Le Fonti e l'efficacia delle norme tributarie

La questione delle fonti del diritto è di fondamentale importanza anche nell'ambito del diritto internazionale. Non è di secondaria importanza, infatti, sapere come le fonti si relazionano tra loro in base all'ordine gerarchico e come le norme subordinate non possono modificare o estinguere norme gerarchicamente superiori. Le norme in ambito tributario possono essere di vario tipo: impositive, agevolative, procedimentali, processuali, sanzionatorie. Quello che sicuramente è da segnalare è la riserva di legge posta dall'articolo 23 della Costituzione. Esso sicuramente crea un criterio gerarchico che pone la legge e gli atti aventi forza di legge al di sotto si della Costituzione ma al di sopra di qualsiasi altra fonte interna. Solo la legge e gli atti aventi forza di legge potranno istituire dei tributi mentre tutte le altre norme potranno solo regolare gli aspetti procedurali. Da segnalare poi anche la presenza, nel Diritto tributario, di rinvii a norme di altri settori quali al codice civile, al codice di procedura civile o convenzionali. Interessante è da segnalare che oggi, a seguito della modifica del Titolo V, e più in particolare in base all'articolo 117 anche la Regione ha potesta legislativa pertanto anche la legge regionale rientra nell'ambito della riserva di legge prevista dall'articolo 23 della Costituzione. Inoltre anche in capo a Comuni e Province è prevista una qualche forma di normatività in campo tributario.

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Le Fonti e l'efficacia delle norme tributarie
Tipo di risorsa Tipo: lezione
Materia di appartenenza Materia: Diritto tributario
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La Gerarchia delle Fonti delle Norme Tributarie modifica

Possiamo posizionare le fonti del Diritto tributario in una gerarchia avente 4 Fasce:

  • Prima Fascia: Occupata dalla Costituzione che è il vertice del nostro ordinamento interno ed è inderogabile e immutabile dalle altre fonti (se non da leggi costituzionali). A fianco sono site le norme in materia finanziaria previste dal Tratto sul Funzionamento dell'Unione Europea, anche tali principi sono infatti inderogabile da parte di qualsiasi altra fonte interna.
  • Seconda Fascia: Occupata dalla legge (sia statale che regionale) e gli atti aventi forza di legge. A fianco ad esse, in una posizione leggermente superiore, abbiamo tutte le norme di ambito europeo (regolamenti, direttive e decisioni) che secondo la giurisprudenza più recente prevalgono alle norme di diritto interno.
  • Terza Fascia: Occupata dai Regolamenti governativi e ministeriali per quanto riguarda il versante statale mentre per il versante degli enti locali dai loro Statuti e Regolamenti. Essi sono sicuramente subordinati alla legge oltre che alla Costituzione e alle norme comunitarie.
  • Quarta Fascia: Occupata dalle norme, possiamo dire, interne alla Amministrazione Pubblica (circolari, note, risoluzioni, pareri) che spesso non hanno efficacia esterna, essendo meramente interpretativi, ma dato il loro forte valore interno, che vincola l'agire amministrativo, possono comportare effetti anche esterni. Ad essi vanno affiancati le raccomandazioni e i pareri della Commissione UE.

Prima Fascia: Costituzione e Trattato UE modifica

Il primato della Costituzione sulle altre norme interne è sicuramente indiscusso. Principalmente i principi costituzionali in materia tributaria sono sei: articoli 3, 23, 53, 75, 81 e 119. E bene dire però che con il tempo la giurisprudenza ha allargato l'azione della Costituzione in campo tributario facendo rientrare l'agire tributario sotto la tutela di altre norme costituzionali. L'agire tributario infatti deve tener conto della libertà dell'iniziativa economica (articolo 41), l'amministrazione finanziaria deve agire secondo i principi della buona fede e dell'affidamento (articolo 97), il processo deve essere regolato comunque in base al giusto processo e la parità delle parti (articolo 111). Ad affiancare questi precetti costituzionali vi è il nuovo Statuto dei Diritti del Contribuente (legge 212/2000) che al suo articolo 1 stabilisce proprio la sua valenza attuativa di alcuni principi costituzionali (art. 3, 23, 53 e 97 Cost.). Tale norma però non ha grado costituzionali restando comunque nella seconda fascia.

Dall'altro lato nella prima fascia va posto anche il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (anche conosciuto come Trattato di Lisbona) del 2009. Varie norme costituzionali (art. 10, 11 e, dopo la modifica, 117) impongono infatti che il legislatore, l'A.F., i giudici, nel loro agire devono conformarsi ai principi del Trattato UE. Una simile riduzione di sovranità è controbilanciata dalla necessità di armonizzare il mercato interno dell'Unione. Questo ha comportato che se inizialmente le norme ad essere vagliate dai principi UE erano solo le norme di relazioni tra Stati o meglio che avevano effetti all'esterno degli Stati oggi invece anche le norme interne ponendo di fatto l'ordinamento tributario sotto la luce del diritto comunitario. Questa tendenza è sempre più marcata (basti pensare alla recente giurisprudenza del 2013-2014 che ha palesato il primato dell'ordinamento europeo rispetto a quello nazionale) e tale tendenza, anche se sporadicamente contrastata dalla giurisprudenza nazionale, è stata più volte marcata e sospinta dalle decisioni della Corte costituzionale. Una tendenza poi radicale, frutto della giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea, ha portata addirittura a ritenere il primato delle norme e dei principi UE anche sul giudicato nazionale.

Seconda Fascia: Leggi ordinarie e regionali, Atti aventi Forza di Legge, Regolamenti, Direttive e Decisioni UE modifica

Nella seconda fascia troviamo la Legge e gli Atti aventi Forza di Legge. Questa prevalenza rispetto alle altre fonti è sicuramente dovuto alla riserva di cui all'articolo 23 della Costituzione ("nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge"). Molte sono le motivazioni che hanno spinto il legislatore a porre questa riserva relativa di legge e sicuramente le principali sono di carattere democratico (la legge infatti da una parte tutela la rappresentatività dei cittadini e dall'altro favorisce il consenso al tributo evitando in questo modo l'arbitrio di una sola parte ad esempio il Governo). È chiaro che quando il legislatore parla di riserva di legge ha in mente come legge, dopo la riforma dell'articolo 119 della Costituzione anche alla leggi regionali che possono imporre tributi propri che non siano soggetti già a tassazione statale (divieto della doppia imposizione). È da dire comunque che i tributi locali non stabiliti dalla regione, secondo la Corte costituzionale, non sono di legislazione concorrente ma esclusiva dello Stato. Per quanto riguarda gli Atti aventi Forza di Legge due sono gli atti: il decreto legislativo e il decreto legge. Se per il decreto legislativo non sorgono particolari problemi poiché la riserva di legge è soddisfatta dal fatto che la legge delega deve contenere una sufficiente base su cui il Governo può sviluppare la creazione di nuovi tributi e la modificazione o abrogazione di altre norme. Problemi sono creati invece dai decreti legge. Il decreto legge, usabile solo in casi di necessità e urgenza, infatti necessita di una conversione entro il termine perentorio dei sessanta giorni. È chiaro che questa condizione precaria crea un incertezza nei confronti del contribuente. Di qui le disposizioni dell'articolo 4 dello Statuto dei Diritti del Contribuente che dispone che il decreto legge non è utilizzabile per l'istituzione di nuovi tributi o per l'estenzione dell'applicazione dei tributi esistenti ad altre categorie di soggetti.

Una menzione particolare va fatta ad una determinata legge quella che è comunemente definita come Statuto dei Diritti del Contribuente (legge 212/2000). Lo Statuto si può in sostanza divide in due parti: da una parte norme dedicate all'attività legislativa (artt. 1-4) dall'altra parte norme concernenti i rapporti tra A.F. e contribuente (artt. 5-12). Esso ha una porta sicuramente innovativa volta a tutelare maggiormente il contribuente in un ottica di maggiori garanzie per lo stesso. Ugualmente lo Statuto non ha un rango pari alle norme costituzionali. Nonostante, infatti, la norma di autorafforzamento di cui all'articolo 1 esso rimane derogabile. Si può infatti derogare alle norme dello Statuto se tale deroga è espressa e soprattutto non proviene da leggi speciali. La Corte costituzionale e la Cassazione pero', anche con sentenze molto recenti del 2015, ha stabilito che esso comunque è un utile parametro di riferimento a fini interpretativi ed ha riconosciuto una superiorità assiologica dei principi espressi dallo Statuto rispetto alle norme ordinarie. Tra l'altro importante, per la questione della efficacia temporale, è la distinzioni operata dalla Corte tra norme ricognitive o statutarie che avendo semplicemente formalizzato principi già immanenti nell'ordinamento hanno effetto retroattive da norme invece a carattere innovativo (come l'interpello) che essendo una novità introdotta proprio dallo Statuto hanno solo efficacia ex nunc.

Veniamo in conclusione, per questa fascia, alle fonti di diritto comunitario. Tali norme, lo abbiamo già detto, hanno una prevalenza sul diritto interno. Le fonti comunitarie sono tre: Regolamenti, Direttive e Decisioni. I Regolamenti sono le uniche norme generali e vincolanti di cui l'Unione Europea dispone. Esse hanno self executing cioè diretta applicabilità in tutti gli Stati membri. L'Unione Europea, però, dato che agisce in un ottica di armonizzazione e non unificazione dei diritti, fa raro uso di questo strumento che "annienta" la sovranità statale ancora esistente in campo tributario. Un esempio di regolamente è comunque quello sull'imposta indiretta per eccellenza e cioè l'IVA che è totalmente regolata da un regolamento europeo. La Direttiva ha carattere non generale ma non meno vincolante rispetto al regolamento. La particolarità della direttiva è che il legislatore statale deve, sulla base di essa, stabilire norme interne che la attuino. Le Direttive infatti si limitano a fornire il fine a cui ogni Stato membro deve puntare sta al legislatore nazionale stabilire il come raggiungerlo. Questo è però quanto dovrebbe avvenire a livello astratto. Concretamente però, per contrastare la tendenza da parte dei legislatori nazionali a non dare attuazione alle direttive soprattutto poco gradite, è invalsa negli ultimi anni le direttive hanno assunto un carattere di precisione e dettagliatezza tale da assumere anche esse stesse una valenza self executing e quindi un carattere vincolante per lo Stato inadempiente anche senza la previsione di una norma nazionale attuativa. I singoli cittadini potranno quindi comunque invocarla contro lo Stato inadempiente. L'ultima fonte è la Decisione della Commissione UE che negli ultimi anni, da parte della Cassazione, ha ricevuto il crisma di vincolatività in materia di aiuti di stato e quindi se chiari e precisi possono addirittura sopprimere o modificare il diritto interno in materia di aiuti di stato vincolando il giudice nazionale nei suoi giudizi.

Terza Fascia: Regolamenti governativi e ministeriali e Regolamenti e Statuti degli enti locali modifica

Immediatamente sotto la legge sono posti i regolamenti governativi (art. 87 Cost.) e ministeriali (art. 17 legge 408/1998) che hanno una funzione integrativa della legge negli aspetti procedurali e tecnici. È da dire che spesso alcuni regolamenti autorizzati travalicano la semplice attuazione della legge verso un aspetto più propriamente integrativo. La dottrina ha comunque precisato che tale integrazione della disciplina legale non può travalicare il rispetto dei limiti posti dalla legge.

Sempre nella terza fascia si collocano i regolamenti e gli statuti degli enti locali. Essi infatti, nonostante l'autonomia normativa tributaria, non rientrano nella riserva di legge prevista dall'articolo 23 della Costituzione e pertanto il loro agire è comunque delimitato dalla legge statale o regionale. Essi tra l'altro non possono imporre tributi propri ma devono limitarsi agli aspetti procedimentali ed in modo limitato per quanto riguarda le agevolazioni sempre nell'ambito previsto dalla legge. La legge 42/2009 ha stabilito che la legge, per attuare a pieno il principio della riserva, deve indicare il soggetto passivo, il presupposto e i criteri di determinazione del quantum della prestazione. Le fonti quindi degli enti locali possono agire sicuramente in maniera maggiore rispetto a quella precedente alla riforma dell'articolo 119 ugualmente nei limini di coordinamento gli ambiti territoriali più ampi (Regione e Stato) non potendo derogare né alla Costituzione né alle norme di tali enti territoriali (Regioni e Stato).

Quarta Fascia: Circolari ministeriali e risoluzioni modifica

Dibattuta è la collocazione o meno delle circolari all'interno della gerarchia delle fonti di diritto. Il dibattito è incentrato prevalentemente sul fatto che tali fonti non hanno carattere vincolante per il legislatore, il giudice e il contribuente. Esse infatti sono norme che hanno una valenza solo interna alla pubblica amministrazione. Ma proprio questa valenza interna basta sul vincolo gerarchico tra gli uffici la vincolatività delle stesse e la generalità è data proprio dalla forza interna che esse hanno non possono essere escluse dalla gerarchia delle fonti essendo esse un supporto alla A.F. per l'applicazione delle norme giuridiche e quindi fattori di diritto concreto. Un segnale dell'importanza di tali norme è dato anche dall'articolo 10 dello Statuto dei Diritti del Contribuente che in base a quanto disposto dall'articolo 97 Costituzione dispone l'esimente da sanzioni e dalla richiesta di interessi nei confronti del contribuente nel caso che l'orientamente stabilito dalla circolare su cui aveva fatto affidamento il contribuente viene successivamente modificato con effetto retroattivo. Diverso è il caso delle note e delle risoluzioni le quali hanno una portata specifica ad un caso concreto essendo spesso risposte a quesiti posti da privati. Appare difficile quindi collocarle tra le fonti non avendo il requisito della generalità propria delle circolari. Ugualmente la dottrina ha rilevato che esse hanno una qualche valenza vincolativa rappresentando comunque dei precedenti dell'agire dell'A.F. Assimilabili a queste sono i pareri dati a seguito di interpello anche essi quindi frutto di una risposta di chiarificazione interpretativa di una norma da parte di un privato e che acquisiscono una particolare vincolatività per l'A.F. attraverso il silenzio assenso.

Entrata in vigore e Cessazione delle norme tributarie modifica

Dopo, in genere, 15 giorni dalla pubblicazione sul G.U. una norma tributaria entra in vigore. Durante il periodo che trascorre tra la pubblicazione e l'entrata in vigore (vacatio legis) la norma non ha alcuna efficacia è pertanto né il giudice né l'A.F. né il contribuente sono tenuti a rispettarla o usarla a fini interpretativi. Accade di frequente però che l'entrata in vigore non corrisponde con l'efficacia cioè con l'esecuzione dei suoi effetti. Soprattutto su norme, infatti, di carattere procedimentale o processuale, il legislatore può differire o far retroagire "l'entrata in esecuzione" rimandandone o anticipandone gli effetti. La legge sarà quindi perfetta perché entrata in vigore ma i suoi effetti saranno differiti o retroattivi. È bene comunque segnalare che in base all'articolo 3, comma 3 dello Statuto del Contribuente, volto ad aumentare la portata conoscitiva in ampliamento della vacatio legis, l'efficacia temporale delle disposizioni modificative di tributi periodici è differita nel periodo o anno di imposta successivo ed è fissato un termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore per gli adempimenti fiscali a carico del contribuente. Venendo ai casi di cessazione della legge essi sono sostanzialmente quattro: abrogazione, deroga, dichiarazione di incostituzionalità e declaratoria di incompatibilità comunitaria. Per quanto riguarda l'abrogazione (regolata dall'articolo 15 disp. prel. c.c.) essa può avvenire sia per abrogazione espressa di una norma successiva, oppure le nuove disposizioni sono incompatibili con le precedenti, oppure la nuova legge regola l'intera materia disciplinata dalla precedente. L'efficacia della legge, in caso di abrogazione, cessa ex nunc pertanto esse restano in vigore per i presupposti verificatisi nel periodo temporale antecedente alla data di abrogazione. Per evitare che ci sia una vacanza di legge riguardo alle situazioni giuridiche relative alla legge abrogata il legislatore può porre delle disposizioni transitorie. Diversa dall'abrogazione è la deroga. Il legislatore può, attraverso deroga espressa o tacita, può introdurre l'eccezione ad un norma contenuta nella stessa legge o successivamente e questo comporta in parte di fatto la sua cessazione. Il legislatore può prevedere, per evitare la deroga, a volte, delle norme che impongo il divieto di deroga se non espressa (es. clausola di autorafforzamento dello Statuto). Per quanto riguarda la declaratori di incostituzionalità della legge tributaria da parte della Corte costituzionale e dell'incompatibilità con il diritto comunitario sancita dalla Corte di giustizia esse provacano, a differenza dell'abrogazione che è ex nunc, effetti ex tunc cioè dall'entrata in vigore della norma stessa essendo essa come mai esistita. Interessante è però la questione delle eccezioni dell'efficacia ex tunc collegata alla sentenza di illegittimità costituzionale. Esse infatti non si attua nei casi in cui i rapporti sono esauriti nel caso di un giudicato che non permette di rimettere in discussione la controversia, la prescrizione che fa decadere la pretesa sostanziale di chi fa valare un proprio diritto e la decadenza che impedisce l'azione in giudizio. Interessante è da notare che a partire da alcune sentenze del 2015 la Corte costituzionale, ha ritenuto non esigibile il rimborso neppure nei casi pendenti per non gravare in maniera eccezionale sul bilancio statale. Per quanto riguarda l'individuazione del dies quo del diritto al rimborso, non vi è dubbio che esso è esigibile da dopo la sentenza della Corte costituzionale non potendosi infatti esigere prima essendo la norma pienamente efficace sia per l'A.F. che per i giudici. Il diritto al rimborso nasce con la sentenza della Corte costituzionale. Caso diverso per la declaratoria di incompatibilità con le norme comunitarie. Nell'intento di limitare l'effetto ex tunc infatti la Corte di giustizia ha previsto alcune volte che il diritto al rimborso cada solo in testa a coloro che avevano presentano istanza di rimborso alle autorità amministrative prima dell'emanazione della sentenza, oppure altre che vi sia in atto l'azione giurisdizionale (ricorso) preventiva o la contestazione dell'imposizione attraverso impugnativa equivalente del rifiuto dell'A.F. prima dell'emanazione della sentenza in grado di rendere pendenti i rapporti diversamente dalla mera azione di rimborso che riguarda la fase amministrativa.

Efficacia temporale delle norme tributarie e la retroattività modifica

Relativa alla questione dell'efficacia assume una sua rilevanza la questione della retroattività. È preliminarmente da dire che le norme sostanziali solitamente non sono retroattive mentre le norme procedurali hanno una validità sia pro futuro che per il passato. Le maggiori problematiche risultano soprattutto dal fatto che si riportano sotto la nozione di retroattività anche vicende che sono diverse da essa come la retrospezione, il richiamo circostanziato dei fatti o la legge interpretativa che invece possono essere compatibili con l'ordinamento tributario. La norma tributaria veramente retroattiva e quindi non legittima è la norma che sia innovativa, ingiustificata e irragionevole e che con il suo agire retroattivo incide sfavorevolmente e sconvolge o altera una situazione consolidata o garantita compromettendo la sicurezza giuridica o la certezza del diritto e questo può avvenire sia quando il legislatore impone una nuova o maggiore imposizione riferita a fatti precedenti all'entrata in vigore sia che disconosca un diritto o una agevolazione fiscale riconosciuta in passato. La retroattività può essere sia propria che impropria. È propria quando modifica un tributo esistente in precedenza. È impropria quando impone un nuovo tributo a fatti verificatisi prima dell'entrata in vigore della legge che lo stabilisce. La norma retroattiva non va confusa, nonostante ciò accade spesso, con la legge interpretativa. La legge interpretativa infatti non impone nessuna novità ma si limita a fornire il reale significato alla legge interpretata che era suo fin dall'entrata in vigore. Da tenere distinta è anche la norma di applicazione immediata che pur operando nel passato si rivolte ad un'attività amministrativa ancora in corso di svolgimento all'entrata in vigore della nuova legge. Il divieto di retroattività non è esplicitamente previsto in nessuna norma. La giurisprudenza lo ha, nel corso degli anni, da prima esplicitato dal principio dell'attualità della capacità contributiva (art. 53 Cost.). Tale principio però è usabile solo nel caso in cui si analizzi in senso oggettivo rapportata preventivamente al momento della scelta del presupposto operata dalla legge che può eccezionalmente e per un breve periodo riguarda il passato. Esso infatti non ha valenza se si analizza in senso soggettivo infatti si potrebbe legare la retroattività alla mutevole situazione economica del contribuente nel tempo e ad essa si giustifica la imposizione retroattiva nella fase successiva di applicazione della nuova legge. Proprio per superare questa limitazione si è fatto ricorso al principio della tutela del legittimo affidamento riconosciuto anche dal diritto comunitario. Tale principio prevede che il contribuente possa agire senza subire pregiudizio di successive modifiche sfavorevoli e questo rafforza il divieto di retroattività e il vincola maggiormente il legislatore. Questo ha ampliato la sfera di non applicazione del divieto non assoluto di retroattività e l'essere considerato nel caso in cui l'irretroattività e le esigenze di certezza del diritto siano in contrasto con gli altri interessi costituzionali e comunitari protetti in base ai canoni della ragionevolezza e della non arbitrarietà e quindi in ordine al bilanciamento degli interessi in conflitto. Bisogna quindi ponderare gli interessi contrapposti di fisco e contribuente in merito alla giustificazione dell'intervento retroattivo. Limite invalicabile della norma retroattiva è delle situazioni consolidate come il giudicato o la decadenza dai termini procedimentali. La nostra giurisprudenza costituzionale ha chiarito in proposito (Corte cost., sent. n. 525/2000) che esiste un divieto di annullamente degli effetti del giudicato attraverso la retroattività in materia tributaria. Un norma in materia di retroattività, in realtà, è stata posta dal legislatore ed è l'articolo 3 dello Statuto del contribuente che però non ha rango costituzionale e pertanto non può arginare le leggi retroattive sfavorevole. Può però essere un valido supporto interpretativo. Esso al comma 1 stabilisce che "salvo quanto previsto dall'art. 1, comma 2, le leggi tributarie non hanno effetto retroattivo" e proprio su questa base è stabilito che in riguardo ai tributi periodici "le modifiche introdotto in materia tributaria si applicano a partire dal periodo d'imposta successivo a quello di entrata in vigore". Nella seconda parte del comma 1 inoltre la norma prevede fattispecie mai viste prima come il divieto di retroattività c.d. non autentica. Assume enorme rilevanza la distinzione rispetto alle leggi interpretative riconosciute eccezionalmente. L'articolo 3 comma 1 fa salvo le leggi interpretative previste all'articolo 1 comma 2 in materia tributaria soltanto in casi eccezionali.

Efficacia nello spazio delle norme tributarie modifica

Una questione interessante e allo stesso tempo controversa è quella relativa all'efficacia nello spazio in presenza di nuove e sempre più forme di manifestazione di capacità contributiva che travalicano i confini nazionali. Due sono i principio di tassazioni più usati. Il primo, il principio di tassazione del reddito mondiale (worldwide taxation) che considera come criterio impositivo il collegamento alla residenza fiscale del contribuente indipendentemente da dove si sia prodotto il reddito e questo per recuperare il gettito derivata da attività economiche e finanziarie svolte parzialmente in altro Paese (e questo è usato spesso nei paesi ricchi). Per individuare la residenza fiscale vi è una presunzione dovuta all'inscrizione anagrafica della popolazione, la permanenza per maggior parte del periodo d'imposta in un determinato Paese, il domicilio, la dimora abituale e per la società il luogo della sede principale o degli interessi economici. Tali elementi presuntivi aventi carattere formale sono superabili dalla dimostrazione della residenza effettiva. L'altro criterio è il criterio della territorialità o della fonte (source taxation) che è tendente a realizzare l'"efficienza fiscale internazionale" attraverso l'idea che l'imposizione fiscale, potendo essere effettuata esclusivamente nel territorio di uno Stato dalla provenienza di colui che produce la ricchezza, dovrebbe interferire il meno possibile sulle scelte economiche e sull'allocazione dei capitali delle imprese ed essere limitata. Esso infatti impone come criterio impositivo il collegamento alla fonte in cui si è generata la ricchezza indipendentemente dalla residenza fiscale. Interessante è la questione della doppia imposizione. In capo ad un soggetto infatti si può avere il fenomeno di una tassazione in due diversi stati su stessi redditi proprio perché i due Stati prevedono principi di tassazione l'uno alla origine o fonte l'altro in base alla residenza. Per evitare ciò bisogna ricorrere alle convenzioni internazionali che stabiliscono essenzialmente il credito di imposta che consente la deducibilità delle imposte pagate all'estero da quelle dovute nel paese di residenza e l'esenzione che consiste nell'esclusione da imposta dei redditi di fonte estera. Inizialmente, quando si inizio a produrre ricchezza all'estero, si era sempre creduto che era impossibile da parte di uno Stato prelevare tributi in un altro Stato nel rispetto della sovranità dello stesso. Questo valeva anche per organismi sovranazionali come l'UE nei confronti degli Stati membri (anche se era ritenuto diversamente infatti si riteneva che era in capo agli organismi comunitari di prelevare i tributi non prelevabili dagli Stati anche se nel prelevabili devono ricorrere agli sturmenti normativi offerti dai diversi ordinamenti dei singoli Paesi). Con il corso del tempo però è sorta sempre più l'esigenza di ampliare nello spazio l'efficacia delle norme tributarie procedimentali e di esercitare reciprocamente il potere impositive e dall'altro regole comuni che garantiscano lo stesso trattamento fiscale dei contribuenti a prescindere dalla loro residenza o dal luogo di svolgimento della propria attività di investimento. In ambito europeo la necessità di assicurare tra gli Stati membri la libera concorrenza, l'eliminazione agli ostacoli di natura fiscale alle libertà fondamentali e il divieto di non discriminazione fiscale e di restrizione alle libertà fondamentali e sugli aiuti di Stato hanno sicuramente imposto che la sovranità statale in ambito fiscale divenisse sempre minore in favore di una cooperazione tra Stati membri che si è avuta in modo particolare in settori come l'Iva. Questo sia per garantire i contribuenti da una disparità di trattamento sia per le norme restrittive in ambito fiscale con finalità antielusiva e di salvaguardare allo stesso tempo gli interessi fiscali attraverso la tutela dei crediti tributari sorti all'estero. Inoltre l'espansione delle norme comunitarie antirestrittive in materia fiscale attraverso l'attività interpretativa della Corte di giustizia volte a garantire la parità di trattamento tra soggetti, beni, capitali e servizi di diversa provenienza territoriale, ha determinato la crisi della distinzione tra responsabilità fiscale illimitata del residente e limitata del non residente sulla quale si regge il sistema di tassazione su base mondiale. La cooperazione tra le A.F., tuttavia, in ambito comunitario, nonostante risulti preliminare al riconoscimento dello stesso trattamento fiscale dei non residenti rispetto ai residenti, e sebbene è prevista da alcune norme comunitarie, resta ancora limitata dalla complessità e diversità di molti sistemi fiscali nazionali che attribuiscono diversi poteri alle Autorità fiscali in fase di controllo e che utilizzano differenti metodi di determinazione delle basi imponibili.