Le Fonti del Diritto della Monarchia Romana

La lex regia (in italiano legge regia) è un atto normativo emanato dal rex (con l'appoggio del pontefice) nell'antica Roma. Gli studiosi per tutto il XIX secolo sono stati in dubbio circa la vera autenticità e esistenza della lex regia.

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Le Fonti del Diritto della Monarchia Romana
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All'inizio del XX secolo addirittura molti erano quasi sicuri che non esistesse[1] poi nei primi decenni dello stesso c'è stata un'inversione di marcia e ci sono stati molti studiosi che dopo un'analisi molto più accurata si sono resi conto (ormai nessuno lo mette più in dubbio)[senza fonte] della reale esistenza nell'età regia di Roma di questo atto normativo.

Anche se alcune fonti sono state rielaborate nel tempo o ricche di interpolazioni o glossemi, sono considerati in massima attendibili, così la lex regia venne vista con più attenzione e approfondimento dagli studiosi che scoprirono anche nuove citazioni che prima non si conoscevano, infine nell'ultimo periodo[non chiaro] si fecero anche vari ritocchi sull'attribuzione ai vari re della tradizione (I Sette re di Roma)[2].

Nel territorio laziale dove nacque Roma erano stanziate varie tribù distribuite in pagi[4]. Quando Romolo (per elezione popolare come era in uso a quel tempo) diventò capo del governo divise le tribù in curiae[5], evento da cui trova origine l'atto normativo della lex regia basato su qualche intervento delle curiae nell'emanazione delle 'leges regiae', secondo quanto attestato dalle fonti pervenuteci[6].

Ma oltre alle curiae una delle più importanti innovazioni introdotte da Romolo con le leges regiae riguarda l'istituzionalizzazione del consiglio degli anziani che prese il nome di senato[7] (anche questo usato nel sistema di emanazione delle leges regiae)[8]. Importante è mettere in luce la situazione del rex: in tutta l'età regia infatti sarà il capo insieme pubblico-militare-sacro-giudicante[9] anche se questi compiti saranno affidati ai suoi numerosi ausiliari. Ritornando a Romolo, a questo, secondo tradizione, succedette Numa Pompilio (in realtà come sarà per i re successivi ci sarà un interrex che sorreggerà il governo sino all'elezione del successivo re[10]): anch'egli emanò numerose leges regiae di notevole importanza; infatti gli fu attribuita l'opera del liber commentari regi[11]. Una sua grande innovazione per il periodo numeno interessò il diritto criminale concernente i delitti volontari e involontari[12]. Su questo periodo molti studiosi ritengono, con argomentazioni lessicale, che alcune leges regiae soffrivano dell'influenza sabina[13]. Il successore di Numa Pompilio, Tullo Ostilio, denominato dalla tradizione il re guerriero[14], celebrava i solenni sacrifici utilizzando l'opera di Numa Pompilio, i commentarii Numae[15] oltre ad aver istituito i Feziali[16].

Ancora Anco Marcio fece trascrivere per, il pubblico, norme sacrali[17] dall'opera di Numa Pompilio, oltre a istituire il ius fetiale e il carcere[18]. Da qui gli ultimi re della tradizione non classificabili ancora come rex sacrorum (re che officiava ai riti sacri il quale utilizzava l'auspicium) furono, almeno secondo la tradizione, tre etruschi, il cui ascendente culturale influenzò il testo delle leges regiae di questo periodo[19]. Tarquinio Prisco, successore di Anco Marcio, fece varie 'leges regiae' che spaziarono in molti campi: degni di nota il raddoppio dei senatori e delle Vestali[20].

Servio Tullio poi utilizzò anch'egli l'opera di Numa Pompilio per l'elezione dei consoli[21]; oltre a ciò è da ricordare per l'instaurazione del censo e della costituzione timocratica alla quale si arriverà all'instaurazione dell'età repubblicana[20]. Nel periodo di Tarquinio il Superbo[22] rilevanti sono leges di tipo repressivo, rapporti internazionali e i libri sibillini (simile per certi aspetti al Vegoe etrusco). Dopo la famosa cacciata dei re, che secondo alcuni studiosi fu un evento che maturò lentamente e non fu improvviso[23] (questo evento portò all'abrogazione di leges regiae[24] ma sicuramente non tutte poiché sopravvisse l'auspicium[10] e la riforma di Servio Tullio dei 18 equites[25]), si giunge ormai all'età repubblicana. Ma siccome c'era bisogno di una personalità che officiasse ai riti sacri (o prendesse decisioni sull'argomento tramite auspicio, istituito appunto con lex regia)[26], come faceva il precedente rex, si istituì quindi il rex sacrorum: Quest'ultimo verrà eliminato come figura istituzionale da Teodosio I nel 390 d.C. Il potere di quest'ultimo era però molto minore al rex e di certo limitato solo al sacro. Secondo gli studiosi Pomponio nell'Enchiridion si riferisce a questo periodo quando afferma che l'emanazione del re veniva fatta secondo deliberazione delle curiae (poiché il potere del rex era diminuito)[24].

Probabilmente le leges regiae (o almeno la maggior parte) erano conservate a Roma che però fu incendiata nel 390 a.C. ad opera dei Galli Senoni di Brennio[24]. Importante fu così l'opera di riscrittura dei sacerdoti[27] e la raccolta di 'leges regiae' di Sesto Papirio purtroppo a noi non pervenuta ma che probabilmente era consultabile all'epoca di Pomponio[28]. Le leges regiae nel periodi successivi sparirono[29], secondo Pomponio furono tutte abrogate ma dagli studi fatti da vari studiosi risulta qualche atto normativo regio ancora in vigore, per esempio la norma dei 18 equites di Servio Tullio, ma Livio ci informa che dopo il 390 a.C. e l'incendio non furono raccolte solo le norme delle XII Tavole dai sacerdoti e dal senato ma anche norme rege alcune delle quali pubblicate altre tenute segrete dai sacerdoti[30]. Infine le leges regiae vengono nominate nella compilazione giustinianea[31].