorte e che la virtù sia insita nell'uomo e debba essere realizzata attraverso l'operosità, la volontà e la ragione.[1]
De pictura
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Tra il 1434 ed il 1443 Alberti vive prevalentemente a Firenze al seguito della corte papale che soggiorna a lungo in città per partecipare al Concilio che dovrebbe riappacificare la Chiesa latina e quella greca. La lunga permanenza è interrotta da una permanenza a Bologna intorno al 1436, da visite a Perugia e Venezia e da un periodo in cui il Concilio si sposta a Ferrara dal 1438 all'inizio del 1439.
La lunghissima permanenza a Firenze permette ad Alberti una profonda assimilazione della cultura fiorentina e l'inserimento in un ambiente artistico e intellettuale vivissimo. In questo periodo nascono importanti opere letterarie[2] e maturano gli interessi artistici di Alberti. Conosce le opere dei grandi innovatori (Filippo Brunelleschi, Lorenzo Ghiberti, Donatello e Masaccio) e stringe amicizia con alcuni di essi.
Del 1435 è il De Pictura, scritto in latino e tradotto l'anno seguente in volgare (Della Pittura), con una dedica all'amico Brunelleschi.[3] In questo trattato l'Alberti si prefigge di dare una regola e una sistemazione alle arti figurative, anche attraverso la geometria, e con finalità probabilmente didattiche. Il De pictura è la prima trattazione di una disciplina artistica non intesa solo come tecnica manuale, ma anche come ricerca intellettuale e culturale.[4]
Il trattato è organizzato in tre libri.[1][5] Il primo contiene una delle prime trattazioni dirette al pubblico della prospettiva[4] Nel secondo libro Alberti tratta di «circonscrizione, composizione, e ricevere di lumi» cioè dei tre principi che regolano l'arte pittorica: la Circumscriptio consiste nel tracciamento del contorno dei corpi; la Compositio, era tracciamento delle linee che uniscono i contorni dei corpi e cioè la disposizione narrativa della scena pittorica la cui importanza è qui espressa per la prima volta con tale lucidità intellettuale; la Receptio luminum, prendeva in considerazione i colori e la luce. Il terzo libro è relativo alla figura del pittore di cui si rivendica un ruolo di vero intellettuale e non di artigiano.
La questione del volgare
modificaPur scrivendo numerosi testi in latino, lingua alla quale riconosce il valore culturale e le specifiche qualità espressive, Alberti è un fervente sostenitore del volgare, considerato più adatto alle esigenze di cambiamento della nuova società che sta nascendo. La doppia stesura in latino e in volgare del De pictura manifesta l'interesse di Alberti per il dibattito in corso tra gli umanisti sulla possibilità di usare il volgare italiano come lingua adatta alla trattazione di ogni materia. In un dibattito avvenuto a Firenze tra gli intellettuali della curia, Flavio Biondo aveva affermato la diretta discendenza del volgare dal latino classico e Alberti, condividendo tale tesi, in una lettera dedicatoria del terzo libro della Famiglia a Francesco d'Altobianco, difende l'uso del volgare, giustificandolo per la sua utilità, visto che è il mezzo per divulgare la cultura a un pubblico più vasto e giudicandolo perfettibile ricorrendo alla sintassi e al lessico della lingua madre. Alberti è così uno dei primi intellettuali a comprendere pienamente l'origine delle lingue romanze e a liberarsi dai pregiudizi verso il volgare.[1] Scrive intorno al 1442 la prima grammatica del volgare, della «nostra oggi toscana» basata non su esempi letterari ma sul normale uso della lingua, proponendo anche riforme ortografiche.[1]
Da qui deriva la significativa esperienza del Certame coronario, una gara di poesia dedicata al tema dell'amicizia, organizzata a Firenze nel 1441 da Piero de' Medici con la collaborazione di Alberti e che avrebbe dovuto favorire l'affermazione dell'importanza e del valore del volgare. All'idea di questo concorso va associata la stesura di sedici esametri sul tema dell'amicizia da parte di Alberti, raccolte e pubblicate successivamente con il titolo di Rime, innovative tanto nello stile quanto nella metrica. Si tratta infatti di uno dei primi tentativi di adattare i metri antichi alla poesia italiana (metrica «barbara»).[1]
Nonostante questo continua a scrivere anche in latino, come per esempio negli Apologi, una sorta di breviario della sua filosofia di vita, composti intorno al 1437.
L'attività di architetto
modificaConcluso il Concilio nel 1443 Alberti ritorna, al seguito della corte papale, a Roma dove abiterà a lungo, anche se con lunghi soggiorni a Rimini, Firenze e Mantova. In questo periodo maturano gli interessi più propriamente architettonici di Alberti che, già nei primi anni romani aveva avuto modo di studiare gli antichi resti architettonici di Roma che sono l'oggetto della sua Descriptio urbis Romae, datata intorno al 1445, in cui tenta, per la prima volta, una ricostruzione della topografia di Roma antica, esemplificata in un disegno oggi perduto. Il suo interesse archeologico lo porta perfino a tentare una spedizione di ricerca e recupero di navi romane affondate nel lago di Nemi.
Questi interessi per l'architettura, che diventeranno prevalenti negli ultimi due decenni della sua vita, non impediscono una ricchissima produzione letteraria. Del 1450 è una delle opere più interessanti, il Momus, un romanzo satirico in lingua latina, che tratta in maniera abbastanza amareggiata dei rapporti tra letteratura e politica.
Dopo l'elezione di Niccolò V, Alberti, come antico conoscente, entra nella cerchia ristretta del papa, dal quale riceve anche la carica di priore di Borgo San Lorenzo. Tuttavia i rapporti con il papa sono considerati piuttosto controversi dagli storici, sia per quel che riguarda gli aspetti politici sia per l'adesione o la collaborazione di Alberti al vasto programma di rinnovamento urbano voluto da Niccolò V. Forse è stato impegnato nel restauro del palazzo papale e dell'acquedotto romano e della fontana dell'Acqua Vergine, disegnata in maniera semplice e lineare, creando la base sulla quale, in età Barocca, sarebbe stata costruita la Fontana di Trevi.
Intorno al 1450 Alberti comincia ad occuparsi attivamente di architettura con progetti da eseguire fuori Roma, a Firenze, Rimini e Mantova, città in cui si reca varie volte durante gli ultimi decenni della sua vita.
A Firenze lavora come architetto soprattutto per Giovanni Rucellai, intimo amico suo e della sua famiglia. Le opere fiorentine saranno le uniche tra i progetti di Alberti a essere compiute. Tra esse Palazzo Rucellai e la facciata della basilica di Santa Maria Novella.
Alberti è poi a Ferrara, tra il 1438 ed il 1439, dove stringe amicizie alla corte estense. Vi ritorna nel 1441 e forse nel 1443, chiamato a giudicare la gara per un monumento equestre a Niccolò III d'Este. In tale occasione manifestò il suo interesse per la morfologia e l'allevamento dei cavalli con il breve trattato De equo animante dedicato a Leonello d'Este.
Nel 1450 l'Alberti è chiamato a Rimini da Sigismondo Pandolfo Malatesta per trasformare la chiesa di San Francesco in un tempio in onore e gloria sua e della sua famiglia. Alla morte del signore il tempio è lasciato incompiuto mancando della parte superiore della facciata, della fiancata sinistra e della tribuna.
Nel 1459 Alberti è chiamato a Mantova da Ludovico III Gonzaga, nell'ambito dei progetti di abbellimento cittadino per il Concilio di Mantova. Qui progetta gli interventi nelle chiese di San Sebastiano e Sant'Andrea.
Dopo la metà del secolo Alberti è la figura guida dell'architettura, succedendo a Brunelleschi. Questo riconosciuto primato rende anche difficile distinguere, nella sua opera, l'attività di progettazione dalle tante consulenze e dall'influenza più o meno diretta che dovette avere, per esempio, sulle opere promosse a Roma, sotto Niccolò V, come il restauro di Santa Maria Maggiore e Santo Stefano Rotondo o come la costruzione di Palazzo Venezia, il rinnovamento della antica basilica di San Pietro, del Borgo e del Campidoglio. Sicuramente il prestigio della sua opera e del suo pensiero teorico hanno condizionato direttamente l'opera di progettisti come Francesco del Borgo e Bernardo Rossellino, influenzando anche Giuliano da Sangallo.[6]
De re aedificatoria
modificaLe sue riflessioni teoriche trovano espressione nel De re aedificatoria, un trattato di architettura in latino, scritto a Roma, completato nel 1450 e rivolto non solo ad un pubblico specialistico, ma anche al pubblico colto di educazione umanistica. Il trattato è concepito sul modello dei dieci libri del De Architectura di Vitruvio, allora circolanti in copie manoscritte e non ancora corrette filologicamente. L'opera, considerata il trattato architettonico più significativo della cultura umanista, è divisa anch'essa in dieci libri: nei primi tre si parla della scelta del terreno, dei materiali da utilizzare e delle fondazioni (potrebbero corrispondere alla categoria vitruviana della firmitas); i libri IV e V si soffermano sui vari tipi di edifici (utilitas); il libro VI tratta la bellezza architettonica (venustas), intesa come un'armonia esprimibile matematicamente grazie alla scienza delle proporzioni, con l'aggiunta di una trattazione sulle macchine per costruire; i libri VII, VIII e IX parlano della costruzione dei fabbricati, suddividendoli in chiese, edifici pubblici ed edifici privati; il libro X tratta dell'idraulica. Nel trattato si trova anche uno studio basato sulle misurazioni dei monumenti antichi per proporre nuovi tipi di edifici moderni ispirati all'antico, fra i quali le prigioni, che cercò di rendere più umane, gli ospedali ed altri luoghi di pubblica utilità.
Il trattato fu stampato, grazie al mecenatismo di Lorenzo il Magnifico ed a cura del Poliziano,[7] solo nel 1485 e fu poi tradotto in varie lingue diventando un'opera imprescindibile per molti uomini di cultura. Pellegrino Prisciani scrisse il suo Spectacula (dedicato ad Ercole I d'Este) fra il 1486 e il 1502, con l'intento di meglio esplicare quelle parti del testo dell'Alberti che trattano sommariamente del teatro antico, integrandole con brani di Vitruvio che erano stati omessi. Nel De re aedificatoria, Alberti affronta anche il tema delle architetture difensive e intuisce come le armi da fuoco rivoluzioneranno l'aspetto delle fortificazioni. Per aumentare l'efficacia difensiva indica che le difese dovrebbero essere "costruite lungo linee irregolari, come i denti di una sega" anticipando così i principi della fortificazione alla moderna.
De statua
modificaIl trattato, scritto in latino, relativo alla teoria della scultura completa la trilogia sulle arti maggiori insieme con il De re aedificatoria (architettura) e il De pictura (pittura) ed è generalmente datato intorno al 1464.[8] Nel De statua, Alberti rielabora profondamente le concezioni e le teorie relative alla scultura tenendo conto delle innovazioni artistiche del Rinascimento, attingendo anche ad una rilettura critica delle fonti classiche e riconoscendo, tra i primi dignità intellettuale alla scultura, prima di allora sempre condizionata dal pregiudizio verso un'attività tanto manuale.
Nel trattato, che si compone di diciannove capitoli, Alberti parte, sulla scorta di Plinio, dalla definizione dell'arte plastica tridimensionale distinguendo la scultura o per via di porre o per via di levare, dividendola secondo la tecnica utilizzata:
- togliere e aggiungere: sculture con materie molli, terra e cera eseguita dai "modellatori"
- levare: scultura in pietra, eseguita dagli "scultori"
Tale distinzione sarà determinante nella concezione artistica di molti scultori come Michelangelo e non era mai stata espressa con tanta chiarezza.[9]
Relativamente al metodo da utilizzare per raggiungere il fine ultimo della scultura che è l'imitazione della natura, Alberti distingue:
- la dimensio (misura) che definisce le proporzioni generali dell'oggetto rappresentato mediante l'exempeda, una riga diritta modulare atta a rilevare le lunghezze e squadre mobili a forma di compassi (normae), con cui misurare spessori, distanze e diametri.[10]
- la finitio, definizione individuale dei particolari e dei movimenti dell'oggetto rappresentato, per la quale Alberti suggerisce uno strumento da lui ideato: il definitor o finitorium, un disco circolare cui è fissata un'asta graduata rotante, da cui pende un filo a piombo. Con esso si può determinare qualsiasi punto sul modello mediante una combinazione di coordinate polari e assiali, rendendo possibile un trasferimento meccanico dal modello alla scultura.[9]
Alberti sembra anticipare i temi relativi alla raffigurazione "scientifica" della figura umana che è uno dei temi che percorre la cultura figurativa rinascimentale.[11] e addirittura aspetti dell'industrializzazione ed addirittura della digitalizzazione, visto che il definitor trasforma i punti rilevati sul modello in dati alfanumerici.[12]
L'opera sarà tradotta in italiano solo nel 1568 da Cosimo Bartoli. Il testo latino originale è stato pubblicato solo alla fine del XIX secolo, mentre solo recentemente sono state pubblicate traduzioni moderne.[11] I sistemi di definizione meccanica dei volumi proposti da Alberti hanno Leonardo che appronta, come si può rilevare dai suoi disegni, dei sistemi alternativi, sviluppati a partire dal trattato albertiano [9] e utilizza le Tabulae dimensionum hominis del De statua per realizzare il celeberrimo "Uomo vitruviano" [13].
Altri progetti
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Note
modifica- ↑ 1,0 1,1 1,2 1,3 1,4 1,5 1,6 1,7 1,8 Cecil Grayson, Studi su Leon Battista Alberti, Firenze, Olschki, 1998, pag.419-433
- ↑ Howard Burns, Leon Battista Alberti, in "Storia dell'architettura italiana. Il Quattrocento", Electa, 1998
- ↑ Howard Burns, op. cit. 1998
- ↑ 4,0 4,1 Howard Burns, op. cit., 1998
- ↑ Leon Battista Alberti, De Pictura, a cura di C. Grayson, Laterza, 1980: versione on line
- ↑ Christoph L. Frommel, Architettura e committenza da Alberti a Bramante, Olschki, 2006, ISBN 978-88-222-5582-2
- ↑ Liana Castelfranchi Vegas, L'arte del Quattrocento in Italia e in Europa, 1996
- ↑ La datazione è molto controversa e potrebbe essere molto da anticipare agli anni trenta del Quattrocento. Cfr. Rudolf Wittkower, La scultura raccontata da Rudolf Wittkower. Dall'antichità al Novecento, Einaudi, 1993 trad. di Sculpture. Processes and principles, Penguin Books, 1977.
- ↑ 9,0 9,1 9,2 Rudolf Wittkower, op. cit. 1993
- ↑ Rudolf Wittkower,op. cit. 1993
- ↑ 11,0 11,1 Leon Battista Alberti, De statua, a cura di M. Collareta, 1998
- ↑ Mario Carpo, L'architettura dell'età della stampa: oralità, scrittura, libro stampato e riproduzione meccanica dell'immagine nella storia delle teorie architettoniche, 1998.
- ↑ Paola Salvi, L'Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci e il De statua di Leon Battista Alberti: la misura dell'armonia, in Approfondimenti sull'Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, a cura di Paola Salvi, CB Edizioni, Poggio a Caiano, 2012, pp. 21-60